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Erotici Racconti

Il senso del possesso

By 19 Giugno 2016Gennaio 30th, 2023No Comments

Io sono sempre stato così, molto fantasioso, ancora di più persona indiscreta, forse sempre coinvolto, incuriosito e interessato. Vale a dire che faccio conoscenza con chi m’incontra, vale a dire chi s’arrischia e chi s’avventura nel conoscermi. Io sono una di quelle persone che dà un’immagine di sé esteriormente omogenea e uniforme: lei avvertiva che in me si nascondeva un fuoco energico e intenso di passione, un po’ questo aspetto onestamente la spaventava scoraggiandola, perché non capiva dov’ero diretto. Ero soltanto per lei oppure no? E se fosse stata disposta a seguirmi, dove l’avrei portata?

Io le lasciavo intendere che c’era qualcosa che poteva essere ritenuto inusuale in me, non di certo da me, tuttavia dagli altri sì. La questione la conturbava e la spaventava ancora, eppure i suoi occhi brillavano e sembravano implorare che non leggessi la sua paura, ma la sua voglia d’esplorare e d’indagare. In quell’occasione la guardai e la baciai intensamente, tenendole stretta la deliziosa testa nella mia grande e forte mano, premendola contro le mie labbra smaniosamente dischiuse, la squadrai e in ultimo le sussurrai:

‘Da questo preciso istante, sarai solamente mia’.

Lei rispose solamente con un sì, uno di quei sì pronunciati non per forza, bensì, uno di quei sì che hanno l’intonazione della completa fiducia, della totale sicurezza e dell’intero e del pieno abbandono. Lo stato d’animo del dominio, non proviene solamente dall’avere una cosa, ma anzitutto, dal disporre di quella cosa. L’utilizzo dell’entità ci rende consci del possesso e rende l’oggetto associato e partecipe alla proprietà, allora la fantasia vola e non ha ragione d’avere limiti, poiché abitualmente lei si veste con la gonna e con unicamente un abito di cotone magari con dei colori accesi. Quella sera era per la precisione di color fucsia, tenuto legato da un semplice nodo dietro il collo; il suo seno aveva delle dimensioni proporzionate con la sua minuta figura su quei capezzoli dai contorni imprecisi, le sfiorai le anche e le manifestai:

‘Adesso va’ in bagno e togliti il perizoma’. Ricordo molto bene ancora i suoi occhi spalancati e attoniti, la sua sorpresa e la sua voce meravigliata che mi dichiarava:

‘Sei anormale e dissennato per caso? Roba da non credere, che storia è questa’. Il suo sorriso viceversa acconsentiva, concordando in pieno appena mi sentì sennonché pronunciare:

‘Sei mia, non ricordi? Eseguilo e nient’altro’ – lei diventò seriosa replicando sommessamente e sottostando alla mia pretesa.

Nel lasciare la panca dentro quel pub affollato, la vidi camminare e notai che il perizoma bianco le disegnava e le divideva equanime a metà le natiche, io ammiravo ammaliato nel frattempo quel fenomenale fondoschiena. Lei aveva persino l’andatura saltellante quando indossava quelle scarpe con il tacco, giacché a lei tanto facevano male ai piedi, viceversa, a me piacevano tanto. Lei tornò non molto tempo dopo, pensavo ci mettesse di più, dato che la vidi arrivare con il sorriso di chi ha accettato approvando la sfida convinta d’avercela fatta, così si sedette al mio fianco, mi guardo, mi baciò e mentre lo faceva mi fece scivolare qualcosa dentro la camicia. Io sapevo che cos’era quell’oggetto, era il suo perizoma, finché il piacere di lei mi pervase fin dentro le ossa sconquassandomi nientemeno la mente. Io dovevo mescolarmi a lei, dovevo farlo in quel preciso istante; infilai due dita tra un bottone e l’altro, afferrai le sue mutandine e me le avvicinai alla bocca e al naso, chiusi gli occhi e feci un respiro profondo inalandone tutto il suo individuale, intimo e irresistibile effluvio di femmina. Non so precisamente esporre né spiegarvi quella fragranza e quel sapore, potrei forse descriverlo delineandolo con centinaia di aggettivi e infiniti versi, tra i più dolci e i più sensuali del mondo, però non renderei l’idea, anzi, insulterei e offenderei quel momento, il momento in cui inspirai dentro me il carattere e lo spirito di quello che era mio. A scuotermi per bene sbatacchiandomi fortemente, invece, fu unicamente il sonoro manrovescio sulla guancia che lei decisa m’assestò:

‘Che cosa combini? Sei tutto scimunito, non vedi che ci osservano, grullo e minchione che non sei altro’. Io la fissai negli occhi e acutamente in maniera paziente le rivelai:

‘Non devi avere nessun timore mia cara. Tu sei completamente mia, in quanto &egrave compito mio difenderti, proteggerti e tutelarti’.

In realtà, a dire il vero, non me ne fregava categoricamente nulla dei presenti, perché quello là era un posto in cui ogni tanto transitavo con gli amici per bere una birra, tenuto conto che non riconoscevo nessuno di preciso, anche se sapevo che m’avrebbero di certo identificato le volte successive, poiché io di quella sera ricordo soltanto il volto di lei e di nessun altro. Bevemmo quella sera: lei era certo meno abituata di me, io lo sapevo, però non volevo che fosse assente, che perdesse la cognizione dello spazio temporale, quindi la tenni sotto controllo. Bevemmo in fretta, anch’io lo feci d’istinto, in ugual modo lei forse per pura imitazione. Io ero altamente eccitato, eppure mi sentivo nervoso, acceso di voglia, infervorato a dovere, dal momento che era tempo di cambiare rapidamente aria. Noi camminavamo lungo la strada buia, con gli sporadici lampioni a illuminare tutte quelle macchine, da una parte all’altra, fino allo spiazzo del parcheggio. In seguito procedemmo, lei era avvinghiata a me come non mai, la sua testa appoggiata a me sotto la spalla, il suo corpo era quasi contorto, voltato verso di me, il mio braccio era rigido, i muscoli tesi e la mia mano sul fianco premeva con forza. Ero al corrente e sapevo che si stava gustando il momento, che le piacevano i miei muscoli, che le piaceva la mia forza, giacché che le piaceva sfiorare delicatamente le vene delle mie braccia, dopo che si erano gonfiate come di frequente subito dopo l’allenamento. Io le sorrisi e ripensai per un istante a quella domanda che mi aveva già fatto altre volte, mentre premeva sulle mie vene:

‘Ti fanno male?’.

Noi passeggiavamo affiancando le macchine, intanto che le altre ci sfioravano sia in un senso sia nell’altro, in tal modo a un tratto, senza che quasi passasse alcun attimo tra la primordiale intenzione e l’azione, le sollevai rapidamente la gonna mentre sopraggiungeva una macchina dietro di noi. Lei urlò timidamente, mentre la macchina ci era già passata davanti, salutò per quell’inaspettata visione con due colpi di clacson: io l’agguantai, quasi la sollevai da terra, l’infilai fra una macchina e l’altra, la baciai e le introdussi la mano fra le gambe. Due delle mie dita si ritrovarono annegate nel suo piacere, il piacere che la seguiva già, probabilmente da quando le avevo chiesto d’eseguire quel mio ordine e andare nella toilette. Due delle mie dita entrarono e s’avventurarono dentro di lei: il suo corpo passò in un istante dall’essere rigidamente teso, all’essere disarticolato e lascivo, quasi fosse senza forze. Io non volevo darle di più, sapevo che avrebbe voluto, eppure delle volte so essere bastardo e malvagio. Durò un istante, nondimeno tanto mi bastò per vederla lì, appoggiata al lato posteriore della macchina, con la bocca ancora aperta come se assaporasse ancora il nostro bacio, lei chiuse gli occhi, le braccia a penzoloni con la gonna leggermente alzata, mi guardò e mi confidò:

‘Secondo me tu sei davvero insano, irresponsabile e squilibrato’.

‘Ci puoi scommettere, mia adorata’ – nel tempo in cui lei di rimando m’annunciava:

‘Ti voglio’.

‘Questa è unicamente una delle innumerevoli avventatezze e manie che vagano nella mia testa. Io sono così, prendere o lasciare, però devo sapere adesso e per sempre, se tu vuoi dividere con me il mondo che ho dentro, con tutti i rischi che potrebbero esserci. Se adesso prendi la mia mano, non avrò mai più bisogno di chiederti se posso dirti una certa cosa o farne un’altra, perché lo stesso varrà anche per te. Piccola, io sono stufo di vedere gente in gabbia, perché non voglio più essere uno in mezzo a loro: vieni con me e prendi la mia mano’ – le dissi più convinto e animato che mai.

Lei l’afferrò dapprima lentamente i miei polsi, in seguito tenendomeli più saldi scoppiando in conclusione a ridere, incrociò i miei occhi che chiedevano consigli, illustrazioni e indicazioni varie.

‘Hai però tutte le dita bagnate’ – mi replicò lei attratta e incuriosita, facendomi notare la faccenda.

‘Hai ragione mia cara, e sono pure deliziose e saporite’ – le risposi io, gustandomele e sfregandomele premurosamente sulle labbra.

{Idraulico anno 1999} 

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