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Erotici Racconti

La rivincita

By 18 Maggio 2017Febbraio 3rd, 2023No Comments

Guardando là non credo in sostanza ai miei occhi: il tuo corpo è lì che giace abbandonato su quello che resta del tuo giaciglio, le lenzuola sono sparpagliate come dopo una battaglia senza quartiere, le tue braccia allungate sopra la tua testa, i polsi uniti fra loro e assicurati alla testiera del letto con le tue stesse calze. Io osservo al presente il tuo seno ancora formoso ondeggiare debolmente sotto la spinta del respiro, rotto dalla tempesta che t’ha appena attraversato sconquassandoti, la tua pelle lucida sotto un sottile velo di sudore, i capelli neri appiccicati sulla fronte. Dopo esamino i tuoi occhi chiusi, quegli occhi di carbone che tante volte m’avevano addolorato e straziato trafiggendomi con altera e sprezzante severità, ma che poche ore fa ho visto sbarrarsi per la prima volta nella sorpresa e nella paura di subire la mia furia. 

Tu solamente una volta solamente avevi usato la violenza fisica: la prima, quella notte in cui avevi deciso che era giunto il momento d’affondare il colpo decisivo, mentre nel salone della villa di tuo padre gl’invitati alla festa per il tuo ventottesimo compleanno, si godevano spensieratamente tra di loro la quieta ebbrezza della solita serata di bella gente. Ebbene sì, confermo, proprio tu che m’avevi chiesto di seguirti nel garage e lì ti eri impadronita definitivamente e selvaggiamente di me, perché attirarmi e rimorchiarmi infine nella stanza da letto sarebbe stato troppo noioso e sgradevole, sarebbe risultato assai scontato e superato per i tuoi sensi mai sazi, però attualmente eccomi qua inchiodato sulla portiera della tua jeep con le tue dita lunghe e nervose che premevano sul mio petto stringendomi i capezzoli attraverso la camicia, assieme alla tua lingua che m’invadeva soffocandomi, la tua coscia che s’intrufolava tra le mie gambe facendomi mugolare contro la mia volontà.

Nella penombra della rimessa, con il calore del tuo corpo addosso, la mia mente fu attraversata in un lampo dalle immagini della crudele e lenta tortura alla quale m’avevi acutamente sottoposto nei mesi precedenti in ufficio: quegli sguardi che scivolavano rapidi ma carichi di significato su di me, in quanto si perdevano in un punto indefinito e sfuggente, sorrisi lanciati da un lato all’altro della sala per le riunioni, nel tempo in cui ridevi allusivamente in mezzo ai colleghi, senza peraltro dimenticare altresì quel modo ostentatamente insinuante e malizioso che avevi di sfiorarmi, se per caso in quella giornata avessi espresso in modo bendisposto il mio vivo apprezzamento per l’abito che portavi indosso. Lo ammetto, esattamente lì, mentre le tue mani frugavano il mio corpo e la tua bocca respirava il calore della passione sui miei occhi chiusi, io rivedevo quel tremendo pomeriggio di passione, quella lunghissima e spietata riunione sul bilancio in cui ti eri deliberatamente seduta, in modo tale che il mio sguardo non potesse fare a meno di capitare sulle tue gambe accavallate, lasciate intenzionalmente scoperte dalla minigonna stretta e affusolate nelle calze autoreggenti velatissime, allusive e maliziose su quei tacchi e il tuo sguardo intermittente sul mio viso e sul mio corpo. 

Nel momento in cui io cercavo di reagire, sentendomi anche un po’ stupido per sopportare e per subire così la tua iniziativa, appoggiato pesantemente al fuoristrada, perché ormai le gambe cominciavano a cedere, la tua mano s’intrufolò alla svelta nei miei pantaloni e il tuo gemito gioioso e trionfante accompagnò le tue dita che si stringevano intorno al mio cazzo. I ricordi di quella notte sono sempre stati confusi: io sfibrato dal desiderio, che la tua elegantissima figura aveva acceso in me fin dalla tua apparizione, snervato dal lungo gioco che avevi condotto per ore avvicinandoti e allontanandoti lungo tutta la serata, mi ritrovai attaccabile, debole e inerme di fronte al tuo improvviso assalto, perché fui soltanto capace d’abbandonarmi all’istinto, ma il mio impulso era ormai completamente in potere della tua volontà, in quanto ricordo esclusivamente il tuo astuto e sagace sussurro: 

‘Sei mio’ – nel momento stesso in cui perdevo definitivamente il controllo ed esplodevo dentro di te.

Il respiro affannoso e spasmodico che mi rimbombava nella testa mentre stremato e aggrappato non ricordo più a quale appiglio, osservavo la tua sinuosa figura ricomporsi. Il tuo sguardo lascivo luccicava nella semioscurità quasi quanto il tuo girocollo d’oro, da quel momento io ancora non me ne rendevo conto, ma tu lo sapevi benissimo che io ero la tua proprietà privata, perché non avevi bisogno di fruste né di guinzagli né di manette per dire che io ero il tuo dichiarato e manifesto schiavo. Tu eri penetrata dentro di me, ti eri impadronita della mia mente, avevi pervaso i miei sensi e ti bastava voltare seriosamente lo sguardo dall’altra parte quando c’incrociavamo al mattino o cercando di rifiutare un mio invito a cena per scatenare dentro di me il panico. Ti divertivi notevolmente quando eravamo in mezzo agli altri per stuzzicare il mio terrore di perderti, di vederti fuggire tra le braccia d’un altro, magari di qualcuno dei miei più cari amici, perché sapevi sempre quando piazzare il sorriso, lo sguardo o l’allusione giusta, giacché ogni volta per me era un colpo di frusta.

Tu sapevi altrettanto bene come prendere quello che volevi, soprattutto quando lo volevi: quante volte, infatti, mi sei piombata in ufficio imponendomi di darti il piacere che agognavi e quante volte m’hai respinto senza una parola, lasciandomi ai tuoi piedi sfinito dal desiderio calpestato, inappagato e sconfitto. Ti piaceva vedermi struggere nel desiderio, lasciare che ti sfiorassi, allontanando la mia mano e poi ancora invitandomi, poi tu stessa insidiando il mio corpo e costringendomi ai tuoi piedi, mentre tu seduta sul divano come sul trono giocavi con i tacchi sul mio corpo crogiolandoti sennonché nell’immenso potere che avevi acquisito su quel giovane e focoso maschio. Io seppur sottomesso dalla tua femminilità, schiavo della tua sensualità, avevo mantenuto un segno di freddezza e di lucidità, dato che non potevo non vedere che mi stavi distruggendo. Era soltanto una questione di tempo, tenuto conto tu mi succhiavi le energie come una vampiro, perché pigramente ma inesorabilmente m’avviavo alla fine, per il fatto che alla cena di questa sera tu hai lanciato l’ennesimo sguardo provocante verso il maschio di turno io lì in quel frangente mi sono ribellato. Non so come ho fatto: so soltanto che ho deciso, là in seduta stante, dal momento che avevi terminato di giocare al gatto contro il topo. E quando tu, dopo la cena, hai proposto al giovanotto e a me di eseguire quattro passi in giardino, io che sapevo bene la parte che mi sarebbe riguardata, quella del cagnolino fedele, puntuale e silenzioso che gira dietro alla sua padrona mentre lei si diverte con uno sconosciuto, ho svogliatamente risposto:

‘Grazie, andate pure voi, io non ho molta voglia di camminare’.

Io per l’occasione onestamente m’aspettavo un’occhiataccia di rimprovero da parte tua, invece ho visto il tuo viso irrigidirsi nella sorpresa, però non era solamente sorpresa, era paura. Sì, perché in effetti ci ho visto dell’angoscia e il tormento, in tal modo senz’indugio mi sono allontanato, mi sono tenuto a distanza per tutta la sera e quando alla fine siamo saliti in macchina tu non hai detto una parola. Io t’ho accompagnato a casa, sono sceso per primo dall’automobile e mi sono diretto verso la porta d’ingresso, ci siamo ritrovati ambedue in camera tua e appena hai chiuso la porta t’ho afferrato per le spalle e t’ho sbattuto contro il muro. Tu avevi la bocca aperta, stavi per dire qualcosa, in quanto i tuoi occhi lampeggiavano d’ira e di sdegno, il tuo petto ansimava rabbiosamente. Non una parola, non un gesto, solamente una forza inesplicabile e misteriosa che ci ha scagliato l’uno contro l’altro, dato che le nostre bocche si sono sigillate, le nostre lingue si davano la caccia nell’antro oscuro delle nostre intimità. Io ho avvertito spiccatamente il tuo corpo appassionato, pulsante e teso, ho sentito il furore divamparmi nelle vene, le mie mani hanno afferrato i tuoi fianchi, ho visto il tuo corpo volare verso il letto, abbattersi in un grido acuto sul piumone e un istante dopo le mie braccia inchiodavano i tuoi polsi al materasso. 

Le tue cosce si sono strette ai miei fianchi, tu mi pressavi fino a stritolarmi, mentre il tuo corpo s’inarcava dibattendosi sotto le mie membra e il mio sguardo divorava la pelle liscia del petto e della gola che s’offrivano al mio desiderio. Io sentivo il tuo corpo opporsi al mio, irrigidiva le braccia, stringeva sempre di più le gambe intorno alla mia schiena e il tuo respiro spesso si mutava in un rantolo rabbioso. A dire il vero, parecchie volte ti eri lasciata andare e avevi lasciato che ti prendessi in tal modo, tuttavia sempre era stato chiaro per entrambi, in quanto chi conduceva realmente il gioco eri tu. Questa volta però lo leggevo nel tuo sguardo infuocato, lo captavo nel tuo respiro affannoso, lo percepivo nei tuoi muscoli contratti, colei che era abituata a dominare attualmente stava per cedere, in quanto attualmente era incredibilmente lo schiavo a ribellarsi, a cercarsi eccezionalmente la rivincita di tante sconfitte, di tante mortificazioni e di svariate umiliazioni, come in quella notte nel garage in cui si era trovato costretto alla resa senza condizioni.

La mia furia però t’ha investito con tutta la potenza di cui sono capace e il tuo corpo si è trovato incustodito, indifeso e nudo tra le mie mani, perché lentamente e quasi impercettibilmente le tue membra hanno mollato la presa cedendo, i palpiti di rabbia si sono trasformati in pulsazioni di piacere, il tuo corpo si è aperto, attendendo e invocando in conclusione il piacere. Aveva un nuovo sapore, la tua pelle calda, la tua pelle tesa che scottava e sussultava a ogni colpo del brando barbaro da cui ti eri lasciata trafiggere, perché con uno scatto improvviso m’hai rovesciato sulla schiena, le tue dita m’hanno artigliato il petto, mentre il tuo bacino danzava sul mio pube e la tua statuaria superbia sovrastava il mio corpo riverso e impazzito. 

La vista delle tue scarpe che ancora resistevano con i loro acuminati tacchi ai tuoi piedi, mi ricordò quante volte quelle suole avevano passeggiato sul mio petto, quante volte quei tacchi avevano gareggiato e giocato con la mia virilità, fui stordito io stesso dal ruggito con il quale reagii al tuo predominio e tu ti ritrovasti eccitata e stupita con i polsi legati al letto, impossibilitata ormai per poter reagire. Adesso io potevo finalmente trionfare, potevo godere di quel ventre accogliente, di quel seno formoso e sodo, di quelle cosce guizzanti, ben rifinite e gettarmi dentro il tuo corpo, possedere la tua anima, impadronirmi e invadere i tuoi pensieri con la forza della mia passione, con la violenza del mio desiderio, perché mai prima d’ora vidi la tua testa rovesciata all’indietro abbandonarsi così al piacere, mai scrutai il tuo corpo tanto squassato dall’orgasmo, in nessuna occasione il tuo rantolo si trasformò in così alto grido, mentre la tua mente si lasciava prendere dalla mia, il mio piacere si fondeva squagliandosi assieme al tuo, i miei muscoli palpitavano caldi dentro e intorno al tuo corpo fatale finalmente domato, posseduto e sconfitto. 

Io mi sono rialzato a fatica, dopo che tutto questo aveva spazzato via la mia mente e i miei sensi, abbattendo le mie membra svuotate sopra il tuo corpo sudato e sottomesso. Adesso che ti guardo scopro per la prima volta che sei tu a giacere riversa e in catene, sfinita dalla battaglia e in balia del mio volere. Il sorriso che debolmente sei riuscito a indirizzarmi prima di piombare nell’incoscienza, è stato il più bel sorriso che potessi aspettarmi, un sorriso che m’ha parlato e rivelato con parole talmente chiare e nette: 

‘Non è finita qui, bada bene, perché avrò concretamente la mia rivincita, il mio geniale riscatto, ma spero che tu abbia ancora l’animo e la forza di sconfiggermi’. 

{Idraulico anno 1999} 

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