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Erotici Racconti

LA VIOLENZA DELLA CRITICA

By 22 Novembre 2006Dicembre 16th, 2019No Comments

LA VIOLENZA DELLA CRITICA

‘Sarebbe questa la sua arte?’
Un cattivo inizio davvero.
Mi chiamo Mario Noti e sono un artista, forse non sono bravo con le parole ma quando ho una tela e dei colori la mia mente si infiamma e le mani corrono da sole. Al tempo ero solo uno dei tanti ragazzi usciti dall’accademia di Brera con una pacca sulle spalle e tanti sogni. Ho fatto le prime mostre in provincia e poi la grande occasione, un’importante banca dava la possibilità a cinque giovani talenti di esporre in uno spazio assai prestigioso.
Annamaria Rodari, nel 1998 a Milano, era di certo il critico più influente della città, una sua buona o cattiva recensione sul più importante mensile di settore faceva la differenza tra ciò che le gallerie e gli investitori avrebbero deciso di promuovere o di ignorare. Quarant’anni, nubile, castana con gli occhi nocciola, un corpo minuto ma tenuto sempre in allenamento.
Nonostante la statura, mi scrutava dall’alto in basso, quasi come se si attendesse una giustificazione. Non persi la calma, dovevo giocare al meglio le mie carte. Cominciai a spiegarle la mia idea pittorica, cosa volessi trasmettere, ma lei ostentava un’aria spazientita e pure annoiata.
‘Rodari, non ho certo tempo da perdere in chiacchiere, anzi, ho altre sale da visitare con artisti ben più meritevoli della mia attenzione. Arrivederci.’
Mi ero già decisamente innervosito, quella donna con la puzza sotto al naso che si permetteva di trattarmi con tanta sufficienza, a quelle parole non ci vidi più. Controllai attorno, tutti sembravano guardare altrove, ed io non esitai, la spinsi in avanti; di fronte a noi, dietro ad un mio quadro di due metri per due, stava l’uscita d’emergenza che dava sulle scale del palazzo. Ero impazzito, le mollai subito uno schiaffo che le fece volare gli occhiali giù per i gradini e poi uno ancora, anche più forte del primo.
‘Puttana da due soldi, questo sei. Chi ti dà il diritto di sparare cazzate su ciò che nemmeno capisci? Sei solo una troia e da tale meriti di essere trattata.’ Era caduta e adesso era lei che mi guardava dal basso; gli occhi impauriti ed un po’ di sangue che le colava dal naso.
‘Ti prego, non farmi del male, posso pagare, farò tutto quello che vuoi ma non farmi del male” e piangeva con il trucco tutto scomposto.
Non so cosa mi prese, sentivo una prepotente erezione che mi tirava i pantaloni. Finita a terra, le si era alzata la gonna del tailleur grigio e potevo vedere le calze autoreggenti e l’elegante biancheria di pizzo nero che indossava. Non appena si accorse che i miei occhi spiritati indugiavano libidinosi sul suo corpo cercò di ricomporsi. Non le diedi il tempo, un altro schiaffo e lei allargai le cosce, le strappai quelle mutandine e gliele infilai in bocca; sapevo che se avesse gridato aiuto presto sarebbe arrivato qualcuno in suo soccorso. Lì, così oscena sul pavimento freddo, non si dava più tante arie, anzi supplicava con gli occhi.
‘Te l’ho già detto, meriti di essere trattata come una puttana. Adesso basta parlare.’
Liberai il mio arnese dalla stretta dei boxer e tenendole le mani bloccate sopra la testa la penetrai con un solo colpo.
‘Sei sfondata, puttana, quanti cazzi devi aver assaggiato in vita tua’.
Benché soffocato, tentò di lanciare un urlo ma un ceffone la convinse forse che era meglio collaborare.
La scopai in modo disordinato, con foga, palpando le sue tette chiuse in quell’abito casto.
‘Ora ti faccio anche il culo, stronza’.
La girai come un sacco di patate dopo essermi gustato la sua espressione smarrita e spaventata. Fui clemente, le infilai primo un dito, sputai e gliene infilai due e poi finalmente l’uccello. Non &egrave esatto dire che gemeva, ma il suo non era nemmeno un lamento, rantolava come in preda ad una crisi epilettica. Dopo pochi minuti di violente spinte, mi dovetti mordere il labbro inferiore fino a sanguinare per evitare che un urlo, questa volta mio, rivelasse la mia violenza; venni con un fiume di sperma nel suo culo.
Solo allora realizzai ciò che avevo fatto, solo allora capii che tutto era a rischio, la mia ambizione, la mia arte, per non parlare della polizia, l’umiliazione di un processo e chissà che altro.
Mi riaggiustai in un attimo e la guardai, nella stessa posizione in cui l’avevo lasciata, con un rigagnolo del mio seme e del suo sangue che le scendevano insieme tra le cosce, tremava ancora.
Scappai dalla mostra, non parlai a nessuno e mi rintanai in casa per giorni. Ogni volta che suonavano alla porta, pensavo fossero i carabinieri. Incubi, angoscia e sensi di colpa si alternavano nella mia mente, ma le settimane passavano e nulla accadeva.
Arrivò il mese successivo e con esso anche il nuovo numero della rivista d’arte su cui scriveva la Rodari. Con il cuore in gola, la vidi nella buca delle lettere. Strappai con lentezza la pellicola che l’avvolgeva e sfogliai le pagine fino a trovare il suo articolo.
Rimasi prima scioccato, poi sollevato ed infine divertito. Non solo si dilungava nel sostenere che bisogna dare spazio alle nuove leve della pittura italiana, dava anche dei pareri competenti ed entusiastici sulle mie opere; addirittura, sotto una bella foto di un mio dipinto, la didascalia recitava:
‘Mario Noti, pennello selvaggio, la sua tecnica rude ed il suo istinto irruente mi hanno lasciata senza fiato’.

Sono graditi giudizi e suggerimenti.

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