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Erotici Racconti

Lasciarsi trasportare

By 3 Ottobre 2017Febbraio 5th, 2023No Comments

Quello lì era il pretendente inconfessato e inespresso di mia mamma, realmente da non presumerlo, io sapevo però che esisteva e che gli gironzolava attorno, dal momento che la vedevo rientrare in casa con un atteggiamento e con un portamento disarmonico e visibilmente dissonante negli occhi. Lei, infatti, dal carattere così brusco, litigioso, talvolta ruvida e pungente, al momento sembrava attraversare la vita con rapida elasticità, con lesta leggerezza e con una netta mancanza di serietà, poiché era diventata repentinamente frivola e vacua, per il semplice fatto che ignorava sottovalutando le faccende domestiche e disinteressandosi perfino d’acquistare i beni essenziali primari per nutrirsi, dal momento che negli ultimi periodi s’ammaliava appassionandosi di frequente di fronte a quella grande specchiera dell’andito con un’irriconoscibile letizia. Dopo, per non farsi mancare nulla, c’erano quei numerosi foglietti colorati che giacevano piegati con cura nel tiretto della carta per i regali. 

Io li avevo scoperti per caso un mese prima del suo compleanno, dato che le avevo comprato un ciondolo a forma di goccia però sottile e raffinato. Quando un pomeriggio, lo avevo individuato in una teca, avevo riflettuto che sopra la sua scollatura abbronzata sarebbe spiccato in modo eccezionale, a tal punto io lo avevo acquistato facendolo mettere avvedutamente in disparte con il convincimento d’approntarle con ragionevole periodo di tempo un bel fagotto d’un certo livello, confezionandolo inizialmente all’interno d’un grazioso involucro pitturato per il fatto che lei lo adorava parecchio, da ultimo un fettuccia variopinta di seta avrebbe reso completando il tutto in maniera molto coordinata.

E’ stato infatti così, dal momento che disserrando quel tiretto per appiopparvi dei fogli residui, io avevo riconosciuto quell’ammasso di carte e di cartoncini gettati alla rinfusa, peraltro nitidamente usati, dato che spaziavano in numerose tonalità di colori, giacché in quell’istante avevo pensato in brevissimo tempo alla presenza d’un uomo. Ripensandoci bene, non che mia madre non fosse raffinata né signorile, tutt’altro, ma attualmente è diventata una donna bizzosa, indisciplinata e malvezza e se c’erano parecchi foglietti nel tiretto non era di certo stata lei a procacciarseli, in quanto secondo me era un suo individuale e privato talismano che aveva disposto e scelto di conservare là dentro, perché era allacciato a un batticuore o a un aneddoto abbastanza esclusivo del momento che stava attraversando. Lei lo aveva toccato delicatamente e meticolosamente con le dita, poiché sembrava lo avesse cullato a lungo, come per indugiare ritardando su d’un ricordo piacevole.

Io non avevo indagato ulteriormente, tuttavia m’infastidiva un poco quel suo nuovo modo di muoversi danzando, per il reale fatto che non ascoltasse più, o meglio, meno di prima con un chiaro distacco che non era più un affranto e triste compatimento, quanto invece un’inconfessata e una misteriosa avvenente beatitudine che la conduceva tra quelle sale. Già, le sale, il suo capriccio, la sua fisima, la sua continua svenevolezza sostiene lei, la sua alienazione, la sua dissennatezza e la sua chiara paranoia aggiungo e completo io. Lei aveva declinato perentoriamente di trasformare l’assetto e la conformazione natia di quella casa signorile, ciononostante non tutte le pareti erano quelle che sorreggevano per intero la struttura. In effetti si sarebbe potuto benissimo separare un locale, invece lei aveva insistito, perché io voglio tutte le stanze in fila, aveva precisato lei ribattendo in modo perentorio. Proprio come sono attualmente, con delle grandi porte a due ante che s’aprivano una dopo l’altra sulle stanze della casa. In questo modo alquanto bizzarro, per recarsi nella sua stanza verso il salotto si dovevano oltrepassare ben quattro ambienti, mentre la sua toilette privata quella con la vasca ellittica, era l’ultimo elemento di quell’eccentrico e intricato mosaico tondeggiante. Ed è proprio lì che io l’ho visto quel giorno, che in nessun caso scorderò, probabilmente mia madre credeva di riuscire a nasconderlo.

A dire il vero, in quell’occasione io era rincasata con largo anticipo dal lavoro, in quanto la parte anteriore della fronte mi scoppiava e dal momento che non avevo incartamenti né indifferibili pratiche da concludere, avevo pensato d’acciuffare qualche ora di riposo liberandomi prima e dandomela a gambe dall’ufficio. La mia personale fissazione era stata proprio quella d’approntarmi al meglio per concedermi un bel bagno come si deve all’interno di quell’enorme vasca. Mia mamma era lontano, in quanto in questi ultimi tempi andava a spasso con regolarità con le sue amiche diceva lei, ma con l’uomo dei foglietti colorati invece annuncio e rendo noto io. A ogni modo, dovunque lei fosse, a me non interessava più di tanto, perché per me l’importante e quello che mi premeva maggiormente era che la casa fosse rimasta vuota. Io adoro camminare nuda attraverso le sale, per il fatto che mi dona una percezione totale d’autonomia, e quando fa bel tempo e appena posso, in tal caso apro le ampie persiane e attendo che la brezza mi sfiori con il rumore degli alberi vicini, giacché tutto questo mi porta profumi lievi che mi distendono e mi rasserenano. Non era abbastanza caldo, al contrario, l’aria fredda sbatteva sulle ante e io non vedevo l’ora d’immergermi nella vasca, dal momento che la casa era vuota come pensavo, in realtà a tal punto presumevo. Io attraversai le sale bloccandomi nella mia, mi tolsi le calzature lasciandole sullo scendiletto, sfilai la sottana e la blusa, agguantai dal comodino gli slip puliti assieme a una maglietta confortevole e mi diressi verso la toilette di mia mamma. 

In quell’istante vidi la luce accesa, però non pensai a un intruso, perché in casa c’era silenzio totale. A parte il vento, certo, pensai che mia madre avesse dimenticato di spegnerla; ve l’ho appena detto, in quanto di recente era sbadata e oramai non mi stupivo più di niente, all’opposto, probabilmente non pensai neppure perché questo ragionamento l’ho fatto soltanto in seguito a distanza di tempo. Sul momento, infatti, aprii solamente la porta e senza pormi domande rimasi bloccata, perché il concubino di mia madre era lì in piedi, nudo davanti allo specchio, giacché fosse lui era ovvio. Io dubito che un ladro entri senza scassinare la porta e si dedichi a un bagno rilassante, per il fatto che la vasca era ancora piena e fumante, mentre lui mi volgeva le spalle. Lui era in realmente un colosso, una specie di buttafuori con la pelle arrossata dal calore dell’acqua e aveva i capelli lunghi incollati come le alghe brune sulla nuca. La sua groppa appariva d’avere una sua intima vitalità, proprio come se un’inattesa favilla sgusciasse da sotto quella pelle inquieta, dal momento che essendo molto alto appariva come un ciclope con due gambe grosse e muscolose ben piantate al suolo. In quel momento lui si stava radendo e sarebbe stato inutile fuggire, o forse io non lo feci per curiosità o per un incanto oscuro, chissà. Io volevo però squadrare per bene quell’uomo, perché era d’altronde bizzarro, per il fatto che m’incuriosiva a tal punto osservare da vicino l’inaspettato individuo che impacchettava con quei foglietti multicolori i doni per mia mamma, davvero da non crederci. Come poteva quel bestione, rimuginava angustiata e preoccupata la mia mente, sì, quell’energumeno essere il reale e il tangibile amante di mia mamma? Io in quella circostanza li concepii elaborandoli entrambi istantaneamente distesi sopra il letto, con quella figura imponente e massiccia che avvolgeva e infagottava il corpo delicato e gracile di mia mamma, ciononostante non riuscivo però del tutto a convincermi. 

D’improvviso lui mi vide riflessa nello specchio appannato, sennonché m’arrise per niente d’impaccio e si girò a rilento, mentre i miei occhi si focalizzarono sul suo cazzo, lui non disse nulla, io nemmeno. Stavo ferma in piedi, con le dita ancora premute sulla maniglia umida a squadrare quel cazzo, in verità non enorme, però ben fatto, visto che s’innalzava come una colonna tra le sue gambe, eretto e sfacciato come d’altronde quel suo modo di sorridere furbastro e sornione. La lingua s’incollò al mio palato, la mia gola era a un tratto diventata arida, interamente disidratata, perché ogni cosa di fluido che mi era rimasto era digradato sparendo completamente. Io rimasi così per un tempo lunghissimo, poi come un automa allungai le mani dietro la mia schiena e con un gesto rapido sganciai il reggiseno, il movente concreto non ve lo so proprio esporre. Io ero divenuta improvvisamente come il vapore, ero acqua e linfa, desiderio e lussuria, in quanto le mie mani si erano mosse spinte da una sorta di debito, di gratitudine, dalla cosiddetta legge del contraccambio. Io volevo mostrarmi a lui come lui si era involontariamente presentato a me, dato che i capezzoli appuntiti sembravano sfidare quel cazzo comparso là d’improvviso, così eretti giacché parevano sollevare la forma morbida e tonda del seno, dal momento che quella visione bucava i suoi occhi grigi, perché io me ne resi immediatamente conto.

Non fu lui a muoversi, lo ammetto, perché fui io interamente trasportata, mossa da quell’energia equivoca e torbida ad avvicinarmi, a inginocchiarmi tra le sue gambe e a chiudere gli occhi mentre il calore mi svelava il suo odore. Con la lingua percorsi quelle venature gonfie, in quelle fronde attorcigliate di esaltazioni e di passioni vissute, di vagine che si erano aperte ansiose, bramose e timorose di fronte a quell’imponenza e a quella prestanza. Lui restò stagnante, statico, divaricò debolmente le gambe, come per mostrarsi più fermo e mi guardò attentamente concentrato mentre disegnavo le tracce del suo cazzo. Finalmente il suo sapore emergeva, sovrastava il profumo denso del sandalo del bagnoschiuma e mi raschiava la gola, in quel momento avrei voluto inghiottirlo tutto, perché mi faceva sentire così piena e così perfetta.

Io avvertivo le labbra gonfiarsi, arrossarsi su quella pelle scura, dato che il piacere digradava ghiotto così come un flutto scorrevole, alla maniera d’una gradevole e lusinghiera bevanda. Io non avevo fretta alcuna, in quanto il mio ingegno si era fermato all’esterno di quella toilette, distaccato e imperturbabile davanti alla soglia. Non c’era altro spazio che quel bagno umido, altro tempo che quel leccare affaticato, languido e sfibrato. Fu lui a risvegliarmi, giacché m’afferrò inaspettatamente per la schiena, m’innalzò di potenza comprimendomi come per farmi collimare nell’appiglio. Dopo m’adagiò sul lavandino, nel tempo in cui io gli davo spago come se fossi una pupattola fra le sue grinfie, in seguito mi divaricò le gambe con fermezza e poggiò il glande sulla mia fica senza spingere, così come una carezza leggera e sensuale, come in un bacio di sessi sconosciuti che s’annusano a vicenda per la prima volta, il mio piccolo di bambina, il suo grandioso di titano.

E’ piuttosto insolito e stravagante, che un uomo del genere sia abile e capace di tale accuratezza e meticolosità con quella mole, pensai io in quel preciso istante. In quell’insperata circostanza io cominciavo a capire la scelta compiuta da mia mamma. Secondo me, ebbe la tentazione di fuggire la prima volta che lo incontrò, perché lei non è indubbiamente l’esemplare d’amante con cui trascorre i suoi eventi episodici, tuttavia in realtà chi può dirlo ed esporlo con esattezza come stanno realmente le cose. Attualmente però, mentre lui m’introduceva dentro quel suo stupendo cazzo, nel momento in cui teneva gli occhi nei miei per captarne e per scrutarne ogni sussulto, io afferravo e comprendevo molto bene quel concetto.

Mia mamma, in quell’occasione, aveva indubbiamente intravisto e presagito la sua nascosta e peraltro sottaciuta energia, quest’alone irresistibile e d’altra parte trascinante d’ironia amalgamata con quella fermezza, chissà, come lei c’era in fin dei conti riuscita. Vedendolo forse mangiare una brioche al bar? O forse rimanendo immobile accomodato davanti al bancone del bar, non riuscendo a stare seduto in modo agevole su quel panchetto, dovuto alla sua giunonica dimensione con una tazzina di caffè a dirimpetto, e mia mamma lì davanti a lui a tal punto piccina con quei dolciumi friabili tra le mani? Chi può dirlo con esattezza. Lei deve averlo esaminato nel tempo in cui mordeva la tartina adagio e senz’impellenza, mentre guardava la cameriera, sì, a mio parere dev’essere andata in tal modo. Alla fine delle mie svariate supposizioni, ecco che arrivò l’imprevisto, l’inatteso ma aggraziato, armonioso e soave affondo, perché lui spinse interamente il suo fisico, intanto che di conseguenza la mia groppa s’inarcava in direzione di quella grande specchiera. Con i globi oculari accostati scrutavo il mio ritratto capovolto, la chioma che oscillava, gli arti superiori privi di decisione che trainavano i polsi su quel piano fradicio. Lui restò intimamente immobile per un tempo direi incalcolabile, poi si riscosse per un breve tratto e mi penetrò più velocemente dondolando abilmente e accortamente la cavità pelvica. Io galleggiavo, mi perdevo nel suo respiro energico e lasciavo che lui mi trascinasse trasportandomi via lentamente senza colpe, senza malefatte né pensieri, in un ondeggiare e in un oscillare di desiderio e di nostalgia senza passato né futuro.

Lui mi scopò veramente a lungo con vero gusto, senza foga né fretta né impeto, bensì lentamente con diletto e con spensieratezza, con estremo e straordinario gradimento, senz’ansia né impellenza né precipitazione di dover concludere a tutti i costi quel prodigioso atto in brevissimo tempo. In quell’incantato e magico ‘periodo di non tempo’ aggiungo io, riscattai sgomberando totalmente la mia anima e la mia mente con tutta me stessa, come realmente giammai mi era capitato prima d’allora. 

Lui è stato concretamente un genuino, un lineare, non alterato, ma in fin dei conti un naturale e un verace rubacuori d’altri tempi. Brava mamma, devo interamente ammettere, approvare e riconoscere la tua deliziosa e sopraffina scelta. 

{Idraulico anno 1999}  

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