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Tante persone affermano segnalando che le donne sorpassino e superino qualsiasi sciagura e qualunque tragedia, ma che affondino e s’inabissino definitivamente per amore. Quel giorno, effettivamente, il sole splendeva rabbioso nella piccola e animata città, le adolescenti e le meno giovani danzavano sotto gli antichi portici a due passi dai rigogliosi giardini, mentre io ero ricoperta di un’abbronzatura color cioccolato fondente.

Quella volta io lo rincontrai dopo parecchi anni con la camicia scucita e abbandonata sui jeans in un angolo d’inferno, peraltro bloccato e interdetto alla borghesia, lui idolo, simulacro e indiscusso sogno del dolce ritrovo veneto dell’epoca, giacché un’occhiata mi bastò per capire che sarei stata sua, per sempre. Un fulmine apparente quanto inatteso quel pomeriggio mi squarciò il cuore, dilaniandolo e riducendolo in brandelli meschini, perché incendiò radicalmente tutti i miei desideri inascoltati, mi consumò le viscere e m’incise l’epidermide, giacché sulla pelle presento ancora le cicatrici dolenti e solcanti. 

L’ustione d’amore è astratta e invisibile agli occhi peraltro impreparati e inesperti, però se ne legge il codice occulto e segreto nell’anima, sia incisa a scalpello che intarsiata in rilievo come il codice Braille, non esistono calmanti né cure né medicamenti né sedativi. Amare è il peccato più grande e più imponente se si può definire tale, però l’unico che meriti e che valga il paradiso come ricompensa. Si fa bene del sesso solamente per amore, perché il resto è pura, schietta e virtuosa prestazione.

Lui era il profumo di nocciole tostate, il succo di carnosi limoni, il lievito di pane fumante, perché aveva il sapore d’un caramello bruciacchiato, il profumo del latte appena munto, di biscotti e di pasta frolla. Lui era il canto del gallo all’alba, il richiamo dell’arrotino del paese, lo schianto dell’onda contro lo scoglio, in quanto aveva la fragranza della pioggia sottile nei giorni d’estate, della polpa succosa della pesca e del fuoco solare al tramonto.

Lui era il crepitio della legna nel camino, i fiocchi di neve di gennaio, il sorriso d’un bambino, perché profumava di vino novello, di terra bagnata e di brezza salmastra. Lui era il salice piangente nel mezzo del cortile, il calore d’un uovo appena covato, il tasto incantato d’un pianoforte, giacché costituiva rappresentando in definitiva la mia semplicità quotidiana, la completezza dell’anima mutilata, la passione e il desiderio di vivere. Quando s’attacca e si combatte però da soli la guerra si è già persa in partenza, poiché l’appassito e l’inaridito cuore alterano manipolando scusanti indubbie. Un artiglio nemico scortica le interiora intorpidite, l’anima sanguina, i rancori e le ostilità accese cerchiano di nero gli occhi e le lacrime pesanti indeboliscono le pupille stanche.

I nostri ritratti si sono confusi in un gioco eternante di fotogrammi sovrapposti, in un naufragio glorificante e instancabile dello spirito. Lui ha inseguito la sua chimera di libertà, io la mia illusione d’appartenergli. Ancora oggigiorno ascolto con appassionata e struggente nostalgia la canzone di Massimo Ranieri dal titolo ‘Vent’anni’ che ha denotato per noi due rimarcando innumerevoli e strabilianti ricordi, di quando tempo addietro eravamo poco più che ventenni accompagnandoci nelle nostre incalcolabili fughe amorose. In quel fantastico e irripetibile periodo, fummo in effetti bestie infuriate e rabbiose in una nuda notte rifiorita per le nuove stagioni, per il fatto che le nostre carni si fusero in un antico richiamo di fluidi, di saliva, di sangue e di sperma. Entrambi ci abbeverammo egoisti delle nostre pulsioni più svariate, attualmente però recitiamo la viscida nenia alle orecchie sature del pudore, perché ci chiniamo piangenti al dipinto che costruisce la passione.

Amare è il peccato più grande, però l’unico se non il più incomparabile e prezioso che meriti il paradiso sia come gratificazione che come ricompensa. A lui voglio invero che sia riservato il regno dei cieli, perché si fa bene del sesso soltanto per amore, il resto è genuina e lineare prestazione. Da lui vorrei ricevere un fallo incantato dalla mia cavità, un membro caldo e danzante. Molti proclamano precisando che le donne sopravanzino e oltrepassino qualsiasi avversità e qualsivoglia situazione dolorosa, ma che inevitabilmente naufraghino e sprofondano per amore, io vorrei che lui affondasse e s’inabissasse come me.

Il mio sesso è fatto perché il mio amato ne colga e ne respiri radicalmente l’essenza, ne ascolti la musica, ne osservi la sagoma, ne percepisca raccogliendone in ultimo l’umidità, la profondità e la voracità.

L’amore m’ha reso debole, esposta, fragile e vulnerabile. Al presente mi sento inquieta, insofferente, stanca e triste, però capace d’assorbire e d’incamerare ogni energia cosmica, ogni estro, ogni respiro e qualsivoglia soffio divino. 

{Idraulico anno 1999} 

Autore Pubblicato il: 25 Febbraio 2018Categorie: Erotici Racconti0 Commenti

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