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Erotici Racconti

Mimiche schive

By 11 Novembre 2019Febbraio 13th, 2023No Comments

Io mi ritengo come disposizione complessiva una ragazza con un animo socievole e con un’indole alquanto spigliata, eppure mantengo sovente una personalità chiusa, mi valuto riluttante e a tratti sfuggente, allorquando mi capita di trovarmi di fronte nuovi uomini, oppure quando devo conoscere e in seguito frequentare dei nuovi ragazzi in generale, perché m’assale una sorta d’inspiegabile blocco emotivo, dentro di me s’impadronisce precisamente una promotrice forma d’ansia, un’inedita, messaggera e instabile timidezza, esattamente una radicata e inguaribile introversione s’appropria della mia persona. 

Dal momento che io lo intravidi la prima volta, preparai mentalmente che non poteva essere attendibile somaticamente quello che osservavo, perché lui era per me un magnifico ammalio, un effettivo e spettacolare abbaglio, perché si parò lì di fronte con la sua carnagione olivastra, con la faccia proporzionata, con delle labbra polpute e con il carisma d’un individuo che t’analizza scanalandoti e sviscerandoti la psiche. Lui in quella precisa circostanza mi salutò ammodo e in maniera educata, intanto che io bruscamente arrossii, giacché lo salutai con un fioco e malinconico ciao, tenuto conto che non riuscii ad aggiungere altro. Per lungo tempo io rimasi adorando ammaliata quel maschio, malgrado ciò, ogni benedetto giorno si replicava quell’identico e intenso rituale, lui oltrepassava l’uscio della succursale, mentre io mi sentivo imprigionare da quel quadro devozionale per me di massima seduzione e d’indiscussa avvenenza. 

Lui, invero, mi dava il buongiorno con leggiadria e con piacevolezza, intanto che io replicavo al suo saluto con un flebile ciao in soprappensiero, per il batticuore che dalla mia occhiata si diffondesse il mio intimo coinvolgimento, dal momento che ero incapace di rivolgergli sguardi mirati. All’epoca io lo braccavo durante il tempo in cui neppure uno m’osservava, mentre lui oziava rivolgendomi le spalle, la sua sorprendente schiena di maschio, di quelle che ti fanno sentire limitata e incustodita. Io esaminavo la sua figura, il pareggiamento eccellente dei capelli, le sue orecchie aggraziate e per concludere quelle mani che scorrevano sollecite e affidabili sulla tastiera del computer con un ritmo costante. Nel vedere la competenza e la scaltrezza delle sue dita i brividi m’assalirono, perché là presunsi che giocherellassero con la mia cute, giacché le raffiguravo energiche e al tempo stesso riguardose, nel tempo in cui sdrucciolavano fra le mie gambe. In quel momento mi sentii distintamente ardere, ricordandomi di soprassalto di non essere là da sola, sicché con enorme impaccio dissuasi lo sguardo da lui e con incalcolabile alleggerimento notai che nessuno si era reso conto dei miei indecenti e pepati lascivi pensieri. 

Il tempo lavorativo trascorreva e fra noi due frattanto germinò un’affettuosa amicizia fatta d’affiatamenti di canzonature, per il fatto che lui cominciò a vezzeggiarmi come se fossi un bambolotto di pezza, dal momento che mi subissava di candidi baci, di spontanei pizzicotti e di sincere carezze. Nel tempo, la ciclicità delle sue incursioni amorevoli andava aumentando, perché assieme a esse sbiadivano dileguandosi infine i miei rinomati e attesi sogni al suo fianco, o quantomeno nel suo letto. Lui sembrava non intuire né presentire la vampata che s’accendeva dentro di me a ogni suo contatto, io mi sentivo viceversa deflagrare d’eccitazione, finché un giorno non riuscendo a dominarla gli ribadii freddamente e sbrigativamente di smettere, in quanto non ero un gingillo qualsiasi da trastullare, perché malgrado ciò la mia fisionomia bambinesca e sprovveduta ero composta pure io di carne e di sentimenti, che non ero una fanciulla, ma una donna a tutti gli effetti. Lui si bloccò all’istante rimanendo incredulo e sbalordito, di fronte alla mia inedita, netta, quanto incisiva, radicale e probabilmente sproporzionata reazione. Quelle che seguirono furono le più irrazionali ore di mutismo e d’impaccio, adesso mi ero naturalmente identificata e adesso che cos’avrebbe pensato lui di me? 

Il contesto iniziava a essere intralciante e sgradevole, gli sguardi diventavano elusivi e restii, si conversava soltanto per sospendere quel manto innaturale dell’incomunicabilità, tuttavia nell’ambiente s’inspirava la fragranza deprimente e mesta della pioggia. Io mi diressi verso casa e catturata all’inverosimile dall’agitazione m’adagiai sul letto e un mulinello insperato di pensieri iniziò a rotearmi nella capoccia, finché una vibrazione brusca mi fece sussultare, perché era il trillo del telefonino con una comunicazione in arrivo: 

“Monica, ascolta, ritengo d’aver strafatto e abusato. Ti chiedo scusa, Walter”. 

Quel messaggio fu per me come ricevere una genuina stoccata, una schietta punzecchiatura, anche io apprezzavo e stimavo fortemente il suo gesto, eppure quelle definizioni attribuivano logica e senno alle mie intime ansie e alle mie recondite apprensioni, perché io per lui ero solamente una soffice frugoletta da blandire e da lusingare, una fanciulla attaccabile e ingenua da salvaguardare, non una femmina con la quale completarsi e in ultimo concludere. Il giorno successivo non ebbi neppure la spavalderia d’andare al lavoro, non volevo imbattermi con lui, perché sarebbe stato per me assai mortificante e scoraggiante, in tal modo avvertii il reparto comunicando la mia malattia: sette giorni di riposo domiciliare. Io non mi ero resa conto fino a quel momento di provare un sentimento nei suoi confronti, quella che sembrava pura attrazione fisica era soltanto la cuspide d’un blocco di ghiaccio, dove peraltro di sotto divampava un corpo entusiasta d’emozioni e di genuina partecipazione. Io dovevo assorbire ed espellere al più presto quella scuffia d’affetto e d’attenzione, eppure in quegl’istanti la particolare opera che ti piace compiere è invero compatirti e compiangerti, perché non fai altro che considerare e soppesare lui nonostante ti faccia stare male, per il lineare fatto che quell’armoniosa, duttile e plasmabile supplizia, nonostante in verità t’addolori e ti tormenti, ti fa immancabilmente ritenere attiva e operosa, decisamente forte e preparata all’inverosimile. 

Io acciuffai a piene mani l’appropriato coraggio, mi esaminai di fronte alla grande specchiera incoraggiandomi e rassicurandomi da sola, rimuginando nel mentre che cosa poteva attrarre e invogliare nei confronti d’un uomo la mia faccia semplice e i miei grandi occhi da vignetta umoristica? Soltanto dolcezza e premura. In quel periodo mantenevo fermamente finanche un’espressione languida e un tono sdolcinato, un piglio disattento e incantato, perché persino il personale modo di vestirmi troppo ginnico e non molto studiato, donava al mio aspetto esteriore un netto tono immaturo e puerile, nonostante avessi compiuto quasi trent’anni d’età. Era sopraggiunta l’ora di modificare il percorso, di correggere il cammino, perché mi sentivo femmina a tutti gli effetti, ma ora auspicavo di percepirmi ugualmente donna. 

Con la cognizione pertinente e con l’atteggiamento giusto m’applicai in modo opportuno, poiché riservai in quella circostanza l’intera settimana curando e approntando al meglio al mio aspetto fisico, sostituii l’acconciatura e la colorazione dei capelli, trasformai interamente il mio abbigliamento, malgrado ciò, quel deserto composto dalla sua assenza nella mia vita diveniva acuta, profonda e insostenibile. Il lunedì s’approssimava e insieme a esso la circostanza nella quale dovevo ritornare alle mie faccende lavorative, tutto ciò mi cagionava un affanno inaudito e un assillo inverosimile, giacché ero lungamente assorbita in quelle considerazioni, allorquando squillò il telefono e pigramente risposi: 

“Buongiorno a te Monica, sono Walter” – la sua voce rauca e al tempo stesso dissoluta e lasciva, lestamente mi magnetizzò. 

“Monica, ti senti bene, come te la passi?” – riaffermò lui alquanto pensieroso. 

“Porta pazienza Walter, credo di non stare molto bene” – aggiunsi io per l’occasione, disimpegnandomi e sottraendomi per la circostanza. 

“Che cosa ti senti? Mi auguro che non sia nulla d’affliggente né di preoccupante” – seguitò lui, manifestamente interessato in modo alacre e riguardoso. 

“E’ solamente un’elementare malattia virale Walter” – gli enunciai io, stemperando in tal modo la mia apprensione e il mio orrendo stato d’animo del momento. 

“Ti confesso che mi sento tanto rincuorato Monica. Ho creduto che il tuo distacco fosse dovuto per movente mio. In ogni caso sono adesso di fronte alla tua abitazione, non t’infastidisce se vengo di sopra per salutarti?”. 

“Certamente Walter, entra, sali pure” – neppure il tempo di terminare il dialogo che il citofono già trillava. 

Walter in quella contingenza m’aveva acciuffato in perfetto contropiede, io non avevo avuto il tempo di prendere atto, che adocchiandomi avrebbe di certo compreso che il mio era un raffinato e sottile stratagemma, che in realtà stavo tutt’altro che male, ma adesso era troppo tardi per poter rimediare. 

“Monica, ciao, sono desolato per quello che hai passato. Ecco, un pensiero da parte mia, una maniera per domandarti scusa” – dichiarò lui, varcando l’uscio di casa e porgendomi un grande mazzo multicolore di fiori. 

“Tante grazie Walter, sei gentile, non era necessario” – risposi io calorosamente in quel momento abbracciandolo forte. 

In quell’istante il suo profumo m’inebriò, il suo respiro sulla mia faccia mi fece sragionare, sicché iniziai a sbaciucchiare quel viso acuminato dovuto alla sua barba incolta di qualche giorno, annegai le mie labbra nel suo collo e cominciai ad ammantarlo con delle delicate dentate, assaggiai il sapore della sua cute. Dopo in modo repentino le sue labbra cercarono con entusiasmo le mie, le nostre lingue iniziarono un voluttuoso balletto febbrile, intanto che le mani attraversavano leste sui nostri corpi sondandoli, dopo lui intraprese a denudarmi con veemenza bisbigliandomi: 

“Monica cara, tu non sei una giovinetta, tu sei una femmina vera, una donna amabile, grandiosa e incredibile. Ti sei vista? Io vaneggiavo per te, della tua epidermide florida, farneticavo della tua aria arzilla, effervescente e pure imperscrutabile. Onestamente non potevo fare a meno di toccarti, ma avevo timore e finanche batticuore d’un tuo comprensibile e normale rifiuto. Squadrati bene, come potrei considerarti e ritenerti un giocattolo?”. 

Io non credevo a quello che le mie orecchie udivano, Walter mi collocò di fronte alla grande specchiera, mentre lui da dietro mi sorreggeva fra le sue braccia spogliandomi. Dopo mi sfilò il reggipetto, strinse le mie tette con veemenza rivelandomi: 

“Che stupende tette che hai Monica, c’è da perdere la bussola per dei capezzoli del genere. Altro che marmocchia, come mai li tenevi ben occultati?”. 

Con voracità Walter ne acciuffò uno tra le sue labbra e iniziò a stimolarmelo, mentre stringeva l’altro tra le dita in modo delicato io mi sentivo un affluente in straripamento. Agguantai fra le mani il suo carnoso cazzo, giacché m’assalì un indomito e selvaggio bisogno di baciarlo e di leccarlo. Più lo succhiavo e maggiormente accresceva in me la convulsa e l’incontenibile voglia di possesso. Io dovevo farlo mio ad ogni costo, in tal modo lo pigliai nella mia bocca succhiandone la completa essenza, i suoi prolungati gemiti m’aizzavano infervorandomi ulteriormente, le sue mani impazienti giocavano con la mia chioma, dopo Walter mi brandì con forza, mi sollevò mi sdraiò in ultimo sul grande scendiletto. 

Subito dopo intraprese a setacciare con la bocca ogni angolo della mia pelle, le sue labbra sfioravano la mia cute, la sua lingua s’introduceva nei luoghi più celati fino ad arrivare al baricentro del mio corpo, m’allargò con delicatezza le gambe e con scrupolosa adorazione iniziò a stimolare il mio clitoride, lo afferrò tra i denti delicatamente e con la lingua lo risvegliava, lo pungolava, leccando interamente i miei abbondanti fluidi fino a farmi pervenire all’apice massimo del piacere, sconvolgendomi le viscere e facendomi strillare notevolmente per il vorticoso orgasmo clitorideo che in un baleno raggiunsi. 

In quella circostanza il mio corpo proruppe tracimando di passione, dando in escandescenza e sbottando, io gl’ingiunsi di sospendere quell’atto seppur ammaliante e incantevole di penetrarmi. Il resto fu notevole, indicherei e proporrei un bellissimo sortilegio, oserei affermare delizioso, una meraviglia inenarrabile, un incanto indicibile, perché non era soltanto puro e schietto sesso, durante il tempo in cui le nostre figure s’attorcigliavano appassionate sul parquet, ma erano finanche le nostre menti che ballavano miti e serene, in quella danza innata, istintiva e radicale contesa dei sensi. 

{Idraulico anno 1999}   

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