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Erotici Racconti

Miscela elettrizzante

By 23 Gennaio 2017Febbraio 1st, 2023No Comments

Erano le cinque di mattina d’una calda notte di luglio, avevamo appena trascorso una fantastica serata conversando per ore sulla spiaggia, per la precisione io, tu e le stelle. Accompagnandoti alla tua auto e salutandoti mi sembrò però di percepire qualcosa d’insolito e di raro, perché a un tratto io ebbi la globale sensazione che una lontana parte di me stesso cercasse d’addossarsi assumendosi il pieno controllo delle mie azioni. La condizione era talmente così bizzarra, perché sembrava come se un nuovo personaggio si fosse impresso stampandosi negli ultimi mesi tra le curve del mio profondo inconscio, dominata dall’intimo e dall’irrefrenabile desiderio di possederti, che attualmente alla fine questa congiuntura stava uscendo appunto allo scoperto. Io cercai sennonché di lottare resistendo con tutto me stesso, malgrado ciò era una contesa inadatta e sconveniente, perché soltanto dopo pochi secondi mi ritrovai in completa balia delle sue intricate e oscure pulsioni.

Tu avevi già svoltato l’angolo quando mi ritrovai a seguire la tua auto di nascosto tra quei pallidi lampioni delle vie del centro. Io ti vidi posteggiare e scendere dalla macchina di fronte agli occhi affamati d’un sorvegliante notturna che piantonava l’edificio accanto: i tuoi nuovi jeans lasciavano poco spazio all’immaginazione, mentre tu ancheggiando degnamente ti dirigevi alla porta di casa, a quel punto l’apristi e rapidamente fuggisti all’interno sottraendoti definitivamente al mio sguardo e a quello del guardiano. Io avvolto nell’ombra d’un vicolo non potei fare a meno d’immaginarti salire i gradini della scala d’ingresso, uno per uno, con quella grazia erotica che solamente le tue natiche erano capaci d’esprimere nell’atto di contrarsi distendendosi nello sforzo per raggiungere il pianerottolo superiore. Con gli occhi della mente ti vidi entrare nella tua stanza e lentamente cominciare a spogliarti: ti vidi toglierti la maglietta e poi sfilarti i jeans lasciando apparire le tue lunghe gambe affusolate, t’osservai aggirarti per la casa in reggiseno e con le mutandine quasi a voler penosamente prolungare la mia ansiosa e apprensiva attesa. Ti esaminai in conclusione sederti sul letto e slacciarti con candida e innocente malizia il reggiseno, lasciando nudi i tuoi prosperosi seni, in seguito t’immaginai infine sfilarti le mutandine e infilarti completamente nuda sotto le lenzuola.

Mi sembrava chiaramente di poter assaporare il momento in cui avrei affondato le mie dita nella tua morbida carne, tuttavia fu solamente allora, che quella parte di me che era costretta a fare da spettatrice si rese conto con fulmineo terrore delle reali intenzioni della personalità dominante e allo stesso tempo dell’assoluta impossibilità di porvi freno. Io rimasi in attesa per qualche interminabile minuto, visto che la guardia notturna era sempre lì sotto casa tua, peraltro diventata incombente e inopportuna, poi finalmente quasi seguendo per lei un copione già scritto da un regista invisibile, sparì all’interno dell’edificio che sorvegliava. Questo era il momento adatto, adesso o mai più ripetei verso me stesso, perché fulmineo come un gatto mi portai sotto il tuo balcone, visto che non saprei neanche dire come, giacché con inaspettate e insospettabili risorse atletiche mi ritrovai un attimo dopo aggrappato alla ringhiera. Con un altro balzo felino fui finalmente davanti alla tua finestra, in quell’attimo mi resi conto con grande sollievo che probabilmente a causa dell’insopportabile caldo estivo tu l’avevi lasciata socchiusa, io subito mi nascosi rannicchiandomi nel buio così da sottrarmi a sguardi inopportuni.

Tu, esausta, avevi già spento la luce e dormivi profondamente distesa sul fianco destro, mentre un tiepido chiarore lunare penetrava dalle tende trasparenti, giungendo a illuminare la pelle liscia e vellutata della tua spalla sinistra e del tuo braccio gelosamente attaccato al cuscino. A parte il tuo viso e i lunghi capelli disciolti, quelle erano le uniche parti del tuo corpo non ricoperte dal leggero lenzuolo di lino bianco, al di sotto del quale però s’intuiva il flessuoso profilo delle tue provocanti forme, però con un’eccitazione che cresceva al ritmo accelerato dei battiti del mio cuore, io volli però ripensarti tutta nuda sotto quel lenzuolo, successivamente guidato dal profumo inconfondibile della tua pelle io m’avvicinai silenziosamente al tuo letto, sollevai il tuo braccio scoperto e lo lasciai ricadere di fianco: nessun movimento, poiché sembravi veramente immersa in quelli che mi piaceva immaginare fossero sogni erotici. Io afferrai un lembo del lenzuolo ai piedi del letto e cominciai a tirarlo via lentamente cercando d’assaporare ogni centimetro del tuo corpo che altrettanto lentamente veniva allo scoperto: il paesaggio che iniziava a delinearsi sotto i miei attoniti occhi superava di gran lunga quanto avevo poco prima immaginato. I tuoi seni prosperosi furono i primi a mostrarsi, dominati da due morbidi capezzoli non ancora sbocciati, poi con una linea che curvava dolcemente ecco apparire l’ampia vallata dei tuoi fianchi cui facevano seguito le sode cosce, le ginocchia scolpite e i polpacci ben levigati fino a giungere ai piedi. Direi divini, inferiori per la perfezione solamente alle tue mani, dalle lunghe dita sinuose ideali per una pianista, ma anche per quella dispensatrice di piacere quale in quel momento la mia fantasia ti dipingeva. Non appena mi ripresi dalla contemplazione estatica del tuo corpo, io m’accorsi però che non eri completamente nuda, ma portavi delle mutandine sottili, quasi un tanga di cui vedevo la parte anteriore da cui fuoriuscivano dei ciuffi di peli bruni e ricciuti.

In quell’istante io non potei fare a meno d’assaporare quale impenetrabile e profonda caverna essi coprissero, in tal modo quella momentanea estasi si era nuovamente trasformata in quell’incalzante eccitazione che non m’avrebbe più abbandonato. Con la coda dell’occhio vidi poggiati su d’una sedia ai piedi del letto dei lunghi foulard di seta, la mia mente lavorava febbrilmente in preda alle più spinte fantasie sessuali e un istinto impetuoso mi spinse ad afferrare uno dei foulard e ad avvolgerlo attorno ai tuoi polsi, come a voler assecondare inconsapevolmente la mia mossa tu avevi già portato dietro la schiena. In seguito presi un altro foulard e lo passai delicatamente attorno alla tua testa reclinata sul soffice cuscino, stringendolo in modo da imbavagliarti e impedirti d’emettere alcun suono. Quest’ultima precauzione fu provvidenziale, perché non appena ebbi finito di completare il nodo tu ti svegliasti di soprassalto. Dopo un attimo di smarrimento e probabilmente di panico, per il fatto che tentasti inutilmente d’urlare divincolandoti, t’accorgesti subito della mia presenza e mi riconoscesti. I nostri sguardi s’incontrarono per un istante nel pallido chiarore lunare e fu allora che tu ti rendesti nettamente conto di trovarti di fronte a una persona diversa dal solito, una parte della mia personalità a te sconosciuta. Allo stesso tempo però sentisti che questa situazione piuttosto che sconvolgerti ti stava sorprendentemente eccitando: il sentirti alla completa mercé d’un uomo che conoscevi bene, che sapevi non t’avrebbe mai fatto del male.

In quel momento era un’altra persona, quasi un estraneo e dunque in qualche misura fuori del tuo controllo, poiché ti suscitava una bizzarra e intrigante sensazione, sì, una percezione che coglievi nettamente, perché stava già facendoti bagnare le mutandine, in quanto in una frazione di secondo decidesti di stare al gioco: per la prima volta da quando mi conoscevi, una voce interiore ti stava suggerendo di lasciarti andare, di vivere fino in fondo il momento presente, d’aprirti senz’indugi a quella inaspettata esperienza anche soltanto per scoprire dove sarei stato capace d’arrivare. Anch’io percepivo dal tuo sguardo quest’intenzione, con l’effetto d’eccitarmi ulteriormente: mi guardai quindi intorno alla ricerca d’ispirazione e la trovai in un paio di forbici poggiate sul tuo comodino, le afferrai e m’avvicinai a te, dato che un fremito percorse la tua schiena. Tu ti fidavi di me, eppure non potevi fare a meno di provare un brivido di paura, vedendomi impugnare quell’oggetto di metallo appuntito, tuttavia nello stesso momento percepivi che le mutandine si bagnavano sempre di più, che quel brivido di spavento era anche e in special modo un brivido di piacere. Che cosa stavo pensando di fare?

Questa domanda t’eccitava sempre di più mentre il sudore fluiva abbondante da ogni tuo singolo poro, facendo risplendere ancor di più la tua pelle nuda sotto la luce della luna e siccome il calore che stava avvolgendo il tuo corpo, fu per te una sensazione di sollievo sentirmi appoggiare il freddo metallo delle forbici sulla pianta del tuo piede sinistro, facendole poi lentamente scivolare su lungo l’interno della coscia, inequivocabilmente dirette verso il tuo sesso. Non appena le forbici raggiunsero le mutandine, tu chiudesti gli occhi reclinando la testa all’indietro, io m’accorsi subito che la tua eccitazione stava aumentando freneticamente: nonostante la folta peluria che le circondava, riuscii a intravedere che le tue grandi labbra già interamente bagnate, giacché si erano ingrossate a dismisura e avevano quasi inghiottito il sottile filo del tanga. Capii allora quello che stavi desiderando: dolcemente avvicinai le forbici alle grandi labbra, facendole aderire alle loro carnose sporgenze e cominciai a strofinarle contro. Istantaneamente una scossa di piacere avvolse il tuo corpo tremante: io decisi a quel punto di toglierti il foulard che ti copriva il viso e in un attimo vidi la tua lingua sbucare bramosa e smaniosa fuori dalla tua bocca come all’irrequieta ricerca di qualcosa.

Le tue mani ancora legate dietro la schiena erano grondanti di sudore, le dita irrigidivano ormai rivelatrici d’un orgasmo che non eri riuscita a ritardare, così senz’indugio ma con estrema attenzione io tagliai il filo delle mutandine lasciando allo scoperto la tua pelosa fica più invitante che mai. Di questo andare, come finalmente liberate da una prigione, le grandi labbra si distesero in tutto il loro volume e aiutate dalle mie dita s’allargarono fino a lasciar intravedere le loro piccole sorelle, anch’esse gonfie e alquanto sugose per l’eccitazione. Sopra di esse vidi ergersi maestoso il clitoride, più ingrossato che mai quasi a esigere reclamando la sua parte di piacere. Le mie dita generose si precipitarono così ad accontentarlo subito seguite dalla mia lingua altrettanto prodiga, eppure allo stesso tempo impaziente del sapore della tua pelle bagnata. Dopo essermi soffermato a lungo sul clitoride, stringendolo lievemente tra i denti e carezzandolo con la lingua, sentii l’irresistibile stimolo di cominciare a leccarti dappertutto, dai piedi al collo, nelle orecchie e sotto le ascelle fino ad arrivare ai capezzoli che spiccavano duri sui tuoi seni completamente protesi in avanti in preda a una perenne sete di piacere. Io cercavo d’indovinare dalle tue smorfie di piacere e dai sussulti del tuo corpo quali fossero i punti su cui desideravi che mi soffermassi: dopo aver giocato con i capezzoli passai dall’ombelico fino a digradare tra le grandi labbra ancora eccitate e spugnose lasciandoti provare intensi brividi di piacere. In seguito, come infallibilmente guidato da un tuo improvviso e incontenibile desiderio, proseguii lateralmente portandomi alla base della tua schiena e lì capii senza alcun dubbio d’aver toccato una zona erogena, perché vidi sprigionarsi un’ardente fiamma dalle profondità del tuo essere, dato che sentii che godevi con tutta te stessa, raggiungendo un’intensità straordinaria totalmente fuori dal comune.

Il mio cuore palpitava all’unisono con il tuo, avvertivo il mio cazzo esplodere e fui costretto a tirarlo fuori dagli slip, notai chiaramente il tuo sguardo famelico posarsi maliziosamente su di esso, mentre la tua lingua assaporava già il momento in cui avrebbe potuto avvolgerlo nel suo abbraccio carnoso. A quel punto avvicinai il busto alla tua bocca e lasciai che il glande scomparisse tra le tue labbra. In quella circostanza ti sentii fremere ancora una volta di piacere, mentre la tua lingua esplorava ogni singolo centimetro del mio cazzo insinuandosi progressivamente in ogni suo anfratto fino a lasciarlo affondare nella gola in tutta la sua interezza. A quel punto cercando d’amplificare al massimo il tuo godimento, io ripresi a succhiare con rinnovato vigore prima un capezzolo e poi l’altro, con un movimento ritmico in perfetta sintonia con quello d’aspirazione della tua bocca sul mio sesso. Io sentivo che ci stavamo avvicinando al culmine, in quanto le tue dita unite alla crescente pressione cui sottoponevi il mio sbigottito membro, mi rivelarono l’approssimarsi d’un tuo secondo orgasmo: allora ti liberai le mani con una delle quali ti vidi afferrare la base del cazzo, come per volerne entrare definitivamente in possesso, mentre con l’altra ti sentii palpeggiare con veemenza lo scroto e i testicoli, quasi desiderosa che anch’io arrivassi a condividere il tuo orgasmo nell’esatto momento in cui questo fosse sopraggiunto. Le mie dita continuavano a strizzare i tuoi capezzoli e a solleticare velocemente il tuo clitoride esplorando nel frattempo l’umida e profonda cavità della fica, eccoti d’un tratto percepire le vene del mio membro pulsare e ingrossarsi.

Tra un istante il mio sperma avrebbe inondato la tua bocca e il solo pensiero che ciò stesse per avvenire ti trasportò silenziosamente al culmine dell’eccitazione. Anch’io sentii salire il mio liquido dalle viscere con l’impeto travolgente d’un fiume in piena, perché ti sentivo godere e stavo godendo con te. Raggiungemmo l’orgasmo precisamente nello stesso istante, mentre un torrente di bianco fluido si riversava su di te, non solamente nella tua bocca, ma anche fuori, sul tuo viso, sul tuo seno, sul tuo ventre, mescolandosi al tuo sudore e ai tuoi liquidi in una conturbante alchimia che ti faceva toccare il cielo con un dito, poiché le mani di entrambi lavoravano freneticamente per cospargere il tuo corpo di quel nettare afrodisiaco.

In seguito io ti feci girare a pancia in giù e cominciai a spalmartelo sulla schiena, concentrandomi in particolare sulle fossette che erano alla sua base e poi scendendo giù fino alle natiche, avanti e indietro, con un massaggio ritmico e sensuale che prolungava così il tuo godimento facendoti sentire in paradiso. In quello stesso paradiso c’ero anch’io: ubriaco d’un piacere indescrivibile, capii che non dovevo indugiare oltre, perché intuivo chiaro e forte il tuo desiderio d’essere penetrata, dato che afferrate con le dita le tue natiche perfettamente sode, con un movimento deciso e rapido affondai completamente il mio cazzo ancora compatto nella tua pelosa fica. Abbracciandoti da dietro m’aggrappai ai tuoi seni tenendo i capezzoli tra le dita: sentivo il tuo corpo, nudo, sudato e palpitante fondersi finalmente con il mio e ascoltavo il tuo respiro ansimante armonizzarsi con il mio.

In quel momento non esistevamo più come degli esseri separati: noi due eravamo veramente come un’unica entità, dato che sentivo che avremmo potuto vivere insieme quel momento per l’eternità o morire assieme in quello stesso istante, perché per noi non avrebbe fatto nessuna differenza, e forse quella disuguaglianza effettivamente non esisteva più, per il fatto che non so per quanto tempo rotolammo abbracciati tra le spinte del mio cazzo e le contrazioni del tuo addome, bevendo ciascuno dalle labbra dell’altro con le lingue fuse in un interminabile e appassionato bacio, in nessun caso sfamati d’un diletto che ci aveva diretto e incanalato in quel luogo, realmente laddove la sessualità si delinea e si manifesta in maniera identica e sputata come un’abilità e una padronanza contemplativa e spirituale, laddove l’erotismo si tramuta in una meravigliosa supplica richiamando quell’innata energia sessuale annidata dentro di noi. E’ proprio vero però, che esiste un punto al di là del quale gli opposti si ricongiungono, una soglia attraversata la quale il paradiso si trasforma nell’inferno, l’ebbrezza sfocia nella perversione, mentre il bene e il male diventano le due facce di un’unica medaglia: ebbene sì, a un tratto capii che avevamo appena varcato quella soglia.

Tutto ciò fu come se stessimo vivendo contemporaneamente le stesse fantasie sessuali, sentendo di poterci spingere oltre qualsiasi divieto, più in là di qualsiasi inibizione: senz’accorgercene, difatti, ci ritrovammo fuori sul balcone in piedi, nudi e sudati in quella calda notte di luglio mentre tu stringevi forte le mani contro la ringhiera, le braccia distese e le gambe divaricate, io che ti prendevo da dietro con una furia scatenata, quasi rabbiosa con le mie mani che spremevano con ira i tuoi seni costringendo i martoriati capezzoli a emettere degli spruzzi di liquido lattiginoso. In quel momento entrambi ci rendemmo conto che la guardia notturna si era accorta di noi e ci stava fissando come intontita, probabilmente senza credere ai propri occhi, tuttavia non riuscendo a nascondere la propria eccitazione. In una frazione di secondo, capii che era proprio questo ciò che desideravi in quell’attimo: tu sapevi d’essere sempre stata desiderata da quella guardia e forse ti eri colpevolmente sorpresa nel sognare, che in conclusione potesse spiarti di nascosto la sera mentre ti spogliavi o ti masturbavi. Adesso eri completamente discinta e indifesa davanti a quell’uomo, probabilmente come lui t’aveva sempre immaginato e godevi nel sentirlo morire dal desiderio di averti e tanto più godevi, quanto più un inevitabile e crescente senso di vergogna s’impossessava candidamente di te. Io distinguevo questa tua estrema voluttà e l’approvavo con te spasmodicamente attraverso delle crescenti vampate di calore: sentii di nuovo avvicinarsi una nuova ondata di sperma che aumentava senza alcun freno lungo il mio membro teso allo spasimo e ti sentii fremere e desiderare ancora una volta d’essere inondata da quell’oceano di piacere. Senza più controllarmi, un attimo prima dell’orgasmo, spinsi così forte che ti feci sporgere dalla ringhiera e in un ultimo supremo impeto mi vidi rotolare sopra il tuo corpo e precipitare giù dal balcone, poi tutto si fece buio.

A un tratto mi risvegliai: io ero disteso per terra dolorante sul marciapiede sotto il balcone di casa tua come in preda a un tragico presentimento mi guardai: io ero completamente vestito e non c’era alcuna traccia di te sul balcone. Evidentemente nel tentativo di salire ero scivolato e avevo urtato la testa perdendo i sensi. Dovevano essere passati soltanto pochi minuti da quando avevo deciso d’arrampicarmi, perché vidi la guardia notturna uscire dalla porta in cui l’avevo vista entrare, giacché feci appena in tempo a dileguarmi dietro l’angolo evitando che mi vedesse. Avevo pertanto immaginato tutto, dato che avevo soltanto sognato. Io non ero mai entrato nella tua stanza, non avevo mai spiato il tuo corpo nell’oscurità e non t’avevo nemmeno sedotto né t’avevo giammai sfiorato se non con il pensiero.

In quella precisa situazione fui invaso e oltremisura rapito da un senso di profonda delusione, d’intensa insoddisfazione e di arcana tristezza: sì, molto probabilmente era quello il mio destino, dovermi rassegnare a sognare senza mai trasformare i miei sogni in realtà.

Quasi certamente però, era doveroso, giusto e naturale così. Del resto, non è forse un sogno anche la realtà?

{Idraulico anno 1999}  

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