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Erotici Racconti

Nato dal nulla

By 3 Agosto 2018Febbraio 10th, 2023No Comments

Adesso che ci ripenso rammento che lui era di carnagione color noce, con gli occhi color verde acquamarina e le labbra polpose d’addentare, perché spezzava veramente il fiato. Non ho fedelmente presente quanto tempo fa lo adocchiai per la prima volta, so e ho la cognizione soltanto, che i nostri occhi s’accoppiarono intrecciandosi, durante il tempo in cui attendevamo entrambi che ci venisse servito il caffè nel bar all’angolo accanto all’agenzia dove lavoravo. In quella precisa circostanza presagii il sangue che m’incendiava le vene, ridussi istantaneamente lo sguardo persino voltandomi, malgrado ciò sia l’impaccio quanto lo sconcerto fu enorme, poiché mi sentii goffa, inelegante e insicura come mai prima d’allora mi era capitato. 

Quell’individuo non lo avevo mai notato né osservato prima, eppure mi sembrò d’essere microscopica di fronte a lui, non sapeva nulla di me, i suoi occhi incontrarono i miei per un rapido e brevissimo istante, ciò nonostante m’apparì che potessero decifrarmi e sfogliarmi all’interno, penetrandomi dentro e sancendo in ultimo il suo svilimento per la mia vita senza bramosie né libidini né passioni. Ripensai celermente a fondo rammentando quello sguardo di ghiaccio per tutto il resto della giornata: in ufficio, davanti alle mie scartoffie, in automobile, a casa, addirittura mentre seguivo le notizie alla TV. A notte fonda stabilii che plausibilmente la mia vita di signorina nubile ormai più che quarantenne, lavoratrice privata d’una modesta succursale d’un ufficio postale, con un alloggio accogliente e grazioso, ma che per la pigione mensile sborsavo più della metà di quanto intascavo. Adesso però la situazione iniziava a starmi stretta, giacché avrei sensatamente dovuto rintracciare di meglio, che vaneggiare sul primo affascinantissimo forestiero sopraggiunto fortuitamente all’interno del mio bar preferito. Già, divagare e congetturare, perché quella notte in verità mi feci troppi castelli in aria, per il semplice fatto che quella persona mi balzò repentinamente di fronte mentre visualizzavo la figurazione della sua pelle nuda, io non lo avevo di certo mai visto, ciò nondimeno interamente fu chiaro e preciso nella mia mente.

Nella mia fantasia lui era nudo e aveva una voglia inesauribile e insaziabile di me, io m’immaginai d’avvilupparmi alle sue spalle imponenti, d’accerchiargli l’addome con le gambe e di farmi scopare da lui con veemenza così, in piedi contro il muro. Io non sono una semplice burocrate pignola tutto lavoro e niente passioni, perché se veramente ponderava questo di me gliel’avrei fatta pagare per questo, perché avrebbe dovuto apprendere che donna so d’essere sotto le lenzuola, perché sotto le lenzuola non potei fare a meno di mettermi una mano tra le gambe, per appurare ciò che tutte queste fantasie m’avevano fatto scoppiare. Rapidamente mi masturbai fino a esplodere in un animoso e sfrenato orgasmo, che mi fece inarcare la schiena in quanto subito dopo m’addormentai appagata e stordita. 

Al mattino seguente non ci pensavo più, eppure per una frazione di secondo ammisi verso me stessa che era stato molto più intenso delle altre innumerevoli volte in cui mi ero masturbata, focosamente e istintivamente nel buio e nel silenzio della mia stanza sin da quando avevo quindici anni. Passarono alcuni giorni accantonando velocemente quell’episodio e le mie fantasie su quell’uomo, finché nel consueto bar all’angolo della strada lo rividi, rincontrandolo di continuo per svariati giorni affaccendato nelle sue personali mansioni. In realtà non avevamo mai argomentato, eppure in attesa del suo caffè lui m’aveva costantemente lanciato quella sua tipica occhiata di ghiaccio, che puntuale m’aveva fiaccata, devitalizzandomi e svigorendomi ogni qualvolta. Nella mia testa mulinò la bizzarra e la sconclusionata idea che fosse tornato là dentro quel bar, continuando a presentarsi ogni giorno alla stessa ora unicamente per adocchiare me, in tal modo io mi sbizzarrivo galoppando e peregrinando con la fantasia. 

In quell’inevitabile e premonitore giorno infatti tutto cambiò, ricordo con esattezza che faceva molto caldo, io dovevo necessariamente ultimare un rendiconto contabile, da inoltrare al mio diretto superiore subito dopo pranzo, per questa ragione durante l’ora d’interruzione trascinai con me nel solito bar, un fascicolo traboccante d’incartamenti e d’analisi statistiche, sennonché affaccendata nella lettura e nella comparazione di quelle pratiche, non m’accorsi d’aver fatto davvero tardi. La pausa del pranzo era cessata già da mezz’ora mentre io ero ancora là nel bar. Di colpo mi sollevai per ridisporre nella carpetta tutti i miei fogli, ma in quel frangente combinai un puro pasticcio, perché urtai il tavolino quasi rovesciandolo, spargendo irrimediabilmente tutto il mio lavoro delle ultime settimane sul pavimento del locale. Lui, proprio lui, sì, l’individuo degli sguardi e delle mie roventi visioni si era reso corporeo lì davanti, giacché adesso piegato insieme a me sotto il tavolo mi stava benevolmente aiutando nel raccogliere tutto. Io lo ringraziai sottovoce in preda al turbamento e filai via. Al mio rientro, dopo un’informale rimproverata da parte del mio superiore per il ritardo accumulato e per aver scompigliato le nozioni del bilancio, ritornai mestamente verso la mia scrivania per individuare di recuperare il salvabile. Sopra uno dei miei fogli, notai improvvisamente una scritta con la penna di colore blu, si trattava d’un numero di cellulare assieme a un nome: Ernesto. Prima non c’era, ne ero più che sicura. Possibile che qualche collega dell’ufficio postale m’avesse teso uno scherzo, sicché piegai il foglio, lo misi in tasca e continuai il mio lavoro. 

Giuse sera, ero molto stanca, mangiai velocemente qualcosa e andai a spogliarmi. Nel poggiare i pantaloni sulla sedia m’accorsi di quel foglio che spuntava dalla tasca, mi misi a letto per guardare la TV, il foglio lo avevo poggiato sul comodino accanto a me. Dopo dieci minuti che squadravo la TV senza capirci nulla, ripresi in mano quel foglio, lo spiegazzai e composi quel numero senza pensarci. Un solo squillo e sentii un uomo dall’altro capo del filo rispondere con una voce accattivante e ingraziante:

‘Sì, pronto, chi parla?’. Io con il cuore in gola comunicai:

‘Chiedo scusa, è lei il signor Ernesto?’. Lui ancora: ‘Sono io in persona, dica pure’.

Gli spiegai, dandogli del lei, d’aver trovato il suo numero, ma di non sapere a chi appartenesse e gli dissi che se era uno scherzo non era affatto divertente né spiritoso, perché io non avevo tempo da perdere.

Ernesto prontamente mi riferì:

‘Su, via, non fare così, sai benissimo chi sono. Sei molto gradevole e piacente, lo sai questo?’. La testa mi girò tutt’intorno, perché mi parve di scomparire nel nulla, volteggiavo nell’aria, mentre lui proseguì:

‘Vieni qua, dai Liliana. Non mi stancherò mai di guardarti, adesso voglio qualcosa di più, perché so che anche tu lo desideri’. Prima che potessi replicare Ernesto aggiunse:

‘Ascolta bene: Viale Pisacane, 47, interno 3, intesi’ – riagganciando il telefono.

Io ero frastornata, furibonda, sgomenta, impicciona, bramosa, cupida, accalorata, farneticante e chissà che cos’altro ancora. Chi era quest’uomo? Come conosceva il mio nome? Mi rivestii in un attimo e ci andai. Quando mi trovai di fronte alla detestabile entrata del tormentato interno 3, la voglia di dileguarmi arrivò alle stelle, ma che accidenti avevo combinato? Ero strampalata nel rischiare in tal modo, avrebbe potuto essere un puro esaltato e magari invasato, ripensandoci bene un poco lo era, perché da come si era comportato e aveva agito indubbiamente lo era eccome. Bussai, m’aprì proprio lui, quello sconosciuto, argomento, intento e scopo delle mie inesauribili e perenni chimere illecite, lascive, lussuriose e appassionatamente proibite. Ernesto indossava una maglietta con le maniche corte e dei pantaloni di colore grigio chiaro, quest’indumenti leggeri in verità rendevano ben visibile un fisico agile, flessuoso e ben modellato, le spalle larghe come le avevo sognate, gli addominali non eccessivi ma definiti, le braccia e le gambe muscolose, i fianchi stretti. A ben vedere, invero, non potei fare a meno d’indugiare per svariati secondi con lo sguardo sul suo corpo perfetto, tanto che rimasi in silenzio, e prima che avessi il tempo di spiegargli qualunque cosa su questa incoerente e stravagante storia mi disse d’entrare. Quegli occhi, che tante volte avevano incrociato i miei, per un solo istante, al presente erano fissi là che scrutavano i miei, giacché m’imploravano di fidarmi di lui, così lo feci. Ernesto sprangò la porta dietro di me, m’agguantò e mi rivelò:

‘Per piacere, non ribadire niente. Io non farò nulla che tu non vorrai. Credi quello che dico, fidati di me’.

Lui, m’afferrò la faccia fra le mani e con la lingua mi socchiuse le labbra, che peraltro senz’opporre alcuna resistenza si fusero con le sue in un lunghissimo bacio. Era un estraneo per me, eppure non avrei desiderato nessun altro che lui. Ci spogliammo all’istante degl’indumenti, quasi senza dire una parola, con le labbra sempre incollate e le lingue che irruenti s’esploravano. Mi portò in braccio in camera da letto, sempre proseguendo a baciarmi, dopo m’adagiò sul letto proclamandomi nuovamente:

‘Liliana carissima, abbi fede in me’.

Estrasse da un cassetto tre sottili sciarpe di seta nera bisbigliando di voltarmi. Adesso io ero nuda, nella posizione della pecorina sul letto. Con la prima sciarpa mi bendò gli occhi, con le altre due mi legò i polsi alla testiera del letto lasciando i legacci lunghi, in modo che mi trovassi al centro del letto. Io non vedevo nulla, ma lo sentii scivolare sotto le mie gambe, Ernesto c’infilò in mezzo la lingua leccando in seguito il clitoride stuzzicandolo a dovere, mentre io gemevo e sragionavo per il piacere estremo e inusuale che mi provocava. Mi collocò un dito in bocca e io glielo succhiai a più non posso. Volevo prorompere, aprirmi, strepitare la mia potenza, tuttavia Ernesto fu abilissimo nel portarmi alla soglia massima del piacere senza farmela oltrepassare, da vero abile e accorto intenditore, fermandosi giusto in tempo.

In quell’occasione s’allontano da me collocandosi ben presto alle mie spalle. Fino a quel momento era rimasto con i boxer aderenti, in seguito li sfilò iniziando a premere sulle mie chiappe, soltanto per farmi tastare quanto fosse compatto, dandomi una sonora e manesca sculacciata che m’umiliò aizzandomi nel contempo. Io ero globalmente smarrita, lo volevo dentro e subito, in pochi secondi fui accontentata, perché Ernesto mi penetrò conficcandomi nella fica il suo possente cazzo, tenendomi le mani sul sedere e palpandomelo sempre più violentemente mano a mano che il ritmo dell’amplesso aumentava. Io godevo tantissimo, è vero, non avevo mai gioito appagandomi così tanto, perché fui interamente travolta dal calore poderoso e penetrante dell’orgasmo, arrivai, sfinita, mentre le gambe mi tremarono al punto che a stento riuscii a mantenere la posizione della pecorina.

Quando lui da dietro mi sborrò, inondandomi la fica e il fondoschiena, io provai un’emozione fortissima, una trepidazione notevole, una smania inenarrabile, perché se per caso il cosmo fosse finito in quel momento mi sarebbe bastato, perché avevo conosciuto, percepito e radicalmente vissuto la totale felicità per un istante. Ernesto mi sciolse i polsi, mi tolse la benda dagli occhi e mi scandagliò a lungo osservandomi senza confabulare. Neanche io avevo parole, del resto in quel frangente che cos’avrei potuto manifestare e precisare? Ci sarebbe stata tutta la vita per dialogare, per apprendere e per conoscerci, sicché ci addormentammo abbracciati e contenti. 

Il mattino seguente, avevo la cognizione netta e indiscussa, che la mia piccola vita di collaboratrice di quel minuscolo ufficio postale, di quella femmina nubile senza cupidigie né impulsi né passioni era finita per sempre, perché per riallacciarmi velocemente al discorso gli enunciai:

‘Dimmi una cosa? E’ realmente così che ci si sente, quando la materialità oltrepassa l’immaginazione. Dai, vieni, che t’offro volentieri un caffè?’. 

{Idraulico anno 1999} 

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