La schiava inspirò una boccata d’aria con un verso che lo divertì. Licius non provava particolare pietà per quella donna, anzi le aveva concesso quella brevissima tregua solo per poter riprendere con maggior foga a imporle una fellatio con tutti i crismi.
La schiava era una bionda dall’incarnato che pareva ceruleo, una bella figlia del Nord, proveniente da Darisca, Upsalea, o magari anche più distante, difficile per lui dirlo.
Ininfluente quanto il fatto che avesse appena la maggiore età per il sesso nella Confederatio.
Altrettanto irrilevante il come si chiamasse, o da dove venisse…
“Una vacca. Una lurida vacca barbara!”, pensò Licius. Era quasi un ora che continuava, umiliandola e punendola a sua discrezione. Senza requie o pietà di sorta.
-Grazie… padrone…-, ansimò la schiava. L’uomo le strinse la nuca, spingendole il capo verso il sesso eretto, -Sono… pronta…-.
-Non ti chiedo certo il permesso, schiava!-, sibilò lui calandole il viso sul sesso. La bocca della donna accolse il pilastro di carne senza fare resistenza. C’era una parola tatuata sulla sua schiena. “Schiava”, in licaneo, lettere arcadiche, epigrafe dell’antica Ellenia.
Una parola che occupa pochi centimetri, ma un marchio incancellabile, insieme a un collare che permette di infliggere scosse al soggetto. Schiavitù, una pratica abolita, ufficialmente almeno, dall’illuminata Confederatio Licanea, che invece continuava sottobanco.
Licius approfittava di quel traffico da anni, vi era stato introdotto da un conoscente che gli aveva fatto da mentore ed aveva imparato in fretta ad apprezzare la sottomissione assoluta di quelle femmine barbare. La nordica era l’ultima di una serie, ma era anche quella a cui, di recente, poteva dire di ricorrere maggiormente.
La pompa che la bionda, dai capelli che prima dell’inizio di quell’incontro erano pure stati in ordine, stava elargendogli era un capolavoro di devozione. Licius le pigiò la testa sul membro.
Gorgoglii. La donna rantolava, respirava a fatica, la gola le si chiudeva sul sesso.
Fu troppo: Licius eiaculò scaricandosi con una fulminea scarica che provocò una ridda di tosse alla schiava, la quale, fedele al suo ruolo e timorosa delle punizioni tutt’altro che timide che Licius poteva infliggerle, si sforzò di non far cadere neppue una goccia.
Disciplinata. Come una buona schiava avrebbe dovuto essere. Licius era intimamente convinto che, al giusto tempo, i popoli inferiori sarebbero stati rimessi al loro giusto posto.
Licanes doveva rivendicare la vera sovranità tra le genti del mondo, il suo unico ruolo.
L’Impero di Licanes era durato tanto a lungo perché era stato consapevole di tale divisione. Tutti i successivi errori, sino alla fine della Guerra Civile e all’inizio della Confederatio erano dovuti all’imbarbarimento progressivo delle elités regnanti. Lo stesso Calus era disceso da sangue barbaro, e numerosi patrizi erano meno puri di quanto i loro nomi suggerissero.
-Ora sparisci!-, sibilò Licius. Voleva quella bestia fuori da quella stanza, sé stesso sotto una doccia e un rapporto dettagliato sull’operazione di Gannicus.
L’operazione finita male. Quella a cui i suoi superiori chiedevano che rimediasse.
Quella che sarebbe dovuta essere una semplice pulizia…
Non poteva correre rischi: doveva sistemare quella faccenda. Poi avrebbe potuto decidere come proseguire riguardo ad Atbash e al suo piano principale.
Gannicus riprese i sensi. Era nudo, e legato a una sedia, caviglie e polsi bloccati.
I ricordi del recente passato gli arrivarono frammentari. E gli arrivò anche qualcos’altro. Un odore ferino. Sudore. Non solo il suo. Anche quello di un africano dalla pelle scurissima.
“Merda…”, intuì. Si fece forza: era un operativo di Licanes, un uomo di maggior levatura di quei barbari.
Avrebbe resistito, s’impose. A tutto.
Marduk scese dal trasporto. Saida fece lo stesso, insieme agli altri. Erano al termine di una strada sterrata, un sentiero creato nel bosco, fatto per spezzare la linea di vista di eventuali osservatori.
-Benvenuto, Marduk.-, disse una voce nota, suadente.
Hawo, avvolta da una tuta nera in materiale polimerico di quelle da pilota di mezzi scoperti, lo abbracciò. Il bacio successivo fu talmente inaspettato che Marduk trasalì. Rispose per un istante al bacio prima che la gemella di Saida ponesse una fine all’effusione.
-Il trasferimento è andato come previsto?-, chiese Saida, osservando due mezzi. Marduk notò che uno aveva diversi danni, danni da arma da fuoco a proiettili solidi.
-Problemi con i servizi licanei?-, chiese. Hawo scrollò le spalle.
-Non pIù di quanto tu abbia preventivato, sorella.-, disse, -Erano in pochi, un gruppo molto abile. Ne abbiamo preso uno vivo.-.
-Un agente di Licanes?-, chiese Marduk, -Non parlerà.-, affermò, categorico.
-Sappiamo essere molto creativi, nella persuasione.-, rispose Saida con una freddezza che fece paura, -Ce l’avete insegnato bene, Marduk. I servizi di Licanes sono stati efficienti nel torturare e uccidere i nostri fratelli a Alba Africae.-.
-Io non lavoro per loro.-, chiarì Marduk.
-No? Forse no. Sicuramente hai una tua etica. È il motivo per cui sei qui, vivo.-, chiarì la nera.
Hawo, in attesa, sorrise a Marduk come per sottolineare un altro suo personale interesse verso la sua sopravvivenza…
-In ogni caso, qui ci organizzeremo per raggiungere Aquae Sulis, e interrogeremo quel Licaneo.-, chiarì Saida. Hawo annuì. L’agente sospirò.
-Voglio vederlo in faccia.-, disse. Sguardi, tra Saida e i suoi, Saida e Hawo, e Saida e Marduk.
-È un soldato. E tu sei in compagnia del suo nemico. Cosa credi che dirà?-, chiese.
-Non ho la pretesa che parli con me. Ma…-, disse lui.
-Ma?-, chiese Hawo. Marduk sospirò.
-Ma devo almeno provare.-, disse. Saida annuì.
-Avrai due minuti. E noi saremo lì con te.-, decretò. L’uomo annuì. Gli andava bene.
-Hawo. Facci strada.-, disse. La nera annuì.
Li guidò all’interno. La struttura pareva una casa di villeggiatura in stato di abbandono, almeno da fuori. Sicuramente un controllo superficiale sarebbe stato certamente ingannato.
Peccato che i loro nemici avevano risorse idonee a individuarli. Avrebbero dovuto muoversi…
Ferelea osservava il bicchiere. Il liquore era color marrone vellutato, un colore raffinato, quasi quanto quello della carnagione delle Amazzoni del Kelreas. Distolse lo sguardo per osservare Licius. Lo fissò, con assoluta freddezza.
-Tu credi che io ne sappia qualcosa, vero?-, chiese.
-Io sono sicuro che tu ne sappia qualcosa.-, nessuna cortesia nel tono dell’uomo.
-E credi che ti dirò dove si trova Marduk e se ha avuto qualcosa a che vedere con la morte dei tuoi agenti?-, chiese l’informatrice, tutt’altro che spaventata.
Licius si era precipitato da lei, scavalcando alcuni dei clienti, facendo valere il peso di denaro e favori per poter avere la precedenza ed aveva infine ottenuto quel che voleva.
Ferelea lo aveva accontentato principalmente per non avere rogne, e perché sapeva che quell’uomo aveva piani suoi. Non era così cieca da ignorare ciò, ma sapeva anche di non poterci fare nulla. Per il momento.
“Al tempo…”, pensò, “Al tempo.”.
-Te lo ripeto.-, disse, radunando ogni minimo resduo di pazienza, -Io non so dove sia Marduk Atbash, ma so che sta continuando la sua indagine su Minah Ahn. E non credo c’entri nulls con la morte dei tuoi uomini…-.
-Può anche darsi, ma il tuo agente si sta rivelando quantomeno indiscreto. Il Banatleus somiglia a una zona di guerra, questa città rigurgita corpi come non ci fosse un domani e i Prefectii mi assillano con richieste di spiegazioni. Peggio ancora, assillano il mio rappresentato.-, sibilò Licius, -E questo non è tollerabile.-.
-Tu vuoi davvero mollare, Licius?-, la voce di Ferelea aveva assunto un tono cupo, duro.
-Vuoi davvero voltare le spalle a quest’occasione?-, chiese lei.
Lui la fissò. In quello sguardo, Ferelea lesse una sola cosa: brama.
No, quell’uomo non si sarebbe fermato, non avrebbe esitato, e non avrebbe titubato.
Avrebbe fatto ricerche, sì, avrebbe anche scavato nel fango rancido al cuore della Confederatio, ma non si sarebbe arreso, mai.
Era perfetto per Ferelea, e per i piani che aveva messo in moto.
Riprese il bicchiere e bevve. Il liquore, un Botanicus millesimato invecchiato per quasi dieci anni in botti lignee di rovere norreno parve fuoco in gola. L’informatrice sorrise.
-Tu vuoi sapere, Licius. E saprai. Ma al momento dovuto. Marduk non è né uno stupido né un traditore, lo sappiamo entrambi. Attualmente è l’unico, l’unico tra tutte le parti in gioco, ad avere una pista su Minah Ahn. E risponde a noi.-, disse.
Licius annuì, pacato. Forse persino rendendosi conto della reale situazione.
-L’Unio Africae resta una minaccia.-, concluse.
-Questo riguarda te, non me, né la nostra operazione.-, chiarì lei.
Ancora, Licius non rispose, preferendo il silenzio, macchinando certamente qualcosa.
Ferelea annuì. Era un gioco di specchi. Il Piano, quello che lei sosteneva, il piano di Licius, i piani della Confederatio, dell’Unio Africae, di Chin…
Piani dentro piani di piani. Tutti parevano avere un piano, tutti si credevano più furbi degli altri.
E nessuno stava guardando negli angoli bui.
La sala principale era divisa in due stanze, quella che pareva una zona ricreativa con tavoli e sedie e un salone d’ingresso. Le scale conducevano alle camere di sopra, e alla zona del balineum, i servizi igienici. Poi c’erano le scale per il sotterraneo.
Una volta varcate, Hawo annuì. Fece cenno a Leontiné di togliersi. La donna, leggermente più magra del dovuto, eseguì lasciando che la nera e i suoi compagni entrassero nel seminterrato.
Un tempo quel luogo era stato un’alcova, qualche riccone ci aveva costruito qualcosa di simile a un bordello privato. Ironicamente, quando Saida aveva decretato la necessità del loro gruppo di prendersi quello stabile, l’aveva svuotato, destinando proprio al seminterrato uno dei ruoli più ingrati. Ossia quello di cella e stanza interrogatori.
Semplicemente perfetto, anche considerando quanto poco spesso l’Unio Africae avesse possibilità di fare prigionieri, Hawo poteva comodamente dirsi certa del fatto che il suo prigioniero fosse il primo, da anni.
Saida si fermò sulla soglia. Hawo parve interrogare la propria gemella con lo sguardo.
-È meglio se una sola di noi entra, lo sai.-, spiegò l’altra.
-Già.-, ammise Marduk, -Forse è meglio.-. Hawo annuì appena.
Marduk intuiva benissimo la situazione, anche Hawo (che solitamente era piuttosto allusiva) era seria, fredda, distante. Tutt’altro che la donna che aveva conosciuto.
E tale dettaglio lo portò a considerare alcune domande: quanto erano addestrate quelle donne? A che livello erano? Quanto in là potevano spingersi? E quanto erano addentre alla gerarchia dell’Unio Africae? Erano mere esecutrici o…?
Le domande di Marduk furono sostituite dall’interno della sala di interrogatori, uno stanzone immane che era straordinariamente spoglio, eccettuati due mobili: un tavolo con una serie di strumenti decisamente inquietanti e una sedia, scheletrica, in ferro, fatta per la scomodità.
A cui era legato un uomo. L’uomo alzò il viso. Marduk trasalì. Non nascose lo stupore.
“È quel bastardo che mi ha torturato!”, pensò facendo il collegamento.
Era chiaro che fosse un agente di punta dei servizi della Confederatio.
-Tu!-, esclamò l’uomo imprigionato. Era nudo. Marduk annuì, senza mostrare emozione.
-io.-, disse, -Ma tu conosci il mio nome, e io non conosco il tuo…-, disse, -O forse sì… Tu sei… Gannicus. Licius mi ha parlato di te.-.
-Licius non ti salverà, e allearti con questi barbari non salverà un mezzobarbaro come te!-, sputò Gannicus con odio feroce. Hawo lo fissava senza espressione.
Gli altri uomini dell’Unio Africae nella stanza, due neri statuari decisamente inquietanti, lo fissarono con rabbia non dissimulata. Odiavano i licanei per le pesanti restrizioni imposte a commerci e usi, oltre a mal tollerare di dover sottostare agli usi di Licanes.
E se quel licaneo non fosse stato attento alle sue parole, avrebbe presto scoperto quanto in là si spingeva l’odio degli africani.
-Fossi in te misurerei le parole.-, disse Marduk, -Io sono abituato agli insulti idioti e spocchiosi che mi riservano quelli come te ma loro… potrebbero decidere che le tue informazioni non valgono la loro pazienza.-.
L’altro lo fissò, con rabbia, ma non rispose.
Gli credeva. Gannicus conosceva bene la sete di vendetta, e vedeva che quegli uomini non mancavano di nutrire simili propositi nei suoi confronti.
Per evadere doveva in qualche modo guadagnare tempo. Prima o poi i suoi catturatori avrebbero dovuto dedicarsi ad altro, Marduk incluso, e a quel punto, con meno sorveglianza, forse sarebbe riuscito ad agire.
Ma per farlo, doveva sopravvivere. E per sopravvivere gli serviva tempo, studiare la situazione, cercare crepe tra i suoi nemici, seminare il dubbio. Annuì, serio.
-D’accordo, Marduk. Suppongo che loro si fidino di te abbastanza da coinvolgerti in questo giochetto. Dunque cosa proponi?-, chiese, attento a non sembrare troppo provocante.
-Presto detto.-, rispose Marduk, -Tu dici tutto, tutto quello che sai del tuo lato di questa faccenda. Io qualche risposta l’ho già, ma Licius è solito mentire, e ho già capito che di lui non posso fidarmi granché. Quindi… vorrei che tu ci dicessi tutto. L’alternativa la conosci già.-.
La raggelante mancanza di emozioni con cui aveva parlato fece capire a Gannicus che non scherzava. Il prigioniero storse il viso in un ghigno.
-Non hai le palle di farlo, Marduk. Non uccidi gente disarmata.-.
-Lui forse no.-, disse un’africana. Quella che aveva ucciso i suoi, a giudicare dalla tuta da pilota integrale. Si avvicinô facendo scattare un coltello a serramanico.
Afferrò la sacca testicolare di Gannicus. L’uomo emise un mugolio. Avrebbe anche potuto considerare gli aspetti sessuali della manovra, ma la lama che si posò appena sul suo testicolo destro gli fece capire che no, quella barbara non scherzava affatto.
-Vuoi vedere quanto in fretta riesco a farti squittire?-, chiese. Lo fissava negli occhi, con un’espressione di odio purissimo. Gannicus la fissò, di rimando. Non cedere.
Non mostrare paura. Sii uomo. “Sii il degno erede dei tuoi avi!”, si diceva.
La stretta sui testicoli giunse talmente improvvisa da strappargli un urlo che divenne uno squittio. La nera strinse le palle dell’uomo come acini d’uva.
Assistere a quella scena non fu piacevole: tra un dente estratto senza anestesia e quello, qualunque uomo sceglierebbe il dente. Marduk provò per un mero istante un filo di empatia per quell’agente, ma fu solo un istante. Quell’uomo era colpevole.
Hawo stava solo vendicandosi, in modo crudelmente semplice. Non lo stava interrogando, non faceva domande, voleva solo farlo soffrire. E nessuno pareva intenzionato a fermarla.
-Allora? Lo sentite come squittisce, il ratto licaneo?-, chiese la donna.
Si ritrasse, sferrando un ceffone al prigioniero.
-L’opzione di parlare resta valida, Gannicus.-, disse Marduk.
-Fottiti!-, ringhiò lui. Hawo annuì, senza stupore.
-Te l’avevamo detto che non sarebbe servito.-, disse all’indirizzo dell’agente.
Marduk annuì a sua volta. Si diresse verso l’uscita senza dire altro.
Di fatto, per Hawo andava più che bene. Sorrise al prigioniero.
-La tua ultima possibilità di uscirne senza soffrire se n’è andata.-, disse.
Si avvicinò al carrello. Disposti in buon ordine c’erano tutti gli attrezzi che aveva richiesto.
Ferri per un mestiere tutt’altro che piacevole. Per il prigioniero in particolare.
La nera sollevò una pinza, pensosa, meditabonda. In realtà era pura scena.
La determinazione non le mancava, ma esigeva che il suo prigioniero capisse. Era una tattica: agire lentamente, per dare all’uomo modo e tempo di macerare nell’ansia, nell’angoscia del dolore imminente.
“L’interrogatorio è sempre un’arte semplice. Basta essere crudeli, e ci vuol poco.”, pensò.
Si avvicinò all’uomo, pinza in pugno.
-Non interverremo.-, disse la figura in nero. Ferelea la fissò, con disappunto.
-Licius non se ne starà con le mani in mano. La scomparsa di un suo agente di punta non è qualcosa su cui soprassederà e lo sai.-, osservò.
-Ovviamente. I Chin hanno rimosso i loro agenti. Se ne vanno da Raumaillia. Vogliono essere presenti alla prossima tappa di questa corsa ad ostacoli.-, disse la figura, -Vogliono il sangue. Vogliono Ahn. E anche il resto del gruppo di Ahn.-.
-E Marduk cosa vuole?-, chiese l’informatrice.
-Redenzione, perdono, vendetta, rivalsa, tutto questo e forse molto altro. È un reduce spezzato e come tale ragiona.-, disse la figura.
-Non è solo questo. Dannazione, è bravo. Davvero bravo.-, Ferelea si fermò, la figura attese.
Nessuna pressione. L’amazzone sorrise appena, -È probabilmente il miglior agente che io abbia conosciuto, ed è per questo che…-.
-Non continuare.-, disse la figura, -Non farlo.-.
-È per questo che non intendo permettere che muoia.-, sibilò Ferelea, decisa.
La figura la fissò. “Possibile che non capisca?”, si chiese.
-Non morirà.-, disse infine la figura in nero.
-Come lo sai?-, chiese.
-Ci sono uomini, pochi, e donne a volte, che posseggono un’alta arte. Retorica, matematica, canto… La tua è l’emulazione del Mito.-, disse la figura.
-L’Alta Arte di Marduk qual’è?-, chiese l’informatrice.
-La comprensione. In ultima analisi, Marduk cerca la verità. Questa, prima di ogni altra cosa, richiede resilienza. È mutevole. Marduk arriverà dove deve.-, spiegò la figura.
-Sembri conoscerlo bene, oltre a parlare parecchio.-, disse Ferelea.
-Si avvicina una fase cruciale, Ferelea. Ti conviene tener pronto il tuo Apotecario.-, disse la figura, -E tener pronta anche te stessa.-.
-Per cosa?-, chiese l’amazzone alzandosi, facendo un passo verso la figura emersa dall’ombra. Era rimasta ad osservare tutto lo scambio con Licius. Senza interferire.
-Per la prossima caccia. Ahn è solo il principio.-, disse la figura mentre le luci sfarfallavano.
Il dolore lo graffiava alla gola. Gannicus osservò il dito attraverso le lacrime.
Il dito indice. L’unghia era andata. Strappata. La nera lo fissò, senza parlare.
Era un dolore pulsante, vivo. Il solo muoversi dell’aria a contatto con la carne esposta pareva una stilettata.
-Immagino che ci vorrà un po’ perché tu possa sparare di nuovo con quel dito.-, disse la donna, riponendo le pinze e prendendo qualcos’altro. Forbici. Da giardinaggio. Uno strumento pesante, lame robuste, adatte a tranciare i rami. O le dita.
Gannicus la fissò. Non aveva paura ma solo perché il dolore gli impediva di ragionare lucidamente assalendo la sua coscienza ad ondate.
-Fottiti, puttana!-, sibilò con ira frammista a sofferenza. “Così! Sii fiero! Sei un licaneo, e lei è meno che una schiava! Falle capire qual’è il suo vero posto!”, si disse.
La nera fece un’espressione imbronciata.
-Sai, il verbo fottere lo prendo molto seriamente. Molto.-, disse, -E non mi dispiacerebbe davvero se qualcuno procedesse a soddisfarmi in tal senso. Tu però non mi sembri interessato.-. Ripose le cesoie, il viso ancora imbonciato come se fosse stata una bambina privata di un balocco. Lo sguardo dell’africana scivolò sul corpo di Gannicus, sino al pene.
-Non mi pare che tu sia particolarmente dotato. Magari c’è del vero nelle voci che ho sentito… Quelle che dicono che diversi licanei si sollazzano con uomini più che con donne.-.
Gannicus la fissò con ira. La nera sorrise.
-Sì, penso che ci sia del vero… D’altro canto, se non ti eccito io, chiaramente sei attratto dagli uomini…-, disse.
-Non scopo con le schiave.-, sputò Gannicus. L’africana non parve registrare l’insulto.
-Non scopi, punto.-, chiarì, -Per voi licanei siamo esseri inferiori, poco importa la Pax di Licanes o le promesse di uguaglianza.-.
Si avvicinò con un coltello in mano mentre i suoi due uomini tenevano fermo Gannicus. Uno dei due gli afferrò un braccio costringendolo a chinarsi con una leva articolare.
Lo ammanettarono al tavolo dopo averlo liberato degli attrezzi. Il licaneo imprecò. Cercò di divincolarsi, ma fallì. Fu costretto in un umiliante posizione prona con le gambe piantate a terra, il sedere offerto all’aria.
-Bastardi!-, ringhiò, -Barbari schifosi!-.
-Su su…-, fece un nero. Era una voce nuova, -Stai tranquillo e goditela un po’.-, disse mentre si udiva rumore di stoffa che si muoveva.
Gannicus cercò di pensare ai suoi avi, alla gloria di Licanes. Al suo retaggio.
E cercò di ignorare il sesso turgido che gli si appoggiò sullo sfintere.
Cercò di visualizzare la gloria dell’Impero. Cercò conforto nelle leggende del Mito.
Sentì le mani del nero che gli divaricavano le natiche.
-Questo è per Stabrone, brutto bastardo!-, sibilò l’uomo al suo orecchio.
Penetrò di forza dentro Gannicus Vaian. Un singolo affondo che strappò al sodomizzato un verso di dolore inarticolato.
Hawo osservò la scena. Provò un fremito di piacere al vederla.
Non era solo qualcosa di nuovo (nonostante le fosse capitato di fare sesso con più uomini alla volta, mai aveva visto due uomini accoppiarsi a quel modo), era proprio l’oltraggio del licaneo a eccitarla, quasi che quella violenza fosse stata una vendetta per ciò che loro avevano subito. Vessazioni varie, imposizioni a vari livelli.
E tutto ciò solo per la loro sepranza d’indipendenza dalla Confederatio. Non così semplice da concretizzarsi visto il massiccio quantitativo di risorse naturali presenti in zona. Risorse a cui Licanes non intendeva rinunciare.
Le pretese dei licanei avevano rapidamente ceduto il passo a una serie di azioni varie.
L’instabilità politica e militare di alcune regioni giustificava la presenza di forze di pace della Confederatio, ma ciò era solo un’ulteriore leva per garantirsi l’accesso alle risorse.
Tornando al presente, Hawo osservò Said continuare la sua opera di sodomia.
Il nero affondava con lunghi colpi di reni, bellamente incurante ai versi di dolore del suo recalcitrante partner. Di fatto, pareva prossimo a concludere, visto che l’intervallo tra gli affondi si abbreviava. Cosa che la sorprese, fu altro.
Il sesso di Gannicus era leggermente turgido. Quel porco del licaneo stava davvero godendo a farselo mettere in culo! Hawo soppresse una risata.
-Allora? È di tuo gradimento?-, chiese con rabbia, -Sembrerebbe ti piaccia.-, aggiunse.
Gannicus si stava odiando. Lui, un prode licaneo, emulo di antichi eroi come Janus, Proximo Lario, Alexander Varus, Socrax e altri ancora, stava realmente grandendo venire sodomizzato da quel barbaro? Non lo tollerava. Si odiava per quello e…
Con un verso osceno, il nero godette riversando tutto il suo seme nel culo di Gannicus. La sensazione fu semplicemente orribile. Ma una parte di Gannicus gradì, e quella fu la cosa peggiore. Non riuscì a impedire al suo sesso di tendersi e infine di godere, eiaculando uno schizzo perlaceo sul pavimento. La risata della nera gli trapanò i timpani, suggellando la sua umiliazione.
-Pare proprio che ti piaccia!-, esclamò Hawo. Si avvicinò mentre Said si ricomponeva.
-Spero proprio che tu abbia assaporato questo scampolo di divertimento, perché posso garantirti che sarà l’ultimo.-, soffiò all’orecchio dell’uomo, -Ora… ti lascerò il tempo di immaginare. Ricordati sempre che puoi parlare, ed evitare altre sofferenze.-.
Si voltò e lasciò l’uomo in balia della sua miseria.
Marduk sospirò. La cena era pauca, formaggio, pane, della carne.
Roba di facile reperibilità. Prodotti tipici della regione. Nulla d’importato o di straniero.
Mangiò senza troppo appetito. Saida mangiò a sua volta. Era sera.
-V.A.M…-, disse la nera. Marduk annuì. Entrambi avevano passato diverso tempo a riflettere su quell’acronimo senza peraltro capire con esattezza a cosa si riferisse.
-Via Aperius Magnus?-, chiese lui.
-Ci sono almeno tre vie a cui può riferirsi.-, fece Saida, -Troppe per poter correre il rischio. Dobbiamo andare a colpo sicuro.-.
-Immagino che tu abbia qualche idea.-, disse Marduk. Lei scosse il capo, mesta.
-Stavolta immagini male. Non ho idee. Onestamente, contavo su di te.-, ammise.
Marduk sospirò. Minah Ahn era nuovamente uccel di bosco, anzi, stavolta aveva scelto di celare la propria ubicazione con una scaltrezza quasi eccessiva.
Dentro di sé, l’uomo si chiedeva perché quella donna non si era fidata abbastaza di lui da non tramortirlo al Banatleus. Forse perché aveva temuto che andarsene in due sarebbe potuto essere più complicato? Oppure quell’esile traccia era anche un’esca?
Un test, con cui Ahn valutava i suoi propositi? Dubbi, dubbi ancora…
Hawo ancheggiò verso di loro, la tuta da pilota sporca di sangue secco.
-Quel bastardo è tenace.-, disse.
-È un operativo della Confederatio di alto livello. Non cederà tanto in fretta.-, fece Marduk.
-Sicuramente però ora starà pentendosi delle sue scelte.-, fece la nera mentre prendeva un piatto per sé e si serviva. La cucina era priva di personale incaricato, ma c’era da dire che quella base era una sosta temporanea. Non era previsto rimanere a lungo.
-Lo conosci da parecchio?-, chiese Saida.
-No. Mi ha catturato al Banatleus.-, rispose Marduk, -Voleva interrogarmi… prima che voi arrivaste a tirarmi fuori.-.
-Prego!-, esclamò Hawo mentre mangiava. Saida roteò gli occhi.
-Quello che mia sorella intende dire, è che questa nostra collaborazione rappresenta al momento la miglior possibilità di trovare la Ahn.-, chiarì.
-No no… Io volevo proprio dire che non ci ha mai ringraziate a dovere!-, insorse l’altra.
-Probabilmente è vero. Sappiate che avete la mia più profonda gratitudine!-, disse Marduk.
-Ah… E… quanto sarebbe sentita e profonda?-, chiese Hawo, allusiva.
-Quanto basta da non risultare insoddisfacente, ritengo.-, rispose l’uomo, sornione.
Saida alzò gli occhi al cielo.
-Perché mi tocca lavorare con dei simili idioti…?-, chiese a nessuno in particolare.
-Forse perché non sai divertirti…-, punzecchiò la gemella.
-Qualcuno deve pensare alle cose serie, sorella…-, rispose l’altra.
-Infatti ci pensi per due. Dico davvero: lasciati un po’ andare, che cosa potrà mai succedere?-, chiese Hawo. Saida scosse il capo.
-Tutto. Ormai ho imparato ad aspettarmi l’insapettato.-, replicò. Si alzò.
-Vado in camera. Ho un paio di ipotesi da verificare.-, disse, -Grazie per la conversazione.-.
Hawo si sedette al fianco di Marduk dopo aver messo il piatto nel lavabo.
-È fatta così. Piuttosto, sai quel tizio? Il licaneo…-, disse lei.
-Gannicus. Il suo nome è Gannicus Vaian.-, precisò lui.
-Sì, beh, oltre ad avercelo piccolo e ad essere un bastardo suprematista, è pure omofilo.-, disse Hawo. Marduk strabuzzò gli occhi, stupito. La nera annuì. Convintissima.
-Said gliel’ha messo in culo. Quello stava godendo, l’ho visto.-, disse Hawo.
Appoggiò quasi casualmente la mano sull’inguine di Marduk.
-Non è che tutto questo parlare di uomini con uomini ti sta eccitando? O sono io?-, chiese.
-Ora m’insulti…-, disse Marduk. Fece scivolare una mano dal ginocchio all’interno coscia di Hawo, inguinata dalla tuta. La nera lo fissò, afferrandogli il sesso da sopra i vestiti.
-Beh, in fin dei conti non mi hai ancora ringraziata per averti salvato…-, fece.
-Immagino sia vero…-, annuì l’agente. Scese appena a sfiorare la vulva. Il calore del sesso di Hawo era percettibile anche attraverso la tuta. La nera si protese a baciarlo, ficcandogli la lingua in bocca e staccandosi subito dopo, industriandosi per liberargli il sesso.
L’esplosione di uno sparo li fece sobbalzare.
Che diavolo stava succedendo?
Gannicus Vaian non aveva mai sprecato un’occasione.
Essere un prigioniero, venire torturato e violato lo aveva riempito di una tale ira da poter comodamente combattere contro un esercito. Quella e la volontà di sopravvivere avevano fatto il resto. Attirare Said con pochi strategici insulti, sfruttare il poco gioco concesso da tutto il suo divincolarsi, riuscire a liberare una mano e poi l’altra, e infine aggredire l’africano.
Ucciderlo era stato facile, non si era aspettato che Gannicus fosse libero.
L’agente di Licanes aveva rapidamente colpito. Il primo pugno era affondato nell’addome del nero senza incontrare resistenza, mentre il secondo aveva centrato il mento, causando un K.O. instantaneo. Potendo, Gannicus avrebbe torturato quel bastardo, ma si era invece imposto di muoversi con furtività, favorire la fuga e la sopravvivenza alla vendetta immediata. Si era dunque limitato a togliergli la pistola, i calzoni e la maglia prima di rompergli l’osso del collo. Rivestitosi, aveva rapidamente inforcato le scale. E lì era avvenuto il casino.
La nera era comparsa sulla scala, chiamando Said. Gannicus non aveva riflettuto: aveva sparato un singolo colpo. Centrata all’addome, la donna era crollata riversa sulla schiena.
Lui l’aveva superata. Uscire, doveva uscire subito!!
Un nero con la barba lunga e lo sguardo allcuninato aveva tentato di fermarlo. Aveva sparato, due, tre colpi, Tutti sparati fortunatamente troppo in fretta e da una posizione troppo precaria (era arrivato a corsa). Gannicus non sbagliò: due pallottole nel torace superiore destro.
Non erano colpi letali, ma all’agente non importava: non prevedeva di riuscire ad abbattere tutti i nemici che c’erano in quella struttura, anzi…
Anzi, gli conveniva muoversi e uscire di là. Arrivare all’ingresso principale fu quasi una liberazione, senonché…
-GANNICUS!-, ringhiò la voce di Marduk Atbash. Ira primeva.
L’agente di Licanes si volse. Sparò verso la voce dell’avversario.
Uscire! Ora! Non poteva rimanere lì a farsi ammazzare!
Colpi di pistola lo inseguirono fuori, oltre la porta, nel cortile. Un mezzo! Gli serviva un mezzo!
Non ce n’erano! Saettò verso il bosco. Corsa a zigzag, per spezzare la linea di tiro.
Altri spari lo liasciarono. Uno gli strappò un brano di pelle dal braccio destro.
Cadde, assecondò la caduta, rotolò tra la vegetazione. Scivolò lungo il pendio sino alla strada.
Ce l’avrebbe fatta. Ne sarebbe uscito vivo!
-Maledetto bastardo!-, ringhiò Hawo mentre Marduk rientrava. La nera era china sui feriti.
Di tutti loro, quello più grave era Patrice. Il nero barbuto esibiva due buchi sanguinolenti nel petto. Leontiné, soccorsa da Saida, aveva perso conoscenza.
-Merda… ci serve un medico, e attrezzatura decente!-, esclamô Saida.
-Credevo che il medico ce l’aveste…-, fece Marduk mentre si chinava a fare pressione sulle ferite del nero.
-Era lui.-, commentò Hawo, laconica. Quel figlio di un cane di Gannicus era riuscito a fuggire.
Recuperarlo non era impossibile, ma avrebbe rallentato tutto. E sul momento, ad Hawo e a sua sorella importava molto di più salvare i loro compagni.
-Abbiamo bisogno di aiuto… Marduk, ci serve un medico, uno di cui possiamo fidarci e che non farà domande.-, disse Saida, -Conosci qualcuno?-, chiese.
Marduk sospirò. -Forse.-, disse infine estraendo un palmare.
Ferelea rispose subito.
-Marduk, dove…?-, chiese, fu interrotta quasi subito.
-Ferelea. Mi serve un apotecario. Non è per me e non posso pagarti. Posso solo prometterti le informazioni riguardo la Ahn. Ma mi occorre che tu mi raggiunga. Subito!-.
-Un medico… C’è Svrius…-, disse lei mentre faceva cenno all’uomo di prepararsi. Cenno di assenso. Lei gli ordinò a gesti di salire sul mezzo. Aveva riconosciuto l’urgenza nel tono di Marduk. Non c’era tempo per chiamare qualcun altro. Sarebbero andati solo loro due.
-Andrà bene. Muovetevi. Potete raggiungermi tracciando il palmare.-, disse Marduk.
Non aveva ancora chiuso la comunicazione che Ferelea era già in movimento.
Il piano procedeva. Forse leggermente diverso da come aveva supposto.
Ma andava bene.
Gannicus correva lungo i boschi. Quel bastardo di Atbash l’aveva quasi colpito.
E il culo gli bruciava da morire. E aveva sete, e fame e sentiva qualcosa di molto prossimo alla febbre… Stava da schifo. Ma la rabbia lo teneva in piedi, gli impediva di cedere all’oblio.
Doveva vivere. Doveva sopravvivere. Per vendicarsi. Per dimostrare a quei barbari subumani che Licanes non si piegava e non veniva umiliata impunemente!
Evitò la strada. Era incerto di quante e quali pattuglie nemiche ci fossero in zona.
Una? Due? Ne avevano inviate? Non lo sapeva, nel dubbio assumeva di sì.
Doveva stare all’erta, cauto.
Ma ne sarebbe uscito vivo. Se lo ripromise mentre scendeva lungo un pendio.
Sì. Sarebbe sopravvissuto. Per riuscire ad ammazzare Marduk e la sua troia africana con le sue stesse mani!
Ferelea e il suo apotecario arrivarono davanti alla struttura in circa dodici minuti.
Per allora, Marduk, Saida e Hawo avevano fatto il possibile per stabilizzare i feriti e
-Dove sono i feriti?-, chiese questi senza preamboli. Un nero gli fece strada all’interno.
-Marduk… chi è questa donna?-, chiese Hawo. Non c’era ostilità nel suo tono, casomai curiosità, guardinga ma priva di rancore o odio.
-Ferelea, questa è Hawo. E quest’altra è sua sorella Saida.-, disse Marduk facendo le presentazioni di rito. Vide la donna guardare le gemelle e annuire, lentamente, come a volersi sincerare di star capendo l’arcano.
-Capisco.-, annuì, -Saida Pulchra Rea era una di voi…-. Annuì, con aria quasi ammirata.
-Davvero brillante. Una copertura inattaccabile, perché di fatto non era tale.-, concluse, -Era una verità effettiva.-.
-Precisamente.-, annuì Hawo. Le due donne si guardarono per un istante, un lungo istante.
-Gradirei che questo segreto rimanga esclusivamente tra i presenti e il tuo apotecario.-, puntualizzò Saida, -Sono certa di non dovermi ricredere sulla fiducia che Marduk ti accorda.-.
Ferelea non la guardò. Stava fissando Hawo. Lentamente, l’informatrice annuì, quasi le parole le fossero arrivate all’orecchio più tardi rispetto al previsto.
-Senza dubbio.-, disse. Quelle rivelazioni erano pesanti, lo vedeva anche Marduk, ma c’era dell’altro. E ne ebbe la certezza quando Ferelea estrasse una sigaretta da una custodia argentata. Fece scattare un ignitus per accenderla e aspirò una boccata, due.
Hawo si mosse, fluida, rapida, senza rompere il contatto di sguardi, la sua mano destra prese la sigaretta e la strappò alle labbra di Ferelea. Se la portò alla bocca in un movimento lento quanto privo di sbavature. Sensuale.
Aspirò una boccata senza smettere di guardare l’emula del Kelreas.
Marduk annuì. Sì, indubbiamente Hawo aveva la capacità di mettere in soggezione.
-Entriamo.-, disse lui, -Sta cominciando a far freddo.-.
Quelle sue parole parvero rompere l’incantesimo. Hawo annuì, Ferelea si mosse e Saida assunse l’aria pensosa che indicava un ragionamento che non arrivava alla conclusione.
Marduk poteva immaginare, ma sul momento, i suoi pensieri erano altri.
Ferelea ora sapeva della sua connessione con l’Unio Africae.
L’aveva coinvolta, molto più di quanto avesse fatto in passato. Era stato necessario.
Ma cambiava tutto. Un’ennesima regola saltava. Quella missione stava risultando refrattaria a qualunque metodologia lui avesse mai adottato.
Dovevano trovare Minah Ahn prima che le cose si facessero più strane e incontrollabili.
Gannicus imprecò. La febbre c’era eccome. E anche il dito mutilato dell’unghia stava assumendo un colore tutt’altro che piacevole. Aveva cercato di tenerlo pulito ma aveva incespicato e l’aveva sporcato. Strinse i denti. Era quasi alla strada, no, anzi, ERA alla strada!
Quand’era stato che vi era giunto? Pochi istanti prima, sicuro. La febbre gli stava sottraendo lucidità. Male, molto male. Doveva riuscire a ristabilire un contatto con i suoi prima di crollare, poi poteva anche svenire, per quel che importava.
“Un mezzo, qualcuno, chiunque…”, implorò ai suoi déi stringendo la pistola.
Inquadrò un mezzo. Un mezzo a due ruote, rapido e rumoroso. Avanzava verso di lui.
Esultò: gli déi dei suoi padri non l’avevano abbandonato!
-Fermo! Nel nome di Licanes!-, ordinò puntando con la pistola.
L’uomo alla guida si fermò, alzando le mani.
-Vi supplico, signore… non…-, iniziò.
-Mi serve il tuo mezzo, subito!-, ringhiò Gannicus, -Si tratta di una questione di sicurezza federale!. L’uomo smontò dal mezzo. Gannicus annuì. Si guardò i piedi nudi.
Erano quasi scorticati dal trekking che aveva dovuto fare.
-Mi servono anche le tue scarpe, veloce!-, ordinò, secco. L’altro eseguì. L’agente annuì. Ebbe un capogiro, ma riuscì a issarsi alla guida e a mettere in moto girando il mezzo verso Raumaillia.
-Si salveranno. L’uomo ha un polmone perforato. Lo terrò sotto osservazione. La donna ha delle lesioni all’intestino tenue. Ho somministrato fluidi ed antibatterici ad ampio spettro, oltre ad aver provveduto alle trasfusioni necessarie. Le ferite sono moderatamente lievi, e l’intervento tempestivo ha scongiurato il peggio.-, disse Svrius Aqulio. Ripose i suoi strumenti medici nella bisaccia. Ferelea annuì appena. Rivolse uno sguardo ai due feriti, adagiati sul pavimento, resi più comodi da cuscini e atttaccati a delle sacche di fluidi iniettati per via endovenosa. Svrius era sempre stato ottimamente capace, e un suo pregio era la prontezza: il suo motto era “se non sei pronto a intervenire in cinque minuti sei l’uomo sbagliato per il compito”. Un modo molto originale per ricordare le sue origini: Aqulio era un ex medico delle truppe d’assalto di Licanes. Nell’ultimo conflitto si era trovato a Son-tiem, che i Licanei chiamavano Sotiae, una città in Indocina, snodo strategico per le truppe di Chin. I combattimenti avevano infuriato per due settimane, in un tira e molla che aveva visto le armate dissanguarsi finché i Licanei non erano riusciti ad assicurarsi le posizioni chiave.
Poche ore più tardi, era stato annunciato l’armistizio.
La somma idiozia dei successivi negoziati e la ritirata delle forze licanee oltre i confini di Chin aveva visto Svrius disilluso. Una disillusione radicatasi nel tempo, di cui Ferelea aveva ampiamente approfittato, riuscendo a persuaderlo a lavorare per lei.
-Li potremo muovere?-, chiese l’informatrice.
-Almeno per questa notte, no. Domani al più tardi riprenderanno conoscenza.-, disse lui.
-Ottimo.-, annuì lei. Svrius annuì.
-Immagino tu preferisca che io vada.-, disse.
-Immagini bene.-, rispose lei, -Devo parlare con gli altri, da sola.-.
-Molto bene.-, rispose lui con un cenno del capo. Ferelea gli passò una manciata di crediti.
-Per il servizio.-, disse. L’uomo neanche li contò. Si fidava. Uscì.
Rimasta sola con Marduk e Saida, Ferelea incrociò le braccia, fissando Marduk.
-Dunque?-, chiese. Aveva atteso pazientemente che l’uomo le spiegasse, ed era giunto il tempo di esigere qualche risposta. Sapeva di averne diritto.
-Abbiamo una pista su Minah Ahn.-, disse Saida. Parlò prima di Marduk.
-Non è a te che sto chiedendo.-, chiarì Ferelea. L’africana la fissò, senza timore.
-Ma è da me che avrai le risposte. Fiducia tra le parti, informatrice.-, disse, -Io so che tu lavori indirettamente per molte organizzazioni, e molti dei tuoi clienti sono miei nemici. Di contro, tu sai che ho tentato di uccidere il tuo agente in almeno un caso. E ora la situazione si è rovesciata, ed eccoci qui.-.
-Dunque dovrei vedere la tua ingerenza nel mio dialogo con Marduk come un gesto di buona fede? È esattamente quello che farebbe qualcuno che vuole manipolare le informazioni!-, esclamò l’altra. Saida sospirò. Annuì. Era vero, ma era anche vero che…
-Se sei qui è perché già sai che sappiamo qualcosa. In un modo o nell’altro te ne andrai sapendo ben più di quanto sapevi quando sei arrivata. Non è già progresso?-, chiese.
-Attenta, Saida.-, sibilò Ferelea, -Non sei l’unica che sa giocare con le parole.-.
-No, sicuramente. E se abbiamo finito di esibire la nostra determinazione, direi che possiamo procedere.-, concluse Saida. Hawo annuì.
-Io resto con loro. E c’è anche Said, sotto. È morto. Quel bastardo gli ha rotto l’osso del collo.-, disse. Saida annuì. Perdite. Era una guerra, ed era ben normale che ce ne fossero.
-Bene.-, disse. Fece strada a Marduk e a Ferelea sino al tavolino dove avevano cenato.
Riempì una caraffa d’acqua e prese dei bicchieri.
-Non ho vino, o alcoolici di sorta.-, disse a beneficio della nuova arrivata.
-Naturale. Suppongo siano haram.-, annuì l’altra, sfoggiando la conoscenza di un vocabolo del Qoram, il testo sacro di tutti i figli del deserto.
-Esattamente, ma non solo. Anche se potremmo concedercelo per licenze operative, trovo sia contropruducente.-, disse Saida. Si sedettero.
-Minah Ahn non è più a Raumaillia. Sappiamo che è ad Aquae Sulis. In un posto chiamato V.A.M. 31.-, disse l’africana. Ferelea assunse un’aria pensosa.
-Non siamo ancora stati in grado di decifrare cosa sia V.A.M.-, aggiunse Marduk.
-Via Appia Minoris?-, chiese Ferelea. S’intuiva che stava scavando nella memoria, cercando connessioni, cercando risposte.
-No. La Appia di Aquae arriva fino al 12.-, disse Saida.
-Sempre ammesso che Minah ci sia arrivata.-, celiò l’informatrice.
-È la sola pista che abbiamo.-, fece presente Marduk.
-Spiegatemi una cosa…-, disse Ferelea, -Una volta che troveremo la Ahn, che cosa succederà? È chiaro che voi la volete e…-.
-No.-, rispose Saida, secca. Era fondamentale che su quel punto non ci fossero equivoci di sorta, o l’intera ipotesi di un intesa con quella donna sarebbe stata disgregata all’origine, -La Ahn non c’interessa come interessa a voialtri. A noi, a me, occorre solo un ora circa con lei, anche sotto la vostra sorveglianza. Poi potrete averla.-. Colse lo stupore negli occhi dell’altra.
“Ci siamo! Ecco qualcosa che non si aspettava.!”. Ferelea non parlò, per un lungo istante.
-Marduk, è vero?-, chiese. L’uomo annuì. Gli avevano detto la medesima cosa.
-Quindi volete solo… parlarle?-, chiese l’informatrice. Saida annuì, senza parlare.
-Mi perdonerai, ma mi è difficile da credere.-, ammise Ferelea.
-Anche se non mi credi, è tutto ciò che ci occorre.-, disse l’africana.
Ferelea annuì. Non capiva fino in fondo. Ma non aveva neppure scelta.
E d’altro canto, era pressoché sicuro che qualunque conversazione tra Saida e Minah Ahn sarebbe accaduta sotto supervisione, la sua. Alla fine erano le migliori condizioni su cui poteva contare, no?
-Mi sembra che abbiamo un accordo, dunque.-, disse infine. La prima delle due gemelle annuì, apparentemente sollevata dell’accordo raggiunto.
-Immagino che ci sia del cibo, vero? Grazie alla chiamata di Marduk ho bellamente saltato la cena.-, s’informò l’emula delle Amazzoni.
-C’è qualcosa.-, disse l’altra africana. Era la copia sputata di quella con cui Ferelea aveva parlato, ma esibiva un comportamento diverso, più spigliato.
E c’era anche qualcos’altro. Qualcosa che non lasciava indifferente l’informatrice.
-Allora, spero che non vi dispiaccia se ne approfitto.-, disse.
-Naturalmente. Fai pure come se fossi a casa tua.-, replicò Saida.
-Tu non ti unisci a noi?-, chiese Hawo. La sorella scosse il capo.
-Voglio fare qualche altra ricerca su V.A.M. 31.-, disse, -Sento che c’è qualcosa che ci sfugge.-.
-Ti do una mano.-, disse Marduk. Saida annuì. A Ferelea non sfuggì che l’uomo pareva più sciolto con quelle donne. E complessivamente le pareva… carico.
Grintoso, come non l’aveva visto in anni.
Un lato positivo, certo, ma da gestire con cautela. Marduk era importante, certo, ma non era indispensabile, quantomeno, non per tutti.
Rinunciando a rimuginare, Ferelea seguì Hawo verso la sala da pranzo…
-Vanno sorprendentemente d’accordo.-, osservò Marduk. Saida annuì.
-È una peculiarità di Hawo. Riesce a risultare simpatica alla svelta.-, disse.
A Marduk sarebbe piaciuto aggiungere “specie agli uomini e senza vestiti…”, ma evitò.
-Ci sono così tante cose che ancora non quadrano.-, disse l’uomo.
-Una alla volta. Partiamo da V.A.M. 31.-, incalzò l’africana.
Lui annuì. Si volse solo verso la cantina.
-I feriti?-, chiese. La sua preoccupazione nasceva dal sapere quanto fosse importante che i feriti, specie quelli gravi, avessero qualcuno accanto al risveglio.
-Dormono. Hawo li terrà d’occhio almeno finché non potrò subentrare io.-, lo tranquillizzò lei.
Gannicus inchiodò. Il mezzo stava esaurendo l’autonomia. Scese con le gambe ridotte a pezzi di legno. Faceva buio ma le luci cittadine garantivano sufficiente visibilità da non rischiare di finir male. Li vide subito: due individui avvolti in uniformi da Prefectii.
-Signore? Lei è ferito! Venga, si appoggi a me!-, esclamò una dei due. Una donna, capelli tagliati con l’accetta quasi quanto i lineamenti che denunciavano una chiara origine barbarica solo vagamente nascosta dallo scorrere di generazioni.
-No… mi occorre un palmare! Si tratta di un Codice Plium.-, disse.
L’altro, un uomo dal colorito abbronzato parve sbancare. Il Plium era un codice che designava la morte violenta di agenti dei Servizi durante l’adempimento del dovere.
Fu come se i due fossero stati colti da una scarica elettrica. La donna estrasse un palmare e glielo tese mentre l’uomo lo accompagnava senza aggiungere altro verso un mezzo.
Gannicus tenne duro il necessario, il tempo di chiamare il suo contatto e riferirgli un punto d’incontro, poi perse conoscenza.
-Neppure questo.-, sospirò Marduk. Erano ore che lui e Saida procedevano a vagliare ogni dato che avevano trovato su Aquae Sulis, solo per individuare con certezza Minah.
E ancora, V.A.M. 31 sfuggiva a ogni tentativo di definizione.
La nera si stropicciò gli occhi, con un’aria assonnata.
-Va bene, Marduk.-, disse, -Continueremo domattina. Per oggi è inutile insistere.-.
-Forse hai ragione.-, ammise lui, -Forse dormirci su è meglio.-.
-Già. La tua stanza è al piano superiore.-, disse Saida, -Mi scuserai se non ti accompagno, ma qualcuno deve restare a vegliare i feriti.-.
Marduk annuì. La nera, Leontiné, (quello era il suo nome), pareva dormire quieta, era l’altro ad agitarsi. Come se stesse avendo un incubo. A tratti, Saida gli posava una mano sulla fronte, come per rassicurarlo. Marduk annuì appena. Si sentiva ancora straniero tra loro, ma era evidente che la collaborazione era stata stabilita. La domanda che si poneva era cosa ne pensasse Ferelea. Era evidente che non gradiva proprio del tutto la piega presa dagli eventi.
Temeva forse di venir lasciata fuori dai giochi?
Non ne aveva motivo, ma d’altro canto, Marduk la conosceva abbastanza da saperla molto, molto interessata a quel particolare caso. Non poteva neppure darle torto.
C’era in ballo qualcosa di molto grande. Forse la chiave di volta della prossima possibile guerra con Chin.
Ferelea, trovandola avrebbe potuto mettere a segno il colpo di una vita, un lavoro che l’avrebbe resa leggenda. Salendo le scale, Marduk considerò che forse quella fosse la sua motivazione: entrare nella Storia, quella ufficiosa ma non per questo meno rilevante, strappando al fato un trionfo immane che l’avrebbe resa in grado di assurgere a quella cerchia di eletti che possono dirsi abili a guidare il destino di interi popoli.
Superò una porta socchiusa e si fermò sentendo un gemito femminile da una voce che conosceva bene: Hawo!
Era il genere di gemito che quella donna faceva quando il piacere la attraversava, un suono brevissimo, espressione così fuggevole di godimento da apparire irreale ma immensamente intensa. Un richiamo, che portò l’uomo a fermarsi quando si ripeté, appena più fievole.
“Si sta masturbando?”, si chiese Marduk, “In tal caso…”.
Il ricordo del loro amplesso insieme era stato… intenso. Tornò potentemente alla mente dell’agente, portando il suo respiro a farsi rado mentre l’eccitazione lo pervadeva.
Quasi senza che la sua volontà cosciente ne fosse consapevole, accostò l’occhio alla porta.
E rimase allibito.
La fioca luce di alcune candele rischiarava appena la camera il cui letto matrimoniale doveva essere stato un’eredità del passato proprietario. Su di esso, tra coltri disfatte, c’era Hawo, supina, intenta a gemere a occhi socchiusi. I capezzoli irti della nera e la pelle luccicante di una leggera traspirazione rendevano ben chiaro che quell’esercizio di piacevole distrazione durava da un po’. Certamente, non sembrava intenzione di Hawo concluderlo avventatamente, perché la destra della nera affondava tra le sue cosce dove una testa occludeva la vista della vulva dell’africana, evidentemente degnamente stimolata da una donna, una che Marduk conosceva bene.
Ferelea pareva aver trova un modo sicuro per restare nei giochi, in tutti i sensi.
Marduk rimase fermo, imbambolato a osservare la nera spingere dolcemente la nuca dell’informatrice verso la sua intimità. Non si sorprese quando i movimenti di Ferelea si fecero più rapidi, più intensi e radi rispetto a prima. L’informatrice stava masturbandosi piano, il sedere in piena vista e una mano che faceva capolino tra le cosce, intenta a darsi piacere.
E a compiacere ovviamente Hawo. L’africana emise un gemito e un secondo. La sua amante prese a leccare con foga. Hawo rispose con vesi di godimento pronunciati, finché non s’inarcò contro quella lingua, emettendo un urletto rauco che le fece strabuzzare gli occhi.
E si bloccò.
Marduk capì il perché. Subito. Hawo lo fissò negli occhi, una mano ancora intenta a guidare i movimenti del capo di Ferelea. La nera, l’acconciatura sfatta e il viso trasognato, sorrise.
Con l’altra mano, fece appena un gesto. Un invito, con poche dita.
Così chiaro e inequivocabile che l’uomo si sentì catturato, avvinto.
Doveva entrare? Doveva correre il rischio di violare la regola madre di ogni agente?
Bellamente ignara della sua presenza, Ferelea continuava a leccare e succhiare, abbeverandosi alla fonte dell’africana con un’ingordigia ammirevole.
L’invito si ripeté, e Hawo formò una parola muovendo appena le labbra.
“Vieni”. Un invito, l’invito. Qualunque uomo avrebbe accettato.
E Marduk non era in fin dei conti diverso da ogni altro: aprì cautamente la porta. Hawo sorrise.
Mentre muoveva i primi passi nella stanza e notava i vestiti dispersi sul pavimento, Marduk intuì che anche quel suo entrare costituiva una novità, un’ennesimo mutamento di schemi fissi e apparentemente immutabili ma in realtà fragili, forse persino futili.
Per un istante, pensò che le conseguenze di quell’atto avrebbero potuto essere… problematiche. Però, c’era da dirlo, si viveva una volta sola, no?
Incominciò a spogliarsi, piano, furtivo, sotto lo sguardo sorridente e decisamente bramoso dell’africana che, all’improvviso, batté sulla spalla destra di Ferelea.
-Abbiamo visite, pare.-, disse. L’informatrice si staccò dalla sua vulva e, seguendo lo sguardo dell’altra, inquadrò il nuovo arrivato.
-Marduk…-, mormorò la donna. Forse, il fatto che nel mentre l’uomo fosse riuscito a liberare il petto e il sesso inturgidito dalla costrizione dei vestiti contribuì a fermarla dall’opporsi al suo aggiungersi a quell’incontro.
-Proprio io, Fera.-, disse lui. Le sfiorò il viso. Non era affatto brutta, e di fatto lui non aveva mai smesso di vederla come una bella donna, anche se tutta una serie di regole non scritte gli avevano sempre precluso quanto si accingeva a fare con lei.
-Mi sa che non se lo aspettava…-, fece Hawo, sdraiata su un fianco a osservare la reazione della sua partner mentre si toccava piano con una mano quasi più per risvegliare il desiderio che per altro. Pareva sinceramente divertita dalla situazione.
-Io… Dea, no, non me lo aspettavo!-, esclamò l’informatrice. Forse era persino arrossita.
Difficile dirlo. Il suo volto era visibile ma i cambiamenti di colore erano duri a notarsi.
-Domani potremmo essere morti.-, le fece notare Marduk.
-Eravate d’accordo?-, chiese Ferelea, l’ombra del sospetto nel tono.
-No.-, ammise candidamente Hawo, il tono pregno di desiderio, -Ma ammetto che come sviluppo mi piace molto. È bravo a scopare, e detto da me è una garanzia, sai?-.
Marduk non poté impedirsi di sorridere come un’ebete. Lo sguardo di Ferelea passò da uno all’altra. Poi si fermò sul sesso eretto dell’uomo.
-Non provare a vantartene, chiaro?-, chiese, mentre lo prendeva in mano.
-Sarò una tomba.-, sorrise lui. Hawo annuì mentre Ferelea si protendeva a baciare Marduk e la nera si metteva a vezzeggiare la sua compagna di giochi, baciandole piano la schiena e le natiche finché Ferelela non cambiò posizione sdraiandosi supina. L’uomo si liberò dei vestiti e salì sul letto. Hawo cercò e trovò a tentoni il sesso di Marduk, iniziando a manipolarlo piano con una mano mentre dava piacere a Ferelea. L’emula del Kelreas baciò Marduk a tutta bocca, aggressivamente, la lingua che invadeva la bocca dell’uomo.
Lui dentro di sé ringraziò qualunque dio per quel dono insperato.
Sentì un senso di calore al sesso. Abbassando lo sguardo vide che Hawo gliel’aveva preso in bocca, con la consueta voracità. La nera gli afferrò i testicoli accarezzandoli piano.
Ferelea scivolò lungo il corpo della nera andando a leccarle nuovamente la vulva.
I gemiti di Hawo s’infransero sul sesso di Marduk, il quale prese a vezzeggiare oralmente l’informatrice, che rimase evidentemente sorpresa dalle sue capacità.
-Mmmh… se l’avessi saputo…-, gemette staccandosi un’istante dall’intimità di Hawo.
-Non avresti esitato…-, sorrise la nera. Ferelea alzò appena il sedere, un’offerta muta.
Marduk sorrise. Sondò con un dito la vulva della donna.
-Mettine due…-, esalò lei. Era bagnata, almeno quanto doveva esserlo Hawo. Eseguì.
Il guizzo del ventre della donna gli segnalò che quell’invasione le era oltremodo gradita.
Marduk girò dentro le dita, accarezzando solo sporadicamente il clitoride.
I mugugnii di piacere di Ferelea furono soffocati dalla vulva di Hawo, ma evidentemente l’informatrice era sicuramente al settimo cielo. Lui sostituì alle dita la lingua, trovò una sorgente di nettare dolciastro e caldo.
Improvvisamente, Hawo aveva smesso di gratificare oralmente il sesso di Marduk.
L’uomo la cercò con lo sguardo, trovandola a gambe aperte, intenta a farsi leccare la vulva da Ferelea, eppure lo sguardo dell’africana diceva chiaramente che voleva qualcosa di più penetrante…
-Tempo di usare la tua spada… licaneo.-, sibilò con un sogghigno lascivo.
Ferelela sorrise. Si sdraiò accanto ad Hawo, abbracciandosi a lei e baciandole seni, bocca e collo, quasi a volerla assaporare. La nera rispose, non senza trasporto. Ferelea parlò.
-Ricorda chi ti paga, Marduk…-, disse aprendo le gambe.
-Ricorda chi ti ha fatto godere.-, rilanciò la nera esponendo la vulva. L’uomo tentennò.
Era uno spettacolo notevole, anche dalla distanza.
La figura in nero osservava l’amplesso con l’ausilio di un binoculare, in una posizione relativamente stabile, su un albero a discreta distanza dalla casa.
Vide Marduk sorridere e sussurrare qualcosa all’africana che parve annuire, anche se poco convinta, o forse solo impaziente.
L’uomo si piazzò tra le cosce di Ferelea e affondò nella donna con una spinta. La nera si sedette sul viso dell’altra, scambiando boccate di saliva con Marduk, dicendo qualcosa che la figura tradusse come “fottila per bene”, o qualcosa del genere.
La lettura delle labbra era un talento non da poco, e il binoculare ad intensificazione di luce aiutava non poco. La figura in nero osservò l’uomo continuare ad affondare nell’informatrice.
Era una scena eccitante, anche senza avere la possibilità di sentire i suoni.
Ferelea s’inarcò sotto l’ennesimo colpo di reni. Marduk dovette fermarsi, sfilarsi dalla donna, respirare, chiudere gli occhi. Lottare per non venire.
Hawo sorrise. Si tolse da Ferelea, la vulva rorida di umori e saliva.
-Ora tocca a me!-, esclamò distendendosi sul letto.
-Prima aspetta.-, impose Marduk.
-Cosa?-, chiese la nera. L’uomo si piazzò in mezzo alle sue gambe. Avvicinò il viso al sesso dischiuso dell’africana, la carne nera che contrastava con l’interno rosato.
-Mi pareva di ricordare di averti promesso una gratifica…-, disse lui.
Leccò. Gli umori di Hawo avevano un sapore forte, quasi amaro, piacevole. La nera gemette forte. Marduk si aiutò con le dita, piano. Ferelela s’inerpicò sul viso di Hawo.
-È bravissima a leccarla…-, sussurrò l’informatrice. Marduk continuò la sua opera. Sentì la vulva di Hawo agitarsi contro di lui.
-Oh… mi sa che ci siamo…!-, esclamô Ferelea, senza fiato.
D’improvviso, Hawo venne. Spruzzò il viso di Marduk con i suoi umori, inzuppandogli la faccia.
Ferelea si tolse, rivelando il viso della nera che respirava a grandi boccate.
-Oh… Dio…!-, esclamô Hawo. L’informatrice sorrise alla volta di Marduk. L’istante di tregua durò molto poco. Fu l’emula del Kelreas a spronare i suoi compagni a continuare.
-Fottila per benino! Non vedi quanto ne ha bisogno?-, chiese.
L’uomo sorrise. Imboccò il membro verso la vulva della nera.
Affondò in un baratro rovente e umido. Accolto da un espressione compiacente.
La scena continuava a essere memorabile.
La figura in nero aveva visto di tutto. Uomini con donne, donne con donne, uomini con uomini, persino ibridi tra i due sessi. E aveva fatto di tutto. Molte volte per nient’altro che piacere.
Ma per qualche ragone, quella scena era a un livello superiore.
Forse era il fatto che a esservi coinvolta fosse Ferelea, o magari era tutto l’insieme.
Avrebbe dovuto andarsene, rispettare il piano, restare a distanza.
Ma quella vista era semplicemente magnetica.
Marduk stava possedendo la nera. Ferelea abbracciava l’uomo da dietro sussurrandogli oscenità all’orecchio. Qualcosa tipo “Guarda quanto gode”, “È proprio una puttanella…”.
A giudicare dall’espressione, qualunque ritrosia Ferelea potesse aver avuto a partecipare a quel triangolo era caduta e dimenticata.
La figura in nero sapeva benissimo cosa sarebbe successo di lì a poco. Lo intuiva.
Ma voleva vederlo. Per ragioni interamente sue. Si puntellò con una gamba contro la biforcazione di un ramo dal tronco principale dell’albero. Poggiò la schiena lungo il ramo più grosso. Una seduta più o meno comoda per godersi quello spettacolo.
Invogliato e stimolato dalla voce di Ferelea, che stava certamente toccandosi nel mentre, Marduk impose il ritmo. Hawo, tutt’altro che doma, accoglieva le sue spinte con entusiasmo non simulato, gemendo rumorosamente.
Per qualche istante, Marduk si era onestamente chiesto se la stanza fosse stata insonorizzata, ma ne dubitava, e ormai non aveva senso preoccuparsene.
Si tolse da Hawo con un gemito dispiaciuto da parte della nera, per sdraiarsi un istante.
-Pigrone!-, lo apostrofò l’africana.
-Che ti devo dire, è un uomo!-, esclamò Ferelea, solidale.
-Infatti ora me lo scopo per bene…-, disse la nera. S’impalò sul sesso di Marduk mentre Ferelea le accarezzava la schiena sino al sedere conturbante. L’informatrice sorrise a Marduk mentre Hawo lo cavalcava a ritmo sostenuto.
-Ora esigo la mia gratifica, caro mio.-, disse.
-Quando vuoi!-, esclamò lui. Ferelea gli sedette sul viso.
La figura in nero avrebbe dovuto andarsene, sparire da lì. Ma era al sicuro, lo sapeva.
Nessuno si aspettava un osservatore avanzato in quel punto, ed aveva perlustrato l’area per sincerarsi dell’assenza di trappole. Tecnicamente non sarebbe stato necessario seguire Ferelea ma l’aveva voluto fare per sicurezza.
Ma l’informatrice era al sicuro: lei e l’africana stavano contentendosi le attenzioni di Marduk.
La vista della figura in nero si focalizzò su Hawo. Non la vedeva interamente a causa del movimento e di Ferelela, ma era davvero una bella statua d’ebano.
“Una splendida creatura, davvero… Un vero peccato che anche lei sia finita in questo gioco mortale.”, pensò con una punta di rimpianto. Il sesso con quella donna doveva essere fenomenale. Il mondo avrebbe perso qualcosa, alla sua morte.
Ma quella vista era l’unico scampolo di erotismo che poteva esigere, in un formato ben superiore a qualunque previsione. Ed era giusto che ne approfittasse, finché poteva.
La mano scivolò tra le vesti, oltre le protezioni in leghe polimeriche ultraleggere.
Trovò le sottovesti, le scansò. Trovò il sesso. Era passato molto…
Ma non abbastanza da dimenticare. Prese a masturbarsi.
Marduk avvertiva le contrazioni preorgasmiche sue, di Feralea e anche di Hawo.
La nera non pareva interessata a fermarsi, e neppure l’informatrice sembrava curarsi della cosa. Lui si domandò fugacemente se voleva fermarsi.
No, onestamente no. Era ben lieto di godere dentro Hawo. La nera accelerò il ritmo, lasciando che l’uomo le affondasse dentro sino allo scroto.
-Sta venendo…-, disse Hawo. Ferelea fremette di piacere quando la lingua di Marduk le stuzzicò il punto più sensibile.
-Anche io… Lascialo venire… se lo merita!-, esclamò. La nera sorrise. Baciò Ferelea.
Ebbe modo di sollevarsi e far nuovamente sprofondare il sesso dell’uomo nel proprio, poi, con un orgasmo talmente potente da lasciarlo senza fiato, Marduk s’inarcò contro Ferelea e Hawo, scaricando tutto il suo seme nella vagina dell’africana.
Il godimento del suo partner parve innescare anche quello della nera: la vagina di Hawo parve collassare. Ferelea emise un gridolino. Stava godendo anche lei, eiaculando gocce di rugiada sul palato di Marduk in spasmi di piacere che la scuotevano come crisi epilettiche.
Crollarono tra le coltri, un mosaico umano, reduci dopo una battaglia bellissima, folgorati dal piacere.Marduk si trascinò ad abbracciare Ferelea, con Hawo che avvolse ambo gli amanti.
-È stato… wow… Per la Dea…-, mormorò l’informatrice, a corto di fiato.
-Incredibile…-, ansimò l’uomo. Hawo sorrise. Baciò sia Ferelea che Marduk.
-Indimenticabile…-, disse. Portò due dita tra le cosce raccogliendo lo sperma dell’uomo misto al suo piacere e lo offrì a Ferelea. La donna lo accettò. Leccò le dita della nera con gusto.
-Forse dovremmo dormire…-, avanzò lui. Ferelea lo fissò.
-Marduk, mi stai dicendo che devo rassegnarmi ad accontentarmi dell’elemosina?-, chiese, polemica e senz’ombra di sarcasmo.
-Se hai pazienza, forse no.-, ammise lui accarezzando prima l’informatrice poi Hawo.
-Per te potrei.-, disse l’emula del Kelreas protendendosi a baciarlo, -Perché voglio che mi sborri dentro.-. Hawo prese a massaggiare piano i testicoli dell’uomo, aveva un sorrisetto sornione sul viso. Marduk sospirò. No, decisamente non era finita. D’altronde…
“Domani potremmo essere morti.”, pensò.
-Se avrete pazienza.-, ripeté. Hawo sospirò. Si accovacciò tra le cosce di Marduk.
-La pazienza non è proprio il mio forte…-, disse mentre baciava il sesso dell’uomo.
Avrebbero ricominciato, era evidente. Ma per la figura, andava bene così.
Sentiva l’orgasmo incombere. Merda, era passato così tanto dall’ultima volta.
E gli ultimi avvenimenti erano stati gravidi di tensioni. Piani dentro piani in movimento, ruotismi in continua evoluzione, sinergie da dirigere, controllare e all’occorrenza spezzare.
Troppo, troppo stress. Quanto vide Ferelea alzarsi e impalarsi sul sesso nuovamente turgido dell’agente, e Hawo incitarla con parole in qualche lingua africana prima di sedersi sul viso di Marduk, decise di concedersi il piacere. Ne avrebbe avuto bisogno, per i tempi a venire.
Bastò un tocco. Il piacere esplose come un eruzione vulcanica sotterranea.
Ferelea era andata avanti, poi Hawo le aveva dato il cambio, stavolta stando a carponi, venendo penetrata con foga da Marduk. Si erano leccati, succhiati, baciati e accarezzati senza mantenere la stessa posizione per più di cinque minuti. Infine, dopo diverso tempo, toccò di nuovo a Ferelea su un fianco, con l’africana che si faceva leccare la vagina da Marduk mentre questi possedeva l’informatrice. Fu in quella posizione che Marduk godette di nuovo.
La notte era ormai al suo apice, anche oltre.
La stanza odorava di sesso, di loro tre, un aroma muschiato, unione dei loro umori, quasi fosse stato un patto tra loro, una magia che nessun altro poteva comprendere o presagire. Marduk fece violenza a sé stesso per alzarsi. Peer strapparsi al torpore.
-Se Saida ci trova qui, probabilmente farà storie.-, disse. Hawo scosse il capo.
-Non farà storie, ma se restate… potrei considerare un terzo giro…-, avvisò, seria.
-Cosa anche peggiore, potrei accettare.-, ammise Marduk.
-Oh, no… io ho raggiunto il limte, ho bisogno di un letto, e una doccia, o entrambi…-, riconobbe Ferelea alzandosi piano. Baciò castamente Marduk e Hawo a mo’ di ringraziamento. Si rivestì in modo disinvolto. Gettò appena uno sguardo all’uomo, come un promemoria di quel che avevano detto prima che quella meravigliosa esperienza di sesso a tre iniziasse. Lui annuì. Ferelea non disse altro. Uscì chiudendo la porta.
Marduk sospirò. Avrebbe voluto uscire ma dopo due orgasmi si sentiva svuotato.
Hawo lo fissò, desiderosa, sì, ma anche lei consapevole che non potevano privarsi del sonno, non ulteriormente, almeno.
Fu senza parlare che si sdraiò nuovamente accanto ad Hawo e chiuse gli occhi, avvinghiato alla nera.
Saida gemette. La scena a cui aveva assistito era stata qualcosa di notevole, ben oltre la sua immaginazione. Hawo aveva svolto il suo ruolo molto meglio delle sue più rosee previsioni.
La sensazione di eccitazione che provava ancora, nonostante si fosse toccata piano, sapientemente, arrivando all’orgasmo con il terzetto visto tramite la pittocamera sul muro era una languida tentazione a darsi nuovamente piacere, un invito all’abbandono che respinse non senza un certo dispiacere.
Sua sorella era fortunata, rispetto a lei: per Hawo il sesso era un piacere e un’arma, ma per Saida era sempre stato una variabile di difficile controllo. Non perché non sapesse dosarsi, anzi, piuttosto per la consapevolezza di dover essere lucida, di dover mantenere il mordente che sua sorella non riusciva ad avere, anche quando avrebbe voluto l’opposto.
Mentre aveva assistito alle evoluzioni del trio, Saida si era fugacemente chiesta se fosse stato il caso di salire e provare a unirsi, ma aveva optato per non farlo: Hawo era stata capace di focalizzare quel desiderio su di sé, ma per caso, la comparsa di sua sorella avrebbe dato adito a ipotesi, inoltre c’erano i feriti da guardare (e Saida non si sarebbe mai perdonata se fosse stata assente al loro risveglio.).
Tornando con la mente ai dettagli operativi, l’africana si concesse di riflettere sulla situazione:
Hawo era stata capace di guadagnarsi una certa fiducia da parte di Ferelea, come nei suoi piani. L’emula del Kelreas (perché era evidente a giudicare dal suo vestiario che a quelle Amazzoni s’ispirasse) non si era sbottonata troppo, ma ora sua sorella aveva avuto modo di entrare in intimità con lei, e con Marduk allo stesso tempo.
Forgiando un possibile legame. Ma non era Marduk a preoccupare Saida: la sua lealtà e onestà erano pressoché sicure, anche e soprattutto grazie ai passati eventi (e se fosse servito, lei avrebbe comunque potuto lavorare per rinforzare quel vincolo).
Purtroppo Ferelea rimaneva enigmatica. Con gli agganci che aveva poteva costituire comunque una pericolosa infiltrazione nella loro cellula.
Il solo modo per poterla contrastare era infilitrare la sua rete (quale che fosse), cercare di anticipare le sue mosse, un gioco di specchi non dissimile dal Kaish, gli antichi Scacchi.
“Lei ha mosso la sua regina, io ora muovo il mio pedone e sembra proprio che sia arrivato discretamente avanti…”, pensò l’africana mentre passava alle pittocamere del corridoio dopo aver visto Marduk e Hawo assopirsi. Ferelea entrò in camera sua, sul viso un’espressione di fugace piacere, evidentemente ancora assorta dal ricordo dell’amplesso.
Nella camera di Ferelea non c’erano micropittocamere come in quella di Hawo, ma Saida si era premurata di piazzarvi dei dispositivi d’ascolto. Niente immagini, solo sonoro.
Se Ferelea fosse stata al servizio di qualcuno, lei l’avrebbe sentita chiamare.
Appena sentì la porta aprirsi, si mise in attesa. Fruscio di vesti. L’informatrice si stava spogliando. Per dormire? Era decisamente tardi e anche Saida stessa accusava la stanchezza. Si fece forza. Non poteva cedere.
Lo scroscio dell’acqua di una cabina-balineum cancellò altri rumori.
Saida imprecò. Era una cosa che Ferelea aveva fatto senza pensare o una manovra per evitare intercettazioni?! Non poteva certo chiederlo!
Si sforzò di ragionare. Dopo l’amplesso con Marduk e Hawo era comprensibile che Ferelea volesse darsi una ripulita, d’altronde la doccia doveva essere rapida se quella donna avesse voluto dormire…
Rapida. La doccia doveva essere rapida. Era il solo modo in cui un ascoltatore casuale non si sarebbe accorto della sua manovra. Appena entrata nella stanza, Ferelea aveva dato inizio alla fase due del piano. Scopare con Hawo (e a sorpresa con Marduk) era stato un abile cedimento alle lusinghe dell’africana, un piacevolissimo modo per guadagnarsi la sua fiducia.
Ma se Hawo poteva essere tratta in inganno, sua sorella pareva di ben altro genere.
Con lei s’imponeva prudenza. Ferelea uscì sul terrazzino, avendo cura di non fare alcun rumore nell’aprire la portafinestra. Si guardò attorno. Niente camere.
Almeno, nulla che poteva venir rilevato dallo scanner sul palmare. Tre dispositivi di ascolto. All’interno. L’informatrice sorrise. Furba, Saida. Molto furba.
Ma non a sufficienza per lei. Digitò un rapido messaggio sulla tastiera del palmare.
Il suo contatto, l’enigmatica figura in nero rispose pochi istanti dopo. A Ferelea parve fosse stata in attesa di un suo segno. Ottimo: tutto secondo i piani. Rientrò. S’infilò sotto la doccia.
Si lavò, chiuse l’acqua e si asciugò stendendosi infine a letto.
Saida sospirò. Una doccia breve, come ci si poteva aspettare da una donna desiderosa di una rapida ripulita e un sonno ristoratore. “Non prova nulla, e non esclude nulla.”, pensò, stizzita.
Doveva attendere che Ferelea svelasse qualche altro dettaglio.
Forse facendola parlare… Avrebbe dovuto organizzarsi con Hawo.
Spostò la visuale su di lei e Marduk, addormentati l’una nelle braccia dell’altro.
Provò una punta d’invidia e gelosia. S’impose di evitare quel sentimentalismo.
Eppure, per un istante lo ammise, avrebbe voluto essere al posto di sua sorella.
La figura in nero annuì. Tutto secondo i piani.
Ferelea non sarebbe riuscita a dissipare presto eventuali sospetti su di sé, ma era sicuro che un’apertura se l’era creata. Un’apertura sorprendentemente piacevole, peraltro.
La figura ripensò all’orgasmo avuto. Era passato molto tempo dall’ultima volta che aveva goduto a quel modo, ed era stato ben prima che si consacrasse interamente alla sua missione. Considerava l’astinenza come una forma di sacrificio. Il suo personale, in vista della riuscita dei suoi piani.
Il messaggio era semplicissimo. Conteneva tutti i dettagli richiesti.
Dove trovare Minah Ahn. Città e indirizzo. La figura sorrise. Spettro solitario nella notte.
Aveva ancora molta strada da fare prima di dormire.
Il mattino seguente, Gannicus aprì gli occhi. Era l’alba o pressappoco. Si sentiva uno straccio.
Era sdraiato su un letto imbottito, un letto da ospedale in quella che pareva una camera ospedaliera. Aveva una flebo nel braccio sinistro e alcune ferite di minore entità erano bendate. Graffi e poco altro. Nulla di serio, ma aveva contribuito a stenderlo.
Si mosse debolmente. Ricordava. La tortura, la fuga…
Era riuscito a contattare il suo comando… poi era svenuto.
Collassato, forse era il termine più esatto… Prese conscienza di essere avvolto in una vestaglia da ospedale. Si sentiva debole e aveva freddo. Febbre. Era solo febbre.
Ma stava molto meglio di quando aveva incontrato i due Praefectii. Si doveva riprendere, altro che no. Cercò di raggiungere il pulsante per chiamare il personale della struttura.
Riuscì a pigiare il pulsante. Una donna con la tenuta da apotecaria e i capelli castani accorse.
-È sveglio! Bene.-, disse, evidentemente sollevata.
-Dove sono?-, chiese Gannicus. Sentiva la voce arrochita.
-Castra Maltaera Augusta.-, disse la donna. Lui annuì. Era piuttosto distante dalla zona dov’era svenuto. Però era ragionevole: era una struttura sicura, gestita dai servizi segreti e base di un distaccamento delle forze di sicurezza della Confederatio.
-Io… devo contattare il comandante Ignatius Glavio Subrio…-, mormorò Gannicus. La donna gli allungò dell’acqua. Bevve. Solo il cielo sapeva quanto gli parve celestiale potersi dissetare!
-Non sarà necessario. Il comandante Ignatius è già presente sul posto.-, disse la donna.
Non ci volle molto perché l’uomo entrasse. Ignatius era un uomo dal portamento fiero, l’incarnazione dei principi per cui Gannicus si batteva.
I capelli grigi erano pettinati in modo impeccabile e il viso aveva zigomi alti, volitivo e fiero, con una barba ben curata che lasciava orgogliosamente scoperta una cicatrice ricevuta in azione, anni prima. Il fisico era quello di un uomo comunque che non aveva ceduto ai piaceri della vita pacifica, un puro insomma. Almeno, quella era l’immagine che ne aveva Gannicus.
-Come ti senti, agente?-, chiese. Gannicus sorrise, debolmente.
-Abbastanza uno straccio, signore. Ma uno straccio può sempre far pulizia. E qui ce n’è pareccia da fare.-, disse. Sul viso di Ignatius Glavio Subrio si dipinse un sorriso.
-Esattamente la risposta che mi aspettavo, Gannicus. Ottimo. E non temere: non rimarrai deluso. La pulizia non basta mai, non finisce mai.-, disse mentre gettava un’occhiata all’ausiliaria dell’Apotecarion.
-Temperatura corporea appena fuori norma, ma non critica. Lesioni minori in via di guarigione e, stando alle analisi del laboratorio, nessun virus o malattia contratta o soggiacente.-, riportò lei. Gannicus tirò un sospiro di sollievo che non si curò di nascondere.
-Quei selvaggi te ne hanno fatte passare parecchie, eh?-, chiese Ignatius.
-Mi hanno oltraggiato!-, esclamò l’uomo. La rabbia gli infondeva nuove energie. Insperate.
Si rizzò a sedere. -Chiedo umilmente di rientrare in azione, con un gruppo di elementi di livello Sica. Li condurrò alla posizione nemica e la annienteremo.-.
-E tu sei certo, matematicamente certo di sapere dove si trova la base nemica?-, chiese l’ufficiale. Gannicus tacque, pensoso. La sua memoria era frammentata in tal senso. Non poteva dire di sapere con esattezza dove fosse il posto dove l’avevano rinchiuso.
-È normale essere confusi, specie dopo quello che hai attraversato.-, commentò Ignatius.
L’agente chinò il capo. Merda, non poteva semplicemente lasciare che andasse così!
Quel bastardo di Marduk doveva pagare! Quella troia che lo aveva interrogato doveva pagare!
Tutti dovevano pagare!!
-Domine…-, iniziò Gannicus rivolgendosi a Ignatius con il tono supplice di chi sa di starsi vedendo strappata di mano l’unica possiblità di rivalsa. Lo sguardo di Ignatius s’indurì.
-Non siamo in grado di colpire l’Unio Africae perché non possiamo metterci a cercare una base che potrebbe già essere stata abbandonata, e abbiamo già troppe risorse disperse in questa zona, e il Praetorius di Madinea Nictia ha richiesto di dislocare altre squadre per contrastare la minaccia di infiltrazioni esterne per impiegare risorse in una caccia futile. Ma d’altro canto, non ci servirà farlo. Ho un contatto. Ti recherai ad Aquae Sulis.-, disse Ignatius. Era il suono di un ordine. Tassativo. Il tono di chi non ammette repliche.
-Signore… Cosa c’è ad Aquae Sulis?-, chiese, titubante. Si rendeva conto che fare storie non sarebbe stato un comportamento dignitoso, ma gli piaceva credere che se il suo ufficiale comandante avesse un buon motivo per ignorare la presenza dell’Unio Africae in zona.
-Minah Ahn, Gannicus. È lì. Abbiamo ottime informazioni che ne confermano la presenza. Stavolta agiremo con dicrezione. Tu, da solo. Sempre se sei in grado di alzarti.-, disse l’uomo.
Gannicus si alzò a sedere, poi scese dal lettto, strappandosi dal braccio la flebo.
-Operativo, domine.-, disse con un sorriso carico d’energia e brama di vendetta.
Sapeva che ad Aquae Sulis avrebbe avuto modo di trovare anche i suoi nemici.
Il Celeste osservava l’alba. Era un giorno nuovo. Lo accoglieva lì, su quella terrazza, in vista del sole nascente. Respirò piano.
Eseguì piano i piegamenti di Qigong. Lentamente, con riverente solennità.
Proseguî nell’esecuzione di una forma di Tai-Chi, l’antica arte marziale di Chin, sopravvissuta persino al Cataclisma. Quella era la vera forza del suo popolo: riuscire a traghettare quelle sapienze e quei valori attraverso i secoli. Creare il filo che legava lui ai suoi avi, una generazione alla volta. Era qualcosa che i suoi nemici non capivano del tutto, l’aveva visto.
I licanei non erano privi di attaccamento alle loro tradizioni, ma si dividevano in due rami distinti, il primo che stava lentamente discostandosi dalle sue tradizioni e i secondo che le venerava tanto ferocemente da averne ormai una veduta totalmente diversa da quel che erano in origine, negando quindi il più grande punto di forza della loro civiltà: la capacità di assimilare altri usi e costumi e avvantaggiarsene.
Era quella capacità che aveva reso grande Licanes, il Celeste lo sapeva perché aveva studiato quella gente. Lo lasciava allibito notare come quella gente avesse rinunciato alla sua più grande risorsa… per cosa poi?
Completò la sequenza di movimenti con un inchino riverente. Aveva finito.
Doveva contattare gli altri. Lie Nu e il suo mercenario.
Aquae Sulis era la prossima tappa del viaggio, il prossimo punto dove si sarebbe combattuta quella guerra occulta.
Pacuvio sospirò. Era da prima dell’alba che erano svegli. Lie Nu si stava applicando per finire di succhiargli le ultime gocce d’erotismo, impalandosi sul sesso dell’uomo.
Era la terza volta consecutiva che lo facevano, ma se inizialmente l’uomo aveva potuto ritenere che l’asiatica fosse stata motivata dal solo desiderio, ora cominciava a intravedere altro. Dietro la sua patina di contegno, Lie Nu ardeva di rabbia.
Verso di lui, certo. Ma anche verso Marduk Atbash, verso Chien Lie, e persino verso il Celeste stesso. Una carica prossima ad esplodere, e che l’avrebbe fatto senza curarsi di gerarchie o protocolli. Sentì le pareti della vulva di Lie stringerlo con forza, quasi un eco della rabbia.
La Chin aumentò il ritmo, sussurrando qualcosa nel suo idioma. Pacuvio sorrise.
Si sarebbe assicurato di essere lontano, quando quella bomba fosse esplosa.
L’asiatica affondò altre due volte il sesso sino alla radice dentro di sé. Quando l’uomo godette, lei urlò di piacere. Un piacere selvaggio, primevo.
Quasi una rivendicazione. Per certi versi, Pacuvio intuiva che scopare con lui per lei doveva essere una sorta di enorme sfottò a tutti quelli che odiava.
Il suono di un messaggio in arrivo lo distolse da altre riflessioni. Lie si staccò da lui e scese dal letto, senza neppure fermarsi a raccattare un vestito.
Poche brevi frasi in lingua chin fecero capire al mercenario che la ricreazione era finita.
“Era ora!”, pensò con un sogghigno.
-Aquae Sulis.-, disse Chien Lie. La squadra era di tre elementi. Gente proveniente dal vicino oriente. Uomini non connessi con Chin, apparentemente, almeno.
-Siamo pronti, signore.-, disse il caposquadra, già informato di tutti i dettagli necessari.
Chien annuì. Capaci, determinati. In una parola, ottima carne da cannone a poco prezzo.
-Allora prepararsi alla partenza.-, ordinò l’uomo.
Se avesse messo le mani su Minah Ahn sarebbe stato difficile, se non impossibile per i suoi superiori evitare di abbassarsi a contrattare la loro sottomissione con lui.
E parimenti, anche il comando di Licanes avrebbe dovuto accettare le sue condizioni.
Certo, avrebbero potuto provare a prendersela con la forza ma… Avrebbero fallito.
Se ne sarebbe assicurato. Ma prima, doveva catturare quella donna.
La prima squadra si era mossa. La seconda si sarebbe mossa subito dopo. Altri sicari prezzolati, comandati da Yun Hi, uno dei suoi sottoposti diretti, nonché un 214, un grado sottoposto al suo nella gerarchia della Triade.
Un’altra assicurazion che il lavoro venisse svolto.
Per maggior sicurezza, si sarebbe mosso anche lui. Comunicò il tutto anche al suo demone privato, quella figura in nero che l’aveva salvato dal tradimento di Xie Ji e dalle macchinazioni del Celeste. Con sua sorpresa, sapeva già dov’erano diretti.
“Come fa?! Chi è?!”, si chiese per l’ennesima volta. E per l’ennesima volta non ebbe risposte.
Era possibile che quell’individuo appartenesse a una rete di spionaggio interamente slegata sia da Licanes che da Chin? Era possibile che operasse da solo? Che razza di folle era?
Un folle pericolosamente abile, capace come nessun’altro che lui avesse mai veduto.
Si domandò fugacemente se un uomo simile fosse stato disposto a passare alle sue dipendenze. Con un elemento del genere al suo fianco, sarebbe stato inarrestabile.
Però la verità era ben diversa: era lui ad essere alle dipendenze di quell’enigmatico figuro!
Quell’essere l’aveva in suo potere. E da qui, la logica domanda.
“Chi altri ha in pugno?”, si chiese Chien Lie. Non trovò risposta, di nuovo.
Un’individuo del genere doveva avere dei supporti, fornitori, nascondigli, un’identità, qualcosa. Si premunì di cercare qualche traccia riconducibile anche solo alla lontana alla provenienza degli indumenti di quell’uomo.
Sarebbe stato meglio un capello, un impronta digitale, ma era impossibile: calzava guanti neri, in materiale gommoso e la cappa che gli copriva il viso non pareva minimamente in grado di permettere al benché minimo pelo o capello di sfuggire.
Eppure, era pursempre un essere umano, no?
-I tuoi ordini sono chiari, Licius?-, chiese Ignatius.
-Sissignore.-, disse l’uomo. Non aveva realmente modo di rifiutare, ma il suo superiore evidentemente amava ribadire la propria autorità. Tecnicamente Ignatius non era il suo capo, ma gli doveva ugualmente obbedienza. Doveri, legami tra branche dello stesso Servizio. Degli Oculia Licanei. I Servizi della Confederatio.
-Spero lo siano. Gannicus è un ottimo agente, e tu ti assicurerai che tutto fili liscio. Deludimi e non sarò clemente.-, concluse l’uomo chiudendo il collegamento. Licius sospirò.
Marduk si era svegliato relativamente fresco, anche se Hawo, fedele a sé stessa e al suo stile, non si era certo risparmiata dall’estorcergli un ultimo piacevolissimo amplesso tra le coltri del letto in cui si erano addormentati.
Tuttavia, l’espressione di Saida era tutt’altro che ottimista.
-Spero abbiate dormito bene.-, disse l’africana senza lasciar comprendere se avesse capito cos’era successo tra sua sorella e i due ospiti della struttura la notte prima.
-Ottimamente, grazie.-, sorrise Hawo arrivando pochi istanti dopo Marduk.
-Bene, perché a parte l’ottima ripresa di Leontiné e Tacho, siamo in un vicolo cieco.-, sospirò l’altra, sconfortata, -Ho cercato riferimenti ovunque, ma niente. Nessuna informazione. V.A.M. 31 non figura da nessuna parte.-.
-Allora dobbiamo muoverci ad andarcene. I servizi di Licanes sapranno dove siamo!-, esclamò Hawo. Intanto, assistita da un altro nero, stava aiutando Leontiné a uscire, insieme a Tacho. Marduk aiutò l’africano a salire su uno dei mezzi. Lo spazio era sufficiente.
-Ci recheremo a Nictia. Da lì salperemo per Nova Tripolia.-, dichiarò, -E poi ci riorganizzeremo.-.
-Tradiresti i tuoi servizi?-, chiese Saida, fissandolo. Lui annuì, convinto.
-Hanno smesso di esserlo. Da molto. E se V.A.M 31 é…-, fu interrotto da una voce.
-Il più grande colpo di genio che io abbia mai visto!-, esclamò Ferelea irrompendo sulla scena. Camminava senza curarsi del rumore che faceva, le vesti da amazzone lasciate in favore di un vestiario più anonimo, quello che aveva indossato la sera prima.
Tutti la fissarono. L’informatrice sorrise.
-V.A.M. 31. Via Aplueca Misniaca 31.-, disse.
-Impossibile.-, replicò Saida, -Quella via arriva sino al numero venti.-.
-Come diverse altre, è stata cambiata quando la città è stata presa dalle forze di Aristarda Nera durante la Guerra Civile Licanea. Il Generale Asulio Vancadio Placido ha voluto creare nuove vie, cambiare nomi. Ho dovuto verificare con gli archivi storici tramite palmare, ma ne ho la certezza. È Via Aplueca Misniaca 31.-, spiegò Ferelea, assolutamente sicura. Il suo sorriso non accennava a sparire. Saida rifletté. E infine annuì.
-Intuizione notevole.-, riconobbe con modestia, -Non avrei potuto saperlo: non ho accesso agli archivi di Licanes nell’ambito della Guerra Civile.-.
-Procediamo. Charle condurrà Tacho e Leontiné a Nictia. Noi andremo verso Aquae Sulis.-, decretò Hawo. Marduk annuì.
Ferelea annuì a sua volta. Era fatta. Ovviamente quelle informazioni le aveva avute dalla figura in nero. Quell’individuo pareva sempre un passo avanti a tutti.
Minah Ahn era stata scaltra. Nessuno avrebbe potuto ricordare quel dettaglio, o aspettarsi che lei ne fosse a conoscenza. E di fatto, la domanda che sorgeva era, come poteva quella fuggiasca sapere? Evidentemente qualcuno le aveva suggerito una tale nozione.
Ferelea aveva delle ipotesi. Aveva anche una certezza. I piani continuavano. Immutati.
Gannicus si mosse rapidamente. Arrivò ad Aquae Sulis tre ore dopo.
-Sei tu l’agente?-, chiese un uomo giunto ad accoglierlo appena arrivò in zona.
Gannicus annuì. Si conoscevano bene.
-Licius, brutto bastardo!-, sbraitò con una gioia appena celata.
-Proprio io! Ho sentito dire che ti hanno conciato male.-, rispose l’altro con un ghigno.
-Non abbastanza da fermarmi!-, esclamò lui, preferendo sorvolare sui dettagli.
Erano all’interno della casa sicura che l’Oculia Licanei aveva in zona. Piccola, modesta, ma accessoriata di tutto punto. Incluse le armi.
-Immagino tu sappia dove devi recarti, vero?-, chiese. L’agente annuì.
-Ecco qui! Fucile Exitus calibro 22. Proiettile solido, ottimo potere di penetrazione anche sulle lunghe distanze. La posizione di tiro è segnata su questa mappa, ma non avrai problemi a raggiungerla. L’ordine è un colpo preciso, al collo. Letale, mi raccomando.-, disse Licius.
-Atbash e i suoi se lo aspetteranno.-, disse Gannicus.
-Atbash e i suoi non potranno impedirlo. L’Unio Africae ci ha pestato i piedi una volta di troppo.-, decretò l’altro.
-Quindi un singolo colpo al collo. Letale. Poi attendo che si muovano.-, riassunse l’operativo.
-Esatto. Il bersaglio è indifferente a patto che non sia la Ahn. Poi faremo intervenire gli operativi di livello Sigma. Gente ben addestrata. Tre squadre da sei elementi, convergenza sull’obiettivo. Quando li vedranno, sarà tardi. Finirà in fretta. E la Ahn sarà in mano nostra. Come doveva già essere.-, chiarì Licius.
-Ovviamente, signore.-, disse Gannicus con un cenno di assenso mentre verificava rapidamente lo scorrimento dell’otturatore del fucile e la resistenza delle varie parti. Annuì. Era un’ottima arma. Non poteva essere altrimenti: era fatta da licanei per licanei.
Si preparò a portarsi in posizione mentre studiava la mappa. Il tiro era complesso, ma non impossibile. E non serviva neppure selezionare il bersaglio più di tanto…
Un epilogo lieto per una caccia che si era protratta sin troppo.
Pacuvio e Lie Nu arrivarono ad Aquae Sulis sul finire del mattino. Tendere un imboscata a Marduk avrebbe richiesto troppo tempo, così avevano monitorato le comunicazioni. Scoprire che una squadra di operativi licanei era stata dirottata in zona richiese poco o nessuno sforzo.
Il piano era semplice: seguire la squadra nemica.
Gli operativi di Chien Lie entrarono a scaglioni ad Aquae Sulis.
Non furono fermati, di fatto viaggiavano sotto falso nome. Erano quasi inarrestabili.
Le armi non erano un problema: furono recapitate all’interno della città in punti prefissati.
Tutti loro conoscevano il piano.
E tutti loro erano bellamente ignari delle variabili di quella situazione.
La figura in nero entrò. I codici di sicurezza della casa sicura dei servizi di Licanes non erano una barriera. Licius si trovò davanti quella visione quando scese all’ingresso, armato.
-No, Licius. Oggi non conviene che tu spari a qualcuno. Conviene che tu te ne vada. Alla svelta. Prima che l’uragano ti divori.-, disse la figura.
-Che cazzo vuoi dire?!-, chiese lui, alzando la pistola. La figura sparò. Due colpi.
Dardi tranquillanti. Licius andò giù a piombo. La figura lo superò. Aprì l’armeria.
C’era parecchia roba lì. E molta sarebbe servita. Presto. Sorrise sotto la maschera.
La sua vera missione era appena iniziata.
Lie Nu espirò piano. Ricordò il viso di Marduk. Vendetta. Era tempo che si prendesse la sua vendetta. Sorrise. Il Celeste aveva ben chiarito che il loro compito era acquisire Minah Ahn.
Essendo che erano in due, e che la squadra in supporto del Celeste sarebbe arrivata solo in seguito, il loro piano era divenuto molto, molto più semplice e molto più rischioso:
Colpire i Licanei e prendere la Ahn alla prima utile, appena gli altri si fossero scannati tra loro.
Marduk espirò piano. Aquae Sulis era tutt’altro che un paradiso.
Era una delle città più vecchie della Confederatio, fondata da Simone Nero e di fatto sviluppatasi durante la Guerra Civile. Aveva subito gli attacchi delle forze di Aristarda Nera e di Calus, finendo col venire strappata a quest’ultimo durante i moti che avevano visto la sua cacciata da Roma. Da allora, la città aveva cominciato a perdere la sua importanza: i poli produttivi erano distanti, quelli economici erano in discreta dissoluzione, rimpiazzati da nuove metropoli e a livello sociale si percepiva il disagio e lo sconforto.
Aquae Sulis stava morendo. Come città era divenuta anonima, aveva perso qualunque distinzione ci fosse mai stata tra sé e le altre città dell’Impero. Era una metropoli priva di nome, con una storia dappoco e senza prospettive per il futuro.
Un buon posto per la Ahn considerando che comunque la sua popolazione era maggiore rispetto a quella di Raumaillia. Hawo frenò il mezzo.
-Prefectii.-, disse.
-Lascia fare a me.-, fece Ferelea. Quando il posto di blocco all’ingresso della città li fece fermare, l’Informatrice scese. Parlò brevemente con il capo posto.
Gli consegnô qualcosa. Marduk non vide cosa. Rientrò in auto dopo minuti di tensione.
-Procedete pure.-, fece l’ufficiale. Hawo avanzò, cautamente.
Quando finalmente i Prefectii furono alle loro spalle, Saida si sporse verso Ferelea.
-Che gli hai detto?-, chiese.
-Poco. Ma sai, i soldi rendono tutto molto più facile, specie per chi ha paghe da fame e poca o nessuna possibilità di migliorare le cose.-, spiegò l’informatrice.
-Con gente simile, mi sorprende che i nostri siano costretti alla macchia.-, commentò Hawo.
-Non è così dappertutto.-, interloquì Marduk, -Qui è così perché è personale abituato alla Pax Licanea e totalmente asservito alla routine. In altre zone non sono così fiacchi o corruttibili.-.
Il silenzio avvolse il gruppo mentre procedevano.
La squadra di Chien, la prima delle due era composta da sei uomini. Gente capace.
Furono discreti: sfruttarono le informazioni per avvicinarsi alla posizione di una delle squadre Sigma di Licanes.
Colpire era facile, ma loro non erano degli sprovveduti: intendevano muoversi con cautela.
Ingaggiare uno scontro a fuoco non avrebbe fatto altro che allertare tutti. Invece la squadra si disperse. A coppie di due uomini, presero posizione in tre diversi edifici, sequestrando gli abitanti e posizionandosi alle finestre, coprendo punti di tiro. La prima squadra era pronta.
La seconda stava giungendo a marce forzate. Chien Lie li avrebbe seguiti a breve.
Era perfetto. Semplicemente perfetto.
Gannicus sospirò. Era in posizione. Aveva il bersaglio sotto tiro.
Nessun assistente. Un tiro difficile, sì, ma non impossibile.
Era disteso, l’arma appoggiata su un bipiede e il mirino puntato alla finestra del locale.
Tiro di precisione da cinquecento metri, in condizioni serene e con poco vento.
Si accorse di un’anomalia: alla finestra di uno degli altri edifici… un bagliore.
Cecchino? Un gruppo rivale? Mirò all’uomo. Il mirino della sua arma era antiriflesso, niente lampi. L’ideale per colpire senza essere visto.
Valutò. Sparare? Era un rischio. Ma decise dopo tre battiti di cuore. No. Non stava a lui.
-Squadre Sigma Sica e Retia, avete possibili contatti nemici in un edificio. Sicuramente almeno un tiratore, terzo piano. A nordest della vostra posizione, sul vettore d’avvicinamento all’obiettivo.-, riferì.
-Ricevuto.-, rispose l’uomo, -Provvediamo.-.
Le squadre Sigma erano abili. La loro specialità era il combattimento in ambienti urbani.
La squadra Sica si mosse senza quasi bisogno di coordinarsi vocalmente.
Irruzione metodica in edificio. I civili si buttarono a terra, implorarono.
I nemici rimasero in piedi. La squadra Sica non si fermò, non rallentò.
Abbatté metodicamente i nemici. Colpi ad altezza uomo. Armi silenziate.
Inutile cercare di capire chi fossero quegli uomini: non stava a loro farlo.
La Sica fu nuovamente in movimento dopo dieci minuti.
Gli altri membri della squadra erano pericolosamente inquieti. Nessun contatto con i loro compagni. Non ci voleva un genio per capire che qualcosa era andato storto, ma Sezaj, il loro capo, non esitò. Esortò i suoi alla cautela. Avevano ancora due basi di fuoco su tre.
-Procedere con il piano. Al primo movimento di squadre nemiche, fuoco su tutti i bersagli nemici in zona. Salvo la Ahn.-, ordinò, secco.
Gannicus sorrise. Era stato facile. Era tutt’uno con la sua arma. Vide un mezzo fermarsi poco distante. Inquadrò Marduk e la troia nera che lo aveva torturato. Si scoprì indeciso.
Una parte di lui avrebbe voluto che fosse stata lei al centro del bersaglio. O magari l’altra, quella che sembrava la sua copia.
Sparare a Marduk sarebbe stato giusto, ma nonostante tutto quell’agente era abile, capace.
Era un barbaro, ma tutto sommato, sulle sue capacità non c’era da equivocare. Sottovalutarlo non era un errore che intendeva ripetere. Per questo, forse avrebbe dovuto sparare a lui.
-Dunque… chi di voi, figli di puttana?-, chiese a nessuno in particolare. Aveva spento il mic.
Non sarebbe servito: il suo primo colpo avrebbe sancito l’entrata in scena delle altre squadre.
-Proprio nessuno.-, disse una voce. Quella voce! Gannicus fece per girarsi.
La pressione di un tessuto intriso di un liquido dall’odore medico e penetrante sul viso e il peso di un corpo sulla schiena gli impedirono qualunque reazione. Si sforzò di non respirare ma scivolò nell’oblio quando la mistura fece effetto.
Il suo ultimo pensiero fu che era stato fregato, di nuovo.
La fgiura in nero spostò rapidamente Gannicus, togliendogli l’auricolare.
Prese il suo posto al fucile. Osservò Marduk e i suoi entrare nell’edificio.
Puntò alla finestra. Doveva solo aspettare.
Inquadrò la figura della Ahn sporgersi per un istante. Sorrise. Poi la vide voltarsi, di scatto.
“Cominciano le danze!”, pensò.
-Minah? Sono Marduk!-, esclamò l’uomo. Si trovò a fissare una porta socchiusa al secondo piano di quella insula decrepita. Un pertugio da cui faceva capolino la bocca di una pistola, e un viso. Quello di Minah Ahn. Strigeva la pistola spasmodicamente.
-Marduk… non sei da solo.-, disse Minah. Si accorse di tremare.
-No. Loro sono Saida e Hawo, Unio Africae. E con me c’è Ferelea, un’informatrice. Possiamo farti uscire dal paese. Possiamo aiutarti, d’accordo?-, chiese lui.
-E lo farete così, per bontà di spirito?-, domandò la Ahn. Era esausta. Notti e giorni di tensione le avevano chiuso lo stomaco, l’avevano vista dormire poco e niente. Era veramente esausta.
Lo specchio quella mattina le aveva reso l’immagine di una donna in fuga, un viso non suo che pareva aver varcato i limiti più estremi.
-L’Unio Africae non ha interesse a catturarti o usarti. Vogliamo solo parlare. Poi Marduk potrà organizzare la tua fuga.-, disse una voce. Apparteneva ad un’africana a giudicare dal timbro. Si mosse appena dietro Marduk, mostrando un viso piacevole, dalla pelle scura e capelli che parevano una criniera.
-Oppure puoi restare lì, e aspettare che qualcun altro ti raggiunga. Qualcuno meno gentile.-, chiarì l’ultima voce. Accento licaneo, una spruzzata di accento del… kelreas? No. Un’imitazione. Minah sospirò. Arrendersi. Posare le armi, smettere di fuggire.
Nel nome degli déi, quanto era stanca!
-Venite avanti.-, ordinò, -Mani alzate e niente scherzi.-.
Marduk eseguì. Varcò la porta aperta. Minah lo fissò. Era palesemente stravolta. La fuga l’aveva logorata. La giovane che aveva soccorso era divenuta lo spettro di sé stessa.
La pistola era ancora puntata su di lui. S’impose di ignorare la minaccia. Sentiva che Minah non gli avrebbe sparato. Non perché lui fosse speciale, ma perché lei sapeva di non avere più opzioni. Poteva leggere sul suo viso la stanchezza, la determinazione ormai ridotta al lumicino. Era disperata. Davvero disperata. Aveva bisogno di tregua, di sicurezza.
Tutte cose che Marduk poteva offrirle, se lei le avesse accettate.
-Non era previsto che venissero anche loro…-, disse Minah, diffidente.
Hawo e Saida non parlarono. Ferelea tossicchiò, quasi educatamente.
-Onestamente credo che loro, e la sottoscritta, siano la tua migliore possibilità di uscire viva dai confini della Confederatio…-, commentò con garbo.
-Come ho già detto, non lo farai di certo per bontà di spirito.-, disse la Ahn.
Marduk s’intromise.
-Saida ha già detto che vuole solo parlare con te. Io non ho nessun motivo di consegnarti ai Servizi di Licanes, né ad altri. E Ferelea non è interessata a trattenerti.-, chiarì.
-Perché?-, chiese Minah, -Nella mia mente ci sono cose… conoscenze che non dovrebbero esistere.-, mormorò. La pistola si abbassò di qualche micron.
-Perché sei una donna, prima di tutto. Un’essere umano. E perché ti stai distruggendo.-, disse lui. Saida annuì, piano.
-Ha ragione. Se anche i Servizi di Licanes non ti trovano, come speri di riuscire a continuare a vivere così?-, chiese. Minah annuì. Abbassò la pistola. Mise la sicura.
-E tu vorresti solo parlarmi?-, chiese rivolta alla nera. L’africana annuì.
-So di quello che facevate. Tu e i tuoi compagni. Un’unità di ricerca sovranazionale. Chin e Licanes unite da un patto di mutua deterrenza. Armi sviluppate da voi. Da te e dal tuo gruppo, Minah.-, ricapitolò.
-Ferelea, è vero?-, chiese Marduk. L’informatrice lo guardò, il dispiacere scolpito sul viso.
-Non potevo dirtelo, Marduk. Avresti potuto rifiutare. Non potevo dirti tutto. E non volevo neanche consegnare Minah ai Licanei, o ai Chin.-, confessò infine.
-Ma Licius mi ha ingaggiato per questo.-, disse Marduk.
-Licius è un galoppino. Un garzone di bottega mandato a incassare i sospesi. Un mero ingranaggio. Altri sono più in alto di lui, nella scala. E lui non si rende conto di quanto la loro pazienza sia prossima alla fine. Il progetto congiunto di deterrenza avrebbe dovuto garantire l’equilibrio.-, disse Ferelea.
-Dove si è inceppato il meccanismo?-, chiese l’agente. Anche Saida e Hawo ascoltavano.
-Insula Renascentia, Sarmatia inferiore.-, disse Minah, -Il sito dei test.-.
-Test… Su cavie umane?-, chiese Hawo, timorosa della risposta.
-Anche. Abbiamo sperimentato su condannati a morte, prigionieri destinati all’esecuzione. I risultati… Sono stati notevoli.-, disse Minah. Non c’era fierezza nelle sue parole, piuttosto un rimpianto profondissimo, inconsolabile e indimenticabile. Il rimpianto di chi aveva perso la sua umanità.
-Cos’avete creato? Roba come il virus usato durante la Guerra Civile Licanea da Actio Rubio? La nostra gente non dimentica l’orrore che fu scatenato. Un virus capace di fagocitare la vita stessa, di scomporla. Ancora se ne tramanda il ricordo.-, incalzò Saida.
-Armi del genere erano solo l’inizio. Altri progetti includevano mutageni, agenti patogeni vari. Era un tale connubio di orrori che la sola idea di scatenarli su una nazione avrebbe fatto impallidire lo stesso Septimo Nero. O magari persino Cao Gong.-, rispose Minah a denti stretti, -Era questo lo scopo, il deterrente finale. Licanes e Chin avrebbero accettato la pace sotto la minaccia dell’estinzione finale.-.
-È follia!-, esclamò Hawo, -Nessuno sarebbe immune da un simile potere!-.
-Infatti fu affidato ad altri, super partes. A un concilio di Arbites Mundi. Un gruppo scelto di rappresentanti di Chin, Licanes, e altre nazioni. E l’uso di tali armi doveva essere sancito dall’unanimità.-, rivelò Minah. Si mosse lungo la stanza, camminando a larghe falcate, come una fiera in gabbia. Marduk ora poteva capire il suo tormento.
-È per questo che sei fuggita.-, intuì, -La tua coscienza t’impediva di vedere tutto questo come accettabile.-.
-Ed è anche il motivo per cui l’Unio Africae non intende permettere simili orrori di nuovo. Non dopo la catastrofe che annientò la Numisia. Mayra, l’eroina che sopravvisse a quell’eccidio ricordò al mondo intero quali baratri non vanno scoperchiati, quali orrori vanno tenuti lontani dalle mani di chi ne farebbe uso.-, disse Saida. Anche a Marduk ora si chiariva il disegno. L’Unio Africae non avrebbe mai usato quelle armi, ma avrebbe dovuto distruggerle. Per il bene del mondo intero.
-Ma senza quelle armi… che ne sarà della pace?-, osò chiedere Ferelea.
-Riusciremo ad arrivarci senza! Licanes è già riuscita a porre un freno alle guerre.-, rispose Hawo, dura. Marduk annuì. Aveva assolutamente senso.
-Minah… Noi… io devo sapere. Devo sapere dove sono quelle armi.-, disse.
-Le distruggerai, Marduk? Voglio la tua parola. Il tuo impegno solenne a distruggere quell’abominazione!-, la giovane lo fronteggiò a un metro di distanza.
-Lo farò.-, promise solennemente lui. Lei annuì. Si allontanò un istante.
Andò verso la finestra.
-Avevamo davvero creduto di star facendo la giusta scelta. Il male minore per un’era di pace imperitura.-, mormorò.
-La pace non si ottiene con la minaccia dell’annientamento. Non è vera pace, è preparazione ad altri orrori.-, mormorò Saida.
-Sì. Ora lo so. L’ho capito a Clavus Uzbea.-, disse Minah. Si voltò verso di loro, dando la schiena alla finestra.
La figura in nero fissò brevemente in viso Minah Ahn. Aveva l’aria distrutta. Annientata.
Schiacciata dal peso delle sue conoscenze, e delle sue responsabilità.
“Non è più tempo che porti questo peso, sorella”, pensò tributandole un saluto silente.
Mirò. Addome, estremità addominale dell’aorta. Punto difficile da colpire. Anche di più considerando il vento e il margine di errore. “Avrai tempo di parlare. Poco. Poi morirai”.
Espirò piano. Ridusse il battito del cuore a un ritmo minimo. Immobile, come una statua.
Ineluttabile come la fine di tutte le cose. “Fai che le tue ultime parole importino.”
Sparò.
Minah Ahn si volse. Sentì il dolore, un dolore quasi tardivo rispetto alla consapevolezza della pallottola che le entrava nella schiena e la trapassava uscendole dall’addome.
Crollò in avanti. Mani la sostennero. Marduk. Marduk Atbash la adagiò sul pavimento. Altre mani le esposero la ferita, tentarono di tamponare, di arrestare l’inarrestabile.
-Colpo letale.-, sentenziò una voce. Faceva freddo. Un freddo gelido.
-Mar…duk…-, riuscì a dire. Lui la guardò. C’era. Era lì con lei. Per lei.
-Sebater Tigus. Lui… Lui sa dove sono… le formule… Devi…-, disse a fatica.
Faceva male, ma distante. Un dolore non più bruciante, ma sordo. Il cuore batteva lentissimo, a fatica, il respiro a malapena le gonfiava la gabbia toracica.
-Sebater… Lo troverò.-, promise Marduk. Lei si risolse a deglutire per parlare ancora.
-Lui… È fuggito… In Asia…-, mormorò.
Poi il freddo si fece troppo, altre frasi non riuscì neanche a pensarle. Mentre il cuore si fermava, Minah Ahn ebbe un ultima consapevolezza.
Poteva finalmente riposare.
Marduk si sollevò piano. Guardò oltre la finestra. Nessun timore. Era oltre il timore.
Ferelea lo tirò da parte.
-Sei impazzito?-, chiese. Marduk scosse il capo.
-Non sparerà di nuovo.-, disse, -Ha già ucciso chi voleva.-.
-È follia! Perché ucciderla?-, chiese Hawo.
-Ordini folli, per un tempo folle.-, mormorò Ferelea. L’informatrice estrasse il palmare.
-Dobbiamo muoverci ad andarcene. Svalok e i suoi stanno arrivando ma…-.
Passi improvvisi. Da fuori. Rumori di uomini in movimento. Poi tutto esplose.
Le squadre erano tre. Sica e Retia in avvicinamento da nord e est, Pugio in arrivo da ovest.
Manovra pressoché perfetta. I capisquadra non cercarono di contattare Gannicus, non ne avevano motivo. Sapevano quali fossero stati i loro ordini.
I capisquadra commisero l’errore terminale.
La seconda squadra di Chien Lie sparò. Alzo negatvo, emersero dai vicoli, sulla direttrice di Pugio. La reazione dei Licanei fu tardiva. Il fianco della squadra fu investito da colpi laser.
Il caposquadra cercò di disporre una reazione. Troppo tardi. Riuscirono ad abbattere due o tre aggressori prima di venire falciati.
La squadra Retia subì il fuoco di tiratori scelti da due palazzi nella zona. Furono costretti a utilizzare granate fumogene per avvicinarsi agli stabili e fare irruzione. Il supporto di un cecchino alleato garantì loro di liberarsi alla svelta dei nemici, ma questo lascì la Sica da sola.
Aephestus. Il nome di un dio molto antico. Un dio fabbro.
In tempi più recenti il nome di un’arma. Un’arma che pestava come un fabbro.
La definizione nei tempi pre-Cataclisma sarebbe stata mitragliatrice da squadra.
Nei tempi più recenti era Jactator pro suppressio.
Nella mente di Pacuvio Sinodeo i nomi non erano importanti. Importava l’effetto.
Alzò la mitragliatrice. Si piantò sulle gambe. Sparò, sforzandosi di contrastare il rinculo verticale grazie all’impugnatura sotto l’arma.
La Squadra Sica fu strappata dal suolo, disgregata, investita da centinaia di compi solidi che la schiantarono a terra. Pacuvio avanzò estraendo una pistola. Somministrò due rapidi colpi di grazia. Avanzava cauto, ma rapido, verso l’edificio bersaglio della squadra.
Lie Nu, appena dietro, abbatté uno dei Licanei che aveva tentato una reazione, uno sbandato di un’altra squadra. L’asiatica impugnava un fucile modulare prodotto a Wudong.
Il due procedette dritto verso l’obiettivo.
Marduk guidò il gruppo. Raggiunse la porta d’uscita. Non la aprì. Non subito.
-Fuori si è scatenato l’inferno!-, esclamò Hawo. Tutti loro impugnavano le pistole, pur sapendo che non sarebbero davvero servite. Non lì.
C’erano semplicemente troppi nemici.
-Dobbiamo uscire dal retro!-, decretò Marduk.
Gannicus riprese i sensi. Sentiva voci. Voci… sbagliate. Voci che urlavano, Che imprecavano.
Prese l’auricolare. Lo vide dopo un buon cinque minuti. Era stato narcotizzato…
E il suo fucile… Era lì, ma in una posizione diversa. E senza caricatore!
Prese il caricatore. Gli parve più leggero. “Merda!”.
Realizzò cosa poteva essere successo.
-Qui Gannicus, a tutte le unità. Siamo compromessi, ripeto, siamo compromessi!-, sbraitò nell’auricolare-vox.
-Qui Retia, milite Arvus Rego. Signore… sono morti tutti! Io… non capisco… Lei… non rispondeva…-, la voce dell’uomo, forse più di un giovane di venticinque anni al massimo, appariva spezzata, sconvolta.
-Ci hanno fottuti!-, ringhiò Gannicus, -Contatta Licius, o il capo dei Prefectii. Ci servono uomini e ci servono adesso!-.
Pacuvio avanzò lungo la strada. L’intera cittadina pareva un campo di battaglia.
Era da lodare che gli agenti di Licanes avessero preventivamente chiuso le vie d’accesso alla zona operativa. Lui e Lie Nu si mossero, rapidi.
L’asiatica schiumava. Arrivarono all’edificio. Pacuvio fece irruzione, arma in presa media.
Ebbe la visione di un’africana che si voltava nella sua direzione e sparava. Due colpi. Secchi.
Il giubbotto antiproiettile gli permise di restare vivo. Rimbalzò indietro. Lie si sporse per sparare. Altri colpi la costrinsero a desistere.
-Li abbiamo dietro!-, esclamò Hawo, la pistola fumante.
-Lo so!-, ringhiò Marduk. Saida sparò ancora. Due colpi. Munizioni contate.
-Il tuo passaggio?-, chiese Hawo rivolta a Ferelea.
-Sta arrivando!-, esclamò la donna.
Svalok e Lubio erano due elementi degni di fiducia. Avevano infranto il blocco dei Prefectii senza soffermarvisi troppo. L’aver dovuto sparare in testa a uno di loro era stato puramente un danno collaterale.
Svalok pareva fuso ai comandi del mezzo. Il quadrigommato eseguì una curva stretta. La via che gli si aprì davanti parve un campo di battaglia dopo la battaglia.
-Sono dentro l’edificio davanti!-, esclamô Lubio. Afferrò una corta mitraglietta.
-E quelli chi cazzo sono?!-, chiese vedendo due figure vicine alla porta. Una delle due, forse una donna, si voltò alzando un fucile.
-Spara!-, sbottò Svalok. L’altro eseguì. E anche la donna.
Uno, due, tre colpi centrarono Lie Nu. Pacuvio bestemmiò. Sparò verso i nuovi arrivati mentre il loro mezzo girava il palazzo. L’uomo sapeva di aver perso tempo prezioso.
-Marduk! Non finisce qui! Puoi fuggire fino all’inferno, ma ti troverò!-, ringhiò alla volta di Marduk Atbash. Per qualche miracolo infernale, l’uomo rispose.
Voce pacata, chiara, e gravida di dolori ancora a venire. Costrinse Pacuvio a voltarsi.
-L’inferno è in terra.-. Pacuvio vide. Marduk. Arma puntata. Pacuvio sparò.
Marduk anche. Il proiettile del mercenario impattò sulla parete alle spalle di Marduk, appena prima dello stipite della porta.
Quello di Marduk centrò Pacuvio. Spalla destra. Capsula articolare disgregata.
L’urlo del mercenario fu di furore, di rabbia, di dolore. Di perdita.
Il secondo colpo di Marduk lo colse al collo. Colpo letale. L’ultima cosa che Pacuvio vide cadendo fu il sangue, il suo. Poi la sua mente fu inghiottita dal buio.
Svalok guidava con totale noncuranza di qualunque concetto di prudenza.
Lubio, moribondo, giaceva sul sedile davanti. Hawo e Ferelea si erano buttate nell’auto senza pensare alla comodità e così anche Saida. Marduk era stretto contro la portiera in una situazione che sarebbe stata comica, se non fosse stata grottesca e venata di tragedia.
-Marduk… che facciamo?-, chiese Ferelea, la voce pregna di incertezza.
-Ciò che ho promesso. Troviamo Sebater Tigus.-, rispose lui mentre il mezzo si muoveva.



scusa, al quarto sono bloccato!
ti ringrazio, mi fa molto piacere sapere che ti sia piaciuto! il secondo capitolo l'ho completato. nel terzo sono bloccato.…
ne ho scritti altri con altri nick...spero ti piacciano altrettanto.
Vedi la tua posta indesiderata
Ti ho scritto, mia Musa....attendo Tue...