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Erotici Racconti

Preso dall’entusiasmo

By 2 Giugno 2016Gennaio 30th, 2023No Comments

Quel giorno mi sentivo indiscutibilmente appagato e per di più raggiante, per la maniera nella quale avevo ordinato e risolto la faccenda, e per il genuino fatto che la sua innata giocosità e la sua singolare letizia puntualmente arrivò sorprendendomi nuovamente: infatti, mi gratificava ripagandomi tutte le volte a suo modo, dal momento che io gli organizzavo situazioni pepate e vivaci. Per fargli capire dovutamente che io lo sostenevo in modo adeguato, cominciai a massaggiarlo con energia da sopra la patta dei pantaloni, dato che il pensiero era rivolto alla serata, anzi, alla nottata che ci aspettava, visto che un gradevole e un saporito diversivo a dispetto di quelle noiose giornate era lietamente arrivato, poiché anche questa notte sarebbe stata memorabile, da rievocare con gusto e con estremo gradimento, io un attimo avevo preparato tutto: una scena originale e la protagonista d’eccezione.

Io non ci pensavo per nulla, eppure la conversazione con Bettina, giunta peraltro in quella circostanza appropriata e pure pertinente, aveva fatto sbottare e sfogare di rimando la mia inventiva traendo in salvo e proteggendomi per certi aspetti, da quell’insofferenza e da quella seccatura precaria che m’aveva attirato lì a Spoleto. Da due giorni, infatti, io ero asserragliato per un convegno, un seminario con altri compagni di lavoro in una contegnosa e misurata abbazia sulle colline vicino a Spoleto, dove i frati, un po’ per tendenza e inoltre per pacifici motivi commerciali lo avevano trasformato in un ostello. In effetti, a ben vedere, ne avevano fatto una struttura molto completa e funzionale, perfettamente adeguata alle esigenze dei congressisti, giacché devono concentrare e restringere il loro lavoro in tempi brevi senza la dispersione di energie, perciò ne era risultata un’attrezzata, moderna e originale sala per le riunioni, dotata persino del traduttore simultaneo, con lo stile rinascimentale ancora ben conservato nei lunghi corridoi con gli alti soffitti a crociera nella mensa e nelle camerette. In una di queste alloggiavo io: monacale, semplice e spoglia direi, giacché la struttura rimaneva nell’anima e nell’ossatura senz’eccezione dell’abbazia, anche se aperto e disponibile ai laici senza televisione né radio.

Io e i miei compagni di lavoro ci snodavamo dalla sala delle riunioni del seminario alla mensa per cibarci di semplici e sobri alimenti e da lì proseguivamo successivamente verso le nostre camerette che ci avevano assegnato per un appropriato ristoro: un benefico e un salutare sonno infatti, che ci permetteva per l’indomani di seguire con un rinnovato spirito di sacrificio quello snervante seminario. Un grattacapo e una a noia insopportabile per l’appunto ci tengo a ribadire, ma la telefonata di Bettina non poteva capitare più a fagiolo di così, aizzando, liberando e scatenando di buon grado e con piacere la mia fantasia e naturalmente la mia libidine. D’istinto io le avevo proposto di raggiungermi a Spoleto e lei che non aspettava altro che un mio invito aveva accettato di buon grado, assicurando e promettendo nel tono di voce abbondanti e maestose prestazioni. Da qui, infatti, quell’idea che aveva sapientemente rinvigorito e tonificato il mio lui: chiedere al padre guardiano, se per caso in quell’abbazia ospitassero anche clienti di sesso femminile, lui pertanto senza fare una piega aveva semplicemente risposto:

‘Certamente signore, s’immagini, qui tutti sono nostri cari, graditi e benvenuti ospiti’.

Lo credo bene, avevo rimuginato ridacchiando io, dal momento che i soldi non hanno età né odore né sesso, così avevo immediatamente prenotato un vano anche per lei, austera e monacale come la mia naturalmente, un’altra cameretta dove concederci totale apertura, disponibilità e mettere in atto le libere e le audaci effusioni per i nostri intimi desideri. Quale altra situazione allettante e stuzzicante potevo immaginare? Il bello era che Bettina era totalmente ignara, in realtà io non le avevo per nulla al mondo parlato di questa soluzione, giacché lei pensava che io fossi alloggiato in un albergo tradizionale, quindi m’immaginavo già la sua sorpresa con la sua faccia incredula, però più d’ogni altra cosa aspettavo la sua istintiva reazione. Lei &egrave sempre stata una donna astuta e intraprendente, veloce ad adattarsi alle situazioni, soprattutto a quelle insolite e rare, visto che si mette subito a suo agio e con facilità s’immerge a capofitto nella parte. Se la memoria non m’ingannava, questa situazione già di per se conturbante ed esaltante, avrebbe scatenato e sciolto la sua sensualità oltre ogni fantasia, così io l’andai a prendere alla stazione ferroviaria di San Giacomo di Spoleto defilandomi prima della fine del convegno. La vidi uscire dalla stazione e venirmi incontro sorridente, ancheggiando mollemente m’abbracciò con impeto, sfregando le tette appuntite sul mio torace velato dalla sottile camicia.

Il mio pene ebbe un’impennata come un gesto di saluto, glielo dissi e lei mi sorrise invitante offrendomi le labbra, io la baciai con trasporto con le mani sulla rotondità dei glutei alti e sodi avvicinandola a me per fargli sentire la sua presenza, lei m’aderì contro ricambiandomi con movimenti circolari del bacino, poiché non me la ricordavo che fosse così focosa e passionale. Mentre ci dirigevamo verso la macchina io non riuscivo più a staccare da quel corpo morbido e sinuoso le mie mani, visto che lo sfioravano agili dall’inguine alle tette, per soffermarsi un po’ di più sui capezzoli ancora appuntiti, sennonché nell’aiutarla per salire in macchina non potei trattenermi dal posare la mano a coppa nello spazio tra glutei e tra l’attaccatura delle gambe e con il dito medio e il pollice ricordarle le mie ambite e personali preferenze. Lei si girò lanciandomi un promettente sorriso mentre io ero già su di giri per l’eccitazione. A cena ci raccontammo i reciproci avvenimenti che ci avevano coinvolto in quegli ultimi mesi, ridendo e scherzando per di più sulle storie scandalose. Eravamo seduti uno di fronte all’altra a un tavolino defilato coperto da un’ampia tovaglia e ogni tanto il suo piede lasciava la scarpa per dirigersi verso il mio e da lì risalire la gamba per arrivare alla coscia e infine riposarsi sulla rotondità del mio esuberante sesso.

In quell’occasione eravamo un po’ alticci per il corposo vino ingerito, un po’ eccitati dalla gioia di ritrovarci e per aver subito instaurato quella deliziosa intesa, giacché avevamo perso qualche freno inibitorio, tanto che a un certo punto io arrivai a tirarlo fuori per farlo accarezzare dal suo caldo e agile piede. Lei, che come previsto m’aspettava, non perse tempo e liberando anche l’altro piede dall’impedimento della scarpa, s’allungò verso di me per accarezzarlo muovendo su di lui le sue smaliziate dita come se fosse un inconsueto e raro strumento musicale, Io mi ritrovai a mangiare con la mia compagna che con le affusolate mani armate di forchetta e di coltello attendeva al suo pasto, portando in bocca e assaporando con evidente delizia le prelibatezze umbre, e con i suoi ancora più affusolati piedini massaggiava con i tempi giusti e misurati, avendo la cura di non fare mai arrivare al culmine del piacere il mio inesausto uccello. Quella che consumammo fu una cena celestiale e meravigliosa: io godevo nello stesso momento dei piaceri della gola e della lussuria, alternando le delizie dell’alcova a quelle del cibo e inebriandomi delle due in un sublime parallelismo.

In questo stato di grazia arrivammo alla fine della cena e al momento di lasciare la tavola mi ricomposi e mi rialzai con riluttanza, anche se impaziente d’uscire per raggiungere il nostro nido d’amore e vedere come lei avrebbe reagito alla situazione e a quali fantasie amatorie avrebbe escogitato il suo estro. Arrivati sulla collina di Spoleto godemmo anche dello spettacolo illuminato della cittadina ai nostri piedi, coronando romanticamente quella fantastica serata, in seguito entrammo nel convento con la chiave, che i previdenti frati mi avevano donato, sennonché lei mi manifestò:

‘Dove andremo a finire’ – sussurrandomi incuriosita, con il tono della voce che già tradiva svelando la partecipazione che m’aspettavo.

Lei aveva già capito tutto e si comportava di conseguenza, così attraversammo quei corridoi deserti e silenziosi, con quelle alte volte in cui s’aprivano le basse e massicce porte delle camerette, affiancate da piccole finestre che nascondevano la ruota, l’unico veicolo di comunicazione con il mondo esterno nei momenti di clausura. Bettina, come avevo previsto, trovava tutto ciò molto eccitante, mettendo in atto funzioni e prestazioni per niente adeguate al luogo: si fermava d’improvviso e mi baciava con ardore, prendendo le mie mani e portandosele sul seno prosperoso, oppure infilandole dentro il microscopico tanga da sopra la gonna. Mi sembrava giusto che richiamasse la mia attenzione, a tavola eravamo entrambi concentrati su di lui e lei era stata un po’ trascurata. Ci mettemmo parecchio per arrivare alla mia cameretta, anche perché lui dopo il ristorante si era risvegliato e prepotentemente richiedeva continue cure, così approfittando del debole chiarore d’una lampada che gettava confortanti ombre sul lungo corridoio, m’accertai accortamente della presenza che nessuno fosse nei paraggi e lo ritemprai facendolo fuoriuscire dalla forzatura dei calzoni. Lui svettò all’esterno sicuro di sé, feci quindi inginocchiare Bettina sull’antico mattone di terracotta e lei estasiata aprì l’avida bocca per ingoiarlo tutto. Io lo ricordavo bene, poiché era la sua specialità che approfondiva con passione.

Io a dire il vero, non avevo ancora incontrato nessuna femmina così brillante, capace ed esperta come lei, in quanto aveva la bocca d’una donna del sud del mondo, instancabile e generosa, calda e profonda, pronta ad accoglierlo e a succhiarlo, dapprima lentamente, poi con maggiore energia, esperta e intelligente di fermarsi sempre al momento giusto per impedire l’ondata finale dell’orgasmo, per poi ripartire solleticandolo con la punta della guizzante lingua per favorirne ulteriormente il riempimento del suo condotto inferiore, mentre con le dita solleticava la rete di vene sulla sua parte superiore e con la mano libera mandava continue lievi stimolazioni dall’interno della coscia ai testicoli grattandoli lievemente, pizzicando invisibili corde di violino che solamente lei conosceva. Da lì, le sue infaticabili dita scorrevano lungo il perineo per incontrare e lambire l’altra riva che abilmente solleticava e rilassava, in modo da facilitare il dito indice e quello medio, che una volta introdotti venivano serrati dal poderoso anello, come a tenerli per sempre e godere all’infinito della sublime sollecitazione.

Io m’inebriavo in quest’estasi, dimenticandomi totalmente del luogo e della situazione in cui mi trovavo, non volevo però eccedere né passare la misura in quel corridoio, perché sapevo per esperienza che quello era soltanto l’inizio della nostra passione, ed era forse meglio affrettarsi per raggiungere un posto più adeguato prima dell’inevitabile stordimento. Prendendola per mano mi diressi quindi determinato verso la celletta, anche se in quel caso era rappresentato da poco più d’un pagliericcio ricoperto da un sottile materasso, a tal punto eccitati allo spasmo da questi abbondanti preliminari, giunti alla mia celletta ci gettammo letteralmente uno sull’altra toccandoci con ingordigia dappertutto. Io mi staccai perché volevo assaporarmela e per godermela con calma, poiché non volevo affrettare le cose: l’urgenza dell’orgasmo a volte ti fa perdere momenti dolcissimi che devono essere gustati con abilità e con lentezza, dato che io non volevo perdermi niente di quell’insolita e straordinaria circostanza. La spogliai, facendo scorrere le mie mani sul suo corpo fasciato da morbidi indumenti, che io liberavo senza fretta pezzo dopo pezzo e come svestivo la parte l’accarezzavo e la baciavo in tutta la sua nudità, con la religiosa sensualità appropriata e idonea al luogo.

Quando cadde l’ultimo argine che ancora copriva il suo forziere la sollevai fino al sobrio tavolino, in seguito la feci sdraiare su di esso e puntai le gambe per offrire alla mia bocca la sua tenera e umida rosa. Mi collocai sulla sedia che spiccava con il tavolo, gli unici pezzi d’arredamento oltre al pagliericcio e misi la faccia davanti all’oggetto del mio desiderio, per esplorarlo avidamente con gli occhi e con il naso prima che con la lingua. Il suo intenso profumo m’inebriò e fece alzare lui, che libero dagli indumenti svettava allegro e altero, come l’asta d’una bandiera che nessun vento può mai piegare. In quell’istante m’accostai fino a solleticarmi il naso con i suoi folti riccioli allargandole le cosce per farmi spazio, la baciai a bocca aperta strappandole piccole urla. Lei era calda e grondante di piacere così iniziai a leccarla lentamente, assaporando quella secrezione penetrante che m’inebriava sensi e mi faceva aumentare vertiginosamente le sue già considerevoli dimensioni. Con la lingua saggiai le soffici labbra e da lì lo spazio fino alle piccole labbra che racchiudevano un clitoride duro, grosso ed eretto da far concorrenza al mio cazzo. Nello stesso momento introdussi nell’umida fessura un dito fino a incontrare il morbido cuscinetto anteriore che solleticai facendola gemere e ondeggiare, mentre la lingua scivolava dentro la calda grotta e l’altra mano verso la base della losanga, per incontrare e salutare il piccolo e impaziente buchino. Questo s’aprì docile per ricevermi e a tradimento richiudersi con una dolce morsa, attorno al mio fremente dito per impedirne qualsiasi fuga, in quanto la signora m’aveva amabilmente ricambiato con altrettanta golosità.

Lei godeva con trasporto con tutti i suoi orifizi inferiori riempiti da me in un tripudio di dita e di lingua, che impazzita leccava e spargeva tutt’attorno quell’ambrosia che colava riccamente fino a formare una pozza sul tavolino. Io non volevo perderne neanche una goccia di quel dolce miele e leccai con smania anche quella. Bettina mugolando di piacere si girò su sé stessa, scese dal tavolino e prendendomi per mano mi condusse fino al pagliericcio, dove si sedette per avermi in piedi davanti a sé e alla sua bocca. Sì, ancora la sua calda bocca: io glielo poggiai sulle labbra aperte per proseguire il discorso interrotto in corridoio, la faccenda andò avanti per un tempo che mi sembrò interminabile, dal momento che la sua abilità nel succhiarlo e fermarsi al momento giusto era fantastica, fenomenale. In tal modo tra una succhiata e l’altra, dato che aveva dei tempi morti, necessari peraltro per farlo sbollire, momento che lei occupava con altri sottili giochi, in quegli istanti lei se lo sfregava con intenso desiderio su tutta la faccia, passandolo dalla delicata pelle delle palpebre, alla cavità delle narici per aspirarne accuratamente il profumo. Da lì, lo faceva risalire sulle guance per dirigerlo verso il rigido incavo dell’orecchio, facendolo quindi penetrare con godimento tale da rischiare di fargli perdere l’orientamento, quindi ripassando per le guance scendeva al mento e da lì scorreva per il morbido collo per raggiungere il generoso seno e lì lo faceva sostare. Le sue dita agili e svelte scorrevano su di lui che, prigioniero nel solco tra le due dolci gemelle, godendo della loro morbida stretta, per sbucare davanti al suo viso chinato e nostalgico delle insaziabili labbra.

Bettina alternava deliziosi baci a poderose linguate sulla nuda cappella, indugiando a lungo sulla rosea fessura, premendo il seno sodo e ubbidiente su tutta l’asta in un’estasi infinita che debilitava e rammolliva i miei sensi, però improvvisamente da gran maestra qual era lo liberava dalla ferrea morsa delle tette e ingordamente lo ingoiava per impedirgli di girovagare per il suo petto e la sua faccia e quasi a punirlo di questo tentato vagabondaggio, lo succhiava fino quasi a farmi perdere i sensi. Dopo, di sorpresa, con poderosi movimenti qualificati della lingua mi faceva godere liberando il mio dolce latte, che con evidente goduria lasciava scorrere fuori dalla sua bocca, sulle labbra, sul mento, sul collo e sul seno, per poi raccoglierlo nella cavità dell’ombelico e da qua spargerlo con delizia su tutto il ventre e le dure tette, facendo brillare al tenue chiarore della lampada i suoi capezzoli eretti, felice d’essere rivestita di quella preziosa seta del mio desiderio. Stremati e temporaneamente sazi uno dell’altra, trattenevamo il piacere appena rubato con delicati baci sui nostri corpi, frementi ancora di desiderio e in attesa di quella sospirata penetrazione. Lui, impaziente d’entrare in quella grotta dalle calde e profonde pareti, in quella vagina vitale e viva, capace d’avvolgerlo in crescenti e poderose contrazioni che lo stingevano e lo lasciavano in un’alternanza di ritmo che facilitava e incoraggiava il suo su e giù dentro di lei, senza fargli mai perdere la strada. Anche lei però, diceva Bettina, era impaziente di farsi riempire dal duro e possente cazzo che falsamente timido s’affacciava alla sua porta spingendosi con delicatezza all’interno, non prima d’essersi strofinato sulle sue labbra vilmente, indugiando più del dovuto per farsi attendere e farla urlare di desiderio. Quindi non per accontentarla con un rapido affondo e rimanere dentro a farle assaporare la sua consistenza, bensì uscendo un attimo prima della sua naturale esplosione, perciò ricominciare daccapo per un tempo interminabile, fino a portare il desiderio al vertice del piacere.

Noi eravamo al massimo della nostra eccitazione, dato che feci alzare Bettina per godere ancora della sua sensuale bellezza, accresciuta dal piacere appena ricevuto e da quello ancora da gustare, giacché la osservai in tutta la sua prorompente avvenenza dai piedi fino su al ventre, al seno e al viso trasfigurato. All’altezza delle cosce brillava ancora il nostro piacere, passai la mano per raccoglierlo e portarmelo alla bocca per assaporarlo con crescente euforia, quando il colore di quella delizia fermò a mezz’aria la mia mano. D’istinto guardai le sue gambe e il pagliericcio su cui lei era seduta: non credevo ai miei occhi, una macchia rossa ricopiava esattamente la forma del suo sesso, mentre altre strisce rosse colavano dalle sue cosce ripetendo su di esse disegni di favole antiche. La luna rossa della sua femminilità aveva deciso di salutarci proprio in quell’istante. Non ci sarebbe stato nulla di male, perché era sempre la benvenuta, ma adesso lì, in quel luogo sacro era quasi una profanazione, una violazione, dato che non poteva aspettare qualche ora prima di presentarsi, pensai io. Darci prima il tempo di soddisfare i nostri sensi, aspettare almeno che Bettina avesse raggiunto la sua celletta, invece eravamo nella mia, sul mio pagliericcio, quello d’un uomo. Con ansia e con sgomento pensai ai puri frati. Che cosa avrei spiegato loro? Potevo sempre dire d’aver avuto una piccola emorragia, eppure il disegno sul pagliericcio parlava chiaro anche agli ingenui frati. Dopo i primi drammatici istanti di preoccupazione e di terrore, Bettina iniziò a ridere come una demente, seguita subito dopo da me: la situazione era troppo singolare per non prenderla con umorismo. Dapprima Bettina fece razzia di tutti gli asciugamani per farne insoliti assorbenti, per evitare di lasciare ulteriori tracce, poi si mise d’impegno per risolvere la situazione tra una risata e l’altra, dal momento che passammo la prima mezz’ora a girare il materasso:

‘Ci pensi, immagina la scena, quando i frati se ne accorgeranno tra chissà quanto tempo. Domani porteremo le lenzuola in lavanderia e le riporteremo prima che qualcuno s’accorga di qualcosa’ – annunciò commentando Bettina, mentre era diventata euforica e ottimista.

La manovra tuttavia non ebbe la conclusione né l’esito sperato, poiché la macchia aveva trapassato con facilità il sottile pagliericcio allargandosi a maniera di fiore dall’altra parte. Dopo di che, pensammo di cambiare il materasso con quello della sua camera e riportare nella mia il suo, giacché sembrava un’ottima idea, però venne subito scartata per il fatto che non ricordavo il numero della sua stanza. Al momento della prenotazione infatti, preso dall’entusiasmo non lo avevo memorizzato, perché mi sembrava poco rilevante e adesso quella fredda chiave che continuavo a rigirarmi nelle mani non mi diceva niente. Altro che scopata leggendaria e memorabile.

Passammo a questo punto il resto della notte a girovagare per i corridoi nei vari piani, provando senza far rumore a far girare le chiave nei buchi delle serrature, con un evidente quanto ingombrante e voluminoso materasso sulle spalle.

{Idraulico anno 1999}

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