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Erotici Racconti

Profusione incontenibile

By 6 Agosto 2018Febbraio 10th, 2023No Comments

A ben vedere, ripensandoci diligentemente bene oggi, il nome Letizia non era per nulla l’appellativo che le era compiutamente conforme addosso, quello che inizialmente le era stato affibbiato dalla nascita pensavo io, perché quest’aspetto caratteriale lo assimilai notandolo ben presto la prima volta che i nostri occhi si sovrapposero, in occorrenza delle consegne nella stessa giornata che venni decentrato nella moderna dimora della società in cui operavo. 

Lei era la dirigente superiore della divisione d’un reparto d’ottica specialistica, la coordinatrice dittatoriale d’ogni componente e di qualsiasi parte costruttiva venisse assemblata, perché il materiale che doveva essere messo in commercio poteva uscire dalla fabbrica solamente dopo che lei stessa lo aveva passato minuziosamente al setaccio, in quanto doveva essere indiscutibilmente certa di garantire la globale resa finale per il quale era stato progettato, per la perfetta funzionalità degli stessi e in ultimo per la totale soddisfazione degli equivalenti consumatori. Aveva, infatti, con tutti i suoi assistenti e nondimeno con i suoi stretti cooperatori un contegno distaccato, imperturbabile e neutrale, rivolgendosi a chiunque sì con attenzione, diligenza ed educazione, ma sovente con la precisa intenzione, ogni volta avvalorando e sottolineando chi fosse il direttore e chi il dipendente sottoposto.

Io avevo già avuto modo nell’ambito lavorativo di coadiuvare con donne di rango più elevato del mio, ma lavorando costantemente in generale armonia e in benevolo rapporto, senza mai subirne l’influsso o di patirne lo spirito di compensazione, accompagnato frequentemente da quello di rivalsa peraltro tipico d’ogni donna in carriera. Letizia era però si distingueva, era differente e inconsueta, lei era la dottoressa ‘verde limone’, come la soprannominavano in codice i dipendenti all’interno della ditta, per la sua connaturale e istintiva propensione d’essere acidula e asprigna così come quando s’addenta un limone non pienamente maturo, che ti lasca in bocca quel retrogusto agro e brusco. Letizia, invero, non doveva rifarsi di niente, non credo ci sia mai stato un uomo capace di soggiogarne né altrettanto valente da sottometterne l’indole da comando energica, inflessibile e volitiva che aveva indosso.

Era proprio in quel modo, pressappoco distaccato e glaciale nel suo contegno d’apparire e di porsi, ma paurosamente risoluta e perentoria in ogni azione che ultimava. Ciò nonostante, fin dalla prima volta, compresi che non mi sarei trovato male con lei, perché la mia concretezza e la mia delicatezza erano in realtà espedienti adatti e idonei per ammorbidire quell’apparentemente fredda statua di marmo. Il suo fisico era scarno, quasi deperito, con i fianchi stretti, discretamente modellati, giacché ne esaltavano la figura stretta dentro gl’indumenti molto aderenti come una seconda pelle. La chioma nera le copriva un viso geometrico, mentre i suoi occhi di colore blu cobalto, la cosa più attraente che possedesse, almeno quella, che più d’ogni altra, adoravo squadrare e gradire.

Sul mio lavoro non ebbe mai nulla da obiettare né da ribadire, in quanto erano anni che m’occupavo di congegni elettronici di precisione, finché un giorno in modo inatteso, di fronte a tutti i miei soci mi rivolse un complimento, del quale secondo me si pentii immediatamente ravvedendosi, non perché avesse cambiato idea, ma per il fatto d’aver mostrato un lato inesplorato, tenero e recondito della sua pura e spietata inflessibilità:

‘Tanto di capello. Sei stato veramente esperto e valido. Ti dirò che è la prima volta che le sento pronunciare parole d’encomio, ancora complimenti’ – m’enunciò la sua segretaria, visibilmente meravigliata che la seguiva da anni. 

La faccenda mi riempì di soddisfazione, una lusinga compiuta da lei valeva il doppio e poi, questa sua seppur fugace e labile attenzione nei miei confronti, mi portò ad osservarla con occhi diversi, a rivalutarla nel complesso delle cose. La dottoressa Letizia mi piaceva, mi aveva incantato da subito, ma sia per ragioni d’etica professionale sia per non perdere il lavoro, mai e poi mai, fino a quel momento, mi ero permesso di far trapelare la minima attenzione personale nei suoi confronti. Un giorno mi trovavo nel suo studio, erano le nove di sera, poiché il giorno seguente avremmo dovuto consegnare un lavoro a un cliente estero con il quale eravamo già in ritardo. Lei mi chiamò con la sua usuale freddezza invitandomi con la tradizionale cortesia di raggiungerla nel suo ufficio, io bussai ed entrando udii a malapena il suo svogliato buonasera, prego s’accomodi. Dopo m’accomodai di fronte a lei, che era dall’altra parte della gigantesca scrivania di cristallo, che aveva fatto arrivare dai magazzini d’oltre oceano, dove era stata in viaggio di lavoro, se ne era innamorata e, non badando a spese, raggiunse l’amministratore delegato della società per farsene vendere una. Intravidi io stesso l’esosa fattura di migliaia di dollari, una vera irragionevolezza e un’insana stravaganza, per soddisfare un capriccio di chi non era disposta a darti un euro di più di quanto pattuito nel contratto d’assunzione, anzi, se volevi farla incollerire dovevi parlarle d’aumento di stipendio, poiché diventava furiosa e violenta come un animale ferito.

Per i suoi patrimoni non aveva limiti, perché ciò che voleva, prima o poi lo acquistava. Lei discorreva, ma il suo sguardo era rivolto al monitor del computer, seguiva ogni centimetro quadrato dello schermo, ogni carattere, linea e colore, tutto doveva avere la sua indiscussa approvazione, altrimenti si ricominciava daccapo. Il motivo del suo invito era la richiesta di chiarimento su d’una schermata innovativa che avevo costruito io, soltanto che nel formularmi le domande non mi dava modo d’adocchiare cosa stesse precisamente visualizzando, tenuto conto che mi trovavo dalla parte posteriore dello schermo. Nel farle notare la vicenda m’alzai leggermente dalla sedia per poter almeno sbirciare a cosa si riferissero le sue perplessità. Nel vedermi in quella scomoda posizione, Letizia mi fece cenno con la mano di passare dall’altra parte fra l’altro aggiungendo:

‘Venga qua, si collochi lei al mio posto e m’illustri minuziosamente i passaggi di questo programma’.

Con il suo assenso agii compiendo come mi sollecitò, così iniziai a digitare, dopo portando per un attimo le dita vicino alla bocca in un atteggiamento di riflessione, sentii che i polpastrelli delle mie dita profumavano del suo Boucheron, in quell’istante ebbi istantaneamente un brivido, un fremito lungo il fianco destro. Il suo profumo, il suo calore, erano rimasti sui tasti che le mie dita percorrevano mentre lei, per osservare meglio i miei passaggi, Letizia si era avvicinata a me, percepivo la stoffa ruvida della sua giacca che sfiorava il mio orecchio. A un certo punto, in un mio attimo d’indecisione, nel quale non sapevo se digitare o afferrare il mouse, pose la sua mano sulla mia proprio durante il tempo in cui la seconda possibilità fu la mia scelta. Io spostavo il minuscolo accessorio sul tappetino e la sua mano restò sulla mia, tanto da percepirne il calore, quel piacevole tepore che sembrava non dover appartenere alla sua glaciale e insensibile figura. Qualche minuto più tardi, mentre ponderavo ancora a quel contatto, appoggiò nuovamente la mano sulla mia, questa volta per posizionare la freccetta sulla casella che permetteva l’uscita dal programma. Non so per esattamente quale motivo, non so sotto quale spinta, la mia mano si capovolse, le dita s’aprirono per richiudersi imprigionando le sue che immediatamente s’irrigidirono, parallelamente a un suo inedito ghigno di disappunto:

‘Mi perdoni, ho esagerato, non so che cosa sia stato, non volevo’.

Io rimasi sgomento e strabiliato nel vedere il suo sorriso, era infatti la prima volta che le sue labbra s’allungavano dischiudendosi, abbassò la testa nella mia direzione, i capelli lunghi s’adagiarono sul seno, era vicina, il suo Boucheron ormai mi pervadeva, ne ero intriso fin nell’anima e il sangue iniziava a scorrere veloce e sempre più bollente. Tentai d’alzarmi, ma le sue mani sulla mie spalle m’impedirono di farlo, allora, ma soltanto allora, trovai il coraggio, poggiai le mani sulle sue gambe, le alzai la gonna, il silenzio totale fu interrotto dal suo delizioso quanto libidinoso gemito. Io le accarezzai le cosce, i glutei, le spostai il minuscolo perizoma per entrare nella sua voglia, da cui sgorgò un getto che mi bagnò le mani che ritrassi per portarle alla bocca, per passarci la lingua e poi poggiarle sulle sue labbra. 

Questo gesto la fece eccitare all’inverosimile, m’afferrò la testa con entrambe le mani e s’avvicinò con la sua, spalancò la bocca e m’addentò letteralmente le labbra stringendo i denti quasi a farmi male, mollò soltanto quando probabilmente ebbe voglia di sentire la mia lingua che le invase il palato girando e rigirando per poi uscire frettolosamente, per accarezzarle il collo, il viso, le orecchie, tutto quanto potesse toccare e infiammare ancor di più. Afferrai il suo corpo per i fianchi, di peso la sollevai appoggiandola sul cristallo, dopo aver spostato la tastiera e lo schermo a cristalli liquidi, che per poco non cadde rovinosamente a terra. La spinsi indietro, con una mano delicatamente, per farle capire di sdraiarsi, intanto le afferrai le gambe dietro le ginocchia e infilai la testa sotto la sua minigonna, iniziando a leccarla ovunque, intorno all’esile indumento che non nascondeva nulla, se non una piccola zona della sua vulva gonfia di piacere.

Spostai di lato il perizoma, le allargai le labbra con le dita per far spazio alla lingua, che vi scivolò dentro quasi risucchiata dalla sua voglia, il naso sui foltissimi peli intrisi delle sue secrezioni, mentre la pelle attorno bruciava dalla pressione del sangue ormai alla stelle. Rimasi ancora in quella posizione insistendo con sempre maggior foga, fino a quando il suo urlo di piacere ruppe il silenzio fin oltre, sicuramente, l’ultima delle stanze ormai deserte per l’orario decisamente fuori limite. Il suo orgasmo mi entrò dentro come una spada, mi sconquassò, sentivo la mia voglia esplodere, mi sollevai, le sue mani, nella tenue luce della stanza cercavano la fibbia della mia cinta, che aprì in un attimo con un gesto deciso quanto veloce, per poi passare alla chiusura lampo che velocemente abbassò per far uscire chi ormai era vicino allo scoppio.

Afferrai con forza le sue caviglie, l’odore della sua deliziosa e pelosissima fica ormai copriva il profumo del Boucheron, che tuttavia percepii, quando nel momento in cui la penetrai abbassai la mia testa vicino alla sua per baciarla. Un orgasmo violento, lungo, accompagnato dal suo, un altro, che di poco seguì quello appena avuto, sentivo l’eiaculazione prossima uscire come un fiume in piena inarrestabile, mentre a fatica riuscivo a restare nel suo corpo che si dibatteva senza sosta. Stavo finalmente rilassandomi, quando le sue mani mi spinsero indietro, quasi nel volersi difendere per togliermi da quella posizione. Letizia strillò quando vide che opponevo resistenza, allora mi tolsi, mi richiusi i pantaloni mentre lei scese bruscamente dalla scrivania, si fermò, statica, con uno sguardo fulminante s’impossessò dei miei occhi, poi, vedendo la densa sborrata che spiccava sul cristallo, fuoriuscito in quel frenetico ritrarsi, con un dito ne raccolse un poco e riprendendo lo sguardo coriaceo e legnoso di poco prima s’infilò il dito in bocca, uscendo rapidamente dalla stanza con una mano tra le cosce per non far uscire quanto le era rimasto dentro, dirigendosi nervosamente nel lussuoso bagno da cui s’accedeva direttamente dal suo ufficio. 

Appena rimasi solo sprofondai sulla sua poltrona, quasi incredulo per quanto accaduto, fissavo meravigliato il soffitto, le luci, quel cristallo d’oltre oceano su cui avevamo scopato, io e lei, il direttore apatico, insensibile e distaccato che vidi solamente quella volta sorridere. Ero quasi assopito nel silenzio che mi rigustavo l’eccellente e stravagante scena, quando mi scosse la violenza con cui si chiuse dietro la porta del bagno, perché prima che l’eco del rumore si smorzasse del tutto, la sua voce risuonò in maniera categorica e imperiosa nella stanza:

‘Molto bene, magnifico compito Sergio, adesso può andare, la ringrazio’.

Io tentai di commentare, eppure lei in modo irreprensibile e sbrigativo mi fece cenno che potevo andare augurandomi una buona serata. In tal modo m’incamminai verso la porta procedendo all’indietro per non voltarle le spalle, quasi mi stessi congedando da una sovrana, che senz’esprimere né svelare emozioni né tanto meno sorridere, mi liberò definitivamente con un buonasera, che risuonò pressappoco come un comando impartito a un schiera di soldati.

Era ormai quasi mezzanotte, stava piovendo quando raggiunsi la mia autovettura, l’ultima rimasta nel parcheggio in quel giovedì di dicembre, freddo e umido, spazzato dal vento che sbatteva la pioggia contro il vetro della sua finestra, ancora illuminata, dietro la quale avvistai le sue spalle magre, riconobbi i fianchi stretti, individuai quella corporatura esile che si era amalgamata smembrandosi con la mia figura.

{Idraulico anno 1999}  

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