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Erotici Racconti

Quella straordinaria rievocazione

By 1 Aprile 2017Febbraio 2nd, 2023No Comments

Il sette di maggio è il giorno del mio compleanno, dalla mia sedia vedo le onde del mare frantumarsi sulla spiaggia creando dei riflessi che sembrano dare più espressività e robustezza a questa notte con la luna. La brezza leggera che muove il mio abito trasporta delicati profumi di candele che sono accese, io giro il calice del vino e ne sorseggio un poco, dal momento che i profumi esplodono, s’innalzano e si sfogano alla fine sotto la mia lingua. Il grande piatto bianco là davanti con quei piccoli assaggi di pesce crudo sembra quasi un’opera d’arte, poi lì c’è lui, seduto davanti a me che sorride felice, ciononostante questo sarebbe perfetto se non fosse per il bruciore alle natiche che m’impedisce di stare ferma sulla sedia. Quando siamo andati a convivere, infatti, io avevo fermamente deciso di dare un taglio netto al mio passato di schiava, eppure ieri quando arrivai al negozio in taxi e specialmente appena scesi, dovevo aprire e chiudere bene gli occhi un paio di volte per essere certa assicurandomi non stare sognando.

Io sapevo che il proprietario del negozio aveva assunto due indossatori che avrebbero dovuto stazionare sulla porta quasi a insignirla, tuttavia la rappresentazione di questi due individui dal colore brunastro e per poco senza vestiti è davvero fulgido. I muscoli tendono la loro pelle cosparsa d’un filo d’olio e il sole del mattino che si riflette sulla carne lucida eccita le mie endorfine per quello spettacolo, mandandomi in tal modo in uno stato d’euforia di cui pagherò dispendiose le conseguenze. La presentazione della linea degli abiti di cui sono responsabile procede senza problemi, anche se io sono ancora un po’ frastornata e sbadata dall’apparizione all’ingresso del locale. Per fortuna io do in prestito la parte formale, cosicché tutto finisce e mi ritrovo in tal modo persa in conversazioni in parte frivole in un’area del negozio dedicata al bar, per il fatto che è qui che conosco uno dei due adoni che ho ammirato poc’anzi all’ingresso del locale. Il vino e l’ebbrezza dovuta alla visione di tanta bellezza mi portano a formulare una proposta sboccata, oscena e spudorata con la stessa disinvoltura e con la naturale speditezza con cui ordino il pane: 

‘Sei davvero benfatto e incantevole, per il fatto che eseguirei purchessia azione pur di far del sesso con te’. Lui disincantato, smaliziato e in modo pacato, quasi pratico come se fosse già abituato a tali proposte immediatamente mi risponde: 

‘Tu stessa, non credi però a quello che dici. Io sono comunque sicuro, che se sapessi che cosa io volessi farti, tu rifiuteresti certamente di colpo’. 

Ci sono tre possibili motivi per cui io ho risposto come non avrei dovuto compiere: la libido, l’alcool e il senso della sfida. Lui era avvenente e delizioso da morire, io viceversa, abbastanza ubriaca d’avere pochi freni e alle spalle un’esperienza da schiava in cui avevo provato di tutto, o almeno così pensavo. Quale dei tre sia stato il reale motivo, ormai al presente non contava più, tenuto conto che me ne andai via dalla festa con un accordo alquanto strano: io avrei fatto sesso con lui, però solamente dopo essere stata a sua completa disposizione per un pomeriggio intero. Io devo francamente ammettere e riconoscere, che dopo tanti anni sono nuovamente impacciata e alquanto nervosa nell’approntarmi per incontrare un uomo, giacché mi ritornano in mente le volte in cui mi preparavo per il mio padrone con tutta l’ansia e la trepidazione che la ritualità dei gesti non riusciva a dileguarsi, tutte azioni e atteggiamenti questi ultimi che hanno ininterrottamente accompagnato il mio modo di predispormi laddove io ero la sua succube, giacché al presente riappaiono senz’eccezione, anche se adesso io li rifaccio peraltro con una confortante e rassicurante familiarità.

Al momento dopo essermi rinfrescata mi riposo e mi cospargo un fragrante velo di balsamo su tutta l’epidermide, in seguito m’incanalo nella stanza per scegliere in quale modo ricoprirmi al meglio. Se devo essere sincera, la bella stagione alleggerisce semplificando notevolmente il numero degl’indumenti che io devo indossare, ma non il panico, dato che non s’accorcia né diminuisce nella scelta dell’abito adatto, anche se la parte razionale del mio cervello mi suggerisce che non esiste un abito malfatto o sbagliato per andare a scopare un tale pezzo d’uomo, per cui in quell’attimo sono indecisa e titubante. Come sempre, io parto dalle scarpe, perché è un’abitudine che il mio padrone me lo aveva impresso inculcandomelo fortemente tempo fa, dato che lui era un feticista convinto delle scarpe, per il fatto che adorava i tacchi alti e sottili e ogni volta che mi sceglieva gli abiti partiva proprio dalle scarpe. Io decido sennonché per un paio di scarpe color rosso fuoco aperte, con un tacco molto alto e sottilissimo, poiché mi sembrano provocanti e quindi adatte per questo specifico pomeriggio. Esclusi i pantaloni, dalla valigia appare una sottana da educanda collettiva statunitense e qualche abito leggero, indosso inizialmente la sottana con qualche indumento e un paio di bluse, però non avverto le sensazioni giuste osservandomi allo specchio e quindi passo ai vestiti. La scelta ricade su d’un vestito bianco con dei grandi fiori rossi che ben s’abbina alle scarpe.

La biancheria intima per me è sempre stata un dilemma, un’incognita autentica, considerato che il mio dominatore m’ha addestrato rivelandomi di non portare addosso gli slip, ma io che attualmente non sono più una schiava non ho perduto completamente l’abitudine di non indossare gli slip per la gioia e per la letizia del mio attuale promesso sposo. Alla fine decido d’indossare un corsetto bianco che mi piace molto, perché il sottile triangolo di stoffa davanti è legato alla stringa posteriore da una fila di finti brillantini che segnano i fianchi degli abiti che indosso. In ultimo esco dall’atrio dell’albergo e la portiera della macchina che m’aspetta s’apre proponendomi la prima sorpresa del pomeriggio: la persona che apre la portiera posteriore dell’auto per farmi salire non è l’adone che ho concupito al negozio, ma il suo collega. Io salgo dubbiosa in auto e mi siedo di fianco al mio nuovo amante, però anche vestito sembra una statua greca, mentre l’altro si mette al posto di guida e prima che la macchina parta lui mi provoca:

‘Non dirmi che adesso ti tiri indietro? Hai detto che avresti fatto qualsiasi cosa pur di scoparmi’.

‘Parti, dai’ – ordino io al nostro autista in modo sbrigativo.

Dopo alcuni chilometri ci fermiamo in conclusione nei pressi d’un cortile fiorito che circonda un faro ormai in disuso, il legno e la calce bianca si mescolano opportunamente con i colori e con i profumi della vegetazione marina. L’ingresso del faro è piccolo, io devo chinare la testa un poco per entrare, in quanto pare pressappoco una movenza di subordinazione al gigantesco emblema fallico che avrebbe dovuto approntarmi per quanto m’aspettava, eppure l’interno è ampio e sufficientemente luminoso, la luce che entra dalle alte finestre mostra lo spostamento della polvere sospesa nell’aria generando un ambiente e una dimensione d’altri tempi. La grande stanza rotonda è altissima, giacché è per almeno la metà della superficie sovrastata da un soppalco sotto di cui sono state ricavate alcune stanze chiuse, una di queste è una grandissima cabina a forma d’armadio, giacché è proprio verso di questa che loro mi conducono. I miei tacchi risuonano sul pavimento di legno e il loro eco sale sino perdersi nell’aria ferma mentre ci dirigiamo verso la stanza che funge da guardaroba. Quest’ultima è una parola poco adatta per descrivere una stanza in cui ripiani mettono in mostra soltanto dei capi d’abbigliamento o dell’oggettistica che sembra teletrasportata da un negozio d’arnesi erotici a quest’incantata costiera: da abiti in latex a scarpe e a stivali con i tacchi eccessivi anche per me, da vibratori di diverse forme e dimensioni a fruste e a corde, in definitiva tutto quello che serve per un ‘pomeriggio romantico’ tra due quindicenni innamorati.

Loro due a quel punto si siedono su due poltrone al centro della stanza e mi chiedono di spogliarmi con un dinamico ordine senza dubbi, contando sul fatto che io avrei frettolosamente ubbidito. Io ho imparato a spogliarmi davanti al mio padrone e a farlo in modo tale da eccitarlo il più possibile, penso pertanto d’essere diventata brava. Io ricordo molto bene quando lui mi portò in un locale dove facevano la lap-dance e mi fece spogliare sul bancone del bar, non furono però gli sguardi accalorati ed eccitati dei maschi, ma il desiderio che lessi negli occhi della barista che mi fecero capire d’essere abilmente capace e valida di trasformare l’atto di togliersi i vestiti in qualche cosa di più d’un rapido preambolo del sesso. In questo momento però, tutto è reso più complicato e macchinoso dal fatto che non indosso quasi nulla, però io m’impegno per eccitarli il più possibile e quando rimango nuda appoggiata sugli alti tacchi delle mie scarpe rosse, rimango amareggiata e delusa dal notare che uno dei due sembra essere insensibile al mio spettacolo, malgrado ciò l’insuccesso dura poco, perché è subito sostituito dalla mia vanità che rende piacevole mostrarmi nuda di fronte agli uomini.

Io mi considero avvenente e benfatta, perché sono orgogliosa di mostrare agli altri le mie lunghe gambe e il mio sedere modellato da svariati anni d’attività fisica, il mio seno è grande, pure ben sorretto a differenza di molte mie amiche, in quanto sono sempre stata soddisfatta assieme al mio ventre piatto, così come quando avevo quattordici anni d’età. Pensando di farmi un piacere, loro mi concedono di prendermi un paio di capi dal guardaroba, non sanno però che in tale maniera non soltanto mi fanno precipitare nuovamente nell’incubo di scegliere come vestirmi, bensì mi costringono anche a eseguire una cosa di cui ho l’angoscia e perfino il terrore in pubblico. Per un attimo io torno alle prime volte in cui il mio padrone mi esponeva il terrore di mostrare una parte di me nuda, che progressivamente lasciava il posto alla gioia d’accontentare esaudendo il mio signore. Io ricordo ancora benissimo la prima volta: eravamo in macchina sulla tangenziale, il mio dominatore m’obbligò a posare i piedi sul cruscotto della macchina con le gambe leggermente spalancate con la fica in vista, poi andò da un casellante per chiedere informazioni stradali di cui non aveva bisogno, io quell’istante tremavo di rabbia e di sconforto, stavo per cambiare posizione quando la faccia del casellante s’illuminò in un sorriso che voleva quasi essere un complimento, un rallegramento muto e vivace al mio dominatore per la bellezza della sua accompagnatrice, io avrei voluto che quel sorriso fosse durato in eterno.

La dura realtà della scelta dell’indumento adatto adesso m’attende così come un pozzo oscuro, perché appena riemergo dai miei ricordi cerco di vincere la paura aggrappandomi alle abitudini: prima le scarpe. Ebbene sì, sono nere, anche perché il guardaroba in questo caso offre poca scelta, il tacco altissimo completate da un bellissimo laccio che circonda sostenendo la caviglia. Il vero problema è adesso scegliere l’abito, se così si possono chiamare i capi d’abbigliamento che abbondano nell’armadio. Io escludo subito il latex, anche se le spesse mura del faro attenuano il caldo tipico di questo luogo di mare, perché rischierei di trovarmi lessa poco dopo averlo indossato. M’accorgo presto che ciò che avrei indossato era lì ad aspettarmi, quasi a chiamarmi nell’attesa che io lo trovassi, perché sono tre strisce di pelle alte circa quattro centimetri: la prima mi fascia perfettamente il collo ed è attraversata da un anello d’acciaio, che riflette i raggi di luce che entrano dalle finestre con uno strano gioco di luce, la seconda mi fascia il petto appena sopra il seno contribuendo a farlo sembrare ancora più grosso e si chiude sulla schiena con un secondo anello che immagino il mio amante vorrà usare per legarci i polsi con delle manette, l’ultima invece mi stringe la vita. Le tre fasce sono collegate sul davanti da una striscia di pelle più sottile che percorre verticalmente il mio busto dal collo alla vita, occultata parzialmente alla vista quando affonda tra i miei seni. Io m’osservo nello specchio e mi sorprendo nel pensare quanto sarei piaciuta al mio padrone in questa tenuta, dal momento che dopo tanto tempo sono ancora molte le sue cose che non riesco a dimenticare. Al momento la mossa spetta a loro due, io non posso che aspettare.

Finalmente entrambi s’alzano e improvvisamente con calma si spogliano senza esprimere un vocabolo e lacerando brevemente il mio amor proprio, giacché speravo in un loro complimento o in una lusinga. Loro due sono entrambi bellissimi, questo s’intuiva già vedendoli davanti alla porta del negozio, però quello che mi lascia a bocca aperta è la dimensione del cazzo dell’amico del mio amante: è gigantesco, a dire il vero non ho mai visto un pene così lungo e così largo, anzi, non credevo neppure esistessero membri come quello, giacché pur non essendo ancora completamente eretto è più grande del mio avambraccio. Lo spettacolo, perché così si può definire tale visione, finisce quando lui s’inginocchia davanti a me per legarmi i polsi e il mio amante si colloca dietro di me bendandomi non del tutto con un fazzoletto di seta nera. Lo sento passare davanti, m’afferra per i polsi guidandomi nella sala principale, poi mi dispone in una posizione innaturale e piuttosto scomoda, la schiena adagiata presumo sulla seduta del divano di pelle bianca, con le gambe appoggiate allo schienale che sporgono sul lato posteriore e la testa penzoloni fuori dalla seduta.

I preliminari e i preparativi non esistono, mentre il suo amico mi lega con una multiforme giuntura, lui fotte la mia imboccatura con una veemenza brutale, perché sento le sue palle sbattermi contro il naso ogni volta che infila tutto il suo cazzo nella mia cavità orale. Dalla quella strampalata circostanza comprendo in brevissimo tempo che sarà un pomeriggio lungo, infausto e doloroso, però improvvisamente così come è iniziato finisce. Io sono bendata e legata, giacché non sono più autonoma nei movimenti, eppure li sento spostare di peso parti del mio corpo che per un motivo che in questo momento mi sfugge, ho ceduto a un estraneo che aveva il solo pregio d’essere divinamente bello. Il gel freddo scivola adagio tra le mie natiche, prima che il mio cervello possa mettersi a fare bizzarre considerazioni sulle proprietà viscose dei fluidi, capto in modo distinto un oggetto che preme sullo sfintere introducendosi comodamente dentro le mie viscere, però da come intuisco è piccolo e quest’aspetto mi preoccupa parecchio. Quando sono diventata una schiava, le uniche cose che erano entrate nel mio ano erano le supposte, adesso, dopo che il mio dominatore m’ha formato sono entrati oggetti di dimensione e dalle provenienze più varie oltre a due peni, quello del mio dominatore, che anche quando mi condivideva con altri teneva il mio buchetto tutto per sé, e in ultimo quello del mio attuale fidanzato. Adesso, so per cognizione e per esperienza diretta, che se allargato gradualmente il mio retto come quello di chiunque può arrivare ad accogliere anche un dildo di grandi dimensioni e temo che la piccola capsula in metallo che attualmente &egrave dentro di me, sarà solamente il primo d’una svariata serie con dimensioni sempre maggiori. Io sono bendata e legata, perché perdo la consapevolezza del tempo, tenuto conto che il mio concubino intervalla infilzando il suo cazzo in una delle mie cavità con un’inconfutabile attaccamento e con una palese propensione per la cavità orale, sino a quando io esco dalla dimensione temporale di quella stanza ed entro in ultimo in uno spazio e in una superficie tutta mia, dove trarre in conclusione beneficio della mia sottomissione. 

‘I patti vanno sempre onorati, ricordi vero? Tu avevi deciso di restare assieme a noi sotto la tua incondizionata e integrale deliberazione. Ti dovrò subito scopare’. 

Quella frase mi riempie la mente e riesce persino ad azzerare cancellando il dolore diffuso e prolungato che mi pervade, io m’abbandono sul letto e allargo le gambe in attesa che lui mi riempia. Lui mi penetra e si muove dentro di me con foga, quasi con rabbia, eppure io non sono soddisfatta. Il pomeriggio di dolore e di sofferenza m’ha svuotato, la sottomissione è un modo di darsi, di donare e come tale lascia un vuoto che dev’essere in qualche modo completato, riempito e saziato. L’amore, il sentimento è un modo per riempire questo vuoto, cui io in questo momento non posso ricorrere, però che tento di soppiantarlo sostituendolo con la bramosia sessuale, allora chiamo il nostro compagno di giochi e m’infilo in bocca il suo cazzo gigantesco, perché ne ho voglia e spero di percepirlo crescere dentro la mia bocca, dopo averlo visto rimanere quasi cedevole e flaccido per tutto il pomeriggio. Più il mio amante si muove dentro di me, maggiormente io succhio con foga il cazzo del suo amico, perché voglio godere e per farlo mi sembra indispensabile vedere quell’enorme cazzo diventare duro, eppure ogni mio sforzo sembra vano. Inaspettatamente io godo, infine il mio corpo è attraversato da spasimi che fanno fluire il piacere in tutte le mie fibre. Io godo, finalmente, che stupenda delizia, godo e quando riapro gli occhi il mio amante è fermo sopra di me con il cazzo dentro la mia fica che sogghigna:

‘Vuoi esaminare il suo cazzo granitico?’.

Probabilmente lui mi decifra nel pensiero o forse noi donne siamo più coerenti, lineari e più semplici di come talvolta gli uomini ci descrivono e ci tratteggiano, almeno in certi frangenti:

‘Sì, certamente, se non m’implica né mi costa però un altro lungo pomeriggio, a tal punto come quello di oggi naturalmente’.

Lui ride di nuovo e poi chiede al suo amico di mettersi sopra per permettermi di succhiargli il cazzo mentre mi lecca. L’illusione e la falsa speranza nata e scaturita nella mia mente, che solamente una semplice posizione d’un sessantanove possa bastare per eccitare il nostro amico si dissolve svanendo sennonché presto, visto che io vedo chiaramente il mio amante posizionarsi per bene per sodomizzare l’amico. Lui inizia piano, però poi l’intensità dei colpi cresce, intanto che io dal mio punto d’osservazione privilegiato vedo il cazzo del mio amante entrare completamente nell’ano dell’uomo sopra di me. Quasi nello stesso momento, il suo pene inizia a crescere nella mia bocca fino a riempirla del tutto: per un attimo penso che per tenerlo in bocca dovrei slogarmi la mandibola, ovviamente non è così, eppure poco ci manca. Dopo ci giriamo, il mio amante si sdraia sul letto, il suo amico s’impala sopra di lui, io ci gioco masturbandolo e leccando sia lui sia il mio amante, o almeno la parte dei suoi organi genitali non infilati nell’ano dell’amico. Quando poi vedo che il cazzo è completamente duro mi siedo sopra e con calma lo faccio entrare in me: è grosso e duro come una roccia, tenuto conto che non ci metto molto a godere di nuovo, perché sentire la mia carne contrarsi su quel cazzo è una sensazione senza precedenti, favolosa e straordinaria. 

Io sono sfinita, esco dal bagno e mi spalmo un po’ di crema sui segni rossi che segnano i miei glutei, poi m’infilo l’abito di seta nero che ha il tono della gioia, per aver provato ancora una volta sensazioni di sottomissione che non riesco e non voglio per nulla dimenticare.

Nell’atrio dell’albergo trovo il mio fidanzato lì pronto ad aspettarmi, il suo bacio pieno d’amore mi spinge a pentirmi ravvedendomi per aver ceduto alle mie voglie.

Nell’aria s’avverte la brezza e la frescura leggera della sera nel momento in cui ci dirigiamo al ristorante, per il fatto che sgombera e che spazza completamente via i miei sensi di colpa di tutte quelle audaci, avventurose e rocambolesche malefatte compiute.

{Idraulico anno 1999}  

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