Skip to main content
Erotici Racconti

Quella supplica confusa

By 13 Dicembre 2016Gennaio 31st, 2023No Comments

‘Vorresti sposarmi?’. Io avevo ancora in testa quelle parole che si diffondevano frullandomi e risuonandomi assiduamente nell’orecchio così come un’eco infinito. Lui, il mio lui, tempo addietro m’aveva fatto quella cruciale domanda cogliendomi completamente alla sprovvista. Noi due ci conoscevamo da qualche anno, è vero, però stavamo insieme soltanto da poco più di sei mesi, perché pure lui in fondo si era reso conto di quanto quella domanda gli giungesse inaspettata, cosicché si era dimostrato molto aperto, benigno e comprensivo, per il semplice fatto che m’aveva dato carta bianca senza farmi alcuna pressione per poter scegliere:

‘Pensaci, dopo mi dirai’ – m’aveva detto in conclusione.

Io l’avevo fatto, eccome, dal momento che sia di giorno quanto di notte supplicavo il mio istinto di propormi suggerendomi in conclusione la risposta giusta da offrirgli. Era trascorsa una settimana e la risposta non era ancora arrivata, seguii con gli occhi una goccia di condensa che scivolava sul finestrino del treno e mi chiesi se la mia difficoltà nel trovare una risposta non fosse precisamente un segno. Salii sul tassì diretta al festino in centro, un ricevimento di lavoro, confidenziale quel tanto che basta per rischiare anche di divertirsi. Le luci sfrecciavano intorno a me, le altre auto si muovevano a singhiozzo nel traffico cittadino, dato che mi trovai a ripensare ancora una volta che tutto sommato la vita matrimoniale poteva anche nascondere dei lati positivi, scesi dal tassì pagai il dovuto, mentre il mio capo fumava una sigaretta fuori dal locale dove avevamo organizzato la festa.

In perfetto orario, come sempre i nostri ospiti non erano ancora arrivati, salutai il dirigente amichevolmente e mi diressi alle toilette per prepararmi, perché il bello di lavorare tra giovani è il potersi sentire a proprio agio, sempre. Controllai allo specchio il trucco e la mia acconciatura per la serata: la giacca nera, la camicia bianca e la cravatta blu allentata sul colletto slacciato e i jeans sbiaditi. Devo ammettere che mi è sempre piaciuto avere quel tocco d’eccentricità per distinguermi, giacché l’occasione era informale a sufficienza, così un sorriso smagliante ed eccomi pronta per fare nuove conoscenze. La serata trascorse tranquilla e divertente: c’erano tutti i miei colleghi e l’atmosfera si fece subito allegra e gioviale, intorno alle ventitré ecco arrivare i nostri ospiti, un gruppo con il quale avremmo dovuto cooperare dal giorno seguente.

Io vidi il mio capo andare all’ingresso e stringere mani e sparare sorrisi a raffica, mi sistemai la cravatta spiandomi in uno specchio della sala e m’incamminai verso di lui. Ricordo alla perfezione il momento in cui m’avvicinai a lui già sorridente e alzai lo sguardo verso quei volti sconosciuti. Il momento in cui posai i miei occhi su di loro e li scorsi tutti, ricordo il nodo istantaneo che mi venne allo stomaco quando tra i volti inediti vidi il suo. Il sangue si gelò nelle vene e altrettanto fece il sorriso sulla mia faccia, poiché penso d’essere impallidita all’istante, dato che le orecchie cominciarono a ronzare, mentre davanti a me avevo soltanto i suoi occhi nei miei.

Erano trascorsi quattro anni, quattro anni colmi da quando mi ero laureata e da quando la storia tra me e Riccardo era finita. Eravamo stati insieme per due anni, tra alti e bassi, vedendoci di rado, pur essendo tecnicamente compagni di studi, dal momento che quella era stata indubbiamente la storia più influente della mia vita, però anche la prima, malgrado ciò pure per lui aveva vissuto quello stesso costante e lineare impatto, riempito di scoperte, d’emozioni fortissime, d’amore vero, di dolci momenti, di passioni infuocate e d’inedite rivelazioni. Avevamo scoperto entrambi i nostri lati caratteriali più dissimulati e sottintesi, l’uno grazie all’altra, stavamo bene insieme, in quanto eravamo affiatati, però l’insofferenza, la lontananza e in ultimo la noia avevano inevitabilmente usurato ben presto quei sentimenti logorandoli, e la sua voglia di sperimentare emozioni nuove con altre donne lo aveva irrimediabilmente allontanato sempre più da me.

Da quando ci lasciammo non c’eravamo più visti fino a quel momento, adesso lui era lì davanti a me, sfrontato e sorridente come lo ricordavo. Notai però con soddisfazione che anche il suo sorriso si era leggermente incrinato vedendomi, non se lo avrebbe giammai aspettato di vedermi. Facemmo comunque finta di nulla e dopo i consueti convenevoli e le usuali presentazioni ci spostammo tutti per il rinfresco. Io ero davanti al tavolo del buffet, tuttavia la fame era svanita di colpo, il dispiacere, il dolore e il freddo che avevo provato l’ultima volta che c’eravamo visti era di nuovo attualmente presente e vivo, come se fosse stato soltanto il giorno prima. Io non sapevo che cosa fare, stavo valutando anche l’opportunità d’allontanarmi, eppure il pensiero di doverlo rivedere comunque domani e il giorno seguente e di doverci lavorare insieme non era quella la soluzione adatta. Stavo ancora pensando su come agire correttamente, quando sentii una mano calda posarsi sulla mia spalla. La riconobbi senza indugi, pigliai coraggio e mi voltai: era Riccardo naturalmente che mi sorrideva, però la tensione era percepibile, giacché io lo conoscevo troppo bene:

‘Stai benissimo vestita così’ – esclamo lui in modo vivace e alquanto colto sul fatto.

‘Anche tu stai molto bene, perché non ho mai avuto il piacere di vederti con quella giacca da pinguino. Non l’hai indossata nemmeno alla mia laurea, anche se all’epoca lo avevi espressamente promesso’ – gli risposi in tono neutro e scialbo.

I soli pensieri di quei momenti bruciavano incandescenti addolorandomi il cuore, dato che lui ribatté con un sorriso disonesto, oserei dire obliquo, perché anche a lui faceva male ricordare, dal momento che era pur sempre una piccola rappresaglia:

‘Senti, dimmi una cosa, t’andrebbe di conversare?’ – mi domandò lui indicandomi il terrazzo.

In seguito ci avviammo là sul ballatoio, parlammo per ore, io guardavo il suo profilo mentre i ricordi rapidamente s’accavallavano scorrendomi come il nastro d’un film per alcuni versi pugnalandomi. Io captavo il suo profumo così esageratamente presente e sempre lo stesso anche dopo svariati anni. Il mio stomaco si produsse in una capriola da oro olimpionico, almeno quello potevi evitarlo pensai subito dentro di me: quel profumo, infatti, mi faceva sorvolare immediatamente indietro negli anni, quando io distesa sul suo petto dopo aver fatto l’amore ne aspiravo profondamente il suo odore con tutte le mie forze, per farlo entrare dentro di me sempre più in fondo per non lasciarlo mai più andare via. Io lo squadravo attentamente mentre lui mi raccontava delle sue prodezze lavorative e sognavo di poter riassaporare quel profumo nell’incavo del suo collo, di poterlo sfiorare con la punta della lingua e di farlo rabbrividire.

‘Chissà, in quante hanno fatto lo stesso dopo di me?’ – mi chiesi in quel frangente, lì in quell’attimo il mio stomaco ricevette un bel pugno secco stordendolo, frattanto lui si era fermato e m’accorsi lucidamente che stava guardando la mia mano sinistra:

‘E tu? Che cosa mi dici? Io vedo qui un anello, hai il ragazzo?’.

Un altro pugno sonoro che giungeva annientandomi: ecco come tornare celermente al presente con due blocchi di cemento attaccati ai piedi, lui. In tutta la sera il suo pensiero non m’aveva minimamente sfiorato, perché la presenza di Riccardo aveva cancellato tutto rimuovendo ogni cosa, in quanto m’aveva rimandato indietro nel tempo a quand’ero una ragazza felice e innamorata, perché dopo Riccardo io non ho più amato nessuno. Troppa era infatti la paura di soffrire, parecchia era l’angoscia, l’avvilimento e l’inquietudine di dover penare di nuovo come allora, però con lui avevo allacciato una relazione di calore, d’entusiasmo e di slancio inatteso, cosa peraltro non da poco. Questo qua non era amore, eppure era un surrogato molto piacevole, oserei ribadire raro sotto certi aspetti, tenuto conto che lui m’aveva chiesto in moglie e non era da trascurare, cosiffatto immediatamente gli risposi:

‘Sì, ho il ragazzo. Stiamo bene insieme e lui m’ha chiesto di sposarlo’ – piazzandogli lì all’istante il mio sorriso fittizio più convincente mostrandomi oltremodo raggiante, lui si congratulò stando al gioco, sennonché era chiaramente contraffatto anche lui, forse perché lo aveva captato dal mio stato d’animo:

‘E tu invece? Sei fidanzato?’.

‘Io, bella questa? Sai, fidanzato è una parola grossa’.

Riccardo non m’aveva mai chiesto di sposarlo, per niente, anzi, aveva messo in chiaro in modo preciso tutto fin dall’inizio: niente matrimonio e niente figli, dato che all’epoca io ero d’accordo con lui, però stando insieme mi ero affezionata tanto e a volte mi trovavo ad accarezzare con la mente l’illusione di poterlo sposare. Non era mai accaduto niente di simile, parlammo ancora e le parole gradualmente divennero più avvolgenti, le voci più basse e le nostre teste sempre più vicine. Il mio responsabile non m’aveva cercato, il suo neanche, per il fatto che la festa proseguiva senza di noi e noi in quel preciso istante non avevamo bisogno di niente. Io non potevo pensare lucidamente, poiché Riccardo aveva il furfante e il mascalzone potere di farmi comportare in modo stupido e lo stava usando su di me anche in quel momento, le parole fluivano come liquide, io lo ascoltavo e la sua voce m’intontiva, perché non apparve in nessun caso l’immagine di lui con gli occhi lucidi né lo sguardo ferito per farmi rendere conto del male che gli stavo facendo. Nella mente io avevo soltanto i ricordi di quei lunghi anni di d’abbandono e di solitudine che avevo richiamato alla memoria mentre mi masturbavo, per poi scoppiare in lacrime. Quei ricordi fatti di pelle, di carne, di calore, di gemiti e di sospiri, di piacere confuso e di dolore sottile. Io rivedevo nitidamente i suoi occhi teneri mentre lucidamente facevamo l’amore, il suo viso stravolto dal godimento, risentivo i suoi boccheggi selvaggi dietro di me quando mi prendeva con foga, perché io lo facevo sentire un vero animale.

Ambedue avevamo condiviso così tanto, intimamente e profondamente, com’è potuta finire così tra di noi? M’accorsi soltanto un istante troppo tardi che questo mio pensiero si era trasmesso alla mia voce, lui tacque, io altrettanto, imbarazzata e turbata per la circostanza, poi mi guardò negli occhi e m’accarezzò piano una guancia e allora lo baciai. Io non avevo mai preso l’iniziativa con nessuno, eppure in quel momento il mio pilota automatico aveva deciso per me, poiché fu un bacio imponente, superbo e magnifico, perché fu un bacio affermato, conosciuto e noto, un ritrovare qualcosa d’incredibilmente potente e valoroso che credevo perso per sempre. Fu una vera e inattesa rivelazione riscoprirci identici così come quattro anni fa, come se nulla fosse cambiato, come se niente ci avesse diviso né separato. Salutammo rapidamente i rispettivi superiori diretti e abbandonammo separatamente la festa, salimmo sulla sua autovettura e andammo di filato a casa sua, considerato che non volevamo perdere ulteriore tempo: c’eravamo già mancati troppo stando distanti.

Quando mi distesi al suo fianco sul letto, tra un bacio e l’altro, mentre lui piano mi sbottonava la camicia m’apparve per un microsecondo la sua immagine, perché in fondo al mio cuore benedissi colui che disse che il tradimento con un ex non conta e che non ha voce in capitolo.

A ben pensarci, in effetti, se la sua proposta di matrimonio mi stava concedendo e permettendo di fare questo, voleva dire che la sola e unica risposta giusta era un no.

{Idraulico anno 1999} 

Leave a Reply