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Erotici Racconti

Sbarro gli occhi

By 27 Agosto 2016Gennaio 30th, 2023No Comments

Per un istante chiudo gli occhi e vedo in brevissimo tempo la nebbia, però non la vedo immediatamente, dato che una volta chiuse le palpebre come serrande metalliche qui dietro diventa tutto buio, eppure semplicemente so che c’è. Io l’avverto come una cortina di fumo che m’avvolge all’ingresso d’un mondo felpato, malgrado ciò è palpabile, perché infatti, a livello cosciente i miei piedi poggiano su qualcosa di solido, però in realtà non poggiano per nulla, dal momento che io galleggio a mezz’aria, ciononostante non guardo mai verso i miei piedi laonde non posso saperlo. So molto però, che sono senza calze né scarpe e che indosso una casacca alquanto ampia, non ho alcuna certezza d’aver infilato dei pantaloni, benché il fatto non mi crea alcun imbarazzo.

Il mio ‘Io’ che dorme ha dopotutto una coperta, un bel panno non troppo pesante che s’avvolge sulle gambe. Mi muovo attraverso inconsuete e strane avventure, episodi d’assurdità, di controsensi e d’incoerenze quotidiane, però con emozioni dipinte a tinte più forti dove c’è la fretta, l’imbarazzo e persino l’umiliazione. Tutta questa scena è come se fosse stata già tutta decisa, come se tutte le azioni avessero cooperato insieme per portarmi lì in quell’istante, dato che mi trovo in quel corridoio di pietra con quei mattoni grigi in vista, visibili soltanto in un secondo momento, poiché dapprima la mia mano scivola sulla cupa carta da parati d’un appartamento, mentre lei è lì che dorme sul letto, giacché aspetta solamente che io la svegli, in tal modo alla fine la dondolo:

‘Sveglia bellezza, hai già dormito abbastanza, non ti pare?’.

Nel momento in cui lei si volta con un gemito assonnato intravedo una generica e vaga rassomiglianza con un’attrice che conosco, tuttavia è soltanto un attimo, poi torna a impallidire, a mostrare di sé soltanto i lunghi capelli neri e disordinati sparpagliati sul capezzale e l’abito lungo di quella foggia antica, semplice, a fiori piccoli che oscilla tra il verde e il viola, tra il nero e il marrone. Io posso essere certa solamente del colore bianco della sottoveste di cotone leggero che si è attorcigliata addosso nel sonno, posso esserlo senza ombra di dubbio, poiché lei nel riconoscermi si solleva la veste e là di sotto io osservo chiaramente che è discinta, essenziale con l’inguine peloso che incita pungolando verso di me facendo pressione, esponendomi la sua intima grazia con un ridotto lamento d’una comprovata e di un’irrefutabile implorazione, così come un’agguerrita e valente supplica.

Io mi ritrovo inginocchiata al lato del letto seppur non avendo fatto alcun movimento per trovarmi in quella posizione, in quanto il pavimento è semplicemente dalla mia parte giacché si è abbassato di livello, per permettere alla mia bocca di scendere per leccarla proprio nell’istante in cui inizia il movimento del suo ventre, perché è come se dall’inizio fosse stato opportunamente e utilmente deciso che la mia faccia e il suo grembo dovessero incontrarsi. Io sono al momento confusa, disorientata e scombussolata, per il fatto che intuisco molto bene che cosa lei s’aspetti rettamente da me, ma io non sono un uomo, non l’ho mai fatto, giacché mi vergogno.

A dispetto delle deboli proteste e degl’instabili malcontenti della mia mente, seguono clamori e rimbombi peraltro muti che la donna non può captare né sentire, io in tal modo mi ritrovo ad allargare con le dita la sua pelosa e odorosa fenditura per leccarla. La sua fica è come il rivestimento d’un mollusco penso fra me, poi con la coda dell’occhio vedo confusamente quei folti peli pubici come fuggevoli mazzetti d’alghe, cosicché assaggio il gusto salmastro ma gradevole di quella deliziosa e lussuriosa fica, laddove la sua proprietaria è distesa attualmente in un armonioso, placido e soave dormiveglia. Non molto distante c’è un uomo, lì c’è il suo proprietario, lui la possiede, perché ha diritto sul suo corpo, come su d’un qualsiasi oggetto da lui comprato. La donna è supina sul letto come una bestiola che mostra la sua sottomissione, in quest’istante l’uomo è la mia totale proiezione, io sono l’uomo, cosicché la penetro con le dita lasciando che si lamenti per il regalo, per la sorpresa e per il dolore, perché io sono l’uomo, sono il suo padrone.

Attualmente la possiedo come meglio m’aggrada, ho diritto sul suo corpo come su d’un qualsiasi arnese da me acquistato, per questo con le dita la penetro nello stesso momento anche nell’ano spingendo forte. Io vorrei vederle il seno, però faccio fatica, giacché quell’indumento è talmente avviluppato tenuto conto che mi ostacola di scoprirle agevolmente il petto, sennonché in quella circostanza io lacero, sbroglio e tendo senz’arrivare alla pelle disadorna della donna. Al presente sto sudando, poiché la mia ‘individuale essenza che ozia’ si capovolge nell’ottomana senza contegno né compostezza con una mano intrappolata comodamente tra le cosce, finalmente il corpetto di quell’indumento viene abbassato e senza neanche un’occhiata di contemplazione, aggiungerei di puro di misticismo verso quel seno piccolo e ben modellato, comincio a palparlo plasmandolo, malgrado ciò resto sorpresa non trovando il piacere che cerco.

La donna è al presente rasserenata, rilassata, come se nulla le stesse accadendo, in quanto si volta con noncuranza a pancia in su nel letto, al momento è distesa con le gambe unite, il corpetto è di nuovo al suo posto intatto, l’abito stavolta le scopre le chiappe, le natiche scure e toniche, che peraltro accarezzo appena per dedicarmi in conclusione al suo retto, giacché le mie mani sono instancabili e tenaci. Io cerco il suo dolore, chissà, eppure perseguo infaticabilmente e senza sosta qualcosa, forse un dispetto, una ripicca, più o meno un ricordo. Quelle mani che m’allargavano e m’introducevano nella vita reale, facendomi sennonché sentire più vergine di quanto non fossi mai stata. Al presente quel desiderio mi pulsa dentro martellandomi, giacché chiede esigendo ancora questa bruciante e mortificante invasione, siccome è impossibile ammetterlo nella vita reale. Ebbene sì, avverrebbe indubbiamente, poiché non si presenterebbe nelle sembianze di un’allucinazione né d’un delirio, no, non avrebbe l’intelaiatura né la sfumatura di come io l’ho rappresentata idealmente, perché sarebbe una pura sofferenza, la donna viceversa non accusa né si lamenta né recrimina per quanto accade.

La donna adesso è gloriosa, è splendida, flemmaticamente la nebbia che m’incorniciava ogni scena si sta allargando sfilacciandosi definitivamente, mentre la mia individuale essenza risale in superficie e vengo nel contempo silenziosamente e tacitamente assorbita e risucchiata verso la schietta realtà: io ero un uomo, una concreta creatura mortale che desiderava possedere.

Io ero quella donna, la donna che era un’altra, in quanto auspicava ed esigeva essere radicalmente posseduta e sedotta: davvero impossibile, improponibile e inammissibile sennonché accordarlo, ammetterlo, confidarlo e spifferarlo freddamente e spassionatamente nella vita reale.

{Idraulico anno 1999} 

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