Skip to main content
Erotici Racconti

Sentori inenarrabili

By 8 Gennaio 2019Febbraio 12th, 2023No Comments

“Devo confidarti una cosa, adesso mi sbottono definitivamente annunciandoti che domani sera avremmo qua dai noi degl’invitati. Può darsi che tua sia contrariata e forse un poco disgustata, eppure io non potevo rifiutarmi, perché in verità è una questione specifica che ti racconterò”.

“Potrei come minimo avere notizia di che cosa si tratta?” – aggiunse Géraldine insolitamente angustiata e impensierita per quell’inattesa circostanza. 

“E’ ovvio che te lo spiegherò, tuttavia non dovrai crucciarti né roderti più del dovuto” – espose lui bonariamente tentando di rinfrancarla. 

Io squadravo Géraldine con quella sua espressione imbarazzata e tentennante, era tangibilmente titubante e sensibilmente vacillante, perché non capivo se intendeva sbraitare o se trascinarsi in maniera incerta una volta ancora, con la perfetta e altrettanto virtuosa remissività della femmina che si sente soggiogata. Necessiterebbe concepire infatti un puro e giusto per le donne sottomesse, malgrado ciò a ponderare correttamente dominati e oppressi tutti i beati in fin dei conti lo erano, giustappunto dai tempi remoti dal remoto e sorpassato testo del vecchio codice del testamento. Meditate che la figura di Adamo fu sennonché la prima, considerato che soggiacque a un taglio per pervenire al piacere d’avere una donna, Abramo, invero, che fece da dominato e da tiranneggiato per ben lunghi quattordici anni al suocero per possedere sua moglie, fino ad approdare a noi con i vari protettori circoscritti che diversificano dalla griglia alla fustigazione, al falò e via di seguito discorrendo, poiché mi viene da rimuginare che fossero anch’essi degli estenuati, oppressi e perseguitati schiavi. Di conseguenza, all’epoca, era necessario osservare delle norme, conveniva improvvisare e adattarsi, utilizzare l’inventiva. Ma che cosa dovevo immaginarmi? Togliamo che a lui non posso chiedere nulla, forse qualcosa lo estrapolo dal suo cellulare, è però insolito che lo abbia volutamente abbandonato a casa, lui non usciva mai senza. E’ meglio sprangare bene la porta prima di compiere un’azione talmente bieca e indegna, perché qualora ritornasse avrei almeno il tempo di ridisporre l’oggetto a posto. Però, che ammodo, attiva, rispettabile e ubbidiente femmina. Io digito sui messaggi, forse là dentro soggiace il cardine del mistero, sicché spulcio, intravedo, scorro l’argomento dello scritto a tendina e leggo:

“Nel corso della giornata ti presenterò la mia consorte. E’ consentito finanche presenziare?”.

“Che diamine di storia è questa qua? Presenziare e assistere di preciso a che cosa?” – rimugino io frattanto sempre più incuriosita e stuzzicata da quel comunicato.

“Sì, certo, accordato, nessun tipo di grattacapo per me. L’orario sarà alle ventuno presso il mio appartamento”.

“Molto bene, intesi, è davvero splendido” – è il contenuto finale del messaggio di testo nel cellulare.

Stupendo nemmeno per idea, per me non è fantastico per niente. Chi sarebbe poi quest’individuo, lui non m’aveva giammai rivelato di questa faccenda. Sarà un’altra inedita trovata delle sue, ecco ci risiamo. Io spalanco del tutto la persiana e faccio cambiare l’aria, in quanto stasera sarà piuttosto chiassosa e vivacizzata con una consorte portata dal marito, tuttavia questa bislacca e mattoide circostanza m’affascina e mi coinvolge, lui lo sa molto bene. Che cosa faccio? Metto a disposizione i gingilli oppure no? Probabilmente è preferibile di no, perché se per lei è la prima volta, non è per nulla il caso d’avventarsi con troppa foga, dopo pondererà lui a insinuarsi nel modo più adeguato nella questione. Io depongo solamente le polsiere, le cavigliere e pure il bavaglio sul treppiede, peri il fatto che ho la netta e utile intuizione che serviranno. L’unica cosa che m’angustia e che m’attanaglia quest’oggi è che ho perfino il ciclo mestruale, maledizione, questa non ci voleva. In ogni caso m’auspico che si sazino a casa loro, perché non ho nessun proposito di preparare per persone che non frequento né conosco. Ecco che il bubbolo risuona, è lui: 

“Che cos’indosso? Alla maniera di sempre, io ho predisposto di rifocillarci per quattro persone, ho ordinato già tutto io. Assumeremo il cibo in sala che tu provvederai a portarci. Hai compreso come ti voglio? Il resto lo apprenderai nel corso della serata”. 

Io sono felice e lusingata che non ho la mansione di allestire nulla, esentata totalmente dal preparare alimenti.

“Ascoltami bene, tu presterai servizio a tavola e dopo assaggerai le pietanze nel tuo angolo. Quando loro saranno qua non dovrai fiatare. Non dovrai aprire bocca in nessun caso e neppure permetterti di fare qualsiasi cosa che non ti sia stata disciplinata. Un’altra cosa, tu dovrai allestirla e predisporla al meglio”.

“In che maniera dovrò predisporla?” – enuncio io intrigata.

“Deve divenire una soggiogata in tutto e per tutto, perlomeno quello che concerne la scenografia, perché al resto ci penserò io. Tu non dovrai proferirle alcun vocabolo, la condurrai nel bagno, lei non è rapata, di conseguenza spetterà a te la prerogativa di questa mansione. Tu l’aiuterai a fare la doccia, le inserirai sia le polsiere che le cavigliere e dopo l’accompagnerai da noi. Tieni presente di non fare l’imbrogliona né la lungimirante, bada che non mi sfugge, il tuo compito è solamente predisporla, hai capito bene?”.

“Certamente boss, così sarà fatto” – aggiunsi io in maniera devota e sincera.

Un bacio mi sfiorò le labbra, lui afferrava rapidamente ogni mio desiderio, così come io assecondavo prontamente ogni sua follia, alienazione e sventatezza che peraltro amavo anch’io, se non nell’istantaneità e nella naturalezza del fatto dopo averla sperimentata. In quell’occasione iniziai a farmi una doccia, perché mi lusinga approntarmi adeguatamente per il mio capo, maggiormente nel caso in cui non ho la nozione dei suoi propositi e delle sue risolutezze. La faccenda m’aizza facendomi volteggiare con la creatività. In quel frangente pensavo a quegli ospiti e come avrebbero rappresentato il nostro gioco, mi passavo le mani sul corpo, rimuginavo come avrei potuto assecondare e assistere la mia compagna, consideravo e speculavo come avrei dovuto convenientemente agire ai suoi iniziali rossori, alle sue individuali titubanze, alle sue intrinseche voglie, al suo distaccato o viceversa focoso piacere, che non sarebbe giammai stato il mio. Eppure si vocifera, che l’attesa, l’appagamento negato e in ultimo a lungo ritrattato sono comunque condotte che portano al piacere assoluto, atteggiamenti al benessere finale compreso e goduto sino all’ultimo boccheggio. Quale parte avrebbe in conclusione eseguito il marito? Sarebbe stato esclusivamente partecipe, oppure avrebbe assistito soltanto da semplice spettatore? Quale sarebbe stato il suo vero bersaglio, il suo intimo intento?

Con quei timori uscii dalla doccia e m’asciugai, tirai la chioma all’indietro legandoli in una coda che serrai opportunamente con una coda, dal momento che non dovevano creare alcun fastidio. Io avevo già approntato il mio completo, il corsetto con le stecche, le calze autoreggenti, il mio collare, il guinzaglio, le polsiere e le cavigliere. Era senz’eccezione un lasso di tempo elettrizzante ed esaltante organizzarsi, indossare il bustino e sistemarsi i seni, immaginando che le stecche che premono provocano alla loro base un tenue incomodo, che a rilento si espandeva fino al termine d’uno spasimo esile e intensissimo dal quale faresti di tutto per sottrarti. Allacciare la cordicella al collarino lasciandolo libero dietro la schiena, ponderando quando verrà adoperato o come minimo auspicarsi che potrà essere applicato. Malauguratamente questa sera occorre posizionare perfino l’assorbente, poiché è uno sgradevole impiccio. Sacre femmine e principalmente splendide femmine vessate. In qualunque modo non incideva, poiché avevo già messo in tavola questa situazione, per il fatto che lui era stato capace e valente di scansare la seccatura impiegandomi accortamente con vicendevole pienezza.

Ho esternato vicendevole, perché lui non si scorda di me se sono brava, perché abitualmente lo sono sempre, innegabilmente non eccellente, malgrado ciò piuttosto che niente azzardo e tento. Niente cosmetici né balsami, nulla, lui non gradisce né vuole niente, perché antepone in modo categorico le esalazioni naturali e il viso disadorno da gradazioni che potrebbero inzaccherare o ingorgare i nostri espedienti, con sgocciolate tinte convertendo in tal modo una schiava in un minuto individuo legato. Al momento sono disposta e tutto era pronto, il grande orologio da parete segna le otto, il bubbolo trilla, lui va ad aprire e ritorna con il pasto serale, in verità le loro vivande, perché la mia sarebbe stata soltanto l’avanzo della sua. Allestii la tavola con tutto l’occorrente, il banchetto era un ricco rinfresco freddo, considerata l’alta temperatura estiva appena sopraggiunta. Lui collocò la scodella accanto alla sua sedia, il bubbolo echeggiò e lo guardai. Avevo appreso che fossero loro, a questo punto il pendolo segnava le nove e quindici minuti. Che cosa dovevo eseguire? Lui bonariamente m’abbracciò esponendomi:

“Niente crucci, non assillarti, vedrai che andrà tutto nel migliore dei modi”. Un bacio e mi lascia avviandosi verso l’uscio.

“Che piacere, benarrivati, venite avanti. Ti faccio conoscere mia moglie”.

“Molto lieta, sono Géraldine” – rispondo io.

Ambedue dialogano, hanno l’accento impercettibile, diamine, io non riesco a udire che cosa si ripetono. Che accidenti stanno sostenendo?

In conclusione li avvistavo, lui è sovrastante, moro con gli occhi verdi, approssimativamente sui quarantacinque anni d’età. A dispetto di ciò non era per nulla gradevole, aveva un risolino innaturale, misero e sofferto, spiccatamente contraffatto e ingannatore, azzarderei di forzato garbo. I suoi occhi sono minuti, invadenti e insoliti, occhi che non tralasciavano trapelare i concetti e questo bislacco aspetto m’inquietava parecchio. Lei, all’opposto è longilinea, non propriamente gracile, rettamente armoniosa, con una peculiarità che farà indubitabilmente contentezza al mio boss. Possiede un seno da urlo incoronato da uno scollo profondo. Dalla gonna cortissima discendevano due gambe ben levigate che appoggiavano su dei sandali con il tacco. Squadrandola con attenzione sembrava che avesse oltrepassato solamente una trentina d’anni. Francamente m’incantava, aveva degli occhi scuri e persino enormi, uno sguardo inusuale che svelava, le labbra alquanto polpute senza per questo essere grossolane né triviali. Io non posso aprir bocca, sicché inclinato la testa, quel forestiero seguita a squadrarmi le tette, quel gesto caparbio m’innervosisce. In certi frangenti m’aggrada essere esaminata, addirittura anche cercata, eppure quel tizio non mi piace, m’indispone parecchio. Distendo indietro le sedie e li faccio accomodare, il mio boss è a capo tavola, lui e lei uno di fronte all’altro, conversano di varie materie senz’argomentare di sesso. Io frattanto servo le vivande e verso il vino là dove manca, tutti simulano che io non esista, sembro uno spettro che respira accanto a loro, forse penetra nelle loro apprensioni del dopo, ciò nondimeno in nessun caso s’addentra nella loro materialità. I piatti erano stati tutti serviti, sul tavolo non mancava nulla, finché il boss enfatizza:

“Bestiolina, vieni, avvicinati qua”.

Perbacco, ideavo che sarei servita solamente per quello, cosicché m’accosto dal lato dove è seduta lei, afferra il suo piatto e versa gli avanzi nella mia scodella intimandomi di cibarmi. Io lo esamino, sa bene che esecro compiere queste cose, è al corrente che detesto assaporare quello che non mi piace, tuttavia sa ugualmente bene che mi delizia essere costretta. In verità questo gesto mi diletta far sentire il mio boss valido e importante in presenza altrui. Io mi curvo gattoni e inizio a cibarmi dentro la mia scodella, avverto gli occhi di lei su di me, in effetti non posso voltarmi, eppure li sento. Chissà che cosa starà speculando, io non indosso niente, è inequivocabile che noti la mia fica, chissà che cosa starà immaginando nelle sue intime bizzarrie. Al lieve segnale del mio boss mi sollevo cercando di ripulirmi la faccia al meglio e m’avvio verso la cucina e inizio ad approntare la caffettiera. Il bustino già mi duole, che stolta che sono nello stare con un individuo del genere, perché non arrischio riflettere quando posa le sue mani su di me, giacché mi fa inorridire al solo, bieco e turpe pensiero, lei viceversa sembra piuttosto soave e aggraziata, mi attrae.

La caffettiera frattanto rumoreggia, agguanto il portavivande e inizio a servire il caffè, piglio tutto e mi dirigo da loro.

“Aspetta, bloccati” – mi riferisce lui, iniziando tastare la mia fica con le dita. Lo disprezzo, non lo tollero, finché una vampa inaspettata mi permea il corpo. I capezzoli escono e si induriscono, lui smette:

“Come puoi ben notare la mia Géraldine è di frequente accaldata. E’ sovente disposta e sollecita per il suo capo”.

Io servo il caffè agl’invitati e mi dispongo genuflessa vicino a lui. Lui sorseggia il suo caffè e senza che mi renda conto con la mano ha allentato la chiusura lampo facendo guizzare fuori dai pantaloni il suo cazzo. Me ne accorgo appena vengo afferrata per la chioma, poiché mi traina in mezzo alle sue gambe e me lo infila in bocca. Il suo amabile cazzo tra le mie labbra è appoggiato sulla lingua, io inizio a leccarlo e a trastullarmi. Mi piace man mano che s’ingrossa fra le mie labbra, eppure lui bruscamente me lo sfila, in quanto rimango come una bimba corrucciata e delusa alla quale strappano il bambolotto preferito. 

“Sono Juliette, ascoltami Géraldine. Da adesso, se vorrai qualcosa dovrai domandare esclusivamente a me. Tuo marito da quest’istante non ha più nessuna facoltà su di te. Soltanto io posso avere la supremazia su di te, però non temere né angustiarti più di tanto, rammenta che possiamo tornare indietro da subito. Se non ti senti persuasa comunicamelo adesso, perché dopo dovrai eseguire fedelmente quello che ti dirò io”.

Géraldine esamina il marito. Che stolto che è, neppure la considera né la stringe. Lui la osserva, s’avvicina, le solleva il viso ribadendole:

“Sei certa di proseguire, sei sicura di tutto ciò?”. Con un lieve cenno della testa Géraldine certifica e garantisce che è un sì.

Io l’agguanto celermente per mano e la conduco nel bagno, vieni cucciola mia penso. Adesso ti sequestro e ti seduco io come mi pare, me la vezzeggio augurandomi che converta ripiegando celermente le idee su quello scemo e demente di suo marito. La conduco nel bagno e chiudo la porta dietro di noi, i suoi occhi sono posati sui miei seni, sembrano rasserenati, tangibilmente sollevati e sereni, quando l’alleggerisco da quelle insopportabili e moleste stecche che la irritano rendendo fastidiose e tormentate le sue tette. Adesso inizio a spogliarla, lei non s’oppone, al contrario, si lascia trascinare sotto le mie abili grinfie a un proposito non suo. Non mi piace questo, sicché le sgancio gli ultimi bottoni della camicetta con lo scollo, dopo gliela sfilo, le passo le mani sul viso e gliel’agguanto. Géraldine mi osserva, mi riferisce quanto sei graziosa Juliette, chissà che cosa staranno rimuginando i suoi occhi, in quel modo l’accarezzo, in seguito digrado ancora sfilandole la gonna. Inginocchio davanti a lei le slaccio i sandali, al presente mi è di fronte con il perizoma e con il reggiseno, comincio a sfilarle il perizoma, m’accorgo che ha un inedito tatuaggio sull’inguine, è una conchiglia di mare che incastonata tra i suoi peli risalta come su d’un pascolo abbandonato. Io la bacio proprio lì sopra, so che non devo compiere nulla con lei, perché in tal modo mi è stato categoricamente ordinato, eppure è una cosa che mi esce spontanea, giacché mi sembra un grazioso un gesto per farla sentire meglio. Le mie mani le accarezzano le natiche, le mie labbra appoggiate sono sul suo inguine, Géraldine non dice nulla, ma le sue mani mi stringono a sé, poiché sembra che cerchino là dove sia il piacere quanto la sicurezza. Io lo avverto bene, la sua cute freme, la sua deliziosa fica profuma di buono, così mi slego dal suo abbraccio e mi sollevo, la giro delicatamente slacciandole reggiseno.

Géraldine nel mentre si volta, ha le mani sui seni come per volerli foderare nella manovra di serbare per se stessa qualcosa di celato e recondito al mio sguardo, in aggiunta a ciò alla sua incombente ventura. Io le brandisco i polsi, le sfioro le sue magnifiche tette, mi viene d’azzardare che quand’era un’adolescente la rendevano immancabilmente inelegante e insicura, in realtà pure io ne so sventuratamente qualcosa, in seguito erano immancabilmente divenuti il suo punto di forza. A dire il vero le sue aureole sono estese d’una gradazione di colore marrone scuro, dove al centro si può intravedere un capezzolo grosso e sodo. In quel mentre inizio a far scorrere l’acqua della vasca miscelando il bagnoschiuma, dopo l’invito a sedersi sullo sgabello. Mi colloco dietro di lei e l’abbraccio, le mie labbra sono appoggiate sul suo orecchio, Géraldine abbassa la faccia verso di me, agguanta le mani e me le stringe. Dai suoi occhi scende una lacrima, io la bacio con delicatezza.

Io ho afferrato e compreso tutto, lei non voleva tutto questo, non le interessava, ama e difende troppo quel deficiente e inadeguato becero e screanzato individuo, lo sta svolgendo soltanto per lui. Possibile che certi uomini non capiscano il valore e il cuore delle persone che gli vivono accanto? Io la lusingo, non riesco a farne a meno, l’acqua è quasi pronta, sicché l’invito ad alzarsi, la faccio accomodare nella vasca, per il fatto che il tepore gradevole dell’acqua sembra rilassarla, Géraldine sbarra gli occhi, io acciuffo la spugna e inizio a usarla, lei me la toglie rivelandomi: 

“Juliette, ti prego, usa le mani”.

Come potrei non soddisfarla? Chi disseterà mai le sue ambizioni? Chi giammai udirà e seguirà dapprincipio il suo volere? Io scaravento la spugna e comincio ad adoperare le mani, il suo corpo risponde a quello stimolo sotto il mio passaggio. I suoi seni mi scivolano fra le dita, la sua fica fra la mia mano. Avvertiamo trepidazioni e sentori unici, inenarrabili, commozioni, meraviglie e vagheggi, in quanto sono istanti non proprio di piacere, ma in special modo più d’amabilità e d’affettuosità. Adesso la faccio uscire, la coccolo asciugandola come si fa con una fanciulla, la sfrego bene, perché desidero che senta che io tengo alla sua persona, m’importa e la spalleggio, considero e adoro questa femmina sconosciuta, che m’ha fatto toccare il suo cuore nell’universo d’una lacrima.

La sua pelle diventa rossa, la rende più avvenente, la sua chioma s’asciuga facilmente, acciuffo le polsiere e le cavigliere, mi chino davanti a lei e inizio a mettergliele. Perbacco, mi stavo scordando di depilarla, dal momento che mi sarei presa una sonora penitenza per non averlo fatto, per un istante mi sono svegliata dalle mie intime sensazioni. Impugno le sue mani e la faccio sedere sul bidè, m’inginocchio vicino a lei con il rasoio fra le mani e la guardo, lei mi sorride e acconsente. Io le sorrido, comincio a bagnarla, le insapono la fica, passo il rasoio con una mano e con l’altra la sciacquo. Finisco, dopo mi chino sulla fica e gliela bacio, è palpitante e profumata, mi solletica. 

Géraldine si solleva e allarga le gambe, io passo la mia mano tra la sua fica. Sono attimi, secondi in cui lei sembrava dimenticare il suo carnefice, il suo compagno esaltato e farneticante:

“Ha terminato la bestiolina?” – sbotta lui spazientito.

Lui è lì vicino, Géraldine si riprende, rapidamente sembra diventare di ghiaccio, pare riafferrare il suo indumento che le copre la dedizione, la psiche e la vitalità, io accenno un lieve sì, mollo la salvietta e finisco di metterle le polsiere:

“Noi v’aspettiamo nella sala grande là in fondo”.

Io accompagnai Juliette davanti al mio precettore, lei mi strinse la mano prima che io gliela lasciassi per consegnarla a lui, la esaminai a fondo, perché ambivo che sapesse che io ero lì, dopo m’allontanai collocandomi all’angolo in ginocchio. Il farabutto e manigoldo si era accomodato sulla poltrona davanti al fuoco girandola verso il centro della stanza, non rendendosi conto del regalo che gli stava facendo sua moglie. Il mio boss le passò le mani sui seni. Gli piacevano e lo sapevo. Cominciò a tirare un poco i capezzoli, lei non fiatava, ma socchiudeva gli occhi e lasciava fare. Non un movimento, unicamente il suo respiro che diventava più accelerato:

“Gradisci mia bella sgualdrina? Sai che hai delle magnifiche tette?”.

Lui la brandì per i polsi e la condusse alla gogna, la fece inginocchiare bloccandole la testa e i polsi. Lei tenta d’alzarsi, mentre lui le infila sotto il tavolino di pelle. Le ferma i piedi con dei moschettoni che bloccano le cavigliere alle gambe del tavolino. Le sue mani passavano accarezzandole le natiche di lei. L’accarezza. Vuole sicuramente infonderle coraggio, pure lui come me ha capito il gesto di quella splendida donna:

“Molto bene bestiolina, noto che gradisci assai”.

Io dalla mia visuale non sono in grado di vederla in faccia, sono desolata, vorrei che sapesse che sono accanto a lei, che potesse leggere nei miei occhi quanto la contemplavo e la stimavo, ciononostante intravedevo lo scemo, lo percepivo un individuo equivoco, infido e sfuggente, perché si notava che si scatenava vedendo la moglie nelle mani d’un altro maschio contro la sua propensione, contro la sua tenacia, eppure Géraldine era allineata, disposta e schierata a tutto per lui. Al presente lo vedo far calare la cerniera dei pantaloni, con il cazzo tra le mani che tenta di masturbarsi. Lo sapevo, lui è un segaiolo impotente, inconfutabile è che nei suoi occhi non si poteva leggere null’altro, che la voglia di soddisfare sé stesso. Il mio precettore la lascia e viene da me e annuncia:

“Avvicinati bestiolina, diamo un bel saggio a questa sgualdrina, così vedono come sei ferrata. Non ci tieni nel far conoscere come sei disciplinata e ubbidiente?” – brandendo la mia cordicella per cani e rifilandomi una brusca tirata, facendomi gattonare fino al palo.

Adesso avverto di netto lo sguardo del stolto e sprovveduto individuo. M’aggancia le caviglie divaricandole, so cosa vuol compiere, che cosa desidera eseguire. Ora vedo la frusta, la mia dolce tentazione. I miei seni sono ormai dolenti e il legno sfrega contro i miei capezzoli ormai duri. Quel frustino vibra, s’abbatte sulla mia schiena e sulle mie natiche, è duro, inerte e inflessibile mentre batte la mia carne. Io ansimo, mugolo, non voglio parlare, non posso, c’è un ordine ben preciso:

“Fermo, adesso basta, smettila, non farle del male” – si sente la voce improvvisa e roboante di Juliette.

“Tu non immischiarti, pensa ai fatti tuoi” – è la voce sferzante di lui.

Il frustino prosegue, non ho il tempo di pensare più a lei, devo concentrarmi, non devo far uscire nulla dalle mie labbra, colgo che afferra qualcosa e lo sento tornare. Riesco a vedere che lui le divarica le natiche e cerca di far scivolare un fallo artificiale. La sua cavità pelvica è incapace di trattenersi, simula con i suoi movimenti un amplesso. Lui cerca il piacere, lei soggiogata accetta, io sono ormai sola su d’una nuvola tutta mia alla ricerca del mio personale piacere, alla ricerca d’un assurdo e inverosimile orgasmo. Io abomino questo tipo di sensazione, esecro quel gingillo, perché sono cose orrende, perverse e tremende, perché ti conducono fino alla soglia, ti fanno apprezzare il panorama, ti fanno entusiasmare, dopo t’impediscono di spiccare il volo nel totale piacere:

“Com’è graziosa Géraldine. Ti piace? Adori vedere il suo didietro colmo? La vorresti per spassartela?”.

Io sentivo che la stava battendo sulle natiche, era un suono particolare, le natiche di Géraldine erano formose e sode, aveva un didietro eccezionale. Percepivo che strillava senza poter far uscire il suono, avvertivo che si dimenava, ma non poteva sfuggire al suo destino, in quanto era il suo cuore ad incatenarla là. Successivamente Géraldine ritornò da me, finalmente rividi quegli occhi, erano gonfi di lacrime. Non vedevo ancora il piacere, unicamente lo spasimo e il netto abbandono. Frattanto adocchiai lo scemo, il suo cazzo era diventato appena visibile e stretto fra le sue mani pareva un peperone rosso. Era rosso e duro soltanto perché lo stringeva forte impedendo la circolazione, altrimenti si sarebbe lasciato andare in un mare di gelatina. Lo odiavo con tutta me stessa, se avesse potuto avrebbe tifato come allo stadio. Cercava d’aizzarsi facendo montare la moglie ad altri maschi, il mio precettore mi fece scivolare fuori il dildo delicatamente. Mi strinse a lui e mi coccolò. Un attimo soltanto per infondermi fiducia e coraggio, per farmi comprendere che lui m’amava. Lo capivo.

Adesso presumo che il resto della serata resti sull’accomodante vista la situazione, lui mi fa sennonché accomodare posizionandomi il dildo al punto giusto facendomi in ultimo sedere. E’ propriamente il caso di dire la “Principessa sul pisello” come si narra nelle favole. Di certo è una grossolana e pacchiana corbelleria, senz’altro le meraviglie che dispensa questo gingillo non lo sono. L’impalatura è perfetta per un piacevole quarto d’ora o per il tempo che il boss ritiene necessario con le modalità che lui ritiene consone, dopo m’aggancia i polsi e le caviglie e mi blocca. Ora è il momento, il telecomando è tra le sue mani, m’osserva e ridacchia, al mio gesto lo aziona, un sussulto tiepido sale deliziosamente dalla mia fica attraversandomi il corpo e invadendomi l’intelletto. Io mi sento sazia, colma di lui, del suo svago e del suo appagamento, della sua fermezza, adesso si volta e si dirige verso di lei, lei che lo guarda cercando di pronosticarne le sue mosse, ricercando di non opporsi, agognando un istante di compassione e di tenerezza negli occhi del marito, sfortunatamente non la trova, all’opposto incontra i miei. Io la guardo, la desidero fortemente, anelo far parte di lei del suo piacere più d’ogni altra cosa, aspiro di far parte della sua dedizione per trasmetterle ardimento, eroismo e risolutezza, desidero farla sentire una femmina apprezzabile e prestigiosa. Lui scivola dietro, la mano gli passa sulle natiche bianche di Géraldine, nuovamente l’accarezza e la coccola.

La mia eccitazione s’inerpica assieme alla mia inconscia paura, così come l’apprensione per lei. Nel mentre osservo lo scemo, lui ormai è paonazzo con il suo pezzo di polpa cadente, sembra che stia masturbando un lombrico. Io non ce la faccio più, giacché mi lascio andare prorompendo in orgasmo tramortente che mi gorgogliava nell’addome da tempo, che m’agitava da quando le mie mani avevano toccato il corpo di Géraldine. Avverto uno strillo, è Géraldine, per il fatto che sebbene abbia il fazzoletto sbraita, il mio precettore la sta brandendo scassinandole le viscere. La faccia di Géraldine al presente è rigata dalle lacrime, sono il patimento delle continue afflizioni e dell’immenso sforzo, afferro e sono pratica di quel dolente e penoso captare, perché i primi poderosi affondi che entrano sono come razzi strazianti che t’oscurano e ti sminuiscono la ragione. Percepisci il tuo corpo invaso, il respiro diventa accelerato, vorresti scappare, auspicheresti strillare, ripetere verso te stessa non è possibile, che cosa sto facendo? Quando mai l’ho bramato veramente? Successivamente l’intorpidimento diventa maggiormente incalzante e invadente, come i suoi colpi sovente più ravvicinati, in seguito arriva congiuntamente pure il piacere. Preferiresti che qualcuno ti toccasse, pretenderesti che lui impugnasse anche la tua fica con le sue mani, con un dildo, con qualsiasi cosa, perché devi esplodere. Ti spetta, ma non riesci, nonostante tutto, sebbene il dolore t’attanaglia. Io la sento prorompere, avverto che si sta finalmente liberando di un dolore quasi antico, d’una dolenza, d’una amarezza e d’una costrizione talmente incastrata che non è quella fisica odierna, ma era là che covava da chissà quanto tempo. Géraldine esplode fra le mani del mio precettore, fra il tocco di qualcheduno che finalmente la tratta come una donna, oltre che un inerte giocattolo.

Lui non si ferma, sfila il cazzo dall’ano e lo infila nella sua fica. La sua faccia attualmente è arrossata, però prosegue. Gli piace lo so, la faccenda m’attizza, m’infervora oltremisura. I miei orgasmi mi travolgono, così come gli orgasmi di Géraldine, l’aria diventa concentrata delle nostre stesse intime secrezioni, l’aria ha la nostra carnale e lasciva sapidità. Lo scemo non concepisce né fiuta questo sottile contorno, questa linea d’ombra tra il sesso come meccanismo corporeo e le pratiche relazionali o erotiche che permettono di condividere fantasie basate sul dolore, il cosiddetto BDSM, perché appartieni interamente a chi ti possiede. Non esiste infatti parte di te che ti precludi all’altro, poiché niente dev’essere tuo, ma unicamente del tuo educatore, precettore che dir si voglia, in quanto è l’autentica energia e la vera definizione di quest’indicibile, sbalorditivo ed eccessivo gioco.

Il mio precettore frattanto la sommerge con il suo intimo e denso piacere, con un urlo che ha la sapidità e lo spirito del dominio, con un fragore che la marchia immancabilmente nella coscienza. Lui si china su di lei, è sfibrato, la coccola, le passa la mano sotto i seni rinfrancandola ed entusiasmandosi per la poderosa prestazione. In seguito s’avvicino verso di me riferendomi che posso andare liberamente da Géraldine, perché ne ha tanto bisogno e che lo so molto bene. Io e Géraldine ci rechiamo nel bagno, ci laviamo e ci detergiamo, io le cospargo un balsamo lenitivo sul suo ano arrossato, lei non s’oppone a nulla, perché sa che io le voglio bene e l’ha capito. Francamente non riesco a separarmene per riconsegnarla a un marito così carente, deficiente, rude, rozzo e sgraziato. La faccenda più antiestetica, manchevole e molesta di questa circostanza è doverla restituire a un individuo così sgradito e ripugnante, senza poter intervenire nella loro situazione, ma in fin dei conti è giusto.

Entrambe ci vestiamo e schernendoci li raggiungiamo. Sono già nell’atrio, quasi che lui fosse appagato di quello che aveva visto e che in fondo la moglie potevamo pure tenercela. Senza neppure darle un bacio o prenderla a sé, salutò e lei lo segui senza dire più una parola.

Il suo sorriso si era interrotto soffocandosi là sull’uscio della nostra abitazione. Sono indubitabilmente certa, che il mio precettore glielo saprà abilmente ridare, perché pure io sarò ben lieta di fare la mia parte e d’essere allegra ed esultante con lei. 

{Idraulico anno 1999}   

 

 

Leave a Reply