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Erotici Racconti

Un ricevimento inatteso

By 14 Luglio 2016Gennaio 30th, 2023No Comments

Mia moglie si trovava fuori, siccome era stata invitata a un banchetto serale, sennonché la mia accurata propensione e la mia inattendibile e verosimile ingegnosità di cuciniere, mi consentivano al massimo di prepararmi appena due uova al tegamino. Stavo nel frattempo giustappunto terminando di sgombrare la tavola, nel tempo in cui il telegiornale della sera trasmetteva annunciando le abituali e le raccapriccianti informazioni quotidiane, perché un altro individuo si era fatto puntualmente saltare in aria, un altro dramma familiare della gelosia, una sciagura urbana, un groviglio di numerose autovetture in autostrada accartocciate per causa della fitta nebbia, eventi di guerra e via di seguito, mentre a un tratto sento lo squillo nitido del citofono:

‘Buonasera Riccardo, scusaci per l’intrusione, non vi abbiamo neppure avvisato. Sono Cinzia, con me c’è pure Lorenzo’.

A dire il vero, in realtà non li aspettavo neanche lontanamente, perché abitualmente loro telefonano prima, eppure quella sera successe diversamente, però che piacevole e simpatica improvvisata nonostante tutto. Con questo freddo ambedue sono accuratamente avvolti per bene: lui con un soprabito nero lungo, mentre lei con una mantella di lana nera colorata di rosso all’interno. Io raggiunsi con un bacio la guancia che lei m’offriva liberamente e la sentii piacevolmente fresca, dato che ne respirai a fondo il suo evidente e inequivocabile profumo, appresso si tolse il paltò e mulinandomi di fronte mi esibì i suoi indumenti, io approvai in silenzio accogliendo soddisfatto per il buon gusto del suo individuale abbigliamento, facendole in quell’occasione l’occhiolino per approvare il tutto.

‘Ci siamo concessi una pizza qua vicino e siamo passati in ultimo per salutarvi. Alessia dov’è? Non dirmi che non c’è, perché altrimenti ce ne andiamo via in un attimo’.

‘Dai rimanete, vorrete scherzare. Lei è uscita per cenare con alcune colleghe d’ufficio, però dovrebbe rincasare intorno alle undici’.

‘Riccardo scusami, me lo daresti per piacere un posacenere?’ – sbraitò Cinzia correndomi incontro, stringendo nel frattempo tra le dita la sua abituale e immancabile sigaretta.

‘Che cosa combini Cinzia, ma come? Non sei ancora entrata e già inizi a fumare?’ – la rimproverò indulgentemente Lorenzo.

Io d’altronde, come per buona abitudine, non lascio in nessun caso il posacenere in vista, per tentare almeno di scoraggiare i fumatori, perché se c’è una cosa che non tollero né sopporto più da quando ho smesso di fumare, è esattamente il tanfo del fumo che s’insinua ristagnando nella casa per lungo tempo, però la sigaretta tra le labbra di Cinzia assieme a quell’atteggiamento e a quel piglio erotico rilassato ma lascivo del suo corpo nell’abbandono del fumo, la predisponeva a una benevolenza nei confronti dell’interlocutore, in quanto le offrii io stesso il fuoco per accendere, perché inspirando c’incontrammo nello sguardo: grandi occhi neri i suoi, piccole fessure verdi, viceversa i miei. Quando Cinzia si siede non riesce mai a tenere le gambe coperte, non penso neppure le scopra con intenzionale e premeditata malizia, perché è un gesto che le viene naturale, come pure le camicette che indossa, dato che stanno chiuse sui seni, proprio perché è ben salda l’imbastitura che li ricopre.

‘Sentite, adesso io chiamo Alessia e le dico tranquillamente che siete qui’ – almeno non potrà dire che non l’ho avvertita, pensai io rinfrancandomi e rassicurandoli per la congiuntura del momento.

Io m’accorsi con dovizia soltanto allora d’essere rimasto addosso con il pigiama e con le ciabatte, cosiffatto mentre andavo in bagno per risistemarmi ne approfittai per indossare una tuta, non che mi cambiasse a dire il vero di molto l’aspetto, però almeno copriva in parte il mio addome invernale e sedentario di tutte le rotondità accumulate nell’inverno.

‘Sai Riccardo, noi siamo usciti per fare degli acquisti in città e Cinzia m’ha fatto girare tutto il pomeriggio per un paio di stivali’ – mi divulgò Lorenzo alquanto esausto, malgrado ciò palesemente soddisfatto, mentre guardava i titoli dei libri e dei dischi allineati sulla mensola sopra il televisore.

‘Mi auguro che abbiate trovato almeno delle commesse donne, perché altrimenti con quella minigonna sai che pensieri insinuanti e istiganti hai fatto suscitare, sai che gli ormoni volano per aria’ – replicai subito io in maniera provocante.

‘No figurati, abbiamo approfittato esclusivamente dei saldi, per la precisione ci ha servito questa volta un giovane apprendista, avessi visto che individuo. Il fatto è che era pure aggraziato e gentile, oltre che pieno di soldi’ – aggiunse Cinzia con quell’aria furbastra e scaltra.

‘Cinzia cara, se mi dici così, adesso voglio vederteli indossati’ – le chiesi io, con un tono di voce quasi adulatore e intrallazzatore, cercando di lusingarla.

‘Su coraggio, mostraglieli, in fin dei conti che c’è di male. Io vado ad acciuffarli nel frattempo dal bagagliaio’ – sbottò compiaciuto Lorenzo.

Lui ritornò in un attimo, ansimando, in quanto doveva aver fatto le scale di corsa, non penso per non lasciarmi da solo con lei, anzi, piuttosto per l’ansia e per l’assillo che aveva di mostrarmi l’effetto di quegli stivali sulle cosce della moglie, perché infatti nell’indossarli, Cinzia accavallò la gamba destra su quella sinistra e proteso opportunamente il busto in avanti, tirò lo stivale sul polpaccio. In quel naturale sforzo, infatti, la gonna le aderì perfettamente esaltando e magnificando la forma delle natiche: in verità erano stivali d’una morbida pelle nera, con una punta rettangolare e una catena argentata all’altezza della caviglia. Lei ripeté in seguito il gesto accavallando la gamba sinistra sulla destra, però nel compierlo alzò il piede sinistro quasi all’altezza del ginocchio destro, io in quell’occasione notai il colore bianco delle sue mutandine ammirandogliele:

‘Non dirmi, che hai le calze autoreggenti?’.

Lei mi sorrise negando, però confutando, smentendo sennonché con il dito indice della mano destra, successivamente s’alzò al centro della sala, mi venne davanti e sollevò la gonna per mostrarmi il candore delle cosce con quelle calze velate di colore bianco tirate in alto da un reggicalze di pizzo.

‘Cinzia se continui così, quest’uomo me lo distruggerai. Se Alessia venisse a saperlo sarebbero dolori sicuri e tormenti seri’ – le riferì Lorenzo eccitato, quanto o forse più di me.

Cinzia intanto com’era solita mettere in pratica, ballava e rideva con quei denti bianchi di belva da domare, io nel frattempo sentii il mio cazzo tendersi spiccatamente, lo avvertivo che voleva uscire dai calzoni per guardare e per farsi ammirare, cosicché portai sul tavolino della sala tre coppe per lo spumante, una bottiglia e un vassoio con dei dolciumi.

‘Verrà pure l’estate, perché non vedo l’ora d’abbandonarmi per oziare sotto il sole, ho bisogno di mare’ – sospirò Cinzia in maniera allusiva e sottintesa.

Abitualmente quando io aprivo una bottiglia non riuscivo a evitare di versare qualche goccia sulla tovaglia, quella sera però m’andò fedelmente peggio, perché infervorato e invasato com’ero bagnai la tovaglia per intero.

‘Evviva, allegria, però che bello’ – esclamò Cinzia euforica e ottimista, porgendomi il calice con il seno proteso sotto i miei occhi.

Il suo era un seno armonioso e proporzionato, forse una terza abbondante o persino una quarta misura, perché al mare io avevo già avuto modo d’ammirare accuratamente i suoi capezzoli non prominenti né frastagliati come quelli di Alessia, però da presentarsi ciononostante per un bell’invito per le labbra, la lingua e per altro ancora. Io mi ero accomodato pacificamente sulla poltrona di fronte al termosifone, perché oltre a essere ben riscaldata e a tenermi a sana distanza dalle sigarette di Cinzia, offriva uno splendido panorama sul corpo della donna. Con il gomito sinistro appoggiato alla poltrona mi tenevo con la mano il mento e sommessamente come se non dipendesse da me esclamai:

‘Vorrei farti un rullino di foto, poi te lo consegnerò, in seguito lo svilupperai, così sarai sicura che ti rimarrà come ricordo’.

‘Dai Cinzia, lascialo fare, che male c’è’ – l’incitò esuberante e gioioso il marito mostrandosi entusiasta e giulivo per quell’irripetibile occasione senza eguali.

‘Dimmi però onestamente una cosa. Come la mettiamo se per caso Alessia venisse a saperlo? Dopo s’incavolerà, sono più che certa’ – rispose incerta, tentennante e timorosa Cinzia.

‘Io non glielo comunicherò di sicuro, stanne certa, fidati’ – l’incoraggiai spronandola, andando ad afferrare la mia vecchia, ma gloriosa e tuttofare macchina Pentax con il superato flash scorporato.

In tal modo lei accettò d’appoggiarsi sulla poltrona acconsentendo di buon grado con il sedere girato verso di me, si curvò finché la gonna si sollevò mostrandomi il fondo schiena: bianco, grande, bello e nel mezzo le mutandine, poi seduta con le gambe accavallate per mostrare il reggicalze, sbottonata la maglietta, eccoli lì, quei splendidi seni avvenenti e maturi d’una donna di quarant’anni d’età. Io le chiesi di sdraiarsi sul tappeto e di sbottonare la gonna, infine le appoggiai un calice traboccante di spumante, proprio lì nell’incavo delle cosce, cosiffatto mi collocai a pancia in giù per mettere a fuoco, per isolare e ingrandire quel triangolo di piacere.

Lei disciplinata, rispettosa e umile si piegava alle mie richieste acconsentendo, come una giovane modella esegue in un provino le direttive e le istruzioni dei coordinatori, fino a quando il suo corpo brillò nudo alla luce del flash, poiché discinta ed essenziale si muoveva nella stanza, forse perché si sentiva come un oggetto, tuttavia il tacco a spillo luccicante degli stivali la rendeva interamente padrona, appresso andò a rannicchiarsi sul canapè azzurro, si strinse con le mani le ginocchia e adagio s’aprì. Io infilai una mano dentro la tuta, poi montato con dovizia uno zoom sulla macchina fotografica la penetrai con lo sguardo, perché il suo inguine sembrava un prato d’erba e le sue labbra umide parevano zolle aperte al sole della vita. Scattai ancora, però non ne potevo più, perché Cinzia cominciò con gli occhi socchiusi ad accarezzarsi il clitoride, infischiandosene e seguitando per nulla infastidita della mia presenza la sua opera.

Il suo respiro divenne affannoso e appena arcuò le gambe cominciò a spingersi dentro le dita, capii che era ora di finirla con le fotografie, Lorenzo rosso in viso si chinò per accarezzarle i seni, mentre io uscii per posare la macchina, successivamente li ritrovai abbracciati stesi sul tappeto, la mano del marito dentro la sua pelosissima fica nera, mentre le sue unghie laccate rosse gli aprivano la cerniera dei pantaloni cercando il cazzo abbondantemente eccitato, dal momento che si erano dimenticati di me, in quel preciso istante sentii Lorenzo riferirle con vivacità:

‘Hai visto com’era eccitato ed euforico Riccardo? Adesso sarà di là che starà di certo masturbandosi. Per forza, come non potrebbe diversamente, d’altronde sei una bella fica’.

Io rimasi dietro la porta socchiusa con la mano dentro la tuta, vidi sennonché Cinzia inginocchiarsi tra le gambe di Lorenzo dritta di fronte a lui, io l’osservai con perizia risucchiare fermamente e fervidamente con le labbra tutto il suo cazzo, fino a quando lui con la testa abbandonata all’indietro le schizzò erompendo e gemendo tutto il suo liquido seminale, riversandole in conclusione tutto il suo intimo piacere dentro la bocca.

Io con cautela e senza far rumore, richiusi la porta dietro di me, scaraventai per terra la tuta e m’infilai sotto la doccia, ecco però che d’improvviso risuonò lo squillo del citofono, in quell’istante m’affrettai per rivestirmi, mentre Lorenzo appena acceso il televisore s’alzava per aprire la porta di casa.

Cinzia inginocchiata per terra puliva frattanto il pavimento, proprio lì, dove io ero nascosto, in quanto ero diventato senza volerlo un ingenuo, un inesperto e per di più uno sprovveduto spettatore, intanto che Alessia rientrando prima del previsto, s’approntava apprestandosi placidamente a oltrepassare la soglia della porta di casa.

{Idraulico anno 1999} 

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