Skip to main content
Erotici Racconti

Una beata espressione [Autobiografico]

By 16 Maggio 2017Febbraio 3rd, 2023No Comments

La dura e faticosa salita spezzava troncando definitivamente il fiato, la valigia avanzava con fatica sul selciato, nel momento in cui il sudore mi colava dai capelli. La calura del tardo pomeriggio del sole, per di più inclinato all’orizzonte, maltrattava tormentando abbondantemente le pupille dilatate dalla fatica, visto che io ero ormai sull’orlo dell’abisso, quando finalmente battei la testa contro il portone. In quel preciso istante crollai maledicendo e scomunicando tutto e tutti, prima di tutto e in special modo chi m’aveva costretto imponendomi quella forzata vacanza, perché l’ottusa insistenza di mia cugina assieme al suo petulante e stolto marito, avevano insistito benevolmente intestardendosi oltremisura con mia madre affinché mi portassero con loro nell’ex Jugoslavia, l’odierna Croazia per l’appunto. A ogni buon conto ero già lì, un diciannovenne stralunato e palesemente stravolto dalla fatica davanti al portone d’una piccola pensione arroccata sul colle prospiciente il porto.

La brusca e inattesa testata contro il portone svegliò d’improvviso dalla siesta pomeridiana il titolare dell’albergo, il quale una volta compreso che eravamo italiani ci comunicò senza troppo dispiacere né rammarico alcuno che la pensione era ormai al completo. Fu solamente dopo lunghe intromissioni e costanti mediazioni, poi soprattutto grazie all’intervento dell’energica e decisiva signora Malike, l’amabile dolce moglie dell’oste, che come per incanto apparirono disponibili e utilizzabili un paio di stanze. Soltanto in seguito, infatti, noi comprendemmo la causa, l’effetto e il motivo di quell’astio e di tanto rancore manifestato nei nostri confronti, perché fece effettivamente male procurandoci un enorme tormento al cuore, individuare e riconoscere l’elmetto piumato dei bersaglieri scolpiti sul monumento che richiamava alla memoria una strage, un’esecuzione di massa compiuta ai danni di disarmati e d’inermi cittadini dell’isola da parte delle truppe d’occupazione italiane. Italiani brava e valida gente, si proclamava e si raccontava all’epoca. Dejan ci fece frattanto accomodare accompagnandoci nelle stanze, dato che io ne avevo una tutta per me, mentre il bagno era in comune, così dopo una doccia trascorsi il pomeriggio in camera per rifiatare e per riprendermi dalla sfacchinata e dal male alla testa.

La sera, per cena invece, eravamo tutti sotto un ben curato e altrettanto splendido pergolato di vite rampicante. Il popolo della pensione era di quel genere che in quell’occasione si definivano i ‘figli dei fiori’, visto che oggi diremmo alternativi e difformi, giacché provenivano da tutta Europa, dal Belgio e dall’Olanda in special modo. Lei era lì, di lato, un po’ in disparte sotto un fico, però da sola. Era bellissima e deliziosa, un vero incanto con una montagna di capelli d’un colore arancione lievemente trasparente, che controluce mi donava un’immagine che mai più avrei dimenticato né ignorato, con un bel seno e con degli enormi capezzoli. Teodora, che profumava di mare era italiana, precisamente di Piacenza. Lei aveva più di trent’anni, però potevamo sembrare pacificamente dei coetanei, dal momento che con lei fu davvero un colpo di fulmine, direi istantaneo. Io la seguivo ovunque lei andasse, ma principalmente cominciai a spiarla dal foro della serratura ogni volta che andava in bagno, la notte poi riflettevo e ripensavo al suo corpo nudo seduto sul water o bagnato dalla doccia.

Io la ricordavo avvolta nell’asciugamano che non si chiudeva bene, poiché lasciava scoperto quell’esteso e foltissimo triangolo di peli scuri della sua pelosissima fica, che neanche al cinema avevo mai visto prima d’allora. E così cominciavo a sfregarmi sul cuscino con le mani sul pube, giacché percepivo il cazzo diventare duro come il marmo scivolarmi tra le dita, liscio e umido con la brama di perforare quella lussuriosa e sugosa fessura. Io assumevo tutte le posizioni possibili e probabili, immaginando e fantasticando interminabili cavalcate da sopra, da dietro, di lato e muovendo freneticamente avanti e indietro il bacino, sempre tenendo ben stretto il cazzo tra le mani. A seguito di questi lascivi e viziosi pensieri la sborrata densa e liberatoria infine arrivava, annunciata dagli spasmi dell’orgasmo, lunga e ricca, sennonché con le mani imbrattate di sperma, così come il pigiama e le lenzuola. Chissà, se la signora Malike, nel riordinare la stanza ha mai compreso e pensato a quali turbinii e a quali tumulti di passione adolescenziale diffondevano invadendone quelle mura.

Teodora, intanto, trascorreva le vacanze con la sola compagnia dei suoi libri, in disparte da tutto e da tutti. Appena finito di cenare, quella sera come di consueto lei s’alzò, io accorto e sveglio come un segugio affamato e voglioso all’inverosimile la seguii sennonché all’istante. La lama di luce filtrante da sotto la porta del bagno era il reale segnale, in tal modo m’avvicinai accostandomi silenziosamente alla porta per spiare come il solito dalla serratura e lei era lì, già nuda che si preparava per fare la doccia. Io la osservavo mentre senza vestiti si muoveva nel bagno, spiavo le sue grandi labbra ogni volta che si chinava, insomma mi stavo godendo pienamente un gran bello ed esclusivo spettacolo, quando d’improvviso si voltò e due occhi azzurri iniziarono a fissare i miei, che in quel preciso istante erano incollati alla serratura. Lei si sedette sul bordo della vasca e allargò le gambe, lasciandomi esaminare per bene la tenera rosa carnosa, abbinata e affiancata da quella foltissima peluria della sua fica, a quel punto cominciò a toccarsi tra le gambe amorevolmente e premurosamente, senza mai peraltro distogliere i suoi occhi dai miei, ormai disidratati e inariditi per non aver mai battuto le palpebre.

Io vedevo le sue dita scivolare morbide sul clitoride, le dita dell’altra mano che strizzavano dolcemente i capezzoli e la sentii gemere, mentre l’atteggiamento e l’espressione del volto sembrava diventare d’immensa sofferenza. Io me ne stavo lì con il cazzo in mano squadrandola e ispezionandola intanto che con un’accurata perizia si masturbava. In conclusione venimmo insieme nello stesso attimo, con i suoi gemiti che coprirono ampiamente i miei. Restammo ancora un po’ lì, lei seduta sulla vasca, mentre io ero in ginocchio là davanti alla porta, poi si portò l’indice alle labbra, lo baciò e l’indirizzò verso di me.

Alla fine s’alzò e venne verso la porta, mentre le tempie mi scoppiavano per l’emozione e per il turbamento del momento appena vissuto. Lei si tolse l’asciugamano dal seno e lo poggiò volontariamente sulla chiave della serratura per coprirne completamente il foro.

In quel momento per me si fece buio e totalmente buio restò, per tutto il resto della vacanza.

{Idraulico anno 1999} 

Leave a Reply