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Erotici Racconti

Una riflessione confidenziale

By 17 Marzo 2017Febbraio 1st, 2023No Comments

La prima volta che ho fatto l’amore, o meglio che ho tentato di farlo, non è stato per nulla compiacente né divertente né attraente. Quando ascolto oggigiorno alla radio ancora queste parole, non posso fare a meno di pensare al periodo lontano alla fine di quei fantastici e splendidi anni ’70 per l’appunto, in cui persi la verginità. Io ero ormai rimasta l’ultima intatta e vergine del mio gruppo di amiche, ciononostante mi sentivo come una fanciulla sciocca e stupida, oltre che anomala, discontinua, incostante e persino originale in tutta quella bizzarra e critica contingenza. Io avevo nientemeno sostenuto e alla fine messo in pratica, facendomi tra l’altro festosamente e lietamente prendere in giro da tutte, dato che ribadivo sottolineando fermamente che la prima volta si doveva compiere con amore e con tenerezza. 

L’amore per me sennonché non arrivò, poiché a ventitré anni d’età quel piccolo imene fiero, prode e valoroso, nascosto là di sotto quella foltissima peluria bionda, che si faceva peraltro avvertire così bene sotto le mie dita, e abbastanza spesso anche sotto quelle altrui, attendeva invano d’essere compromesso a dovere, visto e considerato che mi era diventato eccessivo, intemperante e persino intollerabile reggere quell’evento. Fu così, in realtà, che in un innocuo e soleggiato pomeriggio di giugno, io guardai negli occhi ancora il casuale e involontario prescelto che mi passava a quel tempo il convento: lui era Giacomino per l’appunto, chiamato Mino e già mi sembrava controverso e discutibile uno “sverginatore” che si chiamasse in tal modo. Come avrei dovuto chiamarlo nell’attimo magico? Dai Mino, spingilo dentro, coraggio – oppure – Mino sì, dai così, avanti forza, su mio bel Mino. 

Io smisi allora bruscamente di sorridere dietro il gelato che lui m’aveva cavallerescamente appena offerto, cercando di considerare esaminando più concretamente da vicino in modo imparziale gli aspetti positivi del venturo candidato: lui aveva un fisico discreto, piccolo sì, ma scattante, l’alito sempre profumato, i capelli lisci e lunghi, le dita da pianista, un carattere affabile e cordiale, dato che gli misi sotto il naso le chiavi del piccolo appartamento di mio zio Leandro, il leggendario Leandro come lo denominavamo noi all’epoca. Zio Leandro, invero, era un ex “figlio dei fiori” d’altri tempi, impegnato nell’ambiente politico e in quel periodo viaggiava di continuo per affari nei paesi del Nord Europa, io lo avevo accompagnato da pochi giorni all’aeroporto e lui in quell’occasione m’aveva premurosamente salutato, sorridendo in maniera alquanto connivente dispensandomi affettuose esortazioni: 

“Gioia mia, ascoltami bene, queste sono le chiavi di casa. Mi raccomando però, se vuoi darti da fare con quel ragazzo che ti tiri dietro, prendi almeno le appropriate prudenze e le giuste precauzioni, poi visto che ci sei innaffia anche le piante dei limoni e i fiori”. 

Con quelle chiavi che sventolavo sotto il naso di Mino alla fine del cono al cioccolato, pensavo alla pillola che usavo a vuoto ormai da oltre quindici giorni. Dopo un bacio lungo che ci stava benissimo, salimmo sul motorino e in quindici minuti arrivammo al monolocale dello zio Leandro. Mino iniziò in quell’occasione a svestirmi con difficoltà dopo aver chiuso la porta, io lo lasciai fare rilassata e tranquilla senza forzare gli eventi. Io valutavo frattanto il mio corpo nei suoi occhi, visto che brillavano nel suo respiro un po’ ansimante, lui nel frattempo mi baciò i capezzoli succhiandoli con cautela, perché il mio seno allora entrava tutto e ci stava largo nella mano d’un uomo, di questo andare cominciai a rasserenarmi. Mino in seguito mi fece salire sulla soffitta dove c’era lo scomodissimo letto abbandonato dello zio, io lo guardai dall’alto mentre si spogliava in fretta e vidi per un attimo quel cazzo semi eretto, pensando che fra non molto sarebbe entrato dentro di me. 

Quel pensiero però mi lasciava inaspettatamente indifferente e alquanto inerte, in quanto Mino non sarebbe stato il futuro coniuge del mio arco vitale, nemmeno uno degl’individui più autorevoli né influenti della mia vita. Precisamente in quegl’istanti, quasi per istinto, m’accorsi che non sarei mutata di molto a seguito di quella prima momentanea scopata, in fin dei conti non sarebbe stata difforme né disuguale dalle emozioni né dalle esperienze di tutti i giorni della mia vita dell’epoca. Il primo disdicevole e sconveniente voto al collegio, la prima partenza precipitosa da una dimostrazione, i primi contatti e le prime proiezioni di film insolenti e oltraggianti, perché proprio lì in quegli istanti io afferrai e compresi intelligentemente che non bisognava riflettere oltremodo. Cercai di concentrarmi sul mio corpo cominciando ad accarezzarmi la fica, che d’altronde restava inspiegabilmente secca e quasi scontrosa alle mie sollecitazioni quasi come volendosi opporre, lui si sollevò collocandosi sopra di me, mi baciò guidando la mano sulla sua erezione diventata prodigiosamente compatta e piena. Lui scese per baciarmi in basso nella fica aprendomi le piccole labbra con le dita, pizzicandomi il clitoride e leccandomi per un po’ ritmicamente, poi s’inginocchiò, mi piegò le gambe e cominciò a spingere con forza il suo cazzo all’ingresso della mia foltissima e pelosissima bionda fica. Io cercai d’offrirmi, di non creare resistenza né ostacolo alcuno, però il dolore immediato e veemente che avvertivo non m’aiutava di certo nelle movenze, tant’è che Mino continuò per un paio di minuti giacché mi sembrarono eterni, poi rinunciò, tuttavia mi chiese di girarmi: 

“Su dai Patrizia, perché non proviamo ad alternarci modificando la postura, in questo modo magari starai un po’ più spalancata” – ribadì lui più che animato e persuaso per la proposta cercando di favorirmi nel migliore di modi. 

Io ambivo però che lui si sbrigasse, che terminasse con rapidità, a quel punto vinsi in un baleno quell’impaccio e quell’ostacolo d’esibirmi nella parte retrostante esposta e scoperta per di più a un forestiero, per il semplice fatto che non potevo peraltro guardarlo negli occhi. In quell’attimo mi voltai appoggiando i gomiti sul cuscino e mi trovai faccia a faccia con un manifesto che zio Leandro teneva sulla parete sopra i cuscini. Io lo avevo sempre visto da sotto soltanto di sfuggita: era un ragazzo dipinto in divisa con il fucile in spalla che guarda sorridendo il mondo in modo affabile e bendisposto davanti a sé. In quel solerte momento fissai quegli occhi luminosi sul poster, mentre Mino dietro di me passava le dita inumidite sulla mia pelosissima fica, visto che ne spingeva delicatamente uno dentro e lo faceva ruotare un poco. Io in quel momento respirai a fondo, giacché sentii la punta del suo cazzo appoggiarsi e premere in ultimo modo deciso, mentre le sue mani mi tenevano per i fianchi tirandomi indietro, intanto che lì davanti a me il giovane soldato mi sosteneva con gli occhi accesi e con il sorriso limpido e aperto. Il dolore stavolta si diffuse improvviso, inatteso, dato che qualche goccia di sangue mi sfuggì sulle cosce, io mi sentii nitidamente e raffinatamente perforare, in seguito un paio di sferzate raggruppate all’avvio, progressivamente un esteso e febbrile affondo completarono l’opera di Mino. 

Mino si fermò per un po’ dentro di me, poiché quelli furono i momenti migliori di quel pomeriggio di giugno, il dolore era ancora diffuso, diventato sopportabile, ma adesso captavo cogliendo qualcosa di difforme e di piacevole, perché mi stavo gradualmente abituando, visto che mi contraevo intorno a qualcosa di nuovo, di appena spuntato. Io sorrisi al ragazzo russo del poster che mi guardava partecipe e giulivo, cominciai ad abbandonarmi a quella sensazione nuova d’abbondanza e d’insolita pienezza, poi quando Mino si mosse inaspettatamente imprecò, in quanto lui stava già abbondantemente sborrando sopra la mia pelosissima fica. In quell’istante mi sentii finalmente bagnata con lo sperma che sparpagliato accarezzava in qualche modo alleviando e sedando la fresca ferita della mia accalorata fica appena violata. Mi sembrava che la letizia, il sorriso e la spensieratezza di quel poster che mi scrutava in modo fisso, fosse diventato piuttosto beffardo e nel contempo ironico, però a quel punto inevitabilmente gli sorrisi allusivamente anch’io ringraziandolo. In modo naturale sorrisi voltandomi anche verso il povero Mino, che lì presente mi guardava con gli occhi da cucciolo strapazzato, dal momento che mi sentivo così piccola, bastonata e dolorante, alla fine lo abbracciai e lo baciai per lungo tempo sotto gli occhi benevoli, indulgenti e protettivi di quel manifesto. 

Oggigiorno, invero, a distanza di anni, zio Leandro ricopre un autorevole mandato, sta festeggiando al presente quel ruolo in maniera prestigiosa ottenuta dal partito nel suo bell’attico appena acquistato con grandi sacrifici, io mi aggiro lì continuamente tra la gente che conversa di tasse, di pensioni, di locandine pronte e del futuro che verrà, cercando un angolo tranquillo per fare una telefonata. Attualmente non conosco la casa, visto che devo farmi accompagnare da Leandro in un piccolo locale dove risalta un’antica e grande scrivania, però accanto a una finestra dello studio c’è al presente il vecchio poster del soldato dipinto in divisa nella sua lucida cornice inalterata dal tempo con quel legno scuro ben restaurato, che ancora mi fa temerariamente balzare e animosamente sussultare: 

“Te lo ricordi gioia mia? Sono parecchi anni che sta con me, dato che io me lo sono sempre portato al seguito in tutti questi traslochi. Lo reputo indubbiamente il mio individuale amuleto, a questo punto Eugenio è diventato un affermato, affezionato e fedele amico” – mi confida alquanto gratificato lo zio Leandro sorridendomi. 

“Eugenio?” – ribadisco io in maniera dubbiosa, esitante e malsicura. 

“Ebbene sì, io lo chiamo così, lui è una persona di valore, è un noto amico, non ti pare?”. 

In quel momento io sollevai amabilmente la coppa del vino che sorreggevo, brindando alla salute di Eugenio dopo tantissimi anni che non lo rivedevo, felicemente, opportunamente e a ragion veduta in quella circostanza malignamente gli sorrisi di nuovo. 

{Idraulico anno 1999}  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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