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Erotici Racconti

Un’essenza rara

By 1 Giugno 2016Gennaio 30th, 2023No Comments

Lo stanzone era lungo una ventina di metri, a destra le pareti d’un colore metallico color bronzo violaceo, che riflettevano sulle finestre di vetro oscurate da cui si vedevano peraltro le vetrate degli altri grattacieli, al centro invece un gigantesco tavolo ovale per i congressi d’un freddo e lucente color mogano, in fondo al salone viceversa, dietro la scrivania, s’innalzava una poltrona che sembrava un trono di cattivo gusto voltata di spalle. La porta dietro di me si chiude pesantemente senza preavviso, io mi volto appena un secondo per guardarla, sento una musica in sottofondo, ma è talmente camuffata in quell’ambiente privo di passionalità e di spontaneità, visto che non riesco a percepirne la melodia.

Il trono si gira, lui m’appare come una scultura frapposta e incastonata in una montagna, in quanto la distanza &egrave tale che nonostante i suoi centocinquanta chili riesce a confondersi disinvoltamente nell’ambiente circostante. Un attimo prima d’incamminarmi noto il marmo color verde del pavimento, dato che sarà costato una cifra e tenerlo così pulito sarà stato di certo un bel lavoro di squadra. I miei passi si diffondono nel locale e i miei tacchi a spillo sembrano dei martelli d’una grossa campana. In quel momento giro intorno al tavolo dalla parte della parete senza vetri, perché ho paura della sensazione d’agitazione e di vuoto che mi procurano le grandi vetrate dei grattacieli, così mentre avanzo scivolo con le dita della mano sinistra sulla spalliera metallica e fredda delle sedie, una a una, sino a quando la curvatura dell’enorme tavolo piega decisa a sinistra io mi ritrovo in mezzo al vuoto privata del tutto d’appigli. Mi fermo di nuovo e cerco d’allontanare e d’eliminare questo senso d’inquietudine e di tensione che mi porto appresso, siccome sono chiusa in una gabbia, seppur d’oro.

‘Vieni avanti, avvicinati pure’.

La sua voce mi scuote e alzando lo sguardo riprendo a camminare. Quell’uomo io l’ho conosciuto a una festa organizzata tre mesi fa in un’antica villa in stile vittoriano, lì era vestito di bianco e illuminato dal sole, dal momento che sembrava un individuo completamente diverso, forse è per quel motivo che accettai il suo invito. Sembrava diverso da come lo esamino all’istante, ha l’aspetto d’un capoccia imprendibile, inabbordabile e poco socievole di qualche potente e ricca organizzazione. Il suo nome, Sonny, è famoso tra i meandri dell’alta finanza e anche per le sue manie di grandezza, assieme ad alcuni non meglio identificati e riconosciuti capricci e vizi. Inaspettatamente mi sentii libera e sfrontata, evidentemente il mio carattere riesce a mascherare bene certi disagi e certi impicci. A quel punto tirai fuori dalla mia valigetta di pelle nera un fascicolo e lo lasciai cadere con noncuranza sulla scrivania sopra le sue carte. Il suo sguardo cercò di colpirmi, ma un grande sorriso occupò il posto del risentimento e dello sdegno:

‘Ogni parola è un debito, però non abbia fretta di liberarsi di me. Non crederà che io rinunci così facilmente della sua bellezza. Il nostro amico in comune, mi ha rivelato della sua abilità in certe cose e non vorrei perdere né sprecare un’occasione così ghiotta. Ovviamente, sarà riccamente premiata e ricompensata’.

‘Quello che gli avrà rivelato e indicato quel povero deficiente, non è detto che combaci e che risponda con la realtà. In qualunque modo io sono avvezza e pronta nel fronteggiare e nel governare intimamente le mie azioni’.

Io ero agitata, allarmata e piuttosto furiosa, perché certi amici definirli tali non è per niente un’esagerazione né una forzatura, dato che sono colpevoli, peccaminosi e pure perversi. Il signor Sonny sembrava allietato e divertito mentre sfogliava il fascicolo, poi di colpo diventa subito riflessivo e m’accenna d’un festino in un vecchio castello che avverrà tra quattro giorni, segnalandomi e suggerendomi che non potevo tassativamente mancare. Mezzo milione di dollari australiani il compenso, eppure non ne avrebbe dovuto parlare mai con nessuno, in quanto il festino era per facoltosissimi e pochissimi intimi, gente d’alto lignaggio talmente aristocratici e assai generosi, però accaniti, implacabili e spietati all’occorrenza. Io avrei risposto che avrei avvertito e dato notizia facendo conoscere la mia decisione, però lui con la voce ardita e risoluta da magnate m’annuncia che mi verrà a prendere una macchina, che successivamente m’accompagnerà al castello e che io sarei stata la derrata, la mercanzia principale. Io mi volto e faccio tre passi, poi volgendo solamente di poco la testa manifesto:

‘Un milione’.

Io attesi soltanto un attimo la sua affermazione e ripresi il cammino verso l’uscita, questa volta dalla parte della vetrata. La vettura d’epoca, nera, andò su per le colline residenziali con disinvoltura, l’elegante e grazioso autista non mancava di sorridermi ogni volta che i miei occhi si posavano sullo specchietto. Eleganti e lussuose ville, o meglio i loro parchi recintati, i loro enormi cancelli si presentavano e si susseguivano in successione al ritmo d’un paio di chilometri l’uno dall’altro. In seguito accostammo accanto a un cancello gigantesco che sembrava fosse lui a sorreggere il muro di cinta, non il contrario. S’aprì con la delicatezza della perfezione e ‘La Creatura del Visibilio’, il leggendario sigillo che spicca e affonda le sue argentee ali tra il verde delle betulle gigantesche e i prati delicati, proprio come un tessuto di pelle ricoperto con quei tessuti compositi all’interno della limousine.

Il castello si mostrò dopo cinque minuti, il suo colore grigio scuro quasi di pietra invecchiata rendeva la sua linea slanciata nelle guglie più cupa e più desolata d’una petroliera abbandonata negli abissi. All’arrivo, un grosso signore in divisa s’avvicina allo sportello e mi fa cenno di seguirlo. L’ingresso del castello è imponente e monumentale, la grande sala d’accesso è ricoperta con grandi colonne levigate e lavorate con marmi e alabastri, a seguire i capitelli e i vasi giganteschi dell’epoca della casa regnante dei Ming. Un’avvenente signora sui cinquant’anni con indosso un lungo abito nero s’avvicina, mi augura il benvenuto e m’accompagna in una saletta addobbata con gli arazzi e con le tende.

Al battito delle sue mani, tre ragazze giovanissime e nude arrivano rapidamente, in tutta fretta mi spogliano e mi portano in un bellissimo posto per un bagno purificatore. A parte i capelli vengo completamente depilata, poi il vapore e l’acqua donano alla mia pelle una morbidezza e una porosità tali da farmi ringiovanire di dieci anni. Nel bagno turco il tempo sembra passare lentamente e quando m’accompagnano fuori, scorgo dalla finestra alcune limousine già parcheggiate davanti all’accesso del castello. In seguito vengo accompagnata in cucina, dove un cuoco d’origine indonesiana in tutta fretta mi ordina d’indossare una tenuta di cuoio con le catene cromate, poi m’indica di salire a pancia in giù su d’un enorme vassoio d’argento. Un giovane cuciniere mi spalma un balsamo, mentre gli altri m’incatenano saldamente alla pietanza usando le catene e degli anelli fissati a essa.

L’odore della porchetta è penetrante e mentre cerco di capire quello che accade, da dietro m’addossano sopra un maiale arrostito e caldissimo, poiché sta in piedi sulle sue zampe, però mi tocca ugualmente i glutei e le spalle. Io camuffo il dolore a fatica e per non rischiare di cogliere le mie urla mi spingono in bocca una piccola mela. Per un milione di dollari australiani si possono accettare e acconsentire parecchi sacrifici, certo è, che però non mi sarei mai aspettata di diventare una vivanda. Il vassoio appoggiato su d’un carrello è spinto verso la sua destinazione. A tavola i commensali all’arrivo della portata battono le mani, io riesco a vedere i loro visi soddisfatti, dato che sono una decina, alcuni con i loro grossi occhiali neri e il sorriso degenerato, libidinoso e lurido stampato in volto. Mi fermo a capotavola, giacché vengo presentata e proposta come una vivanda succulenta e rara, il cuoco inizia a tagliare il maiale a piccoli pezzi e li appoggia intorno al mio corpo, mentre un altro li inumidisce con l’olio. A volte sento la lama del coltello sfiorarmi la schiena e a ogni mio sussulto i presenti parlottano e sorridono giubilanti, gongolanti e soddisfatti. Dopodiché vengo portata al centro del tavolo a forma di ferro di cavallo, in modo tale che i commensali possano servirsi da soli. Il banchetto ha inizio, le forchette a volte pizzicano la mia carne, in quanto le mani di quegli ignobili, miseri e spregevoli individui s’intingono e immergono a loro volta il pane e le verdure nell’unguento tra le mie membra.

Il rito va avanti per una buona mezz’ora e infine la carne del ‘vero’ maiale giunge al termine. Quando l’ultimo pezzo viene agguantato, un caloroso e un entusiastico applauso di mani unte si leva nella grande sala, giacché guardano tutti alle mie spalle, io non riesco a vedere che cosa accade, dopo sento il vassoio scuotersi, perché qualcuno tenta di salire tra gli strilli dei presenti sul mio giaciglio. Io mi volto istintivamente e con l’angoscia e lo sgomento negli occhi m’accorgo che un enorme lottatore di sumo lotta con la forza di gravità per salire sopra di me.

Io distinguo la sua pancia scivolare sulla schiena e il suo pene guizzare tra le mie cosce completamente unte d’olio; lui cerca invano il pertugio, mentre la mano d’un autorevole signore lo indirizza nella giusta direzione, ma purtroppo è quella più dolorosa e sofferente. Il bestione sentendo la pressione delle mie natiche spinge più a fondo e aiutato dall’olio entra completamente. Il male è talmente grande da farmi sputare la mela e urlare con tutta la forza. Io sto per svenire, però il dolore è così fastidioso che mi tiene instancabilmente in tensione.

Il bestione non mostra pietà né cedimenti, perché man mano che trascorrono i minuti il dolore sembra farsi più lieve, ma una nuova mossa e l’altro pertugio penetrato da quell’enorme membro ribadiscono e rinnovano le mie urla di dolore e con esse quelle di diletto e di gioia degli spettatori. Infine il vincitore di quell’inadeguata e di quell’incongrua contesa, allagandomi l’intestino, viene giù sfinito dall’arena della disputa e se ne va accompagnato dai chiassosi applausi. Io resto dolorante ed esausta, per il fatto che sono definitivamente presa di mira a uno a uno dai commensali, che tra l’altro per nulla disgustati dall’olio e dai liquidi miei e del mostro, si spogliano e abusano di nuovo della carne su quel vassoio d’argento.

Il mattino successivo io mi sveglio in una stanza costellata con dei dipinti orientali, il mio basso ventre e le mie gambe sono totalmente indolenziti, in compenso però non ho più l’olio addosso e tento d’alzarmi. Più tardi, seduta su d’una comoda sedia a sdraio sulla terrazza del castello vengo raggiunta da Sonny, che appagato e gratificato mi porge un assegno della cifra pattuita, io con una smorfia di contrarietà e di disappunto afferro quella stupida carta e l’infilo nel mio reggiseno. Lui mi fa le congratulazioni e si loda per lo spettacolo, perché mi dice che quando vorrò andar via un’automobile m’accompagnerà verso casa. Io non rispondo e nemmeno lo considero mentre lui s’allontana.

Io devo nondimeno realmente ammettere, constatare e riscontrare un esiguo particolare, che inizialmente mi era del tutto sfuggito: però, che episodio e che coincidenza insolita. Adesso apprendo, scopro e riconosco, che la limousine è indiscutibilmente più rombante e rumorosa in discesa che in salita.

{Idraulico anno 1999} 

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