Ero partita prestissimo da Parma, quando l’alba era assai lontana; nelle orecchie sentivo ancora le raccomandazioni dei miei genitori’.
‘Giulia, vai piano che sei fresca di patente!!!’
E io a rispondere con una certa sufficienza’
‘Siii, siii, tranquilli, vado pianoo”’
Per staccare un po’ dai miei compiti lavorativi e da quelli di studentessa universitaria, avevo scelto di trascorrere qualche giorno di vacanza lontana dalla confusione, affidandomi alle amorevoli cure dei miei cari nonni.
Era il mio primo viaggio da sola ed era anche la seconda volta che guidavo il mio nuovo fuoristrada. Durante il percorso, in effetti, non trovai alcuna difficoltà, il ‘Tomtom’ mi guidò magistralmente e, verso le nove del mattino, mi trovai a Bibbona Marina. A quell’ora il traffico era inesistente e per le vie c’era veramente pochissima gente. Volli fare il giro largo e decisi di passare sulla strada che costeggia il lungo mare; in uno slargo, a pochi metri dalla spiaggia, accostai nei pressi di una cancellata e mi soffermai a guardare estasiata l’acqua trasparentissima del mare. Un refolo di vento ne increspava appena la superficie e le piccole onde si frangevano monotonamente sulla sabbia bianca e finissima. Alcuni bambini giocavano rincorrendosi sulla battigia e, dietro allo stabilimento balneare ancora chiuso, la spiaggia era pressoché deserta. Vidi un paio di uomini che lavoravano pulendo la sabbia ed altri due che piantavano in profondità i supporti per gli ombrelloni. Erano i preparativi per accogliere i turisti che, come di consueto, sarebbero arrivati verso i primi giorni del mese di Giugno.
Ripartii e dopo poche centinaia di metri abbandonai l’incantevole panorama ed a malincuore svoltai a destra seguendo la strada provinciale che mi avrebbe portata nei pressi della vecchia casa dei miei nonni.
Dopo circa altri cinquecento metri, riconobbi la stradina polverosa e sconnessa che saliva verso il vecchio casale. La imboccai mentre nella mia mente comparivano i ricordi della mia spensierata giovinezza.
In particolare rammentai con infinita nostalgia i giochi e soprattutto le corse in bicicletta, assieme ai miei cuginetti, in discesa, su quella strada dissestata e cosparsa da pericolose buche, le conseguenti cadute rovinose e le mille sbucciature sulle mie povere ginocchia.
Guidai la mia Jeep lungo quel viottolo tortuoso in fondo al quale si intravedeva lontano il vecchio cancello un po’ arrugginito. La mia Toscana, ancora in parte selvaggia, meravigliosamente verde e lussureggiante. L’estate novella era alle porte ed il cielo fino a quel momento azzurro si stava popolando di nuvole multiformi e candide. Esse si addensavano lontane, sopra gli Appennini, solcati da lucenti colonne d’acqua che interrompevano massi e prati scendendo tumultuosamente a valle.
Scesi dall’auto e mi avvicinai al cancello, sapevo che i nonni, avvertiti del mio arrivo, mi aspettavano desiderosi di riabbracciarmi; spinsi il pesante cancello che con un cigolio sinistro si aprì. Risalii sul mio fuoristrada ed entrai sul viale ghiaiato. Di fronte a me, distante circa trenta metri, la grande casa dove ero nata, dove i miei genitori amandosi con grande passione mi avevano concepita. In quella grande fattoria, ove adesso abitavano i nonni e lo zio Matteo, unico fratello di mio padre, vennero anche alla luce: I miei fratelli gemelli Andrea e Mario e mia sorella Lorenza.
Fu proprio partendo da quella fattoria che i miei genitori crearono il loro piccolo impero.
Dalla produzione dell’olio e del formaggio Pecorino ebbe inizio la loro avventura imprenditoriale.
La mia famiglia, infatti, si era poi trasferita a Parma e lì, i miei ‘vecchi’ , avevano costruito il loro futuro ed anche quello dei loro figli. Papà e mamma, lavorando e sudando in prima persona, avevano creato un’industria alimentare di buon livello che oggi impiegava all’incirca un centinaio di dipendenti a tempo pieno. Oggi, grazie a loro, siamo una famiglia benestante e tutti noi figli siamo occupati con varie mansioni in quella stessa azienda.
Fermai l’auto e scesi, lasciai le mie valige nel bagagliaio e quindi bussai alla porta di casa. Mi aprì nonna Beatrice, mi buttò le braccia al collo e mi strinse forte, la abbracciai stretta a mia volta e le baciai le guance rigate dal pianto. Quando ci sciogliemmo da quell’abbraccio affettuoso, vidi il nonno, il mio grande e forte nonno. Anche lui mi strinse a se, poi mi lasciò e fece un passo indietro, mi osservò attentamente, da capo a piedi , poi, con la solita voce burbera ”’..
‘Che fior di figliola che ti sei diventata!!!’
E mia nonna’.
‘Hai visto Zeffiro la nostra bella bambina!!!’
‘Bea, non l’è più una bambina!!! L’è diventata una signorina!!!’
‘Grazie nonni, grazie, sono cresciuta è vero, ma voi siete sempre i miei nonnini preferiti!!.
Siete sempre uguali, anche se è passato qualche anno dall’ultima volta che vi ho visti!!. E lo zio Matteo?’
‘L’è andato alla marina per comprare del pesce buono..’
‘Ah bene, allora stasera si mangia pesce?’
‘Si, lo facciamo alla griglia, speriamo che abbia trovato del buon pesce fresco”
La nonna era veramente in piena forma, nonostante i suoi sessantaquattro anni, aveva un fisico invidiabile, era magra e aveva un bel seno molto prosperoso. Il viso, a parte qualche piccola ruga sulla fronte, era fresco e liscio. Nemmeno il nonno, coetaneo della nonna, aveva perso il suo smalto, ed il suo fisico, allenato dal lavoro nel suo frantoio, era rimasto tonico e muscoloso. Era un omone alto un metro e novanta e sovrastava di gran lunga la nonna appena alta un metro e sessantacinque.
Mi fecero entrare in casa e di colpo fui proiettata ai tempi della mia infanzia, quando da quella madia con i vetri satinati, prendevo il pane, lo portavo alla nonna, la quale ci metteva sopra l’olio buono, un po’ di sale e me lo restituiva bell’e pronto solo da mangiare, mentre io, scalmanata, già correvo via per continuare a giocare con gli amici che spesso affollavano quella nostra grande casa.
Il nonno intanto si era preoccupato di scaricare i miei bagagli e me li stava portando su al primo piano nella camera a me riservata. Era la camera dei miei genitori, su quel letto alto e con le molle rumorose, i miei avevano spesso manifestato il loro reciproco affetto. Nonostante gli spessi muri li sentivo far l’amore, e, ancora piccola, non comprendevo perché quasi tutte le sere, mia madre gridasse così tanto. Mi rammento che una volta le chiesi se papà, la sera, la picchiava; lei mi rispose di stare tranquilla, che loro giocavano ad un gioco speciale e che per lei non c’era alcun pericolo.
Gli scuri delle finestre, aperti al sole tiepido della primavera avanzata, davano grande luminosità alla camera; essa era arredata con mobili antichi, tutti di colore scuro. Rividi l’imponente armadio, con il suo grande specchio macchiato qua e là, davanti al quale, da bambina, dopo aver rubato i trucchi della mamma, vanitosa, mi rimiravo atteggiandomi a signorina ormai grande. In quella stanza due sole cose erano di colore chiaro, la prima era una sedia laccata di smalto bianco, con la spalliera alta e la seduta imbottita di stoffa a righe bianche e azzurre, la seconda invece, era il ricamatissimo copriletto, anch’esso di colore bianco abbagliante.
Sentii sotto ai piedi lo scricchiolio delle tavole di legno del pavimento e ancora mi tornarono alla mente i giorni della mia fanciullezza. Tutti gli odori, a partire dai profumi dell’aria che saliva dal mare, da quelli molto intensi degli altissimi pini e degli antichi uliveti; la fragranza di lavanda delle lenzuola, risvegliavano in me tantissimi altri meravigliosi e nostalgici ricordi, essi mi facevano tornare improvvisamente bambina e nel contempo mi donavano una grande pace interiore ed una rilassatezza infinita. Aprii la porta finestra e mi affacciai sul terrazzo, di fronte a me, la vista si perdeva giù per la collina e si tuffava dentro al remoto e minuscolo specchio di mare. Guardai il cielo e vidi che le nuvole, portate dal vento, camminavano veloci nella mia direzione, esse avevano cambiato colore, dal bianco latte ora erano divenute color grigio topo. Alla mia destra, le montagne si erano nascoste dietro un cono d’ombra scuro. Lampi saettavano nel cielo ed il vento si era parecchio intensificato. Si prospettava un temporale. Io, dentro al cuore, amavo, quasi come le giornate di sole, anche quelle di pioggia, quelle giornate che tutti definiscono tristi e malinconiche e che invece a me piacevano ed ancora piacciono tanto.
Sotto, a Bibbona Marina, in mezzo ai vicoli contorti, fatti di case di pietra ed archi medioevali, io da giovincella, provavo piacere a camminare godendomi quella pioggerellina sottile che lentamente cadeva dal cielo. Già signorinella, in una di quelle viuzze lastricate in pietra, con Tonio, un ragazzotto inesperto quanto me, scambiai il mio primo bacio; ricordo ancor’ora il fuoco sul mio viso, l’agitazione, la paura d’essere scoperta da chi conosceva bene i mie genitori o da una di quelle donne pettegole e cattive che sovente popolano i nostri piccoli italici paesi. Rammento ancora la mano di Tonio, tremante, soffermarsi sul mio seno appena in boccio, la sua giovanissima virilità contro il mio addome, poi un altro bacio e quindi via di corsa verso la fermata della corriera che m’avrebbe riportata a casa mia.
Quanta confusione nel mio cuore e nella mia anima per quei primi innocenti contatti d’amore; come se fosse ora, ricordo che quel viaggio di ritorno, seduta su quei vecchi sedili con le imbottiture lucide e consunte, mi aiutò molto a stemperare ed a calmare il rimescolamento interiore che mi aveva invaso il corpo dalla testa ai piedi.
Udii un fragoroso tuono e percepii sulla pelle delle mie braccia le prime gocce di pioggia. Un brivido percorse il mio giovane corpo e io subito rientrai chiudendo immediatamente la porta-finestra. Separai le tende agganciandole lateralmente ai lacci di pizzo bianchi e con il naso appoggiato al fresco vetro rimirai ancora il magnifico panorama; poi il mio respiro appannò il vetro ed allora, a malincuore, mi voltai e mi appropinquai al letto buttandomi sopra. Più che buttarmi direi che ci salii, esso era veramente altissimo e pure tanto rumoroso; per me rimaneva però, sempre quell’enorme amato letto, dove, da piccolina, quando nelle notti di maltempo, i tuoni ed i fulmini mi davano sgomento e terrore, mi andavo a nascondere in mezzo a papà e mamma rifugiandomi fra le loro braccia protettive. Fantasticando con la mente, rimasi sdraiata per circa dieci minuti, poi decisi che sarei andata a farmi una bella doccia. Narcisista come sempre, mi spogliai davanti allo specchio e come sempre rimirai il mio corpo. Forse i miei avrebbero dovuto chiamarmi Narcisa invece che Giulia, sicuramente sarebbe stato il nome più adatto alla mia vanitosa personalità. Del mio aspetto fisico io amo tutto, a partire dal mio viso dolce e sensuale, sul quale sono incastonati i miei occhi scuri e profondi con le ciglia lunghe e ben disegnate. Il nasino all’insù e la boccuccia carnosa e vermiglia completano gradevolmente il mio ovale. Amo in modo particolare i miei capelli mossi, lunghi e scuri che contornano il mio volto dandogli grande risalto. Il corpo è in realtà un corpicino, non ho un seno enorme ma neppur tanto piccolo, le aureole ed i capezzoli grandi e scuri si evidenziano in modo particolare sulla mia pelle bianchissima. Il ventre piatto ed il monte di Venere, sporgente e coperto da una striscia centrale di pelo riccio e scuro, fanno da anticamera alla mia fessura liscia ed implume. Ho delle belle gambe, piuttosto ben fatte e lunghe, esse mi danno slancio e fanno si che la mia statura sia di poco superiore al metro e settantacinque. Ho anche un bel sedere tondo e sporgente, piccolino, ben diviso fra le natiche sode, esse sembrano state create apposta per indossare i miei ridottissimi ed amatissimi perizomi.
Presi da una delle mie valige di Prada l’accappatoio in morbida spugna, lo indossai, raccolsi le mutandine sporche che mi ero appena tolte ed uscii nel corridoio. In fondo ad esso c’era il bagno. Aprii la porta, essa, nella parte bassa era costruita in legno scuro mentre nella parte alta vi era incastonato dentro ad una cornice ugualmente in legno scuro, un vetro smerigliato persin troppo trasparente.
Entrai ed assaporai il profumo intenso del talco, tutto, anche in quella stanza da bagno, era rimasto come un tempo, la vasca da bagno, il grande box doccia con i cristalli tersi, il bidet, il water e due lavabo con su una enorme specchiera.
Aprii il cesto della biancheria sporca e ci buttai dentro il mio perizoma, poi agganciai l’accappatoio all’appendino, regolai la temperatura dell’acqua e mi infilai sotto al tiepido getto. Mentre accarezzavo il mio corpo cospargendolo di profumatissimo bagno schiuma, guardai fuori dalla grande finestra, sul vetro trasparente, minuscoli rigagnoli di pioggia colavano verso il basso. Vidi le cime degli alberi agitarsi e resistere al vento mentre il cielo s’era fatto completamente nero e minaccioso. Un baleno illuminò e squarciò le nuvole e subito appresso un tuono roboante fece vibrare i vetri della finestra. Era piacevole sapere che a pochi metri da me, le forze della natura si stavano scatenando e io me ne stavo lì tranquilla sotto la doccia calda a massaggiarmi il corpo nudo.
Quando mi facevo la doccia ed iniziavo ad insaponarmi voluttuosamente la pelle, quasi sempre finivo per masturbarmi; i miei diciotto anni mi spingevano a farlo, mi sentivo invadere da quelle che chiamano ‘le tempeste ormonali’ ed in quei frangenti così intimi e privati, scaricavo le tensioni ed i desideri repressi, cogliendo l’attimo e approfittando di quella voluta solitudine. Lo feci anche in quella occasione, con le cosce appena divaricate, la mano sinistra ad impastarmi un seno e la destra a sfiorarmi il ventre, con quest’ultima lambii appena le ossa del bacino, scivolai poi sulla parte interna delle cosce, risalii verso la mia vagina, la carezzai a mano piena, poi, partendo dal basso, il mio dito medio si insinuò fra le labbra trovandovi calore ed umidità, esso si intrufolò per pochi secondi, all’interno della mia ancora vergine cavità, quindi sgusciò lentamente verso l’alto fino a sentire sotto al polpastrello la lieve protuberanza del mio clitoride. Non lo toccai direttamente, ci girai alcune volte attorno, poi, eccitata, lasciai quella parte eretta e scesi ancora fra le labbra dischiuse; divaricai di più le gambe e, piegandomi un poco in avanti, arrivai a toccarmi il perineo. Quel lembo di pelle, che separa l’ingresso anteriore da quello posteriore, era per me un punto estremamente erogeno e, durante le mie onanistiche perlustrazioni, non dimenticavo mai di sollecitare quell’anfratto così segreto e nascosto della mia intimità. Ad occhi chiusi, sentivo che le diverse parti del mio corpo mi restituivano ciascuna delle sensazioni differenti. Tornai con due dita sul cappuccio del clitoride, posai su di esso i polpastrelli del dito medio e dell’anulare, con essi sfiorai appena il minuscolo glande; brividi di piacere, come una piccola e piacevolissima scossa elettrica, attraversarono il mio corpo facendolo vibrare. Insistetti ancora su quel rigido bocciolo, con le dita unite vi premetti sopra, lo sentii ritrarsi sotto al suo prepuzio, allora lo lasciai fuoriuscire nuovamente, lo sollecitai ancora ruotandovi sopra, poi, come spesso facevo, con l’indice ed il pollice strinsi il piccolo glande e lo tirai. Un dolore intenso ma al tempo stesso molto gradevole, mi fece accendere ancora di più, in quell’istante percepii fiumi di umori invadere la mia giovane vagina. Amavo in modo particolare, smettere per qualche istante per poi nuovamente ricominciare; spostai quindi la mano dalla figa e, unendo anche l’altra, lavorai a lungo sui capezzoli; li tirai, li rotolai, li strinsi forte, li resi altamente sensibili, quasi doloranti, poi, lentamente, levigando ancora con il palmo della mano la pelle tesa del mio ventre, scesi di nuovo verso il basso, ed un’altra volta, raggiunsi il punto centrale del mio piacere.
Mi accorsi che, sotto la sapiente opera delle mie dita, il mio bacino autonomamente si muoveva simulando il coito, contrassi i muscoli pelvici ed altri abbondanti umori allagarono la mia tenera fessura. Percepii chiari i segnali dell’imminente godimento, sfarfallando sul clitoride, mossi le dita sempre più velocemente ed a quel punto avvertii galoppante il sopraggiungere dell’orgasmo; lo lasciai arrivare senza mai smettere di toccarmi, fui invasa e stordita da sensazioni forti ed ubriacanti, ma io, come di consueto, anche ad orgasmo raggiunto, continuai a masturbarmi, lo feci ancora e poi ancora, fin quando mi colse un vero sfinimento fisico e psicologico, allora, finalmente acquietata, lasciai cadere le mani sui fianchi, piegai le ginocchia accucciandomi con la schiena appoggiata alle fresche piastrelle. Ad occhi chiusi, godendomi il piacere appena raggiunto, ascoltai per interminabili minuti, il mio respiro affannoso, il tambureggiare insistito della pioggia sul vetro della finestra e lo scroscio dell’acqua della doccia, che cadendomi addosso pareva volesse nettarmi dal peccato appena commesso.
Il sesso per me era tutto racchiuso in questi gesti solitari; gli unici partner che fino ad ora avevano avuto il piacere di sfiorare il mio corpo erano i polpastrelli delle mie ormai sapienti dita.
Si, lo ammetto, qualche bacio scambiato con ragazzi adolescenti come me, qualche fuggevole toccamento appena accennato con un’amica, ma poi più nulla. Non è che i maschietti non apprezzassero la mia bellezza, anzi, di spasimanti ne avevo tanti, sia all’università, sia in azienda, dove alcuni dirigenti, anche alquanto anziani, avrebbero fatto carte false per portarmi a letto; ma io ero piuttosto riottosa a concedere confidenza a qualcuno, mi ritraevo come un riccio e chiusa in quel guscio, con gli aculei fuori, mi lasciavo scivolare addosso le parole, gli inviti ed i commenti, come se tutto fosse acqua che cade sulla pelle ed immediatamente scorre via. Probabilmente questo mio comportamento era dovuto all’educazione poco libertaria ed ancor meno libertina, ricevuta dai miei genitori. E voglio sottolineare che il dire ‘poco libertaria’ è in effetti, un vero e grande eufemismo. Frasi del tipo: Attenta agli uomini, da te cercano solo una cosa.. O ancora: Non dare troppa confidenza, i maschi ne approfittano sempre’., e via di questo passo, sono state la colonna sonora costante ed ossessionante di tutta la mia infanzia e della mia pre e post adolescenza. Oltre a tutto ciò, mi stavo accorgendo che, con il tempo, mi ero troppo ‘specializzata’ in masturbazioni solitarie e che, sessualmente parlando, sotto tutti gli altri punti di vista, non conoscevo ancora le mille sfumature del sesso e in special modo di tutto ciò che riguardava il poliedrico universo maschile.
Uscii a malincuore dall’estasi ed aprii gli occhi, mi sollevai in piedi e guardai verso la finestra, ora gli alberi, non muovevano più le loro folte e verdi chiome, la tempesta s’era calmata ed anch’io mi sentivo meno irrequieta ed agitata. Terminai di lavare per bene la mia intimità e poi chiusi il rubinetto ed uscii fuori dal box. Nel cielo le nuvole si erano diradate e la pioggia ora sembrava meno intensa. Una informe macchia di azzurro stava facendo capolino fra i cirri gonfi e biancastri ed alcuni timidi e deboli raggi di sole annunciavano l’imminente fine del temporale.
Indossai l’accappatoio ed uscii dal bagno, ebbi in quell’istante la netta impressione che la porta della camera da letto dei nonni si chiudesse proprio in quel preciso momento. Mi avvicinai all’uscio, ci appoggiai l’orecchio, udii scricchiolare le assi del pavimento e poi l’anta rumorosa dell’armadio aprirsi con un lamento. Non mi ero sbagliata. Così com’ero, scesi giù in cucina per bere un bicchiere d’acqua. La nonna era affaccendata in cucina a preparare per il pranzo e mi voltava le spalle. Mi servii dal frigorifero dell’acqua e poi lemme-lemme mi avvicinai alla nonna e l’abbracciai da dietro, quindi, affettuosamente, la baciai sulla guancia.
Rise, sorpresa d’essere abbracciata da qualcuno. Il nonno, burbero com’era, di certo non le dimostrava mai affetto alcuno. Sicuramente lui l’amava, ma non era il tipo che palesava i suoi sentimenti in modo evidente. Risalii in camera mia, mi tolsi l’accappatoio ed iniziai a rivestirmi. Nella mente un tarlo che mi disturbava alquanto, il nonno mi aveva spiata mentre ero in bagno?? Aveva udito i miei gemiti?? Chissà!! Forse, approfittando del rumore della doccia aperta e della pioggia che batteva sui vetri, aveva aperto la porta e mi aveva vista mentre mi masturbavo?? Attraverso quei cristalli trasparenti, non avrebbe avuto alcuna difficoltà ad osservarmi in quegli atteggiamenti così intimi e privati. Che figura!! Magari lui, sentendomi gemere, aveva creduto che la ‘bambina’ stesse male!! Pensai anche alla mia mente malata che vedeva il brutto dappertutto, magari il nonno era semplicemente salito in camera sua proprio in quel momento e non mi aveva ne vista ne sentita!!! Decisi di non pensarci più e mi infilai dei jeans bianchi, aderenti come una seconda pelle, quindi presi in mano il reggiseno, feci per indossarlo, poi lo buttai sul letto e mi misi addosso una maglietta larga di colore rosso. In effetti non avevo mai capito se era il reggiseno che mi reggeva le poppe o se erano le tette a reggere il reggiseno!! Tormentata da questo amletico dubbio, scesi le scale e tornai in cucina, mi sedetti davanti ad una bibita fresca alla menta che mi aveva preparato la nonna e la bevvi ingordamente.
Da quel momento, la sete di conoscere della nonna, fu martellante e senza soluzione di continuità. Domande su domande, sui miei genitori, suo mio padre, che poi era pure suo figlio, sui miei fratelli, sulla scuola, sui miei diciotto anni, sui fidanzatini che avevo e che avevo avuto, insomma, mi pose una miriade di domande che per un’ora buona mi ossessionarono il cervello tenendomi occupata intensamente.
Iniziammo a pranzare verso le tredici e trenta e io feci appena in tempo a mettermi in bocca il mio primo boccone di prosciutto e melone, che entrò in casa lo zio Matteo. Mi alzai e gli corsi incontro, gli buttai le braccia al collo e lo strinsi forte a me. Lui ricambiò con trasporto il mio abbraccio e poi si staccò da me e tenendomi le mani nelle sue, mi guardò attentamente.
‘La Giulia!!! Ma che ti sei diventata!!! Maremma maiala che tocco di gnocca che tu sei!!!!’
Con queste sue espressioni piuttosto colorite lo zio Matteo mi attirò nuovamente fra le sue braccia e mi strinse affettuosamente, oserei dire, fors’anche un po’ troppo affettuosamente.
Mi risedetti a tavola ed al mio fianco venne ad accomodarsi lo zio Matteo. Pranzammo allegramente gustando degli spaghetti allo scoglio prelibatissimi e come secondo la nonna portò in tavola delle bistecche di ‘Chianina’ appena scottate con delle patate al forno cosparse di un trito di erbe aromatiche. Dopo pranzo restammo a chiacchierare e parlammo delle mie vicissitudini da giovinetta in quella grande cascina.
Ogni tanto, lo zio, mentre mi parlava, si voltava verso di me e mi appoggiava confidenzialmente una mano sulla coscia lasciandocela per qualche minuto. Avevo perso l’abitudine a quella familiarità affettuosa da parte dei miei parenti toscani. Anche il nonno, spesso, da più piccola, mi dava un paio di sculacciate scherzose mettendomi una mano sotto la gonna. L’avevo detto alla mamma e lei mi aveva spiegato che non c’era in questo nulla di male, era un modo amorevole e tenero per significare il loro amore per me. In effetti, a dire il vero, lo faceva anche la nonna , lo stesso identico gesto. Il nonno, faceva poi la stessa cosa anche con la mamma e papà ed alle loro proteste, lui aveva spiegato che erano gesti confidenziali ed abituali per le usanze della loro famiglia e che in fondo significavano solo amore ed affetto profondo.
Così, memore delle esperienze da fanciulla non diedi peso ai gesti dello zio e lo lasciai fare.
Con la complicità dello zio, che spesso mi riempiva il bicchiere, mi ritrovai un pochino brilla e mi accorsi che pure la bocca era impastata alquanto. Il Chianti fresco era sceso giù bene ed ora ne dovevo subire le conseguenze. Barcollando un poco aiutai la nonna a sparecchiare la tavola e subito dopo salii le scale dicendo alla allegra compagnia che sarei andata a riposarmi perché ero stanca del viaggio.
Verso le diciassette, mi svegliai e scesi giù. Fuori c’era il sole, mentre all’interno della casa si percepiva una frescura nemmeno troppo piacevole. Gli scuri delle finestre erano accostati e in cucina vi era una penombra diffusa. Mi avvicinai alla finestra centrale, aprii le ante e le dischiusi. Il sole immediatamente rischiarò l’ambiente scaldandomi con i suoi raggi.
Il pranzo mi aveva lasciata una certa arsura ed avevo necessità di dissetarmi. Dal frigorifero trovai una bottiglia di Gassosa, me ne versai un bicchiere e lo tracannai tutto d’un fiato.
Decisi di ritornare in camera e, visto che il nonno mi aveva anticipato che saremo andati a prenderci un gelato a Marina di Bibbona, conoscendo i miei tempi, pensai bene di anticipare i preparativi. Una volta al primo piano, nel più completo silenzio udii un rumore provenire dal bagno. Mi pareva qualcuno che ansimasse, spiai dal buco della serratura e vidi lo zio Matteo che teneva in mano le mie mutandine sporche e le annusava impugnandosi il cazzo che era fuori dai pantaloni. Prese poi le mie mutande si avvolse il pene e continuò a masturbarsi. Dopo pochi minuti piazzò il perizoma sotto alla cappella e vi eiaculò sopra. Sempre con i miei slip si pulì per bene il membro e, dopo aver gettato il mio indumento intimo nel cesto, si avvicinò al lavandino ed iniziò a spogliarsi del tutto.
Che maiale, il mio ziuccio. Gli piacevo, si era eccitato a sentire il profumo della mia figa, chissà cosa avrebbe fatto se mi avesse vista nuda davanti a lui. Udii lo scroscio dell’acqua della doccia ed allora me ne tornai in camera mia, mi chiusi dentro e mi spogliai rimanendo nuda completamente, poi mi infilai un vestitino leggero cortissimo, quindi con quella succinta ‘mise’ uscii sul terrazzo. Ero tranquilla, i nonni erano a schiacciare il solito pisolino e probabilmente anche lo zio era andato a nanna, in effetti non si udivano rumori di sorta.
Fui subito smentita dallo scatto della serratura di casa, guardai alla mia sinistra in direzione del cortile sottostante. Il maialino dello zio Matteo, in pantaloncini di jeans corti ed una maglietta blu, tipo canottiera, comparve alla mia vista. In mano una bottiglia di vino ed un bicchiere, si sedette sotto al grande fico, appoggiò la bottiglia ed il bicchiere sul tavolo di cemento e si versò una buona dose del nettare di Bacco, mi accorsi che guardava in su ed in quel momento non so cosa mi prese, spinta dalla mia libido, decisi di provocarlo. Gli girai le spalle e mi chinai a staccare da un vaso di gerani alcune foglie secche. Per attirare la sua attenzione tossii più volte e poi, spiai di sottecchi la sua reazione.
Lo vidi posare improvvisamente il bicchiere sul tavolo e con la bocca aperta rimanere estasiato dallo spettacolo che gli stavo offrendo. Come se nulla fosse, canticchiai il tormentone dell’estate e mi spostai sul vaso che stava sull’altro lato del terrazzo. Fra le mie gambe divaricate, osservai ancora le sue mosse. Ipnotizzato dal mio bel culo e dalla mia fighetta così esposti, lui si era portato una mano sulla patta e se lo massaggiava. Aprii ancora un pochino le gambe e gli mostrai meglio la mia spaccatella liscia e depilata. Poi mi alzai in piedi ed entrai in camera lasciandolo immobile ed ammaliato.
Mi toccai la fighetta e la sentii alquanto umida. Decisi che non volevo farmi un altro ditalino e quindi, quasi contro la mia volontà, andai in bagno, mi diedi una rapida lavata e tornai in camera mia. Praticamente nuda tolsi la roba dalle mie valige e la sistemai nel capiente armadio. Quando ebbi finito, mi cambiai nuovamente e questa volta scelsi un vestitino a fiori, stile anni sessanta, e lo indossai.
Mi stava benissimo; ci misi sotto il solito perizomino e null’altro. Erano le diciannove e trenta, quando, tutta in ghingheri, mi presentai per la cena. Da fuori si sentiva il profumo del pesce grigliato, mi affacciai sulla porta di casa e vidi il nonno e lo zio indaffarati attorno al barbecue a cuocere del pesce. Mi avvicinai a loro e sentii su di me lo sguardo lubrico del porcellino Matteo. Devo dire che anche il nonno mi squadrò per bene dalla testa ai piedi e poi si girò nuovamente a curare la cottura del pesce. Con la mia voce cristallina li salutai e tornai in cucina ad aiutare la nonna ad apparecchiare la tavola.
‘Lascia stare Giulia, faccio io, poi stasera non si mangia in casa, s’apparecchia fuori, sotto al pergolato.’
Mi piaceva sentire parlare con quella bellissima cadenza toscana. Anche mio padre e la mamma parlavano come loro, ma ormai si erano assuefatti al dialetto emiliano, ed i loro discorsi erano a volte frammentati da alcune parole toscane e da molte altre in emiliano.
Entrò in quel momento lo zio Matteo con in mano una teglia colma di pesce ancor caldo’..
‘Bea, metti questo in forno prima che si raffreddi’.’
Cenammo quella sera, con grande allegria, gustai quel cibo prelibato con ingordigia, tutto era romanticamente bello. Le lampade a luce gialla illuminavano a malapena il pergolato, l’ambiente circostante era piuttosto affascinante. Sentivo le gambe nude percorse da brividi di freddo, ma non dissi nulla a nessuno. Ogni tanto lo zio, voltandosi per parlarmi e guardarmi in faccia, appoggiava la solita manona sulla mia coscia. Un altro genere di brivido percorreva il mio corpo e come una lieve scossa elettrica mi lasciava per un attimo imbambolata ed esausta. Dopo cena, la proposta del nonno di andare a mangiare il gelato fu bocciata a favore della torta di mele della nonna; la aiutai a sparecchiare e poi mi avvicinai al nonno ed allo zio che intanto s’erano seduti sopra ad una panca di legno e si erano portati la bottiglia del chianti ed i bicchieri. Fra di loro un tavolo pesante, in cemento, con una sola colonna centrale e con la superficie ricoperta da un mosaico di piastrelline multicolori che formavano l’immagine di una grande anfora con dentro dei fiori. Sopra a questo tavolo a cielo aperto due lampioni che illuminavano fiocamente la zona. Mi sedetti vicino al nonno ed accettai il bicchiere colmo di vino che lui mi offriva. Gli occhi azzurri dello zio, mi fissavano intensamente. Sollevai lo sguardo al cielo e vidi, tra le sagome scure delle foglie di un enorme fico, il baluginare pallido di un ammasso di stelle. Mi parve che la volta scurissima del cielo mostrasse tutte quelle stelle come a volersi proteggere per la sua disarmante nudità. Era come me, anch’io mi sentivo nuda ed indifesa sotto quel vestitino leggero. Alcune stelle formavano la sagoma di un volto, immaginai in quella lontana icona il viso serio e porcello di mio zio. Le mie gambe, quelle gambe adorabili e vivaci, che lo zio aveva ammirato nel pomeriggio, esse, al solo pensiero, si dischiusero un po’ , poi la razionalità ebbe il sopravvento sulla fantasia, riuscii a riavermi ed allora le serrai fortemente, quasi a voler preservare anche dai possibili sguardi del nonno, la mi integrità sessuale.
Rimasi esterrefatta quando la mano del nonno si posò sulla parte superiore della mia coscia. La nonna seduta di fianco a zio Matteo chiacchierava tranquilla mentre suo marito saliva pian piano con la mano verso la mia intimità. Compresi che sul mio viso avevo stampata una espressione ebete ed al tempo stesso sognante, per metà era piacere e per l’altra metà era profonda sofferenza interiore. Il dorso della mano destra del nonno si appoggiò contro le mie mutandine e premette muovendolo un po’. Gli presi la mano e con mille celati sforzi tentai di allontanargliela. Si voltò verso di me e mi fissò negli occhi, poi sentii le sue dita farsi strada sotto la leggera stoffa del perizoma e quindi introdursi fra le labbra della mia patatina.
La nonna e lo zio parlavano e bevevano, il nonno invece, nascosto dallo spessissimo tavolo, aveva estratto il suo cazzo. Non potei fare a meno di notarlo, ne rimasi stupita ed ammirata, ce l’aveva grandissimo e parecchio lungo. Il suo sguardo mi fece capire che desiderava che glielo prendessi in mano, anch’io in verità anelavo la stessa cosa. La mia manina piccola e morbida circondò una parte di quel tronco duro, lui ci mise sopra la sua mano e la mosse in basso. Lucido e teso, il glande del nonno, fece la sua comparsa. Al tatto pareva velluto a vista era rossastro e rilucente, la corona del glande era simile ad un grosso fungo porcino.
Mi lasciò la mano ed io la mossi ancora senza la necessità della sua guida. Rideva la nonna ed anche lo zio; il nonno ad un certo punto si mise una mano sopra al cazzo, che si contrasse alcune volte, e poi, il nonno, mascherando il suo stato, venne silenziosamente.
Quella è stata la mia prima sega ad un uomo adulto. Il vecchio rinfoderò il pene nei pantaloni e prendendo il bicchiere di vino in mano brindò alla salute di tutti. Mentre lui e io facevamo ‘cin-cin’ lui mi sorrise e si sporse verso di me baciandomi sul bordo delle labbra.
Dopo quel brindisi i due vegliardi decisero di andare a dormire e si allontanarono. Anch’io mi alzai per seguire il loro esempio, ma lo zio mi invitò a rimanere ancora un po’.
‘Giulia, vieniti a sedere vicino a me!!!! Così parliamo un pochino!!!’
‘No grazie zio, preferisco andare a dormire’
Lo salutai e senza nemmeno avvicinarmi a lui entrai in casa e subito mi catapultai in camera mia. Wowww, il nonno!!! Il primo mio giorno di vacanza avevo nientemeno che fatto una bella sega proprio al padre di mio padre!!!
Mi tolsi il vestito e le mutande e mi infilai sotto le lenzuola. I pensieri che mi affollavano il cervello erano veramente tanti. La prima parola che mi veniva in mente era: Immorale!!
La seconda invece era: Puttana!! La terza era: Maiale!!! Oh cavoli, avevo preso in mano il cazzo del nonno!!! Io, ragazza tutta casa e chiesa aveva masturbato il mio nonnino. Colui che quand’ero piccolina mi aveva tenuta sulle sue ginocchia facendomi giocare!!
Certo che aveva un gran bel cazzo il nonno!!! Fortunata la nonna che se lo prendeva!!!
Oddiooo, ma che cavoli stavo pensando, ero in preda alla più oscena farneticazione; ero completamente fuori di me!!
Buttai via il lenzuolo, mi alzai, indossai l’accappatoio e me ne andai in bagno, chiusi a chiave la porta alle mie spalle e dopo avere buttato a terra l’unico indumento che indossavo, mi ficcai sotto la doccia, regolai l’acqua alla temperatura più fredda possibile e rimasi ferma a cercare di riordinare le idee.
Uscii dopo un bel po’ da sotto la doccia, mi asciugai e mi misi sulle spalle l’accappatoio chiudendolo sul davanti con una mano.
Nonostante i pensieri confusi che avevo in testa, forse per merito del chianti, mi addormentai facilmente. Quando al mattino vidi la luce del sole filtrare tra gli scuri chiusi, guardai l’ora e mi accorsi che erano già le undici. Una emicrania diffusa mi tormentava il capo e le palpebre faticavano ad aprirsi del tutto. Mi ero presa una bella sbornia ed ora ne sopportavo le conseguenze. Mi vestii e scesi in cucina, la nonna, sempre amorevole, mi versò una tazza di latte e mi mise davanti un piatto con dei cantucci fatti in casa. Li inzuppai nel latte e mi complimentai con la mia nonnina per la loro bontà.
Lei mi venne vicina e mi carezzò il viso con dolcezza infinita. Questo suo modo amabile di coccolarmi mi fece sentire ancora di più in colpa. Solo poche ore prima avevo fatto una sega a suo marito, che poi, particolare non trascurabile, era pure mio nonno.
L’iniziativa era stata sua, ma io non mi ero tirata indietro, sarebbe bastato che mi alzassi da quella panca e che fingessi di dover andare in bagno e tutto sarebbe finito. Invece, la sua mano contro la mia affamata fighetta e quel suo cazzone fuori dai pantaloni mi avevano portata alla resa con estrema facilità. Decisi che ne avrei parlato al nonno in separata sede e che gli avrei detto che quella di ieri sera era stata la sola, unica e irripetibile volta in cui lui e io avevamo avuto rapporti di quel tipo. Questa decisione, mi fece quasi sentire meglio, mi diede la forza per parlare ancora con mia nonna guardandola tranquillamente negli occhi.
Mi alzai dal tavolo e passai davanti al salone, la porta era aperta e mio zio, seduto davanti al grande tavolo in noce, stava scrivendo qualcosa su di un foglio bianco. Entrai, lo vidi pensieroso, stava tracciando su quel foglio dei ghirigori senza un senso, mi avvicinai al suo fianco e mi chinai un poco per meglio vedere le sue ‘opere d’arte’. Mi sentii cingere la vita con un braccio, mi parve una patetica imitazione di una familiarità tra me e lui che in effetti non esisteva. Mi attirò a se e, come quando ero bambina, mi fece sedere sulle sue ginocchia. Percepivo il calore del suo respiro a pochi centimetri dalle mie gote arrossate, rimasi ferma e mi accorsi d’avere le labbra dischiuse con un atteggiamento un po’ troppo provocante. La sua mano era scesa dai miei fianchi e mi carezzava impunemente la natica sinistra. Respiravo ad un ritmo poco più veloce del solito. Feci un debole tentativo di alzarmi in piedi, ma il mio corpo vinse la battaglia e rimasi li seduta persa tra le braccia di mio zio.
La voce della nonna, che mi chiamava per andare a vedere i gattini nati da pochi giorni, mi fece rinsavire, le risposi che sarei arrivata subito, mentre lo zio sfiorava l’angolo della mia bocca con la sua. Mi alzai e mi sistemai il vestitino che lo zietto mi aveva sollevato per carezzarmi il sedere, una spazzolata con le dita della mano ai capelli ed uscii dalla sala.
Con la nonna, uscii in cortile e poi camminai verso il fondo del giardino. Dentro ad una casetta per gli attrezzi, una cucciolata di cinque gattini. Erano bellissimi, tutti con gli occhi azzurri ed il pelo grigio chiaro, sul muso una macchia centrale tutta bianca. Anche le zampine erano macchiate di bianco, pareva che indossassero dei calzini.
Mamma gatta con le tette gonfie e a disposizione delle bocche fameliche dei suoi cuccioli, se ne stava comodamente sdraiata e aspettava che i piccoli affamati terminassero di nutrirsi.
Tornai in casa assieme alla nonna, incrociai il nonno, lui, con una carriola stava trasportando della terra da distribuire dentro ad una aiuola. Mi salutò appena, tenendo il capo chino, quasi senza guardarmi in viso. Aiutai la nonna ad apparecchiare la tavola e le chiesi se, a pranzo, mi sarei potuta sedere vicino a lei. ”.
‘Non ti piace che tuo zio ti metta le mani sulle gambe???’
‘Beh, nonna, sai, io non ci sono abituata e mi da un po’ fastidio’.’
‘Si, ti capisco, lui è fatto così, lo fa con tutte, persino con le su figliole”’
‘In questo mese magari mi ci abituerò, però se posso, vorrei pranzare seduta vicino a te.’
‘Si va bene, non ti preoccupare, non ci sono problemi’..’
Rilassata e tranquilla pranzai con tutta calma e chiacchierai molto volentieri con tutti loro.
Su di me gli occhi, ora del nonno, ora dello zio, che cercavano i miei, entrambi ambivano a farsi la nipotina. Poi successe, che sotto al mio vestitino un piede, certamente quello dello zio che mi stava di fronte, si intrufolasse e si spingesse contro la mia fessura. Sentivo muovere le dita che mi masturbavano in modo, magari poco delicato, ma certamente molto efficace.
Parlavo con il nonno che mi raccontava di quando mio padre era un bambino, mentre lo zio, lasciatosi scivolare sulla sedia mi stava lavorando la figa da sotto il vestito.
Loro, i due maschi, l’avevano capito che io ero una piccola porcella. Forse me lo vedevano scritto in faccia: Sono una gran troia!!! E pensare che ancora ero vergine!! Lo zio ci provava e io invece di ribellarmi a simili approcci indecenti, me ne stavo lì e subivo attivamente le loro oscene avance. Si, le subivo attivamente; lo zio mi titillava la figa con le dita del piede, e io, invece di ritrarmi, muovevo impercettibilmente il bacino facilitandogli il compito.
La nonna si accorse di qualcosa e mi chiese se stavo bene, le risposi di si e subito il piede sparì da in mezzo alle mie cosce. Terminammo il pranzo e lo zio si allontanò salendo al primo piano. Dopo il caffè anche il nonno e la nonna se ne andarono a riposare, così io rimasi sola per un po’, poi decisi di seguire l’esempio di tutti ed anch’io salii per sdraiarmi e provare a sonnecchiare un po’ sperando che l’emicrania persistente smettesse di torturarmi il capo.
Mentre stavo per entrare in camera mia udii il telefono trillare insistentemente, ridiscesi la scala e mi precipitai all’apparecchio”
‘Pronto ???’
‘Ciao sono Aurora, c’è la signora Beatrice’
‘Ma, scusa, sei Aurora, la nipote di mia nonna Beatrice?’
‘Si sono io, ma con chi parlo??’
‘Cuginetta mia, sono Giulia, ti ricordi di me?’
‘Maaa’.. Giulia di Parma?’
‘Si sono io’.’
‘Ciao Giuliaaa !!! Scusami ma non ti avevo riconosciuta, volevo parlare con la nonna perché sua sorella, insomma, mia madre, si è sentita male e adesso è grave in ospedale, la volevo solo avvisare’.’
‘Oh mi dispiace!! Avverto subito la nonna’..’
Salutai rapidamente mia cugina e bussai all’uscio della stanza dei nonni, poi senza attendere il loro consenso, entrai, mi avvicinai al letto e sussurrai all’orecchio della nonna.
‘Nonna, scusa, ma ha telefonato adesso Aurora, a quanto pare zia Matilde sta male, è grave in ospedale, non so, vedi tu, te lo volevo solo dire’.’
La nonna si svegliò di colpo e si mise a sedere sul letto, ancora addormentata, si strofinò gli occhi e poi si fece ripetere ciò che le avevo appena detto. Si mise in piedi e in fretta e furia andò in bagno si preparò, poi tornò in camera e si vestì di tutto punto. Chiamò lo zio ed il nonno e spiegò loro che doveva andare a Firenze da sua sorella che stava male. In pochi minuti fu seduta sulla sua Panda, la mise in moto e partì di fretta e furia.
La sera mi trovai a preparare la cena per me e per i due uomini della famiglia. Non ero capace come la nonna ma me la cavavo abbastanza bene.
Dopo cena compresi però che il loro appetito non era solo per le cibarie ma soprattutto lo sentivano prepotente per me.
Non capisco nemmeno oggi, se fu una cosa brutta o una bella. So che successe e che non fu una situazione da me voluta o cercata, fu solamente un soddisfare passivamente le brame di due maschi infoiati e profondamente immorali.
Mentre io voltavo la schiena al tavolo e stavo accingendomi a lavare i piatti, lo zio si avvicinò a me da dietro e mi cinse la vita appoggiando il suo ventre contro il mio sedere. Le sue mani risalirono rapidamente prendendo possesso delle mie mammelle. Tentai di ribellarmi, mi divincolai scalciando, ma lui con una mano spostò la tovaglia dal tavolo e poi mi prese di peso e mi ci fece sedere sopra; incuneò a forza i suoi fianchi fra le mie gambe, con una sola mano mi strappò le mutandine e armeggiò con la patta dei suoi pantaloni. Mi spinse all’indietro facendomi sdraiare con la schiena sul duro tavolo e mi strusciò il cazzo fra le labbra della mia virginea fighetta. Gridai, urlai aiuto molte volte, ma non successe nulla, il nonno guardava divertito e invece di venire in mio soccorso collaborava con suo figlio per tenermi ferma. Percepii un forte colpo sulla guancia sinistra e mi accorsi che anche il nonno aveva tirato fuori la sua arma letale e me la sbatteva sulla bocca e sulla faccia. Il bastardo era calmo e tranquillo ed incitava in modo volgare e scurrile suo figlio a penetrarmi con la violenza”.
‘Dai Matteo, fottila’. sverginala tu che poi le spacco il culo a ‘sta ‘budella’ maiala!!!’
‘Oh Babbo tienila ferma che la trombo per bene!!!’
Avevo le mani del nonno che mi bloccavano le spalle, mentre i suoi grossi coglioni mi stavano appoggiati sugl’occhi. Stringevo fortemente le cosce cercando di respingere l’attacco alla mia verginità. Giuro che lottai con tutte le mie forze, poi una sberla sul viso dello zio, mi fece arrendere. Lo sentii entrare e lacerarmi l’imene, un grande calore invase il mio ventre e lui, senza alcun riguardo cominciò a scoparmi con violenza”.
‘Maiala parmigiana, lo ziuccio te lo sta sbattendo in ficaaaa. Babbooo, l’è una porcacciona come la su madree’..’
‘Si Matteo, l’è uguale alla su madre!!!!’
Non comprendevo allora cosa c’entrasse mia madre, ma non avevo nemmeno il tempo e la voglia di ragionarci tanto.
‘Bastardiiiiiiii, lasciatemi andareeee!!!’
‘Ti sborro in panciaa, ti metto incinta maialaaaa’. ti sfondo la pottaaaa”’
‘Lasciami stare, smettila ti pregooooo’..’
‘Ti ho vista sai mentre te la sgrillettavi in bagno, porcacciona maialaaa’
‘Lasciamiiiiii’..’
‘L’hai fatto apposta a farmi vedere la tu spaccatella sul terrazzo vero, puttanaaaa!!!’
‘Nooo, lasciamiiii, lasciamiiii”.’
Compresi in quel preciso istante, chi era il voyeur che mi aveva spiata mentre mi facevo un ditalino sotto la doccia e capii anche d’essere stata imprudente e provocarlo facendogli vedere il mio sedere e la mia piccola gnocchetta dal terrazzo. Non si fece problemi lo zio stupratore e, dopo alcuni grugniti animaleschi, mi eiaculò dentro, poi lo sfilò e se lo pulì sui pochi peli che avevo sul monte di Venere.
Il nonno che nel frattempo aveva continuato a masturbarsi e a sbattermelo fortemente sul viso, emise un grugnito e poi con un urlo da cavernicolo mi riempì il volto con diverse gittate di sperma denso e caldo.
Fu così che persi la mia verginità, stuprata, insultata; riempita e ricoperta di sborra, da mio zio e dal mio caro nonnino.
Decisi che il mattino seguente me ne sarei tornata a casa di filato. Poi, invece, quella mattina tornò la nonna. Ci disse che sua sorella si era ripresa e che ora stava bene.
Non ebbi il coraggio di denunciare i due uomini e così rimasi in quella casa per alcuni altri giorni, durante i quali”.
Continua’..
Buon sesso a tutti da parte di ombrachecammina
e-mail: alexlaura2620@libero.it
Grazie Rebis
Bellissima storia, molto realistica
Pisellina… fantastico! Un buon mix di Femdom e umiliazione
Storia molto intrigante. Per favore, continua! :)
In tutte le volte in cui Maria ordina a Serena di spogliarsi, Serena rimane sempre anche a piedi nudi oppure…