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Racconti Erotici Etero

A piedi nudi

By 11 Maggio 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

Mi ha sempre affascinato la folla: una moltitudine di volti, colori, umori ed odori. Gente che sfreccia via incurante di chi sosta, di chi sorpassa, di chi evita, a volte persino di chi involontariamente si tocca. Osservo i volti degli anziani che, stanchi, camminano verso un destino già disegnato. Sorrido ai visi raggianti dei bambini che illuminano i miei occhi solo con i loro ridenti e curiosi. Seguo con lo sguardo la corsa delle mamme, appesantite dalle valigie, dietro ai propri cuccioli che, inconsapevoli dei pericoli, sfilano veloci verso l’ignoto. E poi ancora guardo i giovani ragazzi malvestiti che procedono a gruppi, ridendo di niente, felici solo di essere insieme. Guardo uomini d’affari e donne in carriera che, impeccabili nelle loro divise, procedono altezzosi verso il prossimo appuntamento. In ultimo lo sguardo viene catturato dai balordi, dai rifiuti della società, da quella parte di noi stessi che non vorremmo mai mettere a nudo. Osservo chi distoglie lo sguardo, chi finge nemmeno di vedere o chi, invece, sembra impietosirsi, ma senza accennare alcun gesto solidale: si affannano, persi e confusi tra la gente. Una fitta di pena mi colpisce l’anima, esortandomi a domandarmi chissà mai quali storie siano celate dietro a quei volti assenti, a quegli occhi sofferenti: vite gettate al vento di ragazzi, adulti e anziani. Tutti, inevitabilmente, accomunati ormai dalla mancanza di qualsiasi speranza, di qualche progetto, di ogni scopo, se non quello di sopravvivere. Ma perché’&egrave vita quella?
Il grido di un bambino mi distoglie da questi pensieri: lo vedo liberarsi dalla stretta protettiva della mamma per lanciarsi in un abbraccio ancora più avvolgente e festoso. Sorrido io, sorridiamo in tanti davanti all’immagine felice del padre che lo fa volteggiare pericolosamente in aria, dimentico della stanchezza, della gente intorno o dei richiami preoccupati della moglie. Bastano quelle grida di gioia del piccolo a ripagare di una lunga assenza, della fatica o, magari, di un lavoro non concluso. E’ arrivato un treno ed un fiume di persone comincia ad accalcarsi sulle pensiline. Mi sforzo di guardare oltre la marea umana che lentamente si insinua in ogni possibile passaggio tra l’edicola, i carretti dei panini o i carrelli dei facchini. E’ impossibile riuscire ad individuare la sua sagoma, sebbene alta e slanciata dovrebbe distinguersi tra la massa. Cerco di avviarmi verso il luogo dell’appuntamento, ma mi &egrave difficile persino riuscire a muovere qualche passo verso il cartello che segnala il numero del binario. Ho indugiato troppo ad osservare la gente, lasciandomi cullare dai miei pensieri e dalla semplice gioia di un bambino tra le braccia del padre, che ora rischio di non trovarmi all’appuntamento. Il cuore mi batte forte nel petto. Ringrazio il rumore dei treni in partenza, le grida della gente, l’altoparlante che annuncia freddamente un nuovo ritardo. Poso una mano sui seni: la pelle é morbida e calda, nonostante la scollatura generosa che ho pensato di offrirgli come benvenuto. Contro la mano rimbombano i battiti accelerati dall’attesa, da un incontro desiderato, senza averlo mai davvero dichiarato. Già, perché noi siamo così. Poche parole, poche dichiarazioni. Ci siamo, ci vogliamo e lo sappiamo bene entrambi.
Ed ora siamo qui.
Ancora immobile tra la calca che mi sfila accanto riesco finalmente a scorgerlo, mentre apparentemente distratto consuma ogni metro che lo separa dal luogo prestabilito. Nella mano stringe il cellulare, il nostro legame, la nostra via per sentirsi sempre ugualmente vicini. Si guarda intorno cercando tra la folla il mio viso, che sa essere sorridente ed in attesa. Non mi vede, così si arresta, cominciando ad armeggiare con il telefonino alla ricerca del mio numero. Ancora un attimo. Posso osservarlo rapita ancora per qualche istante. Gli sorrido ben sapendo che sarà un sorriso che andrà perso. Gli sorrido perché &egrave bello, perché sento crescere dentro di me la voglia di accarezzarlo, di baciarlo, di stringerlo. Sento il cuore battere sempre più forte, mentre associo il suo viso alla sua voce. Riaffiora alla mia memoria la sua voce che dal telefono mi ripeteva ‘sei bella, sei bella e non lo sai’ . Ma io non ho mai capito. Sei bella perché sei così, calda, spontanea; perché non chiedi, perché sei diretta, trasparente. Sorrido ripensando a quante volte lessi il messaggio nel quale mi ringraziava per la mia ironia e le mie risate. Ripenso a quando gli chiesi cosa lo avesse spinto nella mia direzione e lui mi rispose che lo aveva attratto la mia bocca e la mia testa. Il suono della voce tanto familiare mi risveglia dolcemente, facendomi sobbalzare:’buongiorno mia signora’. Ed eccolo qui. Davanti a me. Apre le braccia accogliendomi in un abbraccio che sa di uomo, di maschio, dolce ed inebriante, protettivo ed impudente. Mi lascio andare, finalmente insieme. Sollevo lo sguardo rivolgendogli un sorriso sincero, lasciando che la mia voglia di averlo accanto traspaia senza freno. Chino leggermente la testa fissandolo negli occhi scuri; so cosa sta facendo: osserva i miei verdi e languidi, pieni di desiderio, colmi di passione. Li scruta, confonde il suo sguardo con il mio alla ricerca dell’essenza, cercando di scovare ciò che &egrave il desiderio di piacere, l’attesa di scoprirlo insieme. Lentamente si china verso di me. La distanza tra i nostri volti sembra interminabile, mentre ancora mi stringe in un abbraccio. E’ impercettibile il movimento del suo viso verso di me. Avverto il suo respiro caldo sul mio volto, sempre di più. Ne assaporo il profumo, il calore. Non c’&egrave più nulla intorno a noi. Non sento rumori, né grida. Nemmeno mi infastidiscono gli spintoni della gente frettolosa. Non mi disturba la luce, il caldo o gli odori. Ho già chiuso gli occhi aspettando la sua bocca. Desidero assaporare il suo sapore. Come linfa vitale, come ossigeno. Avverto le sue braccia stringermi ancora di più, risalire lungo la mia schiena fino alla nuca. Sento le sue mani insinuarsi tra i miei capelli e la sua stretta poderosa spingere la testa verso di sé. Schiudo le labbra come un passerotto in attesa del suo pasto. Aspetto. La magia continua. Il tocco delle sue mani su di me ha un effetto prorompente, di piacere immediato. Cresce la voglia dentro di me ed il suo essere meravigliosamente dispettoso non fa che incrementare il mio desiderio. Ormai &egrave il momento. Allungo una mano verso il suo viso, accarezzando la barba folta. La mano corre lungo il collo, scivola tra i capelli tirandolo verso di me. Siamo avvinghiati, lontani dalla stazione, dalla gente. Siamo noi soltanto. La sua lingua morbida disegna con lentezza e precisione geometrica il contorno delle mie labbra carnose. Mi muovo alla ricerca della sua bocca. Cerco di facilitare l’ingresso della sua lingua dentro di me, ma lui si divincola, continuando nella meticolosa ispezione. La lingua lecca ogni millimetro delle labbra e poi, finalmente, comincia a succhiarle. Il labbro superiore e, successivamente, quello inferiore. Cerco di averne un po’ anche per me, ma lui si allontana, per tornare a rituffarsi sulle mie labbra un istante più tardi. Provo un piacere indescrivibile nel lasciarmi succhiare così, lentamente, davanti a tutti, senza pudore, senza vergogna. Tremo tanto &egrave il desiderio di avere finalmente quel bacio tanto atteso. Riapro gli occhi cercando i suoi e, quasi fosse un segnale, torna a farmeli chiudere di nuovo lasciando che la sua lingua scivoli dolcemente dentro di me. E allora sono di nuovo abbandonata. La mia bocca &egrave nella sua, le sue braccia stringono il mio corpo che aderisce al suo. Assapora il gusto del mio respiro, la passione del mio bacio, il desiderio che vorrei soddisfacesse ora, subito. E’ un bacio interminabile, come a volermi ripagare di tanta assenza, di tanti baci scritti, promessi, sognati. Quasi come se ne potessi fare incetta fino alla prossima volta. Ma la prossima volta &egrave un istante più tardi e un istante dopo ancora.
Ci avviamo alla macchina senza smettere di baciarci e così fino a casa.
Ogni pausa, seppur breve, &egrave un’occasione per baciarsi di nuovo. La scala mobile della stazione, prima di entrare in auto e poi dentro ancora, davanti alla sbarra abbassata del parcheggio, ad ogni semaforo rosso (sempre troppo breve per noi) o, ancora, mentre tento, invano, di parcheggiare sotto casa. Ci baciamo davanti al portone, in attesa dell’ascensore e durante la salita fino al quarto piano. Lo bacio mentre cerca le chiavi, mentre tenta faticosamente di inserirle nella toppa. Mi infilo tra le sue braccia e la porta, impedendogli di aprire, ma costringendolo a baciarmi di nuovo. E lui, non si tira mai indietro. Con il suo corpo mi spinge verso la porta chiusa, impedendomi di muovermi, mentre un mano risale lungo la gamba nuda, sotto la gonna, fino alla mia voglia. Divarico le gambe istintivamente, nonostante sappia benissimo dove mi trovo. Ma la voglia ed il sapore di quell’attimo hanno il sopravvento sulla ragione. Sento la sua mano frugarmi dentro e scivolare meravigliosamente nel desiderio che non posso più nascondere. Lo cingo con le braccia, continuando a baciarlo, senza permettergli di respirare. Le sue dita entrano dentro di me senza sosta, forti nodose, spingendo fino in fondo. L’uragano dentro di me esplode all’improvviso, dopo solo pochi secondi. Un fiume di piacere scivola lungo le sue dita, confermando senza alcun dubbio l’intensità del mio piacere.
Allento la presa, lo osservo raddrizzarsi, guardare le sue dita bianche e colme di me. Uno sguardo di intesa, ma non una parola. Le nostre bocche si avvicinano insieme, assaporando e gustando il mio sapore.
Entriamo in casa. Ci avvolge una penombra ed una piacevole frescura.
Lascio che gli occhi si abituino all’oscurità, soffermandomi ad ammirare l’arredamento squisitamente semplice, sobrio e di ottimo gusto. Il nostro nido. Per un pomeriggio. Solo noi, niente e nessun altro. Il vociare allegro di ragazzi nella strada sembra lontano anni luce; persino i raggi del sole filtrano appena dalle imposte socchiuse. Mi avvicino a lui che mi sorride dal centro della sala. Gli occhi negli occhi. Mi osserva, mi accarezza il viso e un semplice ‘finalmente’ &egrave la conferma di ciò che aspettavo. ‘Togliti le scarpe’. Abbasso gli occhi accorgendomi, solo in quell’istante, che lui ha già fatto lo stesso. Libero i piedi dalla costrizione di un paio di elegantissime chanel rosse, dalla punta meravigliosamente pronunciata, rivelando alla sua vista le unghie curate e dipinte. Scorgo un sorriso di compiacimento sul suo volto.
Rimaniamo così, per un tempo che mi &egrave sembrato interminabile, in piedi, al centro della stanza, stringendoci le mani, sfiorandoci il viso, senza smettere mai di guardarci negli occhi.
‘Ti voglio’.ti voglio da morire’ non so chi l’abbia detto, forse entrambi. Forse io mentre ancora la sua bocca cercava la mia. Forse lui mentre le mie mani si insinuavano sotto la camicia, scivolando sulla sua pelle nuda; forse mentre la mia bocca lo lasciava per cercare i capezzoli, per poterli succhiare, gustare. O forse sono stata io mentre nuda davanti a lui ho desiderato di essere sua. O ancora mentre la sua bocca assaggiava ogni centimetro della mia pelle, mentre la sua lingua si tuffava dentro di me riempiendo ogni istante di piacere indescrivibile. Credo di averlo gridato mentre posava le mie gambe sulle sue spalle, mentre cercava il mio sguardo per vederlo sciogliersi davanti alla lingua che beveva ogni stilla di piacere. Sono certa di averlo chiesto, come fosse l’ultimo desiderio del condannato. ‘Prendimi’ forse ho detto, mentre le sue mani varcavano ogni barriera, mentre le dita mi esploravano dolcemente, senza tralasciare nulla, nessuna via del piacere. Devo averlo detto davvero mentre sentivo che entrava dentro di me, aspettando che il fiume in piena gli facilitasse il compito, quasi invitandolo ad entrare anche là, dove istintiva avrebbe dovuto essere la mia resistenza a respingerlo. Ma non lui.
Ho forse ho detto ‘ti voglio’ mentre china su di lui aspettavo di sentirlo entrare dentro di me, accogliendolo dolcemente in bocca, succhiandolo lentamente, mentre la lingua correva lungo il suo desiderio. L’ho avuto per me, l’ho leccato, l’ho succhiato senza freno. Piano, piano, quasi come volessi giocare, fino a che le sue mani hanno premuto sulla mia nuca, spingendo tutto se stesso fino in gola, desiderando solo di entrare dentro di me. L’ho sentito irrigidirsi, invocare il mio nome, premere ancora più forte fino ad esplodere tutto il suo desiderio. E ancora l’ho sentito stringere la mia testa, tenerla ferma su di lui, mentre il suo dolcissimo piacere scivolava lungo la mia gola assetata, mentre non esisteva altro se non lui.
Ho rialzato gli occhi ed ancora sono qui ad osservarlo: seduto sul divano mi scruta socchiudendo i suoi. Sdraiata per terra, su di uno splendido tappeto, lo osservo senza poter fare a meno di sorridergli. Mi accarezza con i piedi nudi, risalendo lungo le gambe, costringendomi ad offrirgli alla vista il mio piccolo bocciolo rosa. Il suo piede ci gioca, si fa largo con dolcezza, solletica il mio piacere e poi si ritrae. Un attimo dopo ricomincia la dolce tortura, mentre già lo desidero di nuovo, mentre la mia bocca brama di averlo ancora, mentre i nostri occhi non smettono mai di cercarsi, di sorridersi, di desiderarsi.
Non scrivere la fine, mi ha chiesto. E non lo farò. Dopo una giornata così, trascorsa velocemente, ma meravigliosamente avvolti da una strana intimità: seduti uno di fronte all’altro abbiamo mangiato, imboccandoci e guardandoci negli occhi, mentre i nostri piedi nudi si accarezzavano sotto il tavolo. Abbiamo giocato, abbiamo riso, abbiamo parlato di noi dimentichi del mondo. Ci siamo desiderati pazzamente e ci siamo presi con dolcezza e passione. Ci siamo baciati senza stancarci mai e siamo scappati via salutandoci per non intristire un sabato da ricordare.
Dopo una giornata così’.non può esserci una fine.

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