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Racconti Erotici Etero

Adelina

By 1 Maggio 2016Dicembre 16th, 2019No Comments

Mi piaceva quel quartiere. Avevo scelto di vivere lì nelle settimane successive, per le sue strade ampie e alberate, per l’odore di gelsomino e per gli artisti di strada ad ogni angolo. Qui conobbi Adelina: gli occhi neri, come il carbone, le labbra un fuoco ardente. Mi fermavo ad ascoltarla a lungo, la osservavo muovere le dita rapide e sicure lungo il corpo della chitarra. Con il suo tocco faceva vibrare le corde, e la cassa, eccitata, emetteva un suono caldo e avvolgente. Erano in molti ad amarla, a chiederle di posare le sue mani sul proprio corpo per farlo tremare, per farlo gemere; e lei rifiutava denaro, fiori, promesse d’amore di ogni genere. Indossava un cappello basco, una camicetta, a volte a fiori, altre semplicemente bianca, che mettevano in risalto la sua pelle ambrata. Nel crescendo di alcune melodie, sempre nella nina de puerta oscura, il suo corpo si scuoteva: le gemme di collane sfarzose danzavano sul suo petto, i seni si mostravano, pieni e rigogliosi. Una sera andammo in spiaggia, bevavamo vino e fumavamo; era la prima volta che non aveva con sé la chitarra e mi si presentava come una creatura ferita, una leonessa privata del suo cucciolo. Ci sdraiammo sulla sabbia, mi disse che diffidava degli uomini, perché troppo rudi, perché insensibili al suo piacere. Desiderava essere carezzata, pizzicata; voleva che le note di un intenso piacere si liberassero dal suo corpo, sollecitato da mani attente e delicate. La brezza marina, la notte di stelle erano tentatrici e mi lasciava carezzarle i capelli folti e neri, dell’odore di ebano. Ci baciammo a lungo, voracemente; avrei voluto che il sapore del mare si mescolasse al suo e al mio respiro, ma non me lo permise. La vidi correre verso la città e più tardi, quando rientrai, cercai il suo profumo tra le orme ancora fresche. Cercai a lungo Adelina nei giorni successivi, ossessionato dal calore dei suoi baci; come un vino mi avevano inebriato e vagavo ubriaco per le vie del quartiere. Ogni mattina percorrevo la via che portava al castello e da lì osservavo gli angoli delle strade: i giorni trascorrevano e di lei non c’era traccia, ma il desiderio di rivederla, di poterla avere non esitava a calmarsi. Una sera, all’osteria, qualcuno diceva che si era imbarcata; Luis parlava di Cadiz, di una madre malata. Entrarono degli ufficiali già avvinazzati e animarono l’ambiente. Ci offrirono da bere e raccontarono di come uno di loro aveva violentato una donna, di come era riuscito a piegare la volontà di lei al proprio piacere. Ridevano ricordando le sue grida, di come si dimenava durante la penetrazione e accompagnavano il racconto con gesti ampi, pacche sulle spalle e sorsi di vino. Anche Luis sembrava eccitato e chiedeva con insistenza particolari dell’atto, che gli ufficiali non risparmiarono. Uno di loro premeva la mano sulla bocca della donna, mentre un altro si masturbava avidamente e ora sembrava che i loro visi imporporati dall’alcool stessero nuovamente godendo di quel piacere perverso. Luis fremeva e quando uno dei soldati gli lanciò una camicetta a fiori macchiata di sperma non esitò ad odorarla.

Quando il giorno successivo mi portarono nella piazza principale per l’esecuzione, mi parve di sentire le dolci note di una chitarra basca.

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