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Racconti Erotici Etero

Aggiornarsi!

By 14 Maggio 2005Dicembre 16th, 2019No Comments

Come abbia fatto a conoscere il mio sito non lo so, ma non &egrave questo che conta. Mi ha scritto che uso un linguaggio falso, che altero l’immediatezza del significato delle parole. ‘Vedi’ ‘mi dice- ‘tu scrivi escremento equino, per dire si tratta di merda di cavallo! La noti la differenza? Se dici merda di cavallo ti sembra vederla fumare, sentirne la puzza. Nel primo caso, invece, devi sforzarti per immaginarla.’ E, prodigo di consigli e di’ indirizzi, prosegue ‘aggiornati, o va a fa’ in culo!’
Aggiornarsi, questa parola l’ho già sentita, e anche il resto.

Ero a Corte di Cadore, lungo la valle del Boite, nel mese di luglio, in uno dei piccoli chalet artisticamente sparsi lungo il pendio del monte, in un villaggio splendidamente disegnato da Gellner, tra il Pelmo e l’Antelao.
Pomeriggio. Tutti decidono di fare un pisolino, io, invece, decido di andare a prendere il caff&egrave a Cortina. Tiro fuori l’auto, e mentre gli altri dormono, scendo lentamente per raggiungere la statale, dove devo voltare a destra.
Proprio all’angolo dell’innesto delle strade c’&egrave una figura giovanile, anzi &egrave proprio giovane, una ragazza, in pantaloncini, top e un pullover messo sul didietro e allacciato sulla pancia. Cosa ci faccia a quell’ora’
Fa segno di fermarmi.
Mi fermo, si avvicina al finestrino che ho aperto.
‘Che, vai a Cortina?’
‘Si.’
‘Me lo dai un passaggio?’
La guardo attentamente. E’ giovane, ripeto, molto carina, e non &egrave certo una professionista che abborda. E poi, in quel luogo, a quell’ora.
Apro le sportello.
‘Prego, salga.’
Entra, si siede, indossa la cintura di sicurezza. Splendide gambe nude, bellissime tettine, nel top.
Mi tende la mano, curatissima, con dita affusolate.
‘Daniela.’
Gliela stringo.
‘Renato.’
‘Ho visto dalla targa che sei di Roma.’
‘Si.’
‘Anche io.’
‘E cosa ci fai qui?’
‘Lascia perdere’ dovevo andare a Venezia con quello stronzo di Remo, il mio ragazzo, ma ci siamo messi subito a litiga’, appena partiti, allora, arrivati qui, gli ho detto di farmi scendere e che lui poteva pure anda’ a fa’ in culo’ e per sempre.’
‘E lui?’
‘S’&egrave fermato, m’ha fatto scendere ed ha proseguito.’
‘E fa la gita da solo?’
‘Veramente c’&egrave un convegno a Venezia, e lui ci deve partecipare, a nome dello studio di papà.’
‘E di cosa s’interessa lo studio di papà?’
‘Papà &egrave architetto, ed anche Remo.’
‘E andavi a Venezia in pantaloncini?’
‘Ho lasciato tutto in macchina. Se tornerà me lo riporterà, altrimenti’ Ma quello torna, dove lo trova un altro scemo come il vecchio che gli insegna il mestiere e lo paga? E lui, intanto, gli scopa la figlia!’
‘Si, ma la figlia”
‘Co’ uno lo deve fa! Tu, piuttosto, stai in una villetta di Corte?’
‘Si.’
‘Mi piacciono, sono belle. L’anno scorso ci siamo stati anche noi. Io andavo sempre a quella bella chiesetta, col tetto di rame. Il pavimento fatto con tronchetti di legno, specie quando suonava l’organo. E poi, quel frate con tutti quei canarini che cinguettavano”
Aveva assunto un aspetto dolce, il suo volto. Indubbiamente era bellissima.
Mi guardò con un’aria indecifrabile. E qualcosa doveva passare in quella testolina, ma che?
‘Dove ti devo accompagnare, a Cortina?’
‘Va all’Hotel’..’
La guardai sorpreso.
Il più esclusivo della zona, carissimo. Poi pensai che se era figlia di un architetto affermato.
‘Scusa, Daniela, tu cosa fai, studi?’
‘Mi devo iscrivere al primo anno di università.’
‘Facoltà?’
Mi guardò sorniona.
‘Indovina un po’? Architettura! Che palle. Padre e madre architetti, adesso anche la prima figlia!’
Eravamo vicini a Cortina.
‘Ti lascio all’Hotel?’
‘Dai, metti la macchina in garage e beviamo qualcosa. Va dietro l’edificio, vi &egrave il garage, ci sono i posti riservati a noi.’
Mi attenni scrupolosamente alle sue indicazioni.
Il garage era protetto da una sbarra.
Guardai Daniela.
‘Non ti preoccupare, non ho il telecomando, ma il guardiano mi conosce, gli faccio cenno, aprirà, poi volta subito a sinistra, posto numero 69, vicino alla porta dell’ascensore.’
Il guardiano si affacciò dal gabbiotto, vide Daniela.
‘Buongiorno signorina Rossi, apro subito.’
Rossi? La figlia del famoso architetto Rossi che io conoscevo? Questo non mi piaceva. Dopo il drink sarei andato subito via, non era proprio il caso di farmi vedere dal padre.
Parcheggiai, scesi, chiusi l’auto, andammo all’ascensore.
Entrammo nella cabina. La pulsantiera recava le indicazioni, ‘hall’, ‘bar’, e poi i numeri dei piani. Daniela, spinse il n.3.
La guardai.
‘Ma non dovevamo bere qualcosa al bar?’
‘Io ho detto ‘beviamo qualcosa’, non ho mai nominato il bar. In camera mia c’&egrave il frigo con tutto quello che vogliamo, dallo champagne alle bottigline di analcolici, all’acqua di soda’. Staremo più comodi. No?’
Mi sembrava perfino infastidita per la mia domanda.
Piano 3, uscì, senza guardarmi, e voltò a destra, fino in fondo al corridoio, ultima porta, a sinistra. Camera 369.
Aprì con la scheda che aveva nella tasca dello striminzito pantaloncino, entrò e lasciò aperta la porta, senza dire nulla.
La seguii, chiusi la porta.
Una camera molto ampia, quelle con un salottino-studio in un angolo.
Letto del tipo ‘francese’ più largo del singolo. Tutto in ordine.
La prima cosa che fece fu togliersi le scarpe ed andare, scalza, nel bagno.
Sentii lo scarico dello sciacquone, e lei rientrò, spinse un pulsante, e si diffuse una musica rock, per fortuna a volume non eccessivo.
Io ero rimasto in piedi, vicino al balcone.
‘Dai, coso’come ti chiami tu’ non stare lì impalato’ guarda nel frigo. Per me un whisky, c’é il ghiaccio, anche i bicchieri, e se vuoi l’acqua tonica o quella di soda”
Intanto, lei s’era sdraiata sul letto, così, vestita com’era, con le mani dietro la nuca.
Ebbi un senso di ribellione interna. Quella tipa stava andando oltre certi limiti della buona creanza. Mi aveva trascinato nella sua camera, mi dava ordini’
No, forse non aveva alcuna intenzione di essere presuntuosa, maleducata. Era il suo modo di vivere. Ero io che stavo fuori della norma. Della loro norma.
Mi sforzai di sorridere, aprii il frigo, presi i bicchieri, due bottigliette di whisky, il ghiaccio. Insomma preparai due ‘on the rock’ e mi avvicinai al suo letto.
Le porsi un bicchiere.
‘Siediti vicino a me. Dammi il whisky.’
Sedetti vicino a lei. Prese il bicchiere lo portò alle labbra, fece un sorso, mi fece cenno di avvicinarmi ancora, allungò significativamente le labbra, per farsi baciare’
Quella era la figlia dell’architetto Rossi’
Comunque la tentazione era fortissima, avvicinai le mie labbra alle sue che cercarono di intrufolarsi per’ travasare dalla sua alla mia bocca il sorso di whisky. Mi guardò sorridendo, trionfante, come una bimba orgogliosa della sua monelleria.
D’un colpo mandò giù il resto del whisky. La imitai. Alzò una mano, mi afferrò per la nuca e riportò il mio volto sul suo, per un lungo passionale e focoso bacio. Con l’altra mano stava facendo qualcosa, il suo corpo si muoveva, agitava, gettai uno sguardo. Dalle gambe stava facendo scendere i pantaloncini insieme alle piccole mutandine e se ne liberava, gettandoli per terra.
Una situazione che mi sembrava perfino grottesca. Io, con una diciottenne conosciuta un’ora prima, nella sua camera d’albergo. Lei senza mutande. La figlia di un mio quasi amico!
Io pensavo questo, ma ‘lui’ era di tutt’altro avviso. Per ‘lui’ era manna insperata giunta a soddisfare la sua inappagabile ‘fame’.
Daniela se ne accertò, e ‘lo strinse’, al disopra della patta.
Intanto ci baciavamo alla disperata.
Allungai la mano giù. Non una siepe riccioluta, ma come uno strano praticello di corti peli, morbidi, che sembravano vivere al contatto con le mie dita. Alzai la testa, guardai. Mi veniva quasi da sorridere. Era quasi completamente depilata, accuratamente, solo ai lati delle grandi labbra due strisce pelose, come una parentesi, così (||)!
Mi guardò con aria canzonatoria.
‘Ti piace?’
‘E’ splendida”
Mi chinai e la baciai, mentre le sue gambe andavano leggermente schiudendosi, la lambii con la lingua, assaporandola’
”ed &egrave anche buona.’
‘Dai, stronzo, spogliati, che aspetti!’
Quando fui accanto al letto sul quale era sdraiata, in piedi, nudo come un verme. Allungò la mano, ‘lo’ strinse tra le sue piccole dita, come a soppesarlo. Fece un segno di assenso con la testa.
‘Niente male, proprio niente male.’
Così col ‘coso’ tra le sue mani carezzanti, mi chinai, le sfilai il top e cominciai a baciarle il seno, a ciucciarle i capezzolini irrequieti.
Lei seguitava la sua carezza.
Il mio temperamento sentimentaloide mi portò ad alzare il viso, a guardarla, e a chiederle.
‘Mi vuoi bene?’
Mi accorsi subito di essere ridicolo, grottesco, caricaturale. Troppo tardi. La sua voce sarcastica, accompagnata da una significativa stretta delle mani intorno al mio fallo, mi riportò alla realtà.
‘E non di’ stronzate’ dai’ scopiamo’ Sali sul letto’ mettiti in ginocchio, col culo sulle gambe bene aperte e tirami a te!’
Tono perentorio. Posizione alquanto inusuale, per me.
Comunque feci come aveva detto.
‘Bravo, capisci subito. Tirami a te e mettilo dentro”
Alzò le gambe aperte e spinse il bacino verso ‘lui’, lo sollevò, mi venne incontro mentre la penetravo con una voluttà infinita perché le pareti della sua calda e umida vagina lo accolsero con deliziose e lunghe contrazioni, come se lo ciucciassero. Abbassò un po’ le gambe, mantenendole spalancate. Più di quello non entrava.
Misi le mani sotto le sue natiche che si muovevano deliziosamente.
Aveva gli occhi chiusi, le nari frementi.
‘Togli una mano, ci penso io’. Tu carezzala’.’
La mano andò a frugarle tra le gambe, nel suo sesso che fremeva, e quando cominciai a titillarle delicatamente il clitoride, le contrazioni che sentì il mio fallo testimoniarono il piacere che andava crescendo in lei. Il grembo sobbalzava, tumultuoso, un gemito roco usciva dalle sue labbra, mentre andava sempre più entusiasticamente mungendomi’
‘Dai’ dai’ che sto’ a veni” porca zozza che scopata’ dai’ ammazzate come ce sai fa’ ecco’. eccoooooooooooooooooo!’
Si spinse, palpitò, lo strizzò avidamente’ cominciò a rilassarsi’ ma solo per un attimo’il mio tepore che dilagò in lei provocò ancora delle voluttuose contrazioni, e lo strizzò fino all’ultima goccia’
Fu allora che la mente fu attraversata da un fulmine”all’ultima goccia’. Nessuna precauzione!
Daniela rimase così, abbastanza a lungo.
‘Adesso, moretto bello, sdraiate, che ti voglio cavalcare, fino a sdirenarti.’
Mi misi supino, e ‘lui’ ci mise poco a tornare in forma, specie dopo quella minaccia che invece, per ‘lui’, era una promessa.
Daniela sedette sul mio pube. Eravamo impiastricciati, tutti e due. Si spostò indietro, lo prese tra due dita e se lo portò all’orificio rorido del suo sesso.
Azzardai una osservazione.
‘L’abbiamo fatto così’ senza precauzioni’.’
‘Perché, hai l’AIDS?’
‘Ma no, che dici, volevo significare che”
‘Sono piena di pillole, e per l’AIDS non ti preoccupà, non ce l’ho neanche io!’
E si impalò lentamente, guardando il soffitto, con i capelli sparsi sulla sua schieda.
E cercò di mantenere la promessa. Cavalcava con perizia e attenzione, con piccoli studiati movimenti. Un ‘batticulo’ che iniziò al passo e poi si trasformò in trotto, sempre più serrato, fino a divenire galoppo sfrenato, travolgente, che si concluse in un orgasmo che ci accomunò voluttuosamente tra gemiti e sospiri che si andarono lentamente calmando, mentre lei, riversa su me, seguitava a muovere avidamente il bacino.
‘Proprio un bel match’ credevo proprio di metterti KO, e invece al tappeto ci sono io; sei meno vecchio di quello che sembri’ complimenti,moré”
Le carezzavo la schiena, le dita s’infilavano tra le sue natiche che non riuscivano a stare ferme.
Baci, carezze, reciproche avide esplorazioni’
Ed ancora un round, per usare il suo linguaggio.
Questa volta le piacque sentirmi alle sue spalle, col fallo sprofondato in lei, e le dita che si alternavano tra clitoride e tette o ‘eseguivano’ in contemporanea. Ci piacque ma morire. Quelle chiappette tonde e sode dove battevo con ritmo incalzante e tra le quali i miei testicoli avevano trovato una carezza lasciva e deliziosa.
Finimmo col fare la doccia insieme.
Lei rimase nuda. Io mi rivestii.
Ancora un abbraccio, un bacio, una vigorosa reciproca ‘tastata’.
Mi accompagnò alla porta. L’aprì.
Mi guardò con certi occhioni che non mi suggerivano certo di lasciarla.
Ancora un bacio.
‘Sei ‘na forza, more’, ma che c’entra chiedere se ti voglio bene! Sei patetico, patetico e stronzo.
Aggiornati!’
Chiuse la porta.
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