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All’estremità dell’universo

By 21 Marzo 2020No Comments

Anthousa portava con sé nel taglio degli occhi la risacca del mare dalla quale era nata, nel sorriso conservava la spuma delle onde che s’infrangevano rumorose sulla spiaggia, nel cuore custodiva i riflussi con il ritmo ininterrotto e inestinguibile del loro salire e del loro ridiscendere, portando via i detriti della vita.

 

Un giorno attraversò il mare senza badare alle maree portando con sé stessa quel profumo, quel sale sempre appiccicato alla pelle baciata da un sole generoso e caldo, illuminata da una luna che fedele le regalava i sussurri della notte. Lei osservava silenziosa e attenta, raccoglieva e aspettava fiduciosa, perché la sua pazienza andava oltre. Ciò che successe in seguito con la terra e con l’oceano confondendo i confini, non è mai appartenuto a nulla che sia sembrato davvero reale. Nel ricordo strappato alla memoria, emergeva infatti la spontaneità d’una cultura libera e svincolata dal pregiudizio, indipendente dalle usanze e slegata dalle convenzioni, è nella percezione rarefatta la sensualità ritrovava in modo istintivo forme e colori.

 

Fu lei, invero, a trovare Archippos nella notte senza luna persa nel tempo del mistero, fu lei a decidere che lo avrebbe seguito nonostante tutto fino alla fine della foresta, fino alla fine della sua vita. E allora si racconta della notte che avanzava silenziosa dell’incontro fra quelle due anime che in una sola volta s’amarono per tutte le volte aggrovigliandosi e fondendosi.

 

Si dice che lei fosse vestita solamente con indumenti di seta bianca come la luna e che portasse un piccolo brillante incastonato nell’ansa dell’ombelico, gioiello dentro il gioiello, pelle ambrata attenta nel raccogliere il rumore del mare, fianchi morbidi appoggiati alla gamba lunga e il muscolo guizzante a ogni passo sempre certo, quasi implacabile. Accanita, incontenibile e impietosa figlia del vento con i capelli a incorniciare un viso reso fiero dallo zigomo alto, con quegli occhi allungati dove le verità annegano nel buio dell’iride. La bocca disegnata da un contorno più scuro, un susseguirsi d’onde e di ritorni tutti accennati, eppure mai fermi, in nessun caso prevedibili né scontati. Nel taglio della bocca la cornice dei denti nel liberare un sorriso avvolgente, grande e pieno, manifestamente aperto, disponibile ed estroverso alle varie possibilità della vita.

 

Lei era così, terribilmente bella, avvenente da guardare, incantevole da sognare, malgrado ciò impossibile d’afferrare e complessa da domare. Come il vento andava e tornava, intercalando velocità e lentezza quasi in modo tormentoso e struggente, finché un giorno arrivò lui alla fine delle maree, sopraggiunse senza parlare sprovvisto di racconti che fanno diventare apprezzabili e rilevanti i naufragi dei velieri pirati. Ebbene sì, era un pirata sopravvissuto alle tempeste, quelle maligne e spietate che pervengono per saldare il debito aperto con il mare, giungono sulla scia d’un cielo che urla imprecando e per tanto si cerchi di sfuggire arriva sempre e riscuote, però lui no, lui aveva vinto una volta, per tutte le volte.

 

Lui l’aveva vista mentre si stagliava più alta d’un tramonto sull’ultimo lembo di sabbia che l’occhio stanco e cerchiato di sole poteva raggiungere nella calura di quel tramonto. I colori sbiadivano e perdevano i confini mescolando i toni, tutto diventava ancora più indefinibile, presentemente più incerto, in tal modo lei si voltò sapendo che la sua solitudine avrebbe trovato la fine. Sapeva, sentiva, percepiva la sua presenza, giacché nulla sarebbe più stato uguale. Appoggiò gli occhi all’orizzonte e sospirando s’adagiò sulla sabbia tiepida, non più morsa dai raggi perpendicolari delle ore più calde. Alle sue spalle le onde cantavano come sirene, i capelli portati dal vento s’appoggiavano alle spalle nude incorniciandola come una dea, attualmente il passo dell’uomo tagliava il vento in tralice, dietro di lui la foresta. Si dice che lei sorrise e lui arrivò per segnare principio e fine di quella donna al confine del mondo:

 

“Ti stavo aspettando”.

 

“Lo so”.

 

La mano di lui incontrò il lembo di pelle accarezzato dai capelli scuri e appoggiò il palmo caldo, lei coprì mano con mano, contatto su contatto.

Si dice che il silenzio regnò a lungo, interrotto unicamente dal canto del vento, del mare e della foresta.

 

In seguito anche il pirata s’accasciò per terra, e appoggiando il capo sul suo ventre s’addormentò, certo di trovarsi nell’unico porto sicuro sentendosi in tal modo protetto e salvaguardato in mezzo al mare.

 

Una sola volta, per tutte le volte.

 

{Idraulico anno 1999} 

 

 

 

 

 

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