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Racconti Erotici Etero

Avamposto d’amore

By 8 Febbraio 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

E’ venerdì sera. Notte d’amore. Sono la sua schiava stanotte. Ha deciso cosi’. E’ il mio padrone d’amore.

E’ il padrone del mio corpo, delle mie ore, dei miei pensieri. Mi sono attaccata alla speranza di poter avere il suo amore come una liana che pende da un albero in mezzo alla foresta. Mi sono attaccata a lui. Ama la sua donna, lo sento da come ne parla, ma ha deciso di tradirla con me. Per me e’ tradimento, per lui solo un modo di confermare il suo potere su di me. Usera’ il mio amore, il mio sottomettermi, per godere. Stanotte cambiero’ nome, identita’, vestiti, non saro’ piu’ Francesca, ma solo la sua schiava. Ha deciso di portarmi a festeggiare il nostro primo incontro, e’ gia’ passato piu’ di un mese da quando abbiamo cominciato a chattare, in un club di scambio. Un gioco, solo un gioco per sfuggire alla noia delle serate trascorse da sola in attesa del rientro di Carlo dal lavoro. Una tastiera, un monitor, un modem, una stanza in cui rinchiudermi, a tarda sera o alle prime luci della mattina. E la solitudine, la noia, la voglia di trasgredire. O forse solo di sentire ancora. Questo e’ stato per me il cercarlo in rete. Il cercare l’amore.

Il suo annuncio diceva .

Non credevo ne sarei rimasta cosi’ colpita. Io cercavo qualcuno con cui parlare che non fossero le amiche con i loro problemi coniugali ed invece mi sono ritrovata schiava nella notte. Lui era diverso. Sentivo addosso la solitudine. Solitudine di un rapporto matrimoniale ormai consolidato, solitudine di non sentire piu’ amore, di non sentirmi piu’ desiderata. Mi sono ritrovata in una grande stanza: la chat dove tante persone parlavano d’amore, d’amicizia, dove si cercava disperatamente se stessi dialogando senza freni inibitori con altri che ricercano a loro volta se stessi. Ho scoperto che potevo sognare amori, creare illusioni , nascere e morire reinventandomi ogni volta facendo finta di essere sempre diversa. Mi sono innamorata del sogno, del vuoto, delle parole. Dell’assenza di un corpo. Per mio marito ero diventata solo un’abitudine che scivolava via insieme alle giornate tutte uguali.

Lui invece era li’. Pronto a colpire il mio corpo, ogni singola cellula con le sue parole. Come un camaleonte mi ha colpito con la sua lingua, schiaffeggiandomi, penetrando nei miei sogni. Ed io ho risposto. Proprio al suo annuncio.

Ho risposto. E non so il perche’. Ho cominciato a vibrare come una corda di violino in attesa che mi rispondesse. L’ha fatto dopo piu’ di tre settimane dal mio primo messaggio. Era il 3 gennaio. Ho marchiata questa data nel cuore. E’ un marchio d’amore. Gli avevo scritto chiedendomi di spiegarmi cosa voleva dire il suo annuncio, perche’ mai cercava una schiava per soddisfare le sue fantasie pur dicendo di amare la sua compagna. Io amavo mio marito, ma stavo anche cercando un qualcosa che risvegliasse il mio desiderio dopo anni di routine. Volevo di nuovo sentire lo sguardo di un uomo scivolarmi addosso, sentire il desiderio di un uomo crescere nei calzoni. E Padrone, con il suo nick stentoreo, con una sola frase mi colpi’. Non rispose mai a quello che volevo sentirmi dire. Le sue risposte erano secche, meccaniche, fredde, erano ordini, richieste, mai parole sentite con il cuore. . Per ore restavo con lo sguardo fisso sullo schermo acceso del computer cercando di carpire qualche informazione dalla sua home page, cercando di vedere nelle sue brevi risposte quello che volevo sentirmi dire. Che sarei stata la sua schiava d’amore. Ma lui era quello che volevo che fosse nei miei sogni, mi ero innamorata non del corpo ma delle parole, dell’assenza, era quello che inconsciamente avevo sempre desiderato, un uomo che guidasse il mio desiderio, che mi facesse sua in ogni modo. Un uomo che mi liberasse dalla coscienza di dover decidere. Credevo che due corpi facessero un amore ma solo dopo ho capito che la differenza tra amare e scopare per un uomo e’ nella mattina. L’uomo che ti scopa non ha voglia del bacio appena sveglio, di guardarsi insieme negli occhi, assonnati, di sentirti vicina. Vuole solo che la donna nel suo letto, con il suo nome qualsiasi, con il suo corpo nudo, con il suo odore, sparisca per poter cambiare le lenzuola e riappropriarsi dei suoi spazi. Io credevo che diventando schiava sarei riuscita ad avere anche il suo amore. Credevo di riuscire ad incatenarlo a me.

gli ho scritto una volta. Aspettavo un cenno del suo cuore. Un battito d’emozione. Ma non potevo avere risposte da lui, non dovevo pretenderle, dovevo solo aspettarlo, desiderarlo, bramarlo. Io avevo bisogno di sentire la mia carne penetrata dalla sua, di sentirmi parte del suo corpo, succhiando la sua saliva, desiderando i suoi pensieri, mentre avevo solo un indirizzo di posta elettronica e un nome. Padrone. Come una foglia mi stava accartocciando il cuore, mi stava strappando dall’albero della normalita’ per sottomettermi ai suoi desideri. Mi sentivo come una radice strappata dalla terra da una mano inesperta e trapiantata a caso in un terreno qualsiasi. Non riuscivo a trovare nutrimento nell’amore per me stessa. Continuavo a fare l’amore con mio marito, due volte alla settimana, ma dentro pensavo gia’ a lui. I movimenti, gli approcci di mio marito ormai li conoscevo a memoria. Cominciava a sfiorarmi i capelli quando aveva voglia di me. Scendeva poi lungo il collo soffermandosi a baciarlo con la lingua, per poi baciare la carotide, e poi il seno. Mi prendeva il seno in una mano, lo solleticava. Cio’ che prima mi piaceva tanto ora mi dava fastidio. Mi dava fastidio il suo desiderio. Non avevo voglia di lui, ma cercavo di immaginare che potesse essere Padrone a toccarmi. Cercavo di concentrare il piacere in ogni angolo del corpo per far credere a mio marito che godevo ancora delle sue carezze. Ma pensavo all’altro. Pensavo a come Padrone avrebbe baciato il mio seno succhiando i capezzoli tra i denti, stringendoli, mordendoli, facendomi sentire prima uno strappo acuto, un dolore fitto e poi un dolce piacere. Padrone non mi avrebbe accarezzato, mi avrebbe preso.

Mio marito continuava il suo lavoro d’amore, mi apriva la vestaglia, mi prendeva per mano e mi conduceva a letto. Perche’ sempre nel letto? Perche’ non farlo, subito, li’, davanti al televisore o sul tavolo apparecchiato, lasciando che i corpi si mischiassero con gli odori dei cibi appena consumati? Mi portava a letto, al buio, come se non avesse piu’ bisogno di vedere il mio corpo. Mi spogliava delicatamente, come si spoglia una bambola, e si metteva sopra di me. Quanto durava il tutto? Sentivo sciogliersi dentro di me lentamente gli umori del piacere, lui credeva che venissimo insieme, ma io pensavo all’altro e non sentivo il peso del suo corpo sul mio, non sentivo le sue spinte, non sentivo il suo odore.

Volevo con tutta me stessa godere con lui, sentire ancora il nostro piacere mischiarsi, ma mio marito mi amava. Non mi scopava. Faceva l’amore con me, ma non mi desiderava piu’ come un tempo. Ed io volevo essere scopata, fottuta, chiavata. Io sentivo, sognavo Padrone. Non mi importava sapere chi fosse Padrone, volevo solo possedere il suo cuore, cosi’ come lui voleva possedere la mia mente, scopare la mia mente rendermi talmente schiava d’amore da non poter dire di no a qualsiasi sua richiesta. E lui gia’ la possedeva la mia mente. Ma io non lo sapevo.

6 gennaio. Lo ritrovo in chat. Mi chiama in privato. Cerca me. Ambrosia. cercavo una risposta. Ottenevo ordini. Non mi risponde. Sta li’, chissa’ dove, a leggere le mie domande, ma non mi risponde. E’ davanti lo schermo del computer, in ufficio forse, mentre i colleghi lavorano o a casa, mentre la compagna cucina.

12 gennaio. Una sua email.. Nessuno mi aveva mai chiesto di descrivere cosa sognavo quando mi masturbavo. La cosa mi infastidi’ ma il pensiero di riuscirlo ad eccitare con le mie fantasie, il pensiero di farlo godere con le parole mi esplose nel cervello. Nessuno mi aveva mai chiesto di essere me stessa.

> gli chiesi –

17 gennaio. Non mi scrive da una settimana. Sa che non riesco a fare altro che pensare a lui. Mi alzo la mattina, mi faccio la doccia, per la prima volta guardo il mio corpo allo specchio, lo sfioro delicatamente, lo massaggio con creme profumate, solo per lui. Gesti quotidiani, banali questa volta li ripeto per lui e mi sento diversa. Lui mi ha chiesto di ripetere questi gesti la mattina. Mi ha chiesto di lavarmi come se Lui mi stesse toccando. Di far l’amore con lui mentalmente. Resto piu’ di un’ora nella doccia, fino a quando l’acqua non si raffredda e il vapore fa mancare l’aria. Entro nella cabina. Comincio a bagnarmi i capelli. Con un gesto della mano li tiro all’indietro e affondo il viso sotto il getto dell’acqua calda. Sento piccole gocce d’acqua penetrarmi nel naso e scivolare sulle labbra e sul collo, per poi colare lungo il corpo. Prendo la spugna, ci passo sopra il doccia schiuma al sandalo, che lui mi ha chiesto di usare, e comincio a massaggiarmi il seno. Lo sento inturgidire nella mia mano. I capezzoli diventano rossi, appuntiti, toccandoli mi fanno male. mi aveva scritto che dovevo fare cosi’. Non mi sono mai sentita cosi’ bella. Sono sola dentro la doccia , ma e’ come se lui fosse con me, come se ne sentissi l’odore, come se la cabina della doccia fosse troppo stretta per noi due. Immagino i contorni dei nostri corpi, bagnati, sudati, vogliosi. Appoggio la schiena al vetro della doccia. Sento girarmi la testa, sento la voglia del mio corpo prendere il sopravvento. Mi desidero. Con la spugna scendo piu’ giu’. Sfioro l’ombelico, poi le cosce e le natiche. Mi ritrovo con una mano in mezzo alle gambe, allargo le cosce, sento il clitoride pulsare. Con una mano allargo la fica e infilo un dito dentro. Prima delicatamente. Sono bagnata. D’acqua e d’umori. Sono bagnata dal desiderio di Padrone.

Ho in mente il sesso. Niente altro. Ho in mente il suo sesso mentre mi penetro con un dito. In profondita’. Fino a sentirmi. Mi gira la testa, mi manca il respiro ma continuo ad afffondare il dito dentro il mio ventre, sento la fica dolermi, mi mordo le labbra per non gridare di piacere, immagino la sua bocca mordermi una spalla. Ho un amante, mi ripeto, ho un amante che vuole scoparmi. E mi sento cosi’ bella e mi sento cosi’ sensuale mentre godo masturbandomi. E’ cosi’ forte il piacere che non mi accorgo che l’acqua e’ diventata fredda. Ho i brividi di freddo e di piacere quando apro la cabina della doccia e vedo il mio corpo riflettersi nello specchio. Non sono mai stata cosi’ bella. Non sono mai stata cosi’ viva.

Dovevo conoscere Padrone. Questo era il mio pensiero fisso. Dovevo provare a me stessa di essere capace ancora di farmi scopare. Non mi bastava piu’ essere semplicemente amata. La mia mente non aspirava ad altro che a conoscere Padrone. Mi toccavo, mi lasciavo toccare, godevo con Carlo perche’ godevo di Padrone.

Il respiro di Carlo, il suo odore, il suo modo di amarmi si confondevano con quello che immaginavo di Padrone. Il sangue, gli umori, la saliva, gli odori, le pulsazioni del cuore tutto mi riportava a Padrone.

22 gennaio. E’ di nuovo sera. Aspetto che mio marito vada a letto. Si e’ accorto che sono sempre piu’ distratta ma pensa sia solo un po’ di stanchezza, un po’ di malumore. Mi collego. Lo cerco. Lancio un messaggio su ICQ.

E’ on line. Ecco la letterina gialla che lampeggia. Sento un fremito al cuore.

27 gennaio. lancio una sera il messaggio su ICQ. Non mi aspetto che sia on line, che mi risponda subito.

.

ma non mi risponde piu’. Segue un attachment con file doc dove mi da’ le indicazioni per raggiungerlo. E’ arrivato il momento.

– Appuntamento: 9 febbraio. Hotel Splendor. Teramo. Stanza numero 13.

– Troverai cio’ che desideri.. Me.

Mi ha portato li’. Ho lasciato che mi trascinasse nel suo desiderio. Ho preso il treno, il venerdi’ pomeriggio, dalla stazione di Ostia ed ho seguito le sue indicazioni. I suoi ordini. Mi avrebbe aspettato all’ Hotel Splendor, a Teramo. In serata. Pronta come mi aveva ordinato.

Stanza numero 13. Tutto era gia’ stato prenotato e pagato. Il portiere dell’albergo mi ha sorriso come se sapesse che ero una delle tante che lui aveva portato li’. Ero andata dal parrucchiere, avevo ravvivato il colore nero dei miei capelli, laccato le unghie di mani e piedi di un rosso accesso e preparato la biancheria intima. Mi aveva ordinato anche come dovevo vestire. Sul letto mi aveva preparato quello che dovevo indossare. Non avevo mai avuto dei regali cosi.’ Non mi ero mai sentita cosi’. Un tubino argentato, lucido come la carta stagnola, appariscente, attillato, niente reggiseno, un perizoma nero, un paio di calze nere, velate, con la riga dietro, una guepiere nera, trasparente, talmente stretta da mozzare il fiato, scarpe nere con un tacco altissimo, argentato, e una piccola cinta a catenella intorno la vita con un anello che pendeva. Quella era stata la cosa che mi aveva fatto acquistare mandandomi a comprarla in un sexy shop a Ostia dove avevo dovuto subire lo sguardo insistente del commesso che mi aiutava a provarla e a stringerla in vita. Lui sapeva a cosa sarebbe servita. Mi sono guardata allo specchio. Non ero piu’ Francesca, ero un qualcosa di diverso. Ero l’immagine riflessa di quello che avrei voluto essere :una femmina in calore.

Sul letto c’era anche una chiave. Era della stanza attigua, comunicante. Lui mi aspettava li’, al buio. Sentivo il mio respiro affannoso rimbombarmi nelle orecchie, sentivo l’odore del mio sudore appiccicarmi i vestiti, cercavo di immaginare come potesse essere fisicamente. Ma forse non importava. Ero li’ per me stessa.

Dovevo solo aprire la porta.
Non avevo piu’ pensieri, solo voglia di scappare, ma il desiderio di poter finalmente sentire il suo odore, baciare la sua pelle, scoprire i suoi occhi era piu’ forte di qualsiasi paura.

Ho cercato a tentoni l’interruttore della luce. Mi sentivo come se fossi cieca. Mi trovavo in una stanza sconosciuta, in una citta’ non mia, in una stanza d’albergo dove tutto odorava di disinfettante e di polvere. Ero cieca. Toccavo i mobili cercando di orientarmi, cercando di seguire la sua voce per raggiungerlo.

Lui era li’. – mi ha sussurrato in un orecchio bloccandomi la mano prima che toccassi l’interruttore. La sua stretta era forte, con due dita riusciva quasi a bloccarmi il polso, nel cervello sentivo pulsare le vene. Il suo profumo mi e’ penetrato nel naso insieme alla sua lingua che mi baciava il collo. Ho avuto paura che le sue mani mi stringessero il collo, stavo per fare l’amore con uno sconosciuto, con il mio amante virtuale, ma dolcemente mi ha sussurrato >. Mi ha fatto avvicinare al davanzale della finestra, ha acceso una luce dietro le mie spalle. Il contorno del mio corpo si e’ riflesso sul vetro della finestra, era il contorno di una femmina in calore. Io.

Mi ha fatto piegare e mi ha sollevato la gonna tastandomi i glutei . Lo ero. Ero bagnata, terrorizzata all’idea di non piacergli. Francesca non esisteva piu’. Io ero Ambrosia e lui Padrone. Due anime che si erano incontrate. Per una notte sola o per sempre dentro i sogni.

Con una mano mi ha fatto aderire completamente al davanzale quando un improvviso dolore ha bloccato il mio respiro, tranciando di netto ogni pensiero. Ha cominciato a colpirmi le natiche con una specie di paletta di legno piatta. Ho cercato di urlare ma con un gesto della mano mi ha rivoltato il viso infilandomi la lingua in bocca, succhiandomi la saliva, i pensieri, il cuore non permettendomi altro che di respirare. Era quello che volevo. Sentirlo.

> La catenella che ho legata in vita titilla, e’ il simbolo del suo potere su di me. Stavo gia’ godendo, volevo gridare, ma il mio corpo si ribellava, sentivo il dolore in ogni piega del corpo, delle scosse che sconquassavano il mio corpo ad ogni colpo, ma contemporaneamente cercavo la sua bocca, desideravo farmi penetrare dal suo odore in ogni singola cellula ed ero bagnata. Non ero mai stata sodomizzata. La paura mi attanagliava rendendomi incapace di muovermi, ma il desiderio di sentirlo dentro di me, di provare un desiderio ancora piu’ forte mi rendeva docile. Lui era la mia liana, ora. Lui era la liana a cui mi ero attaccata per desiderare.

A lui non importava nulla. Non di me almeno. Voleva solo vincere, dominare il corpo e soggiogare la mente. Giocava. Non ero mai stata cosi’ desiderosa di cazzo. Mio marito mi amava, ma non sentiva le mie esigenze. Ero sua moglie, non piu’ la sua donna. Con Padrone invece piu’ sentivo il dolore arrivare al cervello e piu’ una scossa elettrica mi faceva sobbalzare fino dentro il cuore. Era desiderio. Lo volevo. Ero andata li’ per quello. Per il suo modo di farmi desiderare il cazzo. Non conoscevo nulla di lui, al di fuori delle email che ci eravamo scambiati, ma sentivo gia’ di amarlo con tutto il corpo. Stavo vivendo un amore: quello per me stessa e per il mio corpo. Il mio corpo sembrava liquefarsi sotto il desiderio. Sentivo il dolore dei sui colpi sulle natiche ma anche un bruciore in mezzo alle gambe e la voglia di essere presa li’, subito, sul davanzale di quella finestra. Era come se fossi diventata un enorme fica pulsante. Tutto il mio corpo non desiderava altro che lui.

Si mette un dito in bocca, lo bagna di saliva e me lo infila nel culo. Per allargarlo prima di prendermi. Spinge dentro con forza. E’ una sensazione strana. Sento l’umidore della sua saliva dentro di me e allo stesso tempo i muscoli dell’ano stringersi contro il suo dito, e allargarsi per accoglierlo maggiormente. Non so se sia desiderio, non ho mai provato una sensazione simile. Spinge ancora il dito piu’ in profondita’ e mi sembra di raggiungere una consapevolezza nuova del mio corpo. Sono aperta, ora, aperta al suo desiderio. Non mi accorgo quasi quando sfila il dito, sono bagnata anche dietro. Sento un qualcosa cercare di entrare, spinge prepotentemente i miei fianchi per entrare. Mi sta sodomizzando. All’inizio sembra che l’ano si debba lacerare, cerco di stringere i glutei per impedirgli di entrare, di farmi male, ma ecco che scivola dentro di me, sento il sudore colarmi sulla schiena, dei brividi freddi, un crampo allo stomaco, ecco che scivola ancora, urla , sono aperta ora, sento le sue palle sbattermi sulle cosce mentre il suo membro e’ dentro di me, in profondita’, sento le ovaie dolermi, ingrossarsi, sento il suo membro dentro e fuori, pompando calore e piacere. Si stacca all’improvviso, lasciandomi smarrita.

mi ordina. Cerco di rimettermi in piedi, sento i glutei bruciare e i muscoli dell’ano pulsare infiammati.

Sono golosa del suo cazzo. Lo desidero come se volessi mangiarlo. Vorrei sentirlo dentro di me, allargare la fica con le mani, appoggiare il sedere sul davanzale della finestra e dirgli Padrone mi legge nel pensiero

Mi giro e mi trovo davanti il suo desiderio. E’ rosso acceso, con la punta del glande congestionata, dio che voglia di sentire il suo cazzo bollente tra le mie labbra. Mi inginocchio davanti a lui, con una mano mi impedisce di alzare il volto per guardarlo in viso, immagino che i suoi occhi siano neri, penetranti, due piccoli nei luccicanti di desiderio, con le pupille dilatate, ma tanto non ho bisogno di sapere com’e’ fatto, lo amo gia’ semplicemente desiderandolo e comincio a leccargli le palle, le prendo in bocca, come due piccole mele, sono succose, dolci, morbide. Il suo cazzo e’ davanti al mio viso. Risalgo con la lingua lungo l’asta, indugio sopra la vena turgida, pulsa, vibra dentro la mia bocca .

Stavo diventando un’altra persona. Per qualche ora ero chiunque io volessi essere. Ora ero una femmina.

Apro la bocca e cerco di ingoiarlo tutto. Devo fargli sentire che sono come lui mi vuole. Sono la sua schiava d’amore. Come una sciocca mentre succhio il suo cazzo penso al rossetto rosso che sulle mie labbra si sta sbavando, indugio con gli occhi sul suo membro, e’ rosso di desiderio e di rossetto. Anche il suo membro ha un buon sapore. Tutto il suo corpo ha un sapore di sesso. O forse e’ solo il mio desiderio. In quel momento non volevo essere la sua schiava, stava godendo di me, volevo essere io la piu’ forte. Io ero la padrona del gioco, padrona di rallentare o accellerare il suo orgasmo. In quel momento desideravo solo sentire la sua pelle sfiorare la mia, le sue labbra baciare le mie, il suo odore confondersi con il mio.

Ero tutta un pulsare di sensazioni che mi facevano sentire e tremare con una foglia che il vento lacera e trascina. Ero trascinata dall’amore.

Di lui conoscevo solo l’odore. E il desiderio di annullarmi. Il tempo non scandisce i miei pensieri, non so se sono passati minuti od ore da quando ho cominciato a succhiare il suo membro. Sento le labbra intorpidite, ma voglio farlo godere nella mia bocca. E’ come se godesse dentro il mio cuore. Le labbra socchiuse, rosse, tumide, assomigliano ad un cuore, pulsano come un cuore, bramano come un cuore, sentono l’amore e il desiderio con la stessa intensita’ di un cuore. Io ero bocca e cuore. In quel momento. Uniti.

Un rantolo soffocato,

un getto caldo, aspro mi invade la gola, scende tra le mie labbra, mi cola sul seno. E’ venuto dentro di me. Il suo desiderio, parte del suo corpo, ora sono dentro di me.

Ora finalmente posso guardare i suoi occhi, vedere se e’ soddisfatto di me.

Non era come l’avevo immaginato per tutti questi giorni, ma non mi importava. Lui era il mio Padrone. Ed io avevo scopato il suo cazzo.

Alto, spalle tornite, da nuotatore, capelli neri leggermente brizzolati, tirati all’indietro con il gel e due occhi ingenui. Tondi, grandi, neri, dolci, contrastanti con il suo modo di essere.

Non ho il tempo di mettere a fuoco i pensieri, di chiedergli se anch’io gli piaccio, se sono stata come lui mi desiderava.

Pochi minuti di macchina. Non conoscevo la citta’ ma notai che prese tutte strade secondarie, isolate fino a raggiungere la periferia. Stavamo uscendo dalla citta’. Mi sentivo inquieta. Avevo scelto di uscire dalla mia solita vita ma ora non sapevo cosa pensare.

Alla periferia di Teramo, in una stradina buia, in mezzo alla campagna, tra divani e materassi abbandonati, mattoni gettati, water, scatoloni, preservativi usati, ci troviamo di fronte una enorme villa, isolata tra verdi prati ben curati, circondata da un alto muro e da un cancello in legno scuro. Avamposto d’amore, era scritto su una piccola targhetta dorata accanto al videocitofono.

, non ho finito la frase perche’ Padrone era gia’ sceso per aprire la portiera dell’auto, mi ha fatto scendere e con una mano mi ha spinta sul cofano dell’auto per baciarmi.

– ho abbozzato una difesa

Un grande atrio circondato da grate di legno con finti fiori di lilla, rosa, acceso, che scendevano dalle pareti, conduceva alla porta della villa. Sembrava di entrare in una discoteca, ma nell’ingresso c’era un silenzio ovattato, signorile. Due ragazzi ci hanno chiesto se volevamo lasciare i cappotti al guardaroba, mi sentivo cosi’ nuda, vulnerabile, che ho rifiutato chiudendomi ancora di piu’ il cappotto. Ma Padrone con un gesto me l’ha sbottonato rapidamente, infilandomi una mano tra le cosce. Avevo i vestiti incollati al corpo per la paura e la pelle macchiata dal desiderio di Padrone che poche ora prima mi era scivolato addosso. Due ragazze, con un trucco vistoso, capelli biondi, un minivestito nero, e una collana dorata con un pendente a forma di cerchio ci attendevano al bancone. Professionalita’ e cortesia. Due ragazzi ci hanno aperto un’altra porta introducendoci nel locale. Tutto e’ in penombra. Gli occhi fanno difficolta’ ad abituarsi. Afferro la mano di Padrone, stringendola. Ho bisogno di sentirmi rassicurata

Sto per tradire me stessa. Non mi riconosco piu’. Ho paura, ma ho voglia di cazzo. Il pensiero di entrare in un luogo dove l’amore e’ solo desiderio del corpo mi terrorizza ed eccita insieme. Sto per godere del mio corpo nella sfrenata passione del sesso, sto per tradire l’affetto di un rapporto tranquillo. Padrone e’ gia’ stato li’. Forse ci porta le sue amanti. Forse annienta completamente la loro voglia di essere amanti per diventare solo schiave del suo desiderio.

Ora ci sono io. Freddo e ghiaccio. Ho freddo dentro e ghiacciata e’ la bibita che sorseggio. Una vodka alla pesca. La butto giu’ in un sol fiato, sento un calore bruciarmi lo stomaco. Ma mi sento meglio. Sono la sua schiava stanotte. La sua amante per godere. L’atrio della villa si apre con un enorme salone isolato dal resto del locale da finte palme, cespugli in plastica, statue romane, piccoli ruscelletti ponticelli di legno. E’ la riproduzione di un giardino interno. Sono cosi’ bianche le statue di Afrodite, Eros, Venere, Psiche, Hera, da stagliarsi con il loro bianco gessato anche se il salone e’ in penombra. Le pareti sono dipinte con scene mitologiche. Rappresentano tutte scene d’amore. In una c’e’ un satiro che si accoppia con una ninfa. Lui ha gli occhi rivolti all’indietro stravolto dal piacere, lei e’ languidamente appoggiata sull’erba. C’e’ gente intorno a me, voci confuse parlottano, ma non riesco a distinguerli.. la musica di sottofondo e’ molto alta. Tutto e’ confuso, poco illuminato nascosto, silenzioso. Dal salone si aprono una serie di stanze, fredde, una in fila all’altra, tutte uguali, come le stanze d’albergo, letti duri con una coperta rosa scuro, lumetti rosso scuro, simili a quelli delle uscite d’emergenza, coperti da foulard per lasciare che filtri solo una luce opaca e fazzoletti, fazzoletti in ogni stanza. Ordinatamente appoggiati sui comodini. Padrone, tenendomi stretta la mano, senza parlare, mi porta a visitare ogni stanza. Si muove agilmente al buio. Alcune stanze sono vuote. In altre ci sono coppie che parlano o bevono qualcosa.

Attraversiamo un corridoio completamente buio. E’ molto stretto. Mi sembra quasi di dover camminare strisciando lungo le pareti. C’e’ qualcuno appoggiato alle pareti. Sento il suo respiro. Una mano sconosciuta cerca di sfiorarmi. Padrone si ferma e la lascia indugiare sul mio corpo. La mano mi scivola sui vestiti, non mi tasta, scivola solamente via sul mio corpo, non indugia, scivola solo. – e’ la prima frase che Padrone mi rivolge da quando siamo entrati. Me lo sussurra, non lo ordina. Mi lascio trascinare.

La vodka che ho bevuto mi fa sentire euforica, desiderabile, bella, disponibile. Sono la schiava del suo desiderio. Sono Ambrosia, nettare d’amore.

Mi appoggio al muro. Padrone mi solleva leggermente la gonna, mi allarga le gambe infilandoci in mezzo una delle sue. I nostri corpi assumono la forma di una x. Lascio cadere le braccia lungo il corpo, facendo scivolare il desiderio lungo ogni cellula del corpo. E’ buio.

Voglio vivere cio’ che sorge spontaneamente da me: desiderio. Padrone mi fa vibrare. Perche’ e’ tanto difficile amarsi? Perche’ Carlo non si e’ mai accorto di me ? O forse mi ama ma mi tradisce con altre, realizza le sue fantasie con altre come sto facendo io? Padrone e’ davanti a me, mi afferra un seno palpandolo, facendolo scivolare fuori dal vestito. Il tubino e’ elasticizzato, le forme del mio corpo risaltano, esplodono dentro. Chissa’ se anche il mio cuore ha preso una forma? Lo sento pulsare nelle tempie. Niente e’ in ordine dentro di me ne’ la coscienza, ne’ il desiderio. E’ tutto confuso, rivoltato. Mi sento osservata, sento i respiri di altre persone accanto a noi, i loro profumi. E’ tutto un odore mischiato nauseante, di profumi, liquori, creme dopobarba, shampoo, fresh e clean. Insieme. La pulizia del desiderio. Forse nel corridoio ci sono uomini e donne, si annusano l’un l’altro, si sfiorano. Non mi importa sono qui per godere. Padrone mi offre. Una bocca afferra il mio seno e lo succhia delicatamente, ha labbra morbide, socchiudo gli occhi per assaporare il piacere anche se il buio mi impedisce di vedere. Sono labbra femminili, le sento. Sono le labbra che ho sempre immaginato, soffici, premurose, mi succhiano, non mi fanno male, sanno come leccare. Sento, odoro, solo i corpi. Sono in mezzo a loro, il muro mi impedisce di cadere. Una mano forse la stessa che aveva cominciato a sfiorarmi mi allarga le gambe, mi accarezza le cosce, risale verso l’inguine, cerco di spostarmi, sento un profumo femminile penetrarmi le narici, non voglio essere toccata da una donna, non ancora, Padrone mi e’ accanto, non devo temere e mi aiuta a sfilare le mutandine. Sento l’odore del mio corpo. Non posso negare a me stessa il desiderio : sono bagnata, sudata, eccitata. Un dito cerca di insinuarsi dentro di me, mi titilla il clitoride, entra dentro, scivola dentro, non riesco a soffocare un gemito. Sento un qualcosa in mezzo alle gambe, lo desidero. Afferro al buio il membro di qualcuno. E’ bollente, duro, vibra. E’ Padrone, solo lui puo’ prendermi. . Ho le gambe spalancate, l’elastico delle autoreggenti mi stringe le cosce, le segna, le evidenzia. E’ buio, nessuno puo’ vedere nulla, solo sentire . Il suo cazzo mi penetra senza dover allargare la bocca del desiderio, sono completamente arrendevole. Bastano poche spinte e mi sento sciogliere. Vorrei gridare che lo amo, lui lo sa che e’ cosi’, ma non gli importa, una lingua mi penetra in bocca, non e’ la sua, sa di sigaro, la saliva mi impasta la bocca, mentre altre mani mi accarezzano. Due, tre persone, non so, sento mani dappertutto, forse sono solo io che amplifico le sensazioni, il mio corpo brucia, avvampa, arde, ma dentro, dentro di me c’e’ solo Padrone. Un getto caldo, libero, mi riempie quasi subito . Mi tremano le gambe, non mi reggo in piedi.

Ghiaccio, ho bisogno di bere. Ancora.

Attraversiamo il corridoio. Ora mi accorgo della musica, delle persone che chiacchierano, ballano, sorridono, si incontrano, si sfiorano e si perdono. Nel vuoto dei loro corpi e della solitudine.

Ora noto la solitudine. Tanta solitudine. Una solitudine rumorosa quella che si consuma sulla pista della discoteca, una solitudine silenziosa, di corpi che si consuma nelle stanze separate. Solitudine dell’ometto con pancetta cinquantenne, pochi capelli e vestito buono, camicia bianca pulita con alone sotto le ascelle che tradisce il desiderio, che si butta in pista per farsi vedere, che si avvicina alla ragazza del locale che balla per sentirsi ancora un uomo piacente. Lei fa finta di esserne attratta, balla, gli gira intorno, si struscia sul suo corpo, gli sfiora il viso con i capelli profumati, alza una gamba evidenziando i tacchi vertiginosi e l’assenza di mutandine. Lo eccita. Quello e’ il suo mestiere, per poi scomparire e cominciare a ballare con un altro. Gli fa annusare il suo corpo. Solitudine del ragazzo che ha lasciato a casa la fidanzata, la camicia nera, opaca, incollata al petto lascia trasparire il dorso e la catenina con un ciondolo a cuoricino spezzato, la giacca in pelle nera, il capello impomatato, nero, lucido, gli occhi brilli e la voglia di godere. Sa che puo’ piacere. E’ giovane. Sa che il suo cazzo potra’ soddisfare. Il suo corpo vibra. Si muove sicuro nella discoteca, sa ballare, ondeggiare i fianchi, lascia una scia del suo profumo. Le ragazze gli si fanno incontro, lo bramano, lo illudono, sono solo le ragazze del locale. Intrattengono, scaldano i corpi. Si danno solo con il ballo. Solitudine di alcune coppie sposate o forse solo indifferenti l’uno all’altro. Come me e Carlo. Lui non sa del mio desiderio, non sa del mio essere schiava innamorata, del mio essere qui, io forse non so della sua vita segreta. Perche’ e’ cosi’ difficile amarsi?

Il cuore si specchia ogni giorno nel corpo dell’altro senza riconoscersi. Solitudine delle coppie annoiate.

Lei e’ una donna ancora piacente, si muove sicura in mezzo alla pista, muovendo i capelli fluenti giallognoli come una parrucca poco acconciata, con un vestito leopardato, ha caldo, lo tira su, mostra le giarrettiere, il culo prominente, il seno abbondante, lui con la barba lunga incolta, i capelli arruffati, seduto su una panca in fondo alla sala, si tocca il cazzo, annoiato, solo, senza il coraggio di scendere in pista a ballare, di farsi vedere. Non e’ eccitato, e’ solamente solo.

Solitudine dei ragazzi e delle ragazze del locale mascherati per l’inizio del carnevale, le ragazze sono tutte vestite da Jane, Barbie, leonesse, gattine, con tute attillate, trasparenti, i ragazzi sono machi, Zorro, Tarzan, un lavoro vale l’altro, non si guadagna molto ma si puo’ sempre rimediare un extra per un sorriso o per una sfioratina, sono bei ragazzi abbronzati con i corpi scolpiti, il sorriso pulito. Sono i nostri ex compagni di classe, ragazzi normali. Musica da discoteca dello scorso anno, ma nessuno sembra accorgersene. Tutti sono presi solo da se stessi, dal desiderio di sentirsi ancora dentro. Loro sono venuti in gruppo per rimorchiare. Hanno pagato per divertirsi, per sentirsi adulati, per avere donne, per trasgredire senza le loro ragazze della comitiva. Non hanno capito come funziona il gioco. Avvicinano tutte le donne, cercano di rimorchiare con frasi volgari, ridono, sghignazzano, forse hanno bevuto troppo. Cercano di tastare tutte le ragazze, le guardano con gli occhi lucidi, le bramano come una merce, si sentono padroni dei loro corpi. Non hanno capito come funziona il gioco del desiderio. Rumoreggiano, cercano di farsi riconoscere, sono intimiditi dal sesso e lo volgarizzano. Il jeans sdrucito e la camicia bianca, l’orecchino, la collanina con la medaglietta della squadra del cuore che luccica sul petto imberbe. I ragazzi del locale li avvicinano e li calmano. Ma loro vogliono donne. Sara’ per un’altra volta. Escono. Hanno pagato per niente.

La ragazza da sola e’ venuta per vivere. Alta, capelli biondi a caschetto, fasciata con una gonna lunga e una camicia azzurra che mettono in evidenza il suo corpo snello, le gambe magre. Cerca di avvicinarsi a tutti gli uomini. Sorride. I suoi braccialetti tintinnano sui polsi, sembra una piccola farfalla smarrita.

Si piace. Si guarda compiaciuta riflettendosi in tutti gli specchi della pista da ballo. Si muove felinamente intorno ai divanetti, guarda, ammicca, si struscia contro le colonne del finto patio, gira intorno agli uomini. Lei e’ una donna. E loro, i maschi, devono desiderarla. Per un po’ ballano insieme, gli uomini le toccano il seno sodo, le mettono una mano sul sedere. Le sollevano la gonna. Un piccolo rigonfiamento pende tra le gambe. E’ un uomo e donna insieme. Anche lei e’ sola. Pochi uomini la vedono ancora come una donna. E’ un travestito. Ora sento la sua delusione. I nostri sguardi si incrociano, sembra chiedermi conforto, sembra volermi chiedere conferma del suo essere femmina, ma non e’ cosi’. E’ solo un essere a meta’, sola con il suo essere donna dentro un corpo maschile. Si siede in un angolo del locale, su un divanetto nascosto. Al buio. La seguo con lo sguardo, mi sembra di sentire le sue lacrime dentro al cuore. Ora guarda solo il desiderio degli altri sfogarsi in attesa che qualcuno voglia amarla per quello che e’.

Vuole essere donna, solamente una femmina, ma non e’ facile farsi accettare.

Solo ora mi accorgo che tutto sa di vecchio, di finto, di falso. Falso l’amore, false le piante di plastica lucida, falsa la pelle dei divanetti, falso il piacere, falsi i vestiti eccessivi, falsi i gemiti. Si gode per forza per sentirsi vivi, per sentirsi qualcuno.

Solo ora mi accorgo che è quasi l’alba, il locale comincia a svuotarsi, le donne hanno il trucco sfatto e gli occhi cerchiati di stanchezza, gli uomini, con le camicie macchiate di sudore e i calzoni di sperma colato, devono tornare a casa, mentre i proprietari del locale offrono a tutti cornetti e cappuccino per la colazione.

Si torna alla normalità’. E’ stato solo un effimero desiderio d’amore.

Ma io ho goduto. Ho goduto delle mani di Padrone.

Domani saro’ di nuovo Francesca. 30/3/2001

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