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Racconti Erotici Etero

Avventura sotto l’ombrellone

By 3 Settembre 2015Dicembre 16th, 2019No Comments

Voglio raccontarvi un’avventura vissuta poche settimane fa al mare.
Ero in ferie, da solo. Per la prima volta non sapevo dove andare a causa della recentissima separazione da mia moglie. I figli, due, oramai grandi andavano per conto loro, io avevo rifiutato l’offerta di un amico e ero rimasto in città. Avevo voglia di rimanere un po’ solo, riappropriarmi della mia vita, risistemare l’appartamento per una vita ora da single. Eliminare ogni traccia di lei che fosse rimasta.
La seconda domenica d’agosto mi stancai e decisi di andare al mare. Presi l’auto e poco tempo ero in spiaggia. Andai al solito chalet, quello dove andavo con lei, me l’avrebbe ricordata un poco ma lì ero di casa, conoscevo diverse persone abitudinarie del luogo come me con cui ci si ritrovava ogni anno. Certo avrei fatto parlare un poco le lingue pettegole ma me ne fregavo, volevo solo passare una giornata di mare e sole, rilassarmi e godermela.
All’arrivo Mario, il bagnino, mi salutò con la solita cortesia, fece solo un gesto di disappunto quando seppe che ero solo e perché, mi guardò con aria cameratesca ma non disse una parola e mi aprì un ombrellone a pochi metri dalla battigia. Nel raggiungerlo salutai diversi conoscenti senza fermarmi a parlare.
Mi spalmai di crema solare, misi le cuffiette dell’i-pod, presi la gazzetta e mi sdraiai sul lettino per abbronzarmi un poco, estraniato da tutto quel che mi circondava. Finito il giornale mi guardai un po’ intorno, vidi che dagli altri ombrelloni i conoscenti mi salutavano, senza accostarsi e parlando tra loro con fare circospetto. Immaginai che Mario avesse già diffuso la notizia. Scossi le spalle e decisi di fare un bagno, la mezz’ora di sole presa lo rendeva un’idea allettante. Senza fretta mi avviai verso l’acqua immergendomi piano piano. Una volta ambientato presi a nuotare verso il largo con forti bracciate (sono un bravo nuotatore, ho fatto nuoto in gioventù e ancora oggi frequento la piscina) allontanandomi forse duecento metri dalla spiaggia. Mi fermai galleggiando, assaporando il fresco dell’acqua distante dalla riva, poi mi immersi fino a raggiungere il fondo. Una, due, tre volte, anche senza maschera non avevo difficoltà a fare quei pochi metri sott’acqua. Riemergendo l’ultima volta mi sentii chiamare da poco distante e individuai una figura a una trentina di metri da me verso la spiaggia. Pensando fosse in difficoltà mi affrettai a avvicinarmi e scoprii che si trattava di Agata. Agata &egrave la moglie di Carlo, ha 45 anni e viene con la famiglia ogni anno allo stesso chalet. Ci conosciamo da tempo, diverse volte abbiamo chiacchierato, preso qualcosa insieme al bar, pranzato insieme, in quattro, allo chalet. Una di quelle amicizie estive che ti piace ritrovare ogni anno e che dimentichi quando torni a casa.
Agata mi salutò cordialmente, mi si avvicinò e tenendosi a galla iniziò a dirmi di aver saputo e che le dispiaceva che mi fossi separato da Iole. Solita solfa, soliti discorsi sentiti già tante volte. Stavo quasi per chiudere la conversazione, con fastidio, quando Agata lanciò un urletto aggrappandomisi al braccio e accostandomisi.
Disse di avere un crampo al polpaccio e mi chiese aiuto. Le dissi di fare ‘il morto’ e mi occupai del suo polpaccio tirando e massaggiando il muscolo per farlo rilassare. Poco dopo Agata mi disse che le faceva male anche un po’ più in su e mi chiese di continuare il massaggio sulla coscia.
Agata non &egrave brutta, l’ho vista sia in bikini che in costume intero, ha il ventre e i seni segnati da tre gravidanze, i fianchi un po’ larghi, qualche chilo in sovrappeso ma &egrave ancora una bella donna, meglio di tante altre che si vedono in spiaggia. Le massaggiai la coscia come mi chiedeva e mi accorsi che mi stavo eccitando, la sua pelle liscia mi piaceva, i suoi muscoli si tendevano e si tiravano sotto le mie mani che ormai operavano a pochi centimetri dalla stoffa del costume intero che indossava, un paio d’occasioni le sfiorai anche il monte di venere nei movimenti del massaggio resi difficili dalla necessità di tenersi a galla nuotando con le gambe. In breve mi trovai il costume teso da un’erezione. Imbarazzato le chiesi se stesse meglio e smisi di massaggiarla.
Mi ringraziò e m’invitò a bere qualcosa insieme, disse che suo marito era andato a fare un giro nell’interno con un amico e che si sentiva sola. Una piccola onda ci fece avvicinare, facendomi sbattere contro di lei, aderire interamente al suo corpo. Penso arrossii, non poteva non essersi accorta della mia erezione e un sorriso malizioso me lo confermò. Poi si slacciò da me e nuotò verso la riva. Mi affrettai a seguirla e concentrandomi sulle bracciate riuscii a far scemare l’erezione, non sarebbe stato bello uscire dall’acqua col costume teso.
Ci asciugammo e ci recammo al bar dove, sorseggiando una bibita fresca, parlammo per una mezz’oretta. Lei mi confidò che anche col marito le cose non andavano molto bene. Mentre parlava vedevo che Agata si muoveva in un modo sensuale mai visto prima, la sua gamba veniva spesso a contatto con la mia. Pensai volesse abbordarmi ma il tono di voce pareva indicare il contrario. Etichettai come fantasia il mio pensiero e, finita la bibita, le annunciai che sarei andato via. Non avevo voglia di fare pranzo, tornare in spiaggia a dormire non mi attraeva, preferivo tornare a casa e rilassarmi guardando la tv. Salutai Agata e chiesi a Mario di potermi cambiare il costume, come spesso facevo, nello sgabuzzino dello chalet.
Ero appena entrato, stavo per togliermi il costume bagnato quando sentii bussare alla porta. Pensai a Mario e aprii senza pensare. Agata s’infilò velocemente dentro e chiuse la porta dietro di se. Ero stupito, la guardavo senza sapere cosa fare e lei parlò:
– Hai idea di quanto sono bagnata da quando me l’hai fatto sentire addosso? –
E mi si addossò per baciarmi con furia. Inizialmente e istintivamente feci resistenza ma poi cedetti a quelle labbra voraci aprendo le mie e accogliendo la lingua invasiva. Mi stavo eccitando, le misi le mani sul sedere, stringendolo da sopra il costume e la tirai a me, facendole sentire ancora la mia virilità sempre più turgida.
Ci baciammo per un minuto strofinandoci l’uno contro l’altra, poi Agata si staccò da me.
– Lo voglio vedere, non sai quanti anni sono che voglio vederlo –
Si inginocchiò e mi tirò giù il costume. Il mio cazzo balzò fuori davanti al suo viso. Agata pareva estasiata.
– Bello, bello, proprio come me lo immaginavo – e si tuffò con le labbra su di esso mettendoselo in bocca oltre la metà. Iniziò un pompino raffinato in cui si vedeva l’esperienza che aveva. Mi portò all’orlo dell’orgasmo due volte bloccandomelo con un pizzico sulle palle quando ormai credevo di venirle in gola, sembrava percepisse tutte le mie sensazioni, sapeva quando accelerare e quando rallentare il movimento della sua bocca per donarmi il massimo piacere. Mi godetti quel pompino fantastico per diversi minuti e poi Agata mi lasciò libero, alzandosi e spingendomi verso un materassino.
– Ora lo voglio dentro, lo voglio sentire tutto questo bel cazzone che hai –
Ero un oggetto nelle sue mani, non che la cosa mi dispiacesse ma non ero abituato a essere dominato.
Mi fece stendere sul materassino e si accovacciò sopra di me. Con una mano mi impugnò il cazzo, con l’altra si scostò di lato il costume e mi prese dentro tutto, scendendo lentamente fino a sedersi sul mio ventre. Restò un minuto ferma, assaporando la presenza ingombrante in lei e poi prese a salire e scendere.
Vedevo la sua figa aperta, piena di me, le sue labbra estese intorno al mio cazzo quasi a mangiarlo, il suo clitoride molto pronunciato che sporgeva come un minuscolo cazzetto. Lo accarezzai e Agata mugolò agitandosi scompostamente. Era venuta così, dopo pochissimo tempo. Si sedette ancora su di me respirando forte, le mani a stringersi i seni da sopra il costume, a pizzicarsi i capezzoli duri che bucavano la stoffa. Poi riprese a muoversi, lentamente si alzò e riabbassò ogni volta fagocitandomi completamente. Era bollente, la sentivo, e vedevo i suoi umori scorrere sulla mia asta quando era all’apice dalla traiettoria. Mi sentivo quasi violentato, trattato come un bastone rigido da usare a piacimento, ma era una cosa piacevolissima, il rumore umido che producevamo era eccitante quanto la sensazione sul mio cazzo. Agata intensificò i movimenti portando una mano al clitoride, reggendosi con l’altra mano per non perdere l’equilibrio, perfetta amazzone sopra me che mi sentivo un po’ stallone un po’ tappeto. Si toccava con foga, inarcando le reni, scuotendosi tutta. Mi implorò:
– Muoviti, muoviti, ti prego’. Muovitiiiiiii –
L’accontentai. Le mani sulle sue anche per guidare il movimento iniziai a sgroppare, andandole incontro con forza quando scendeva, producendo un rumore osceno e eccitante di carne contro carne. Non ce la facevo più sentivo avvicinarsi l’orgasmo. Agata scese un’ultima volta e si fermo, il mio pene profondamente piantato in lei, muovendo le anche avanti e indietro freneticamente, la mano ancora sul suo clitoride, la bocca che disegnava sentieri di bava sul mio petto, un mugolio continuo che le usciva dalla bocca. M’inarcai sollevandola mentre venivo dentro di lei inondandole la vagina del mio seme, sentendo le sue mucose stringermi in un abbraccio rovente, e venne anche lei scuotendo la testa come impazzita, mordendomi il petto e ululando come una lupa in calore.
Ci calmammo piano, ansanti, ancora incastrati l’uno nell’altra. Agata si alzò, il mio seme che le colava per le cosce insieme ai suoi umori. Ci pulimmo aprendo un pacco di carta igienica trovato su uno scaffale, ci ricomponemmo e uscimmo fuori. Lei andò verso la spiaggia salutandomi con un sussurro all’orecchio:
– Domani parto, ci vediamo l’anno prossimo bel pisellone mio –
Io andai verso la strada per riprendere l’auto. Mario dal bar mi guardava sogghignando, e con lui sogghignava anche suo figlio che lavorava dietro il bancone. Approfittando della confidenza che c’era tra noi Mario mi batt&egrave una mano sulla spalla e disse una sola frase: – troppo rumore -. Me ne andai incerto se vergognarmi o prenderlo per un complimento, ma il pensiero mi abbandonò presto, avevo una strada davanti. Tornavo a casa un po’ meno solo, un po’ meno nervoso, pronto a affrontare quel che la vita mi avrebbe dato.

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