Skip to main content
Racconti Erotici Etero

Carnevale

By 31 Marzo 2016Dicembre 16th, 2019No Comments

Mi chiamo Walter, medico ospedaliero, ho 40 anni e sono sposato da cinque con Edvige, 35 anni.
Non avendo figli abbiamo molto tempo libero (lei &egrave infermiera) e così non ci facciamo scappare le occasioni per divertirci.

Martedì nove febbraio scorso eravamo andati a trovare degli amici in una simpatica cittadina marchigiana per il Carnevale. Lontani da casa e dai pensieri avevamo pensato solo a svagarci godendoci appieno la compagnia di nostri amici da vecchia data e le maschere locali.

La sera ci portarono con loro e altre persone, un gruppo di 15-20, a una festa per la chiusura del Carnevale. L’ambiente era pieno di gente, mascherata e non, diverse centinaia di persone che ballavano e cantavano. Avevo ballato a lungo, musica di tutti i tipi, dal liscio agli anni 80, dai balli di gruppo al latino. Mi era venuta sete. Al nostro tavolo avevamo prosciugato ogni bottiglia e quindi andai al bar a prendere qualcosa di fresco.

Mentre attendevo che la calca diminuisse par avvicinarmi al balcone me la trovai vicina: Colombina.

Così l’avevo soprannominata anche se di Colombina aveva poco o niente: era vestita da damina del settecento, solo che il vestito, di un rosso fuoco come la mascherina che portava sugli occhi, arrivava appena alle ginocchia. L’avevo notata già all’inizio, seduta a un tavolo vicino con un’altra comitiva tutta mascherata. Le lunghe gambe coperte da calze a rete e, se avevo visto bene, giarrettiere, mi avevano colpito. Mi ero fissato a guardarla incontrando i suoi occhi.
A distanza di una decina di metri, nonostante la gente che continuamente passava in mezzo, avevamo instaurato un muto dialogo. L’avevo guardata per bene: ampia scollatura, parrucca incipriata che si era presto tolta rivelando capelli corvini, braccia nude con tatuaggio tribale a destra, bocca carnosa, nasino all’insù, un vezzoso neo finto sulla guancia, tacchi a spillo. Non so proprio perché l’avessi soprannominata Colombina, assomigliava forse più a una prostituta di quelle che i nostri nonni trovavano nelle case chiuse, pur senza essere volgare, ma da quel momento così pensavo a lei.
Mi attraeva e parecchio, non so bene perché; non per le gambe in vista, c’era chi era molto più spogliata o vistosa, forse una questione di feromoni ma mi ero trovato più volte a girarmi e cercarla con gli occhi incontrando ogni volta il suo sguardo.
Trascinato da moglie e amici ero finito in pista e lì mi ero distratto pur cercando spesso di vederla tra la folla che si dimenava, senza successo.

Ora era al mio fianco. Più bassa di me nonostante i tacchi alti, mi guardava sporgendo il mento. Occhi nocciola così profondi che mi sembrava di stare per cascarci dentro, pelle bianca, quasi diafana, labbra tumide su cui mi sarei tuffato. Mi sembrava di sentire come una corrente elettrica passare tra di noi, il tocco del suo gomito sul mio fianco mi fece rizzare i peli’.. e qualcos’altro. Non mi era mai capitata una cosa del genere. La volevo, la volevo più di ogni altra cosa. Stavo sudando, per il caldo e l’emozione. Al mio turno ordinai due bicchieri di vino bianco e ne porsi uno a lei. Non lo so perché lo feci, mi venne così.
Ci scostammo dalla ressa e bevemmo piano, gli occhi incatenati tra di loro, in silenzio: non sapevo proprio cosa dire.
Lei si spostò leggermente e io la seguii fino al muro in cartongesso che separava l’ambiente maggiore dai bagni. Si appoggiò al muro, il bicchiere in mano, guardandomi muta. Io davanti a lei, anch’io muto, dimentico di chi ero e dove ci trovavamo, del fatto che in qualsiasi momento poteva arrivare mia moglie o uno degli amici e trovarmi in una situazione non scabrosa ma certo non innocente.

Le presi un braccio sopra il gomito, volevo sentire la sua pelle, non ero io a agire, era il mio corpo che si svincolava da ogni mio pensiero. Il tocco mi fece trasalire. Sussultò anche lei, pareva avere le mie stesse sensazioni. Vidi le su labbra schiudersi leggermente e questo mi fece scattare dentro qualcosa. Strinsi la mano sul suo braccio e la spinsi verso i bagni.
C’era gente intorno ma non si curava affatto di noi. Tra i bagni delle donne e quelli degli uomini vidi una porta con scritto ‘privato’. Tentai la maniglia e si aprì. Veloce entrai e mi tirai dietro lei. Forse qualcuno se ne accorse perché sentii una risatina femminile ma non me ne curai.
Chiusi la porta dall’interno, a tentoni cercai l’interruttore profondamente conscio del corpo di lei attaccato al mio. La luce rivelò un antibagno che fungeva da ripostiglio, poco in là il bagno, forse del personale. Non me ne fregava niente, sapevo solo che ora potevo abbassarmi e baciare quelle labbra.
Lo feci piano, quasi con timore di aver frainteso le sue intenzioni. Non l’avevo fatto, rispose dolcemente al mio bacio, poi con più passione. La mia bocca si fece vorace, presi brevemente tra le mie il suo labbro superiore succhiandolo poi cedetti alla voglia di sentire la sua lingua che si fece incontro alla mia con analoga passione. Ci baciammo a lungo, esplorando ognuno la bocca dell’altra, scambiandoci saliva, persino piccoli morsi.

A piene mani mi impadronii del suo seno riuscendo a farne uscire uno dalla scollatura su cui mi gettai leccando e succhiando il capezzolo, sentendolo indurirsi sotto la mia lingua.
Allungai la mano in basso, con frustrazione sentii il bordo semirigido della gonna che, non piegandosi a sufficienza, mi impediva di andare dove volevo.
La sua mano sul mio petto mi spinse indietro.
Lo feci con la paura che ci avesse ripensato e invece era solo per sganciare in qualche modo la sua gonna, farla scendere intorno ai suoi piedi come un cerchio che scavalcò veloce. Mi incantai a guardarla. Il corpetto rosso le arrivava sino alle anche ora nude, uno striminzito intimo dello stesso colore le copriva il pube. La riabbracciai e la baciai ancora. La mia mano libera ora da impedimenti raggiunse il pube prominente, scostò le mutandine e cercò la fessura trovandola già umida. Sentirla già eccitata come me mi scatenò: con la bocca ancora invadevo la sua, con una mano carezzavo la sua micina e con l’altra la stringevo da dietro carezzandole il sedere fino quasi a far incontrare le dita. Mi strofinavo il ventre contro il suo fianco come un cane in calore.

– Ti voglio ‘

Le mie parole spontanee stupirono anche me rompendo il silenzio dei lievi mugolii che emettevamo. Si scosse guardandomi fisso e ancora mi spinse indietro:

– fammelo vedere ‘

Febbrilmente mi slacciai la cintura, il bottone, la zip, con foga lei mi aiutò abbassandomi anche i boxer attillati che indossavo e rimasi nudo davanti a lei, quasi ridicolo con i calzoni alle caviglie, i boxer al ginocchio, legami che mi avrebbero fatto cadere al primo passo, e il mio pene eretto, totalmente e prepotentemente eretto, la testa scoperta, parallelo al pavimento. Le sue mani lo afferrarono massaggiandolo con forza, tirandolo verso di sé, strofinandoselo sul ventre, sulle labbra, da sopra la stoffa leggera.

Fece tutto lei, scostando di lato l’intimo, spingendo in avanti il bacino, e io mi sentii sprofondare in una fornace tanto era calda. Una sensazione deliziosa concentrata sul glande. Le presi una gamba alzandola per poterla penetrare meglio, fino in fondo, prima di cominciare la cavalcata. Lei mi strinse a se, le braccia intorno al mio collo, cercando ancora la mia bocca. Feci forza sulla schiena e la sollevai prendendo anche l’altra gamba, spingendole e immobilizzandola contro la parete, scopandola con forza e sentendola mugolarmi di piacere nelle orecchie.
Durò poco, eravamo entrambi eccitati. I movimenti frenetici dei nostri bacini che s’incontravano e si scontravano, il rumore osceno e eccitante di sciacquettio quando la penetravo nella sua vagina inondata, la pelle liscia delle cosce, delle natiche che stringevo, solo la tensione, lo sforzo di reggere entrambi i corpi non mi fece godere prima di lei e la sentii gemere forte, allentare la stretta sul mio collo, abbandonarsi contro la parete come un corpo inanimato, la testa reclinata di lato, immobile, solo il respiro affannoso, il sollevarsi ritmico del seno, rivelava il suo essere viva.

Continuai a scoparla deciso a raggiungere il mio piacere. Era più difficile ora, i muscoli cominciavano a dolermi ma dovevo, volevo arrivare. Lei mise giù le gambe costringendomi a lasciarla per non cadere entrambi, fino a che i suoi piedi toccarono il pavimento. Mi spinse indietro con entrambe le mani, mi fece uscire da lei e rapida si inginocchiò.
Nel cambio non ci rimisi: ancora una volta ebbi la sensazione di entrare in un forno, altrettanto caldo, altrettanto umido, con in più la lingua che sentivo toccarmi dappertutto, mulinare sul glande quando lo tirava fuori, scivolarmi sull’asta quando mi prendeva dentro di sé. Era un pompino magnifico, esperto, sentito. Voleva farmi godere e godeva nel farlo, lo rivelavano i suoi versi, i suoi occhi fissi nei miei dal basso.

In lontananza udii chiamare il mio nome, riconobbi la voce di mia moglie mentre qualcuno provava a aprire la porta, che fortunatamente avevo chiuso da dentro. Non mi preoccupai, ero già oltre questi pensieri, intento solo a mordermi la lingua per non urlare il mio piacere mentre le venivo in bocca, agitandomi come percorso da una corrente elettrica, una mano a uno scaffale per reggermi, l’altra sulla sua testa per non farmi abbandonare. Inutile, non ne aveva alcuna intenzione, non si staccò da me fino a quando non ebbi finito di schizzarle dentro tutto il mio seme. La sua lingua sulla cappella mi donò le ultime stille di piacere prima di rialzarsi e guardarmi sorniona, cercarmi le labbra con le sue che sapevano di me.

Fuori dalla porta non veniva più alcun rumore. Cautamente la aprii, guardai e sgattaiolammo fuori sotto gli sguardi divertiti di due ragazze. Appena nel salone principale ci separammo.
Mentre tornavo al tavolo pensai che nemmeno le avevo tolto la mascherina.

Mi giustificai con mia moglie, un po’ incavolata, adducendo un po’ troppo alcool e la necessità di andare in bagno a rimettere, Il mio pallore, il mio fare da ubriaco la convinsero e sciolsero l’espressione dura del suo volto. Solo io sapevo che ero sì ubriaco, ma ubriaco di Colombina di cui ancora sentivo il profumo, il tepore del suo corpo addosso al mio.
Riprendemmo la festa e io preferii restare al tavolo senza farmi coinvolgere in tutti i balli a cui mi spronarono. Con gli occhi la cercai ancora senza successo e solo alla fine, quando ormai stavamo andando via, la vidi dirigersi al nostro tavolo in compagnia di un’altra dama del settecento che prima non avevo mai notato. Un attimo di paura/ansia/contentezza prima di scoprire che era venuta a salutare il mio amico che ce le presentò come due colleghe, e finalmente la vidi senza maschera, sorridente, ironica e la frase di rito ‘&egrave stato un piacere’ che ci scambiammo alla fine, separandoci, assunse un significato reale e veritiero per entrambi.

Leave a Reply