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Racconti Erotici

Carni attorcigliate

By 4 Aprile 2020Giugno 16th, 2020No Comments

Ci sono certe persone, che fin dall’infanzia e dall’adolescenza, il loro sistema nervoso ha imparato a emozionarsi soltanto con l’adrenalina iniziale e non ha imparato ad incunearsi negli eventi, emozionandosi anche nella cosiddetta normalità. Ciò, in genere, può derivare da due situazioni: nella prima la persona, fin da piccola, è stata abituata ad avere tutto e subito, senz’imparare a desiderare con intensità e ad aspettare almeno un po’, per poi liberare la gioia. Nella seconda, invece, è stata sottoposta a continue stimolazioni come giochi, esperienze e quant’alto, così da sentire come banali i normali stimoli della vita di tutti i giorni. C’è quindi, in entrambi i casi, necessità d’allenare il sistema nervoso per vivere le frustrazioni momentanee e a emozionarsi per una cosa anche dopo l’inizio. 

C’è chi si stufa sempre, in realtà riesce raramente a essere davvero felice, perché così la felicità dura poco. Chi ha imparato a vivere d’adrenalina in maniera facile non riesce a cambiare perché teme, più o meno inconsciamente, che nell’attesa e nell’impegno a superare la noia vi sia un vuoto insostenibile, che si vuole a ogni costo evitare. Ebbene, bisogna sapere che spesso è necessario passare da questo vuoto. Che non è un vuoto privo di senso, bensì un vuoto di passaggio, che prelude a un pieno inaspettato piacere in qualità e in quantità ben superiore a quella iniziale. Così, se per chi già sa attendere la noia può essere l’indizio d’un reale disinteresse, per chi deve ancora imparare a farlo è il segno che, in molti casi, è il momento di resistere e andare a vedere cosa c’è “al di là”. Solo così si può conoscere veramente la realtà e, di conseguenza, fare scelte più adatte alla propria natura. 

Annoiarsi facilmente esprime spesso un tentativo di sfuggire alla cosiddetta paura del vuoto, del resto però, soltanto quando la mente si svuota appaiono le buone idee. Dopo arriva il momento di costruire, di dare una nuova spinta alle giornate, perché pure qua è l’ambiente che gioca un ruolo chiave. Un’altra cosa che può causare la noia è infatti l’ambiente dove viviamo o lavoriamo. Vedere le stesse persone, vivere in una casa che non ci piace o abitare in un paese troppo isolato con scarse opportunità, sono cose che possono rappresentare dei nemici potentissimi per il nostro percorso di crescita personale. L’ambiente svolge un ruolo essenziale nella nostra vita: perché vivere in un posto che ci fa stare bene può notevolmente incrementare la nostra produttività, aumentare i livelli di motivazione e metterci nelle condizioni ideali per scoprire nuove opportunità professionali, di formazione e di relazione. Se così non fosse, bisogna capire se c’è qualcosa che impedisce davvero d’agire, o se esista invece una soluzione per farlo, al netto delle scuse che la mente produrrà per evitare lo stress del cambiamento. 

Urge prendersi il tempo necessario per scegliere, tra l’altro questo è anche un incoraggiamento per vivere leggeri: è bello, vincoli permettendo, potersi spostare all’occorrenza e non legarci a doppio filo a un luogo o quattro mura. La libertà di potersi spostare, quando le esigenze della vita cambiano, ha un valore enorme. Lo stesso discorso vale per il lavoro e il luogo di lavoro. Se si è autonomi o liberi professionisti, si ha sicuramente maggior controllo su questo. Io, ad esempio, sto cercando d’approfondire il tema del minimalismo: ho notato che quando ho ordine, semplicità e poche cose tra cui scegliere sono estremamente più produttiva. 

Per vincere la noia è dunque quello d’incoraggiare il cambiamento, di non respingerlo, e introdurre nuove abitudini gradualmente, anche se all’inizio sembrerà troppo difficile o faticoso. Anche se perentorio e radicale come un trasferimento o un nuovo lavoro, l’investimento fatto sarà senz’altro abbondantemente ripagato. Bisogna dare infatti il giusto tempo alle cose, per essere provate e apprezzate. L’ideale è trovare il giusto connubio tra le cose che piacciono e quelle che fanno stare bene o che sono utili per il futuro. Io mi trovavo fino allo scorso anno nella questione che ho appena sopra menzionato. 

L’aria di quella notte di fine luglio era ancora fresca e, mano a mano che Susanna si lasciava i palazzi alle spalle per arrivare all’arenile, il venticello diventava più incalzante. Come sovente le capitava, si stava emarginando isolandosi dalla materialità del momento e rincorreva meccanicamente la comitiva di ragazzi con i quali avrebbe ultimato di passare la serata. Quella settimana di ferie presso un’amena località turistica distante dalla propria regione in provincia di Trapani, stava diventando per lei come un momento di punto stagnante della sua esistenza, un’occasione per essere una delle tante Susanna che nella ripetitiva e laboriosa quotidianità, erano state lasciate in secondo piano, per associarsi all’adattamento generale, per insabbiare segregando gli aspetti del suo angariato e tormentato carattere che meno le piaceva, o che paventava ritenendo che piacesse meno agli altri. Quando si è troppo se stessi, inevitabilmente si tolgono i filtri e si sfaldano gli schermi tra il proprio essere e il mondo circostante, con ciò si è veramente nudi e disadorni, si è inequivocabilmente essenziali, semplici e sobri, perché senti freddo sul serio, non perché il venticello t’accarezza semplicemente la pelle. 

In quella località della Sicilia però era diventato tutto diverso, lei si sentiva d’appartenere e d’essere incastonata in un mondo ristretto a parte, separato ed estromesso dal suo universo con individui che non sapevano nulla del suo carattere né della sua personalità né del suo umore né del suo tempo trascorso. A spezzarla sgarbatamente dalle sue digressioni intellettive fu Irene, un’estroversa e cordiale ragazza che aveva conosciuto da poco, amabile e divertente, che le aveva infuso rapidamente un certo affidamento e un’indiscussa garanzia. Le aveva fatto notare che i ragazzi del posto erano gradevoli e interessanti, ma un poco guardinghi e diffidenti, dichiarando apertamente e speditamente: 

“Saranno pure avvenenti e appariscenti da vedere, ma quanto a qualità e a modo d’esprimersi, a ragionamenti e a discorsi, lasciano davvero molto a desiderare” – enfatizzò subito Irene, dandole il lieto e malinconico benvenuto. Irene però si sbagliava, stava prendendo una cantonata, poiché era stata troppo frettolosa e sbrigativa nel dispensarle quelle imbeccate, in quanto Susanna le avrebbe scoperte gradualmente giorno dopo giorno. 

Nel tempo in cui questa varietà di pensieri ricomparivano, ammassandosi nel suo intelletto, Susanna si rimproverava criticandosi da sola in cuor suo, attribuendosi dell’insulsa e della lenta a capire frattanto meditando: 

“Per quale ragione se le altre stanno con un ragazzo soltanto perché ne sono attratte e lusingate fisicamente va bene e non le biasimo né le disapprovo per questo motivo, invece, se rimugino d’essere io a compierlo, ho il batticuore e il timore d’essere giudicata, ossia di sentenziare aspramente me stessa?”. 

Probabilmente la conclusiva sezione della domanda era imprecisa, in realtà, quando era sola non aveva nessun tipo d’inibizioni né d’insicurezze, non s’impacciava né arrossiva delle sue fantasie né delle sue azioni, per il fatto che gli orgasmi le sopraggiungevano di volta in volta sempre più corposi e penetranti. Susanna non se ne faceva di certo una colpa, al contrario, era deliziata e si sentiva radiosa d’ avere un autoerotismo talmente appagante e al tempo stesso placante. L’effettivo dilemma, il tangibile dubbio, era mettere in pratica con le persone di cui non aveva fiducia, perché ci voleva del tempo per dare credito e fare assegnamento di qualcuno, in questo modo la sua vita sessuale si era bruscamente e ruvidamente troncata ostruendosi sennonché svariati mesi prima, quando aveva piantato un suo amico atleta di cui non era invaghita, sviluppando continuamente la ricorrente visione, accompagnata in aggiunta a ciò, dall’inquietudine e dall’apprensione di rimanere fortemente delusa, di non gustarsi così tanto l’intimo e acquietante benessere, come quando restava da sola con la sua istintiva, infervorata e soddisfacente immaginazione. 

Nel mentre, quella sera sulla riva, Irene pareva aver già stabilito e sancito come si sarebbe conclusa la serata, perché stava già marcando a uomo Piero, ma soltanto dopo aver fatto accomodare Susanna vicino a Liborio ed averle fatto un cenno d’intesa da dietro le spalle. La situazione non era però delle migliori: Liborio, giovane molto più di lei, slanciato, con una corporatura regolare, iridi scure e magnetiche con una mimica vissuta aveva carisma, l’attraeva eccezionalmente. Per completare il tutto, sia la brezza proveniente dal mare, che il ripensare all’appagamento che riusciva a dispensarsi da sola quand’era difesa e riparata dalle pareti domestiche, facevano innalzare l’emotività e la frenesia oltremisura, giacché adesso Susanna si sentiva bagnata, però Liborio non era di molte parole, tutto questo non facilitava di certo la situazione estraniandola. 

Durante il tempo in cui finiva di degustarsi la sua bevanda, Liborio l’invitò d’andare a collocarsi su d’un lettino a sdraio del lido dove ci sarebbe stato di certo meno frastuono, Susanna s’alzò con un sorriso e lo seguì, distante dagli schiamazzi e staccati dai bagliori delle insegne dei locali aperti. Per la prima volta, Susanna benedisse la sua cervicale e, quando le mani di Piero iniziarono a frizionarle con delicatezza il collo e le spalle, intuì che quella serata sarebbe terminata proprio come Irene aveva presagito e, questa volta, non si sarebbe tirata indietro. Confabulava senza sapere più di che cosa, dopo il dialogo si smorzò e Susanna si girò per baciarlo: l’attimo d’attesa prima che le loro labbra si sfiorassero fu sconfinato e eccessivo. Per un inviato esterno, o per uno spettatore estraneo che avesse assistito, sarebbe potuta apparire la più sentimentale e la più idillica delle scene, tuttavia Susanna sapeva d’essersi ammaliata invasandosi solamente del corpo di quel ragazzo, delle sue mani sulla sua schiena, del suo tocco esitante e irresoluto, ma eccezionalmente aspro, burbero e particolarmente maschio.

Il bacio fu duraturo e abissale, ad ogni respiro le sensazioni s’incuneavano maggiormente a fondo nella pelle, s’introducevano nell’intelletto, s’infilavano nella fica di Susanna. La materia prima pulsante e l’argomento preferito del suo lussuoso e trattenuto desiderio, al presente era fra le sue mani, giacché lo avrebbe avuto per tutta la notte e non lo avrebbe sprecato. Senza smettere di baciarlo, di bramare ingordamente la sua lingua Susanna si rigirò nel suo abbraccio, per ritrovarsi seduta con le gambe intorno alla vita di Piero. Adesso la sua testa era soggiogata, era pervasa solamente dal concetto del cazzo spronato del ragazzo, che premeva contro la stoffa dei jeans. Susanna abbassò una mano per cercarlo, passando prima per l’interno della coscia e dopo digradando con lentezza verso l’inguine, dove scoprì ben presto che la consistenza non ingannava i suoi focosi intenti né i suoi sfrenati desideri: quel cazzo era già tumido e carnoso, allungato nel rivelare il fermento di Piero per quella ragazza che si ritrovava tra le sue braccia, trofeo e predatrice al tempo stesso, con i suoi baci soavi e coinvolti, l’occhiata restia, la sua avvenenza impalpabile e sottile, il suo sorriso procace, inverecondo e avviluppante di ragazza del nord. 

Susanna seguì il profilo del cazzo di Piero con la mano, avrebbe voluto liberarlo da quella prigionia, malgrado ciò sospettava che sguardi importuni potessero sorvegliarli dal locale poco distante. Dopo le mani di Piero si posarono sul seno di Susanna, inizialmente con un accenno burbero sopra la maglietta, dopo con uno più tenue di sotto, a sfiorarle appena i capezzoli, rendendoli formosi e anelanti, il bacio che diventava più incombente e incontrollato, come se volesse imitare la penetrazione, tanto da far piegare all’indietro la testa della ragazza. Susanna, con una mano sul torace di Piero per contenerne la passione e con l’altra intorno al collo per trattenerlo a sé, si sarebbe aspettata di sentire la lingua del ragazzo sul collo, contrariamente le sue dita si stavano introducendo senza tentennamenti nei suoi pantaloni, dritte per tastare i fluidi, per essere inghiottite dalla fica appassionata e smaniosa della ragazza. Susanna fu attraversata da un fremito notevole lungo tutto il corpo, un tremolio infuocato e avvolgente le ottenebrò lestamente il cervello appannandoglielo. 

Al momento Susanna vuole unicamente essere imbottita e inondata da quel ragazzo, adoperarsi e consumarsi dal piacere sotto i suoi colpi. Susanna estrae fuori il cazzo del ragazzo, compie una sola passata della mano intorno a quel cazzo compatto e teso fino a deflagrare, che drizzava superbo verso l’alto dalla chiusura lampo dei jeans bastò, perché Susanna lo sentisse pulsare e in simultanea contrasse finanche il suo ventre. Lei bramava di sentirlo dentro, anelava che i loro fluidi si mescolassero e, quasi sfogliando nella sua mente, Piero le abbassò le mutande, la brandì per i fianchi facendole sollevare la cavità pelvica per penetrarla. Piero sdrucciolò facilmente nella sua deliziosa e morbida fica, perché con una cadenza in aumento di pochi affondi portò ambedue a godere, strillando il loro libidinoso orgasmo, con i corpi attorcigliati che si legavano con prestanza l’uno all’altro, per domare mettendo a tacere quel piacere vicendevole scagliato e strepitato nell’oscurità della notte. 

La passione però ardeva ancora, lo slancio e la cupidigia non si estingueva, questo Susanna e Piero lo sapevano eccome. Appena riprese fiato, la ragazza s’abbassò e le sue polpute labbra ridiedero vita al cazzo del giovane maschio. Susanna avvertì le sue mani sulla nuca che la spingevano perché ospitasse quel membro di carne più a fondo possibile in gola. Attualmente le medesime vampate di godimento che sperimentava lui si impadronivano al momento di lei, soggiogata delle robuste braccia del ragazzo, ma sovrana indiscussa del suo sesso, sul quale faceva scorrere lingua e labbra, succhiando e stringendo con lo stesso subdolo piacere con cui un gatto gioca con un topo. Quando lui le disse di non spezzare quella lussuriosa azione, Susanna s’interruppe, si sollevò e baciando Piero controbatté enunciandogli di scoparla. Lei si rannicchiò sullo sdraio, con le ginocchia nella sabbia e con le gambe spalancate, in un invito unico, inconfondibile e formidabile. 

Piero non tentennò né temporeggiò oltremodo, le lambì la schiena con una piacevolezza che le rese ancora più inaspettata la foga con cui l’abbrancò da dietro. I poderosi affondi del ragazzo, originati dall’esaltazione, spronati dall’incitamento e in ultimo persino dalla sua robustezza corporea, faceva sentire Susanna profanata in tutto il suo corpo e la punta del glande che Piero sfregava sul suo clitoride estraendolo ogni tanto dalla fica, con improvvisi rallentamenti e inedite accelerazioni, le dispensava spicce ma sollecite e penetranti scosse di genuino, puro e salubre piacere, che le annebbiavano la razionalità scompigliandole sia l’intelletto che le viscere. 

Ancora una volta Susanna fu libidinosamente conquistata e piacevolmente sottomessa dall’orgasmo, giacché una fluttuazione irrefrenabile la costrinse ad afferrare con forza lo sdraio piegato accanto all’ombrellone chiuso, per controbilanciare al mancamento delle gambe e per reprimere i dissoluti e sregolati gemiti. In quel congruente cruciale istante lui si sentì sfrenatamente pronunciare: 

“Sì, così Piero, dai fammelo sentire, scopami, mettimelo nel culo, lo voglio. Tu sei il primo, lo desidero” – allargando le chiappe e mostrandogli il suo delizioso e stretto vergine pertugio inviolato. 

Piero fremeva, pativa nello spezzare l’abbandono che si stava appropriando persino di lui, eppure l’incontinente allettamento e la carnale istigazione di quella visione, assieme all’intonazione e alla cadenza supplicante nella voce smaniosa di Susanna, ebbero sennonché la meglio. Piero uscì sconsolatamente dalla fica della ragazza, ne rastrellò parte delle abbondanti secrezioni sulle dita e le adoperò per deflorare l’orifizio anale. La pressatura istintiva dei muscoli era energica, tuttavia bastarono limitati e accorti delicati movimenti, per dischiudere perfino quell’accesso corazzato con il grimaldello del piacere. Piero sfilò le dita facendola sobbalzare e scomparve nel ventre di Susanna, per sborrare abbondantemente per la seconda volta dentro di lei e assieme a lei. 

Tutti e due rimasero in tal modo, svuotati, per un tempo indefinito, a riprendere le forze e ad assaporarsi il felice e delizioso momento dei sensi, la sapidità della rena e lo sciabordio del mare, la fragranza dei loro corpi, la pelle raggrinzita dall’appagamento corporeo e del venticello leggero che spirava nella notte. Ambedue si salutarono, perché un conclusivo e morigerato bacio sigillò il loro incontro e Susanna pensò unicamente, che le restava un ultimo giorno di mare con le valigie da riordinare per il rientro. Susanna si sentiva estenuata, fiacca e svigorita, ma decisamente appagata, chiaramente pulita, certamente svincolata e indiscutibilmente sgombra da futili e infruttuosi pensieri, come quella della noia che tempo addietro l’aveva seriosamente attanagliata, travagliandola e angustiandola di continuo. 

Durante il viaggio di ritorno Susanna guardava fuori dall’oblò dell’aereo divagando nuovamente con i suoi personali pensieri: repentinamente si rese conto che – globalmente – era accaduto, senza che schiudesse mai gli occhi: lei aveva in mente la faccia di Piero solamente perché lo aveva visto nella foto d’una sua amica, dal momento che sarebbero dovute andare tutte e due in vacanza in quel luogo, perché Piero le aveva invitate quand’era ancora studente nell’ultimo anno di scienze e tecnologie alimentari e in economia aziendale, presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore nella sede di Cremona, perché Susanna si era follemente invaghita di lui ammirandolo e lodandolo soltanto nella fotografia. 

Prima di lasciarsi invadere e sommergere dagl’istinti di quella spregiudicata e sfrontata notte, Susanna ne aveva pienamente diviso affanni, distribuito contrazioni muscolari, suddiviso soddisfazioni e malesseri, frazionato limitazioni ed emozioni soltanto con i dettagli del corpo d’un ragazzo, frammenti anomali e difformi d’una raccolta che, messa assieme, donavano alla figura complessiva di quella serata, il simulacro e la pittura nitida come il dipinto d’un ritrattista. 

Susanna era originaria di Cremona, noto capoluogo rinomato per il suo celebre torrone, ma nell’interezza del suo viaggio in Sicilia, aveva insperatamente e meravigliosamente conosciuto a fondo Piero, che le aveva regalato il suo straordinario, gustoso e personale cannolo siciliano, che lei non poté più dimenticare. 

Lei aveva vissuto passionali stupori e inedite incredulità, aveva saggiato viscerali sbalordimenti, aveva collaudato eccezionali e istintive sensazioni, perché il ricordo era uguale a quello affievolito, scialbo e snervato d’un sogno, ma una cosa lo rendeva esemplare e per di più stuzzicante e procace: la reale cognizione che tutto era accaduto veramente, in quanto avrebbe fatto parte di lei per sempre, aggiungendosi alle numerose donne di nome Susanna, che componevano la sua astrusa, intricata, complessa e macchinosa personalità. 

{Idraulico anno 1999} 

 

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