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Cronache vere di una mamma modello – Nel letto del cornuto

By 7 Febbraio 2019Dicembre 16th, 2019No Comments

 

La proposta gliel’aveva fatta già al primo incontro, tra una leccata e l’altra a quel cazzo che le era piaciuto subito. Accucciata sul sedile anteriore dell’auto, il culo contro il finestrino, la saliva che adornava l’asta, lo aveva guardato fisso negli occhi con quella faccia spesso da prendere a sberle incorniciata da occhialini che la facevano tanto assomigliare alla professoressa porca che ti saresti voluto scopare al liceo, e gli aveva detto a bruciapelo: “Voglio che tu venga a dormire una notte a casa mia”. La risposta era arrivata accompagnata da una risata: “Certo, così poi tuo marito, i tuoi figli, o tutti e quattro assieme ci ammazzano entrambi”. Ma Minerva non aveva desistito: “Ho detto che dormirai a casa mia, nel mio letto. Diventerà il nostro letto”. E si era ributtata sul cazzo, facendoselo sprofondare fino in gola.

La notte fu squarciata dai fari di una macchina che aveva imboccato quella strada di campagna che portava a casa sua. Nell’auto di lui protetta dagli sguardi dagli alberi e da una staccionata, Minerva aveva rialzato per un attimo la testa. “Quello è mio figlio che torna a casa”. E poi, alzando ancora un po’ la voce. “Ciao amore, la mamma torna subito, finisco di fare un pompino e poi vengo, non ti preoccupare”. E si era tuffata ancora una volta sul cazzo, accelerando il ritmo. Pochi istanti dopo, per la seconda volta in pochi minuti, lui era venuto ancora.

 

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“Sei proprio sicura?” le chiese per l’ennesima volta. “Sicurissima. Ti aspetto” la risposta che non ammetteva repliche. Era quasi mezzanotte quando lui parcheggiò nel centro del paese, davanti alla scuola dove al mattino dopo Minerva, come una brava mamma, avrebbe accompagnato i figli a scuola. “Chissà quante insospettabili come lei incroci ogni giorni mentre cammini per la strada, fai la coda in un negozio, o incontri in un ufficio. Donne sulla cui fedeltà non avresti sospetti e che invece quando l’occasione si presenta…” pensò lui alzando gli occhi verso la luna quasi piena. Pochi minuti dopo una macchina si fermò accanto alla sua.

Il tragitto fino a casa fu breve. “Aspetta, devo pisciare, visto che non potrò farlo dopo” la fece fermare lungo un campo. Poco dopo parcheggiavano la macchina nel portico davanti a casa. “Fammi controllare che siano tutti a letto” Minerva si raccomandò scivolando fuori dalla macchina. Passarono un paio di minuti poi, facendo slalom tra i due cani tenuti a bada dalla loro padrona, entrò in quella casa che lei gli aveva raccontato tante volte nei suoi racconti e che finalmente diventava reale: la cucina con la stufa, il salotto con quel gran tavolo dove lui aveva promesso che l’avrebbe scopata, le scale che portavano al piano di sopra dove c’erano le camere.

“Sshhh mi raccomando”. Salì con il cuore in gola, la mano in quella di lei che al buio lo guidava. Sul piccolo corridoio del primo piano si aprivano 5 porte, la stanza da letto di Minerva, quelle dei tre figli, il bagno. Come due ladri si intrufolarono nella camera, pochi istanti e i vestiti erano già per terra. “Guarda qui, avevi paura di venire, ma il tuo cazzo è di un’opinione differente” gli sussurrò Minerva con un tono divertito. “Zitta che ti sentono” le spinse la testa, fino a che il cazzo sparì del tutto nella sua bocca.

Era una situazione tanto assurda quanto eccitante, il marito di Minerva via per un paio di giorni e lui al suo posto nel letto matrimoniale, pochi centimetri di muro neppure troppo spesso a dividerli dai figli. Una situazione sufficiente per non avere neppure un’erezione, preda della tensione, o esattamente il contrario. Come infatti succedeva a lui. Le afferrò la testa, sapeva che a lei non piaceva, anima troppo libera anche solo per farsi bloccare nel momento del sesso, ma in quel momento non poteva protestare se non per qualche mugolio ovattato mentre la testa faceva su e giù. Poi la fece stendere nel letto e si gettò con la bocca tra le sue gambe. L’odore della sua figa gli era piaciuto da subito, tenue, delicato, appena appena dolce. Se lui era eccitato, lei era estremamente bagnata, quella notte che tra poche ore avrebbero ricordato come la follia più grande compiuta nella loro vita li aveva resi carichi di desiderio e passione.

“Ti voglio dentro”. Più che un desiderio fu un ordine e lui non si fece pregare. Lentamente risalì con la bocca verso la sua bocca, baciandole l’ombelico, mordendo un capezzolo, leccandole il collo, fino a che le loro lingue non si incrociarono. Pochi istanti e il cazzo trovò la strada verso il suo piacere, una figa calda, bagnata, pulsante di desiderio, che lo accolse quasi risucchiandolo al proprio interno. “Aaah”, a Minerva scappò un gemito, subito coperto dalla bocca di lui che piano iniziò a muoversi dentro di lei. Sentiva la pelle del cazzo che scivolava a ogni movimento, accarezzandola e amplificandone il piacere, quel cazzo non lunghissimo ma grosso che la riempiva tutto. Il letto cigolò sotto qualche colpo più impietoso. “Cazzo, senti che casino” si preoccupò lui, mentre Minerva incurante di tutto continuava a muovere il bacino verso di lui. Non ci volle molto a entrambi per raggiungere il primo orgasmo di quella lunga notte, altri ne seguirono, dandosi piacere in ogni modo possibile, bocca, mani, e poi ancora cazzo a profanare più e più volte quella figa che per quella notte sarebbe stata cosa sua, mentre dalla portafinestra a vetri che dava sul terrazzo – la sua via di fuga nel caso di imprevisti, come nel più scontato dei cliché – la luna giocava con le loro ombre.

Era notte fonda quando si addormentarono uno abbracciato all’altra, la schiena di lei contro il petto di lui, le gambe intrecciate, la sua barba incolta a solleticarle la schiena.

 

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Il risveglio, nel buio di un’alba ancora da venire, fu un leggero sfiorarsi sempre più insistito, le mani di lui ad accarezzarla, le gambe di lei a incrociare le sue, baci appena accennati sempre più vivaci. Lentamente una mano scese tra le gambe di Minerva, un dito ad accarezzarle il clitoride e poi a separarne le labbra e dopo il dito fu il cazzo già duro a iniziare a giocare con la sua figa, accarezzandola con la cappella gonfia, percorrendola lentamente amplificando il suo desiderio. Poi, lentamente, una dolce tortura il cui esito fu solo quello di accendere ancor di più il desiderio di Minerva, iniziò a scoparla. Pianissimo, pochi centimetri alla volta, il suo bacino contro il suo, i corpi a formare un X, il cazzo che entrava appena per poi uscire, nonostante Minerva cercasse ogni volta di accoglierne un po’ di più, andandogli incontro. “Piano, sii paziente” le sussurrò lui proseguendo con quella tortura. La figa era bollente, se ne accorgeva ogni volta che affondava in lei, così come Minerva a ogni colpo si sentiva sempre più piena e in estasi. Andarono avanti così a lungo, silenziosi, accelerando gradualmente il ritmo, lui ad artigliarle le cosce ogni volta che con un colpo di bacino penetrava in lei, i sospiri di Minerva sempre più rapidi e intensi. “Sssshhhh non far rumore” le ordinò, accelerando contemporaneamente il ritmo. In quella posizione la figa stringeva il cazzo come un guanto, a ogni uscita sentiva la pelle coprire il glande, a ogni affondo avvertiva la cappella penetrare un po’ di più. E quando venne sul suo monte di Venere, si divertì a spalmare il suo sperma. “Adesso profumi di buono” la fece ridere.

“Goong goong goong”. Il suono della sveglia annunciò il momento critico della giornata, quello in cui la possibilità di venire scoperti da uno dei figli che fosse per caso entrato in camera avrebbe causato un disastro soprattutto per Minerva. Che però, paradossalmente, dei due era quella più calma, anzi, l’idea di quello che stava succedendo sembrava divertirla parecchio. “Vai giù con i ragazzi” le intimò lui mentre cercava di nascondersi sotto il piumone, provando ad affossarsi nel materasso. Lei, invece, lo guardava e rideva piano. “Ma buongiorno” lo canzonava, per poi alzare la voce e urlare un “Ragazzi, forze che è ora, alzatevi”. Nel frattempo si vestiva con una nonchalance e disinvoltura che il suo ospite segreto trovava quasi irritante. “Vai giù cazzo!” le ordinò ancora una volta. Lei uscì, ma dopo un paio di minuti, mentre lui ascoltava i suoni della casa al risveglio, rieccola apparire alla porta, ancora una risata nel vedere come lui si stava nascondendo. “Guarda che si vede un braccio, abbassa il cazzo che fa tenda” si divertiva un mondo. Una scarica di parolacce la invase. Fu solo quando dopo pochi minuti sentì la porta di casa sbattere che lui si tranquillizzò, mentre dalla finestra osservava la macchina uscire dal cancello e dirigersi verso la scuola.

Respirò a fondo, si alzò, aprì la porta della camera e si diresse verso il bagno. “Cazzo è da un’ora che la trattengo” pensò. Fu allora che sentì un rumore secco provenire dal basso.

 

Quando dopo una decina di minuti rivide la macchina avvicinarsi al cancello, fu sollevato. Dal pianterreno i rumori misteriosi, passi, oggetti che venivano spostati, trascinamenti strani, erano continuati a intervalli irregolari, ma fu solo quando sentì il grido tra l’arrabbiato e il frustrato di Minerva che ricominciò a respirare. “Guarda che casino hai combinato, fuori di qui” l’urlo che proveniva dal basso. Scese lentamente, già vestito, e la prima cosa che vide fu il culo di Minerva, impegnata a raccogliere qualcosa dal pavimento. “Quella dannata di Valchiria, è riuscita ad aprire la porta posteriore e ha fatto un disastro in cucina a caccia di cibo. Guarda qui, mi ha anche distrutto una statuina” si lamentò Minerva quando lo vide. “Cazzo, fossi sceso avrebbe fatto colazione con me – rispose lui -. Già me li immagino i titoli sui giornali: Amante sbranato da un rottweiler mentre lei porta i figli a scuola. Proprio una bella morte. Soprattutto non capivo chi cavolo ci fosse in casa, adesso scusa ma devo scappare in bagno”. E via di corsa mentre Minerva piangeva per le risate.

“Ecco, queste ti rimetteranno in forma” gli disse quando tornò da basso pochi minuti dopo, porgendogli due uova. “Produzione casalinga. No, idiota, non le ho fatte io. Vuoi un caffè?” Mentre lui tornava bambino, il bianco separato dai tuorli ricoperti da una montagna di zucchero e via a sbattere le uova fino a produrre una crema deliziosamente morbida, lei iniziò a preparare il caffè. “Aspetta, ora facciamo pubblicità al caffè Minerva, il più buono che ci sia. Togli la gonna e siediti qui sul bancone”. Lo spettacolo che gli apparve davanti agli occhi gli provocò una immediata erezione. Vestita solo di un corpetto nero di rete, le calze, anche loro a rete, ricamate nella parte superiore e unite al corpetto (“Si chiama bodystocking” gli sorrise maliziosa), Minerva allargò le gambe, mostrandogli quella figa dalle labbra carnose e pronunciate che lui adorava succhiare. Quindi prese una tazzina e la sistemò sul ripiano tra le gambe. “Credi che potrei avere molti clienti?” gli disse, mentre lui le scattava qualche foto. Intimandole di restare ferma in quella posizione, cominciò poi ad accarezzarla, giocando con il clitoride, infilando prima un dito, poi due nella figa, mentre il respiro di Minerva cambiava di intensità. “Mi è sempre piaciuto il tuo gusto”, la guardò negli occhi portandosi alla bocca le dita.

Spostò la tazzina, la sollevò fino al bordo del bancone, si inchinò e cominciò a leccarla a fondo, strappandole gemiti sempre più forti. Nell’alternanza di colpi di lingua sul clitoride, labbra succhiate e aspirate in bocca, baci famelici sulle cosce, piccoli morsi al bottoncino magico, penetrazioni con la lingua nella figa sempre più calda e bagnata, non ci volle molto perché Minerva raggiungesse l’orgasmo, le gambe a scattare impazzite fino a imprigionargli la testa. “Cazzo, tremo tutta, guarda. Non mi è mai successo…” quasi bisbigliò mentre con le mani si aggrappava al piano, i capelli a nasconderle parzialmente la faccia.

“Adesso tocca a te restituirmi il favore, mentre mi godo la colazione” gli disse quando si fu ripresa. Mentre versava un po’ di caffè nella tazza con gli ovetti sbattuti (“Hmmm quanta energia per ricaricare i miei, di ovetti”) la fece inginocchiare. “Fammi vedere come sei brava a succhiarmi il cazzo”. E mentre con il cucchiaino, lentamente, si portava alla bocca quel nettare dolcissimo, Minerva cominciò a imboccare quel bastone ormai diventato durissimo. “Sei davvero brava, si vede che adori fare pompini, un peccato che tuo marito non sia qui adesso a vedere quella troia della sua mogliettina affamata di cazzo”. La risposta di Minerva fu un’accelerazione del movimento, il cazzo a occuparle tutta la bocca e a cercare a ogni affondo di farsi sempre più strada verso la gola. Le prese la testa e iniziò a scoparle più violentemente la bocca, lei provò a ribellarsi, odiava farsi tenere così e lui lo sapeva bene, ma lui non mollò la presa. “Buonaaa, una cagna deve imparare a obbedire” le disse divertito.

Andò avanti ancora così per un minuto, a un ritmo crescente, poi all’improvviso estrasse il cazzo, strappandole una sorta di singhiozzo, rivoli di saliva a unire la sua bocca alla cappella lucida e bagnata. La fece alzare in piedi e mentre lei era ancora barcollante piegò un attimo le ginocchia, avvicinò la cappella alla sua figa e in un colpo solo la infilzò. “Aaarghhhh” fu il solo suono che scappò di bocca a Minerva, mentre lui iniziava a scoparla con una intensità feroce. Le mani ad artigliare le sue spalle, la mogliettina per tutti irreprensibile sembrava una marionetta priva di capacità di controllo, la testa appoggiata pesantemente contro la spalla sinistra, la bocca a cercare la bocca di lui. Venne ancora, per la seconda volta in pochi minuti, e questa volta le gambe le cedettero davvero, facendola tornare carponi davanti a quel cazzo lucido che ormai era pronto a sua volta a esplodere. Aprì la bocca e lo ingoiò famelica, la testa bloccata contro un’anta del piano della cucina, il bacino di lui che incominciò un forsennato avanti e indietro, fino al punto di non ritorno. “Vengooo, cazzo”, fu il gemito strozzato che gli scappò, mentre la bocca veniva riempita di calda sborra. “Mi sa che potrei farmi un altro paio di ovetti” si mise a ridere, il cazzo che lentamente usciva dalla bocca di Minerva.

 

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