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Racconti Erotici Etero

DIANA

By 15 Febbraio 2019Dicembre 16th, 2019No Comments

La conobbi veramente ad un congresso.
Lavoravamo nella stessa azienda ma in reparti diversi, ci eravamo scambiati fino ad allora solo qualche battuta superficiale.
Parlammo tanto, durante quei due giorni. Non accadde nulla, se non che nacque una profonda e intensa attrazione.

La settimana dopo la invitai a cena. Facemmo l’amore la sera stessa, a casa mia.
Due giorni dopo non rientrammo in ufficio dopo pranzo. Tornammo di nuovo da me, ci amammo fino a sera, allo sfinimento.

Diventammo amanti.

Diana era sposata e aveva un figlio adolescente. Suo marito si chiamava Luca, era impiegato in un grosso studio di ingegneri civili. Eppure lei scopava con me. E scopavamo tanto, tantissimo, ogni volta che potevamo. Mi venne anche il sospetto che lui sapesse, poi capii che non era così. Era solo molto distratto, e lei molto troia.

Le piaceva fare l’amore a casa mia, in salotto, sulla grande poltrona di pelle nera. Mi faceva sedere e mi prendeva dentro, poi mi cavalcava. Io le succhiavo i grossi seni, mentre lei mugolava e mi diceva che così lo sentiva tutto.

Lo facevamo senza preservativo e io le venivo dentro tutte le volte che mi andava. Me lo chiedeva lei, leccandomi un orecchio.
“Vieni, vienimi dentro…” gemeva ed io ne approfittavo, fregandomene di tutto. Ricordo un giorno, la guardai andare in bagno dopo l’amplesso e notai il mio sperma colarle lungo l’interno coscia. Ne avevo eiaculato tantissimo. Mi dissi che ero pazzo, che sarebbe rimasta incinta. Non successe, per fortuna.

Scopavamo anche a casa sua, nel loro letto matrimoniale. Mi piaceva prenderla nel lato del letto di lui, l’idea di lasciare lì il mio odore, il mio sudore, il mio sperma mi eccitava da impazzire. Era come marchiare il territorio. Lei lo sapeva e mi lasciava fare, mi incitava anzi, a volte lo insultava.
E poi si faceva prendere dietro. Voleva solo lì, perché con lui non l’aveva mai fatto. Era stretta, bellissima, voleva che spingessi duro. La sfondavo. Lei poi mi guardava e ridendo mi diceva che non avrebbe camminato per una settimana.

Una volta lo facemmo con suo figlio in casa. Ero passato a trovarla, dovevamo essere soli, suo figlio tornò per un contrattempo. Per fortuna eravamo in cucina a prendere un innocente caffè. Mi presentò come un collega, il ragazzo mancò ascoltò, si chiuse in camera a giocare al computer.
“Scusalo.” disse Diana.
“Tranquilla, io alla sua età ero peggio.” la rassicurai, sollevandole la gonna.
“No, che fai…” gemette.
“Ti scopo.” risposi.
Lei mugolò, poi si abbandonò.
La presi da dietro, lentamente, senza far rumore. Era caldissima. Venni abbondantemente, succhiandole il collo.

Il seno era la parte del suo corpo che più mi ossessionava. Era un richiamo fisico, ancestrale, insopprimibile. Ricordo una mattina, mi svegliai con una voglia insopportabile di baciarglieli, leccarglieli, succhiarglieli. Restai con quel desiderio che mi bruciava dentro tutto il giorno, potei vederla solo a sera tarda, e per fortuna avevamo per noi tutta la notte.
La spinsi contro la porta, la salutai appena, le strattonai la camicetta fino a far saltare i bottoni e le strappai il reggiseno di dosso. Leccai, succhiai, morsi. La portai nel loro letto, mi avvinghiai a lei. Mentre la possedevo, non riuscivo a staccarmi. Le lasciai i segni.
“Scusa, stavo impazzendo.”
“Mi piace quando non ti controlli.”

Partì in vacanza col marito che aveva le mestruazioni. Il pomeriggio prima me lo succhiò in ufficio due volte, quasi a scusarsi. Mi piacque. Le venni in bocca e poi sul seno.

Tornò incinta. Mi disse che lo avevano fatto solo due volte. Decisi di crederle. Ripensai a tutte le volte che le ero venuto dentro.
Mi volle e io la presi, duro, perché desideravo che quel figlio fosse mio.

Ci vedemmo ancora, ma erano le ultime. Scoparla col ventre che cresceva lento mi eccitava ancora di più, ma lei non era più la stessa. La gravidanza li aveva riavvicinati.
La nostra storia si spense e fu giusto così, non potevamo farla diventare patetica. Dovevamo proteggerla, in un certo senso.
Avvenne quasi di comune accordo.
In realtà penso che fui io a soffrirne di più.

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