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Racconti Erotici EteroTradimento

Dovrei essere altrove

By 18 Aprile 2020Giugno 15th, 2020No Comments

“Potresti gentilmente informarmi che cosa significano quegli sfregi paonazzi sul dorso?”. 

“Sfregi? Quali sfregi intendi?” – chiesi io, fingendomi in quella circostanza distaccata e suppergiù indifferente. 

“Sono righe, anzi tagli, sono dei solchi rossicci. Me ne vuoi parlare?”. 

“Forse mi sono lacerata con le unghie, non riesco proprio a capire”. 

“Sai, a dire il vero non è la prima volta che li vedo. Sono sempre stato zitto, adesso però auspicherei da parte tua una risposta”. 

“Te l’ho detto, devo essermi di certo raschiata grattandomi a fondo. Adesso basta con le domande, dai su dormiamo”. 

Sì, certo, come se assopirmi e alla fine dormire fosse attuabile e per di più serenamente possibile per me, in quanto tutte le degne e sante notti il mio organismo m’accusa, si lamenta, protesta in silenzio, si ribella nel caos e mi sgrida nel mutismo insorgendo alla dimenticanza, all’immobilità e al silenzio, aspettando e desiderando soltanto di poter essere accarezzato ancora con ardore, con slancio e con viva passione. Sotto quelle pesanti coperte l’unico suono ascoltabile è il fruscio delle mie gambe, per il fatto che non ho successo nel tenerle chiuse né ferme, perché il ricordo di numerose altre notti e di precedenti suoni mi tiene sveglia di continuo perseguitandomi e tormentandomi. Vedete, ci risiamo, puntualmente un’altra notte insonne, io dovrei trovarmi altrove, forse dentro un altro letto, di certo insieme a un altro individuo. Non è per niente facile sapete lasciarsi acchiappare e catturare il cuore quando nella tua vita c’è già un uomo, però quando questo avviene la tua vita si sbriciola e va in frantumi. Il desiderio s’impossessa delle tue esitazioni e delle tue titubanze, facendo affiorare e innalzando d’improvviso quell’imperiosa, quella sdegnata e quell’indisponente volontà d’iniziare di nuovo, di ripigliare, di provare nuovamente quel dolce inganno e quel raggiro che si chiama amore, di nutrirsi e di vivere quella vita che hai accantonato fingendo e mentendo che potevi accontentarti e soddisfarti. 

Sì, è vero, lo ammetto, un amore può finire, un rapporto può dilungarsi e perfino trascinarsi senza dedizione né entusiasmo anche per sempre, purché non si risvegli la carne, l’emozione e la passione addormentata, perché allora tutto diventa come un vortice che t’avvolge impacchettandoti, un ciclone che t’aggomitola spingendoti oltre verso l’inosservanza, il peccato, la ribellione e la trasgressione. Se tu hai consentito e permesso a qualcuno di toccarti, provando brividi che non ricordavi più, allora vuol dire che sei disposta e pronta a concederti nuovamente perché lo tolleri, visto che in realtà io ho avvertito limpidamente questi brividi e alla fine mi sono perduta. 

L’altro individuo si è introdotto nella mia vita con l’abuso, la brutalità e con la forza di chi sa che cosa vuole e come ottenerlo, aggiudicandosi e vincendo in ultimo facilmente la resistenza cagionevole, fragile e suscettibile delle mie barriere mentali e psicologiche, non certamente fisiche. I suoi occhi si sono posati sui miei in un giorno di pioggia mentre m’offriva un passaggio sotto il parapioggia fino al parcheggio delle autovetture, in seguito mi sono accostata accanto a lui per proteggermi dall’acquazzone stringendo le dita sul suo avambraccio muscoloso che si è immediatamente contratto, e alzando gli occhi ho colto un lampo nel suo sguardo. 

E’ stato un attimo, forse meno d’un secondo, in quanto io ho energicamente auspicato che quell’uomo sconosciuto m’afferrasse per i fianchi approfittandone, mi sollevasse la gonna e mi possedesse lì abbrancandomi in mezzo alla strada. Lo avrei fatto a occhi chiusi santo cielo, però ho continuato a camminare velocemente per raggiungere l’automobile cercando di rifugiarmi al sicuro lontano dal pericolo. Il suo profumo si è intensificato a causa degli abiti bagnati e si è mescolato con il mio, quell’odore m’ha seguito fin dentro l’abitacolo conquistandomi, durante il tempo in cui lui rimaneva lì vicino alla mia automobile così come farebbe un cane in attesa d’un osso. 

“La ringrazio assai per la sua cortese e garbata premura”. Avrei desiderato affettarmi la lingua per quella definizione, per il fatto che stavo concedendogli di dissolversi e di scomparire di colpo dalla mia vita. 

“Senta, io sono a piedi. Potrebbe accompagnarmi fino alla stazione dei tassì?”. 

Io avrei potuto dire e sostenere che avevo fretta, avrei potuto esternare e formulare tante cose, invece l’ho invitato a entrare nella macchina benedicendo ed essendo grata alla pioggia. Protetti dalla pioggia seguirono frettolose le presentazioni, lui aveva gli abiti inzuppati e i capelli che gli gocciolavano sulla fronte, però anche il mio aspetto non era di certo dei migliori. 

“Sto morendo di freddo. E’ possibile aumentare la temperatura dell’aria calda?”. Ci comportavamo come è giusto e si presuppone che agiscano due estranei, dato che si scambiano delle buone maniere e delle gentilezze reciproche. 

“Per fortuna lei portava con se il parapioggia” – ribattei io, tuttavia senza troppo convincimento. 

“Già, il parapioggia. Pensi una cosa, stamattina non volevo nemmeno prenderlo, io li detesto i parapioggia, li lascio sempre in giro, li perdo di frequente, talvolta sono ingombranti e spesso pure inutili, però non questa volta. Con quest’acquazzone però è stato un dono divino averlo portato, non perché mi sono riparato dall’acqua, ma perché ho incontrato lei”. 

Lui lo disse così liberamente senz’esitazione e senz’alcuna incertezza, io sono arrossita, ho aumentato la velocità del tergicristallo, visto che sembrava impazzito come il mio cuore, lo avrei voluto afferrare lì, baciarlo, lasciare che s’insinuasse placidamente con le mani sotto i miei vestiti: 

“Le piacerebbe sorseggiare una bevanda in mia compagnia?” – mi chiese lui in modo fulmineo e impensabile. 

“Sono amareggiata e desolata, sfortunatamente è tardi e il posteggio dei tassì è proprio qui dietro”. Che deficiente e che scimunita, dato che appena girato l’angolo ci ritroviamo davanti l’area di servizio dei tassì, però malauguratamente è deserta, disabitata. 

“In questa serata sono responsabilmente assistito e ampiamente sostenuto dalla fortuna. Su, venga con me al bar, poi appena arriva un tassì lo fermiamo e vado via”. 

Non si può dire né manifestare di no per due volte, così accetto gradendo di scendere dalla macchina, trovandomi sennonché nuovamente accanto al corpo di quell’uomo. Lui m’attrae a sé all’improvviso prendendomi con il braccio intorno alla vita. Quel lieve contatto mi regala un fremito ardente, la brama di palpeggiarlo attendendo un indizio d’accettazione e di consenso della smania altrui è assai potente. In seguito segue il suo abbraccio meno incerto e più risoluto, io m’abbandono contro di lui, l’altro non esiste più, forse non è mai esistito, eppure l’intima mia essenza sì, rallegrata, ravvivata e risvegliata al presente da quell’inatteso e insperato contatto fisico. 

Io desidero bloccare il tempo, smettere di correre sotto la pioggia, abbandonare i vestiti e gettarmi addosso quell’uomo, inebriarmi del suo odore, mangiare la sua carne. Un attimo, un impulso così forte da devastare e sfregiare completamente tutta la mia intera esistenza m’assale bruscamente. Che cosa ci faccio io qui, perché non sono a casa? Mi stringo a lui ancora di più e alzando lo sguardo incontro i suoi occhi, in quell’istante leggo il mio stesso desiderio e non riesco ad aspettare altro. Le lingue nelle reciproche bocche s’abbeverano delle salive, lecco i suoi denti, succhio le sue labbra, mentre caldo scende tra le gambe un filo delle mie intime secrezioni. Adesso lui sentirà di certo l’odore del mio sesso, comprenderà la mia fretta d’essere posseduta, non mi lascerà andare via, così stretti uno all’altro ci siamo rincorsi fino alla mia macchina: 

“Gradiresti venire a casa mia?” –  m’ha invocato lui proseguendo a sbaciucchiarmi. 

“E’ lontana?”. 

“Ci vorranno appena dieci minuti”. 

Tutto qui. Io guidavo aprendomi a lui, lasciando che le sue dita entrassero e uscissero da me, perché anch’io avrei voluto afferrare il suo sesso e godere del suo sapore, ma dovevo guidare. Guardai l’orologio e una sola volta bastò per sentirmi in colpa, sarei dovuta essere a casa, comodamente seduta sul mio divano in attesa di mio marito, infruttuosamente e vanamente sua consorte. Giungiamo di fronte a un edificio, lui mi fa un gesto per accostare, mentre io potevo benissimo ancora tornare indietro e rinunciare a quella follia, rifiutare per quella sconsideratezza, viceversa, parcheggio in maniera risoluta la macchina e scendo. I nostri vestiti finiscono per terra in pochi secondi e nudi ci buttiamo uno addosso all’altro come due animali feroci ingordi di saziarsi. Comodamente si sofferma sulla fica, in seguito me la lecca, intanto che io respiro affannosamente borbottando fra me stessa: 

“Che cosa sto facendo, che cosa diavolo sto combinando”. 

A quel punto trattengo la sua testa tra le mie gambe sfregandomi contro il suo viso ruvido e premendo la sua bocca sul mio pube, fintanto che inatteso ma poderoso e travolgente da scompigliarmi ecco che arriva un orgasmo prolungato, che libera definitivamente i miei supplizi e i miei tormenti trattenuti per lungo tempo. Soltanto allora mi prendo cura di lui, accogliendo fino alla gola il suo membro magnificamente bello e duro. Nel momento che glielo succhio, le sue mani spingono i miei fianchi avanti e indietro sempre più velocemente, le sue unghie mi graffiano la pelle lungo tutta la schiena, io lascio che lui s’accanisca agevolmente sul mio corpo, desiderando solamente il suo piacere che tra l’altro arriva d’improvviso inondandomi la bocca. 

Poco dopo facciamo l’amore e ancora una volta quell’uomo disperde, sconfigge immutabilmente e sbaraglia irrevocabilmente il mio senso di colpa, concedendomi e regalandomi un piacere da troppo tempo impedito, negato e ostacolato. Da allora ci furono altre volte, altre fughe, altri amplessi con l’indispensabile voglia di sesso e dell’irrinunciabile desiderio d’amore. Gli occhi questa notte non si chiudono, il ricordo di lui è esuberante, presente e in special modo pulsante e manifestamente vivo dentro di me, giacché per sentirlo vicino devo soltanto toccare quei tangibili segni lasciati sulla pelle. Non posso però né far emozionare né palpeggiare le tracce di sé, quelle che lui m’ha lasciato sul cuore, poiché appartengono, fanno parte e riguardano i ricordi d’un altro giorno. Il mio consorte ronfa lievemente, il batticuore e il turbamento di destarlo mi fa serrare le cosce e a stento trattengo il pianto. 

In questo preciso momento io dovrei essere altrove, in un altro letto, esultante, felice e gioiosa di donarmi e di prodigarmi ancora. Adesso è ormai giorno, l’attesa è finita, i graffi bruciano, inaridiscono e soprattutto struggono ancora sotto la camicia pulita che indosso per andare a lavorare.

In modo abituale e spiacevolmente rodato, dinanzi a me si para un’altra giornata di battaglia manchevole, lacunosa e malavveduta per concedermi e per elargirmi il vigore e l’esuberanza di prediligere, un altro amaro dì composto da fuorvii, da imbrogli e d’abbindoli vari. Più avanti, una nottata certamente insonne nuovamente sopraggiungerà. 

{Idraulico anno 1999} 

 

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