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Racconti Erotici Etero

Eppur m’infetto di te

By 28 Marzo 2013Dicembre 16th, 2019No Comments

Entro in macchina, metto in moto l’auto e la dirigo in direzione della Siena-Grosseto.

Mi sembra di essere in trance, guido come sotto l’effetto di una sostanza stupefacente.

Sto ascoltando la radio, Radio Capital, come sempre, ma realmente non riesco a decifrare quello che sta dicendo Luca Bottura: la sua voce mi rimbalza nella testa, ma sembra che parli una lingua straniera.

Fuori sembro calma, dentro mi sento come in una montagna russa: se mi facessero l’antidoping adesso troverebbero dei livelli di endorfina ed adrenalina che nemmeno durante il parto penso si possano avere.

Sto venendo da te: come hai fatto a convincermi davvero non lo so.

Nemmeno: come ho fatto a desiderarlo io per prima e con tutta me stessa, non posso nemmeno concepirlo.

Mi hai scritto una mail: ‘Ci vediamo il 29 gennaio a Marina di Grosseto, all’Hotel ***. Verrai??

‘Verrò’ ti ho risposto semplicemente.

Mentalmente mi organizzo, organizzo la giornata in modo da poter essere libera tutto il giorno e parto.

Contrariamente alla mia abitudine arrivo con almeno 20 minuti di anticipo.

Scendo dalla macchina e mi dirigo verso la spiaggia: osservo il panorama intorno a me, inspiro l’aria frizzante carica di salmastro.

E’ una bellissima giornata, decadente e crepuscolare come solo le giornate d’inverno al mare sanno essere.

Metto le cuffie al telefonino.

Vado su Youtube e cerco ‘Un senso’ di Vasco Rossi: sono anni che Vasco Rossi non mi piace più, eppure questa canzone la sento così mia in questo momento che non posso fare altro che ascoltarla ed ascoltarla ed ascoltarla.

Lentamente torno verso la macchina. Mi appoggio alla portiera, chiudo gli occhi e mormoro a fior di labbra le parole della canzone.

Poi le sento.

Le tue mani che delicatamente mi tolgono gli auricolari dalle orecchie.

E finalmente sento la tua voce e vedo per la prima volta il tuo viso.

‘Ciao’ mi dici.

‘Ciao’ ti rispondo.

Poi mi baci.

La tua lingua morbida gioca con la mia, sfiora i miei denti, mi riempie la bocca.

Ci aggrappiamo, ci cerchiamo, ci desideriamo.

Ti stacchi da me.

Mi guardi e mi sfiori una guancia con il dito indice.

I tuoi occhi sono un misto di lussuria, tenerezza, libidine e perversione: mi spaventano e mi eccitano allo stesso tempo.

‘Andiamo’ mi dici prendendomi per mano.

Ci avviamo verso l’Hotel e dopo aver sbrigato le formalità burocratiche saliamo alla nostra camera.

A rallentatore ti vedo inserire la chiave nella toppa, ti vedo abbassare la maniglia, aprire la porta ed entrare.

Ti seguo, entro anche io nella stanza, richiudo la porta, ma non riesco a proseguire.

Rimango con la fronte appoggiata allo stipite per un tempo che mi sembra infinito.

Poi ti avverto dietro di me.

Le tue mani mi accarezzano piano, mi cingono la vita e poi risalgono verso il seno; mi baci il collo, mi mordi il lobo dell’orecchio.

Mi sfugge un gemito.

Sorridi.

”Non avere paura’mi sussurri.

Scuoto la testa in senso di diniego, ma non immagino cosa stai per farmi.

Sento che traffichi con qualcosa e poi avverto sul mio viso qualcosa di freddo e liscio.
Mi stai bendando.
Trattengo il respiro. Non so se prevale di più l’eccitazione, la paura oppure il senso di colpa.
Perchè non dovrei essere qui e invece ci sono.
Perchè ci sono e non vorrei essere in nessun altro posto.
Mi fai voltare e cominci a spogliarmi; non posso vederti, ma posso sentire le tue mani

Mi tiri su le braccia in alto e mi induci a posarle sulla porta, facendomi inarcare leggermente e facendomi spingere il sedere indietro.
Continui la tua esplorazione.
Dopo i capezzoli le tue mani toccano le spalle, il ventre, i fianchi e poi scendono giù fino a lambire la stoffa del perizoma.
Mi torturi il clitoride da sopra la stoffa.
Gemo.
Divento impaziente.
Spingo ancora più indietro il sedere per sentire meglio la tua erezione.
“Voltati e spogliami” mi dici con voce roca.
Mi giro e cerco la tua bocca.
Ti lecco.
Lecco le tue labbra, il lobo delle tue orecchie, gli zigomi, il collo.
Sento la lana del tuo golf pizzicarmi i capezzoli.
Apro la zip del maglione e sbottono la tua camicia, soffermandomi, dopo ogni bottone a baciare e leccare il tuo petto.
Ti succhio i capezzoli, dedicando loro lo stesso trattamento che hanno ricevuto i miei.
Li mordo, li bacio, ci passo sopra le labbra e la punta del naso.
Scendo giù, soffermandomi sull’ombelico e poi ancora più giù.
Slaccio la cintura dei pantaloni e li faccio scivolare lentamente lungo le gambe.
Poi, sempre bendata, mi inginocchio.

Mi lasci giocare con il tuo cazzo duro sotto i boxer. Poi quando li abbasso e proprio mentre sto per aprire la bocca mi interrompi.

Non capisco.

Mi prendi per le ascelle e mi tiri su.

Mi baci, cerchi la mia lingua, vuoi soffocarmi con la lingua.

Vuoi che il mio desiderio cresca ancora di più mentre sento il duro del tuo cazzo contro di me.

Poi mentre con la mani mi stai nuovamente spingendo giù mi dici “fatti calare giù gli slip, dimmi che ti senti colare come una cagna’.

“Verifica tu stesso” ti rispondo.
Così dicendo mi calo gli slip e poi prendo la tua mano per portarla tra le mie gambe.
Sono calda.
Sono morbida.
Sono fradicia.
Passi un dito sul solco del mio sesso, indugiando perversamente intorno al clitoride e all’entrata della vagina.
Vorrei sentire le tue dita dentro.
Avrei voglia di essere sbattuta appoggiata alla porta.
Ma tu non sei di questa idea.
Continui la tua lunga e languida carezza tra le mie pieghe intime.
Poi torni a baciarmi.
E un bacio diverso questo.
E’ lungo, è sensuale, non ha niente dell’urgenza del bacio precedente.
“Inginocchiati!”
E’ un ordine che in qualche modo mi eccita.
La tua voce non ammette repliche.
E’ quella di un padrone.
Ma io non sono una sottomessa, quindi obbedisco, ma a modo mio.
“Siediti” ti rispondo.
Mi prendi per mano e mi conduci alla poltrona situata in un angolo della stanza.
Ti siedi.
Mi stendo sopra di te.
Le nostre pelli si sfiorano.
Mi fanno male i capezzoli da quanto sono turgidi.
Riprendo a baciarti come ho fatto poco prima.
Con la lingua scendo giù.
Con le labbra scendo giù.
E finalmente apro la bocca e lascio che il tuo cazzo la riempia.

Dall’accelerare del tuo respiro sento che il pompino che ti sto facendo con tanta passione ti sta piacendo particolarmente.

Mi tieni la testa e la spingi giù con forza, una, due ,tre volte.

Mi stai scopando la bocca.
Mi stai letteralmente scopando la bocca.
In situazioni normali probabilmente mostrerei fastidio.
Ma adesso mi sento così eccitata che non posso fare altro che leccare e succhiare.
Voglio sentirlo tutto il tuo cazzo.
Voglio che la punta mi tocchi la gola.
Allungo una mano verso le gambe, cercando il clitoride che è gonfio e sensibile: vorrei dargli un po’ di sollievo.
Ti accorgi del mio movimento.
Ti tiri su, sfilandomi il cazzo dalla bocca.
“Fermati”
Mi fai alzare e mi fai indietreggiare fino a quando con una leggera spinta non mi fai cadere sul letto.
Faccio per togliermi la benda, ma anche questa vota le tue mani mi bloccano.
“Ora tocca a me”
La tua voce ha un tono così grave che sembra quasi una minaccia.
Sospiro.
Sono impaziente.
Attendo.
“Dove sei an…”
Non riesco a terminare la frase.
Con un gesto repentino mi hai allargato le gambe.

Ti inginocchi sulla mia fica, ma ancora vuoi torturami, facendomi struggere di desiderio e di attesa.

Ci passi la lingua intorno, lecchi l’inguine, a lungo, mentre gemo.

Risali lungo il mio corpo stando bene attento a non toccare la mia fessura con il cazzo.

E’ bagnata, aperta, avida. Te lo risucchierebbe dentro.

E invece torni sui miei seni a succhiarli, a mordere i capezzoli.

Piano, più forte, sempre più forte, fino a risucchiarli dentro la bocca.

Fino a che non grido. E anche oltre.

Poi scendi giù di colpo e affondo la faccia tra le mie gambe.

Finalmente mi lecchi, finalmente avverti il mio sapore.

Mi entri dentro con la lingua, la prima parte di te che mi scopa è la lingua.

Sali un po’, fino a sentire il clitoride: lo lecchi, lo succhi, vuoi che il mio corpo scatti, ‘voglio sentirti urlare pietà’ mi dici.

Non è un orgasmo.

E’ un elettroshock.

Prima ancora delle contrazioni vaginali avverto una scarica elettrica che dalla nuca si irradio fino al cervello.

Vorrei gridare, ma non posso.

Riesco solo ad emettere un lamento continuo ed ossessivo: sembra il canto nenioso di un muezzin.

“mettimi due dita dentro, per favore. Tienile ferme e ruotale. Uncinale!”

Sono stupita della lucidità di questo pensiero e della coerenza con cui formulo il periodo.

“Anche per favore riesci a chiedere” mi chiedi mentre sorridi ironico.

Almeno penso che tu sorrida: lo percepisco nella sfumatura della tua voce, che si è fatta improvvisamente tenera.

Vorrei risponderti, ma la repentinità con cui entri con le dita dentro di me, mi fa perdere ogni cognizione.

“Oddio…” riesco solo a dire.

E poi nel momento dell’orgasmo l’unica altra parola che sono capace di mormorare è “…aiuto…”.

Sento il mio corpo tendersi.

La mia schiena si inarca.

“…aiuto…”

Vengo.

Ti vengo in bocca, sulle mani, in faccia.

Chissà se gli U2 avevano in mente questo quando hanno scritto “sono in posto chiamato vertigine…”

Poi ricado sul letto.

La prima immagine che ho davanti agli occhi, quando mi riprendo, è il tuo viso.

Mi hai tolto la benda e mi stai baciando piano, come si fa con un bambino quando lo si vuole coccolare, senza svegliarlo.
Mi guardi.

Ti sorrido.

Mi avvicino al tuo orecchio e come a sussurrarti un segreto: “fammi quello che vuoi” ti dico.

Così dicendo mi volto, mi metto a quattrozampe ed mi espongo completamente alla tua vista e alla tue voglie.

Ti avvicini a me, facendomi sentire la punta del cazzo sulle labbra, poi a poco a poco sempre più giù, tenendomi per le natiche, allargandole.

Un colpo secco, spingendo con le reni. Dentro, sempre più dentro. Sempre. è come entrare nell’acqua bollente, e me lo dici:

“Che fica che hai Miki, è caldissima”.

Poi ti fermi, ci ripensi.

Mi giri delicatamente,

”Voglio vederti in faccia la prima volta’ mormori al mio orecchio ‘voglio vedere il tuo bel viso che cambia, baciarti e farti sentire il tuo sapore che mi ha impiastrato la faccia.

Voglio sentirti con le cosce spudoratamente spalancate sotto di me, avvinghiata, spasmodica. Ci sarà tempo di farti ciò che voglio, di prendere tutto di te.

Adesso ti faccio l’amore, Michela’

Lascio che tu mi apra le gambe.

E ti accolgo ancora dentro di me.

Allaccio le gambe intorno ai tuoi fianchi, abbandonandomi al ritmo di tuoi affondi.

“Aspetta” ti dico ‘Mettiti seduto’.

Ti faccio appoggiare alla testata del letto e vengo sopra di te.

Prendo le tue mani e me le metto sui fianchi chiedendoti in questo modo di guidarmi.

Cingo il tuo collo con le braccia; ti bacio, mi eccita la tua lingua.

Sento il bisogno di muovermi…come voglio io.

E allora oscillo. Il mio è più un movimento basculante che sussultorio.

Sento il mio piacere arrivare da lontano.

“Fammi male” ti chiedo avvicinando la tua testa a un mio capezzolo.

Non grido.

Sospiro.

Lo sento, l’orgasmo, lo sento galoppare mentre tu implacabile mi succhi i capezzoli fino a farmi male.

Allora grido un “sì” lungo e quasi ininterrotto.

Ho gli occhi chiusi e mi tremano le ciglia.

Mi mordi.

Spalanco gli occhi. Ho come l’impressione che le pupille si stiano dilatando spazzando via il loro naturale colore celeste.

Mi mordo il labbro inferiore.

Sposto le braccia e le appoggio dietro: non ho più ritegno adesso…voglio godere.

Ancora una volta sento il mio corpo irrigidirsi.

Sento la mia vagina gonfiarsi e poi tutto esplode in mille pezzi.

Appoggio la testa su una tua spalla.

Non riesco quasi a guardati negli occhi: mi sento indifesa in questo momento, come se fossi senza pelle.

Con la benda era più facile.

Sono sudata, arruffata; le mie labbra che già per natura sono carnose, sono tumide e arrossate.

Mi abbracci e mi accarezzi la schiena.

Sorrido.

Un pensiero fugace mi attraversa la mente.

Quando sono entrata qui volevo farmi una scopata da paura, volevo essere disinibita, lasciva, lussuriosa…volevo essere troia.

E invece non mi sono sentita niente di tutto questo.

Mi sono semplicemente sentita femmina.

Mi son semplicemente sentita donna.

“Me lo fai un regalo?” ti chiedo piano.

Mi scosti per potermi guardare negli occhi.

“un altro!?” sembra dire la tua espressione.

“Vieni per me”.

Non te lo sto chiedendo per farti svuotare.

Te lo sto chiedendo perchè voglio che mi regali il tuo piacere.

Ma è una precisazione inutile.

“Vieni per me!”.

Mi guardi di uno sguardo intenso, come a soppesare la fattibilità di un pensiero che si è appena affacciato alla mente.

La tua bocca si serra per un breve momento: hai deciso.

E così mi giri e mi allarghi le natiche; mi lecchi, lecchi il mio buco inesplorato, lo penetri con lingua.

Milioni di terminazioni nervose che trasmettono piacere non riescono a nascondere la mia ansia, la mia paura, la mia voglia.

Mi sodomizzi piano, ma senza indugi.

Il mio respiro si fa greve.

Mi fai male.

Ma in fondo avverto l’eco di un piacere sconosciuto che si sta insinuando tra le pieghe del dolore.

Continui ad entrare in quella parte di me che nessuno aveva mai violato.

‘Adesso, dolce Michela, fammi sentire quanto sei troia. Non avere pudori, non avere ritegno, sei una femmina riempita da un maschio. Ho voglia che in questi cinque minuti tu sia un animale.’

Inizi il tuo andirivieni, deciso, implacabile.

‘Dio mio che male che fa’ riesco a dire con voce strozzata.

‘Dimmi che vuoi che ti inculi’ mi dici mentre sento il tuo ritmo accelerare.

Una strana sensazione nel frattempo si è impossessata di me.

Con mio stupore mi rendo conto che ti sto venendo in contro per sentirti ancora più dentro.

‘ Sì, inculami, fammi male!!!’ ti dico mentre mi muovo anche io.

E godo.

E nel momento in cui sento che stai per venire un scarica mi attraversa il corpo.

Mi odo urlare, ma è come se fosse un’altra donna a farlo.

Mi accascio tra le lenzuola sfatte del letto e per un po’ mi addormento.

Mi risveglio e ti trovo al mio fianco che mi carezzi i capelli.

‘Ben tornata’ mi dici

Ti sorrido.

Sono stanca.

Sono dolorante.

Ma ho di nuovo voglia.

Forse perché so che questa è l’unica occasione che avremo per stare insieme.

Fuori ci sono le nostre vite, le nostre famiglie, i nostri impegni.

Però questo momento è nostro e voglio goderne fino in fondo.

Voglio godere di te fino i fondo.

Scivolo sotto di te, fino a che non sento il tuo cazzo in mezzo al mio seno.

Mi piace sentirmelo crescere tra le tette mentre ti lecco il glande.

Il cazzo tenuto lì mi eccita.

“Ti piace essere la mia troia vero? Vorresti altro?”.

Sorrido tra me perché, nella mia vita ‘normale’ queste cosa mi fanno arrossire.

Ma voglio essere indecente con te e non avere maschere, non avere limiti, non avere remore.

Voglio andare oltre la soglia del pudore, della mia naturale ritrosia e riservatezza.

Voglio mandare,per una volta, a farsi fottere l’educanda che è in me.

Anche se, a ben pensarci, fottere, stanno fottendo me, non l’educanda.

‘Peggio per lei, meglio per me’ penso e poi ti dico: “Sì, mi piace essere la tua troia…e ora scopami fino a farmi
male…però…prima dammi un bacio…questo però come se fossi la tua
bambina”

Mi baci.

Con dolcezza, con desiderio.

E’ un bacio bello: c’è dentro l’urgenza di chi sa di non poter aver altro che questo unico momento.

Vorrei dirti:

‘E adesso fammi sdraiare, accarezzami il viso, gli occhi, le labbra. Distenditi
sopra di me.
Guardami, mentre entri dentro di me. Guardami.
Segui il tuo ritmo fondendolo con il mio.
Per tutto il resto ci sarà tempo dopo.
Per essere troia…ci sarà tempo dopo.
Per dare sfogo alle tue voglie, ci sarà tempo dopo.
Ora possiedimi, facendo soltanto l’amore con me.

Tienimi la testa tra le mani.
Non lo senti che ti voglio? Non lo senti quanto ti voglio?
Lascia che le mie gambe allaccino i tuoi fianchi, che le mie mani si
aggrappino alla tua schiena, che la graffino.
Non ce la faccio a tenere gli occhi aperti.
Ho bisogno di chiuderli e farli tremare, come quando sto per piangere.
E’ lì che sono adesso, in un posto solo mio in cui l’unico contatto
con la realtà è il lieve dolore che sento al labbro inferiore che sto
mordendo.
Vuoi chi ti parli?
Vuoi che ti dica che ti sento in ogni angolo del mio corpo?
Nella mia vagina riempita così bene da te?
Dentro il cuore che sembra impazzito, tanto sta battendo forte?
Nella testa dove continuano ad arrivare mille scariche di piacere?
Vuoi che ti dica tutto questo?
Te lo dirò.
Te lo prometto.
E poi vedrai i miei occhi…quando sentirò che l’orgasmo è vicino li
spalancherò, la mia bocca tremerà, la mia voce tremerà e con essa
tutto il mio corpo che sarà attraversato da un’onda di piacere liquido
che avvolgerà anche te.

Sono qui per prendermelo tutto questo piacere e per dartelo.
Lascia che la mia bocca tremi, che i miei sospiri diventino un gemito
di dolorosa lussuria.
Lasciami morire, mentre sei tra le mie gambe.
Poi quando sarò tornata, riprendi la tua corsa.
Usami, prendimi, sbattimi, carezzami e amami anche solo per una volta.
Fammi essere donna, fammi essere troia, fammi essere indecentemente
innocente mentre ti sazi di me e mentre il tuo piacere invade il mio
corpo’.

Questo vorrei dirti.

Questo vorrei raccontarti mentre fai l’amore con me.

Ma riesco solo a tenere gli occhi chiusi, lasciando che il piacere invada nuovamente il mio corpo.

E poi, finalmente ti sento’sento il tuo orgasmo fondersi con il mio.

Sento il tuo seme riempirmi, mentre gridi il mio nome.

Adesso sto tornando a casa.

Ci siamo salutati con un bacio lieve sulle labbra.

Nessuna parola, nessuna promessa di rivedersi, nessuna spiegazione.

Non so se tutto questo mi farà male.

Potrebbe succedere, ma non fa niente.

Non abbiamo scopato.

Abbiamo fatto l’amore.

Anzi no, abbiamo scopato, facendo così bene l’amore.

Lo pagherò tutto questo?

Può darsi.

Lo rimpiangerò?

Anche

Preferirò che non fosse mai accaduto, che non ti avessi mai conosciuto?

Possibile.

Ripeto: non fa niente. Non è stata solo una scopata

E non avrei mai barattato tutto questo per una misera scopata.

Mentre me ne torno a casa, alla mia vita, ai miei affetti, metto su i Marlene Kuntz.

Le note della prima canzone riecheggiano nell’abitacolo della macchina.

Sorrido.

Sospiro.

Calzano così a pennello queste strofe che sembra quasi che le abbia scritte io.

E mentre la strada scorre, mentre tutto il resto si allontana e si dissolve come quasi risucchiato in una dimensione altra, mi ritrovo a sussurrare piano:

‘Non c’è contatto di mucosa con mucosa
eppur mi infetto di te,
che arrivi e porti desideri e capogiri
in versi appassionati e indirizzati a me;

e porgi in dono la tua essenza misteriosa,
che fu un brillio fugace qualche notte fa;
e fanno presto a farsi vivi i miei sospiri
che alle pareti vanno a dire “ti vorrei qua”.

Per commenti, pensieri e parole: 19dulcinea76@gmail.com

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