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Racconti Erotici Etero

Eros silvano

By 21 Maggio 2005Dicembre 16th, 2019No Comments

rustica pulchritudo, opulenta venustas

Tempi, luoghi, momenti, circostanze, occasioni’ e concezione della vita decisamente dominata dalla natura circostante: cielo, terra, piante, animali.
Ho sete, mi chino e bevo alla fonte che scaturisce dalle rocce.
Ho fame, colgo un frutto e lo mangio.
Ho un richiamo del sesso, e non pongo indugi, lo soddisfo. Richiamo continuo, non saltuario o periodico come quello della maggior parte degli altri appartenenti al regno animale.
Animalesco, soprattutto, significa naturale.
E quindi, anche ogni manifestazione connessa &egrave naturale, spontanea, istintiva, semplice.
La natura indica la strada.
Vedi gli ‘incroci’: l’asino ha montato la cavalla, e il mulo che ne &egrave nato &egrave forte, paziente, equilibrato. Guarda la bellezza del bardotto, partorito dall’asina coperta dal cavallo. E che resistenza alle intemperie, ai parassiti, hanno quelle spighe generate da un incrocio di semi!
Natura e osservazione della trasmissione delle qualità. Da seme buono nasce roba buona.
Tempi, dicevamo. Quando l’abitato non era raggiunto da una carrozzabile, ma solo da viottoli impervi.
Luoghi circondati dal verde dei boschi, e dai rumori che da essi proviene.
Circostanze particolari. Boschi e campi cosparsi di ordigni esplosivi disseminati per ostacolare l’avanzata del nemico.
Campi strappati alla coltivazione.
Boschi inaccessibili.
Da tempo, inoltre, niente luce elettrica.
Una incredibile oasi, in una conca, dove si viveva in modo decisamente naturale e primitivo.
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Quando mi presentai al ‘primo cittadino’, con alcuni tecnici, per dire che avremmo intrapreso la bonifica dei boschi e terreni dalle mine, fummo ricevuti quasi con incredulità. Si meravigliavano che qualcuno si era ricordato di loro. La gente ci circondò, con mille domande. Le donne tacevano, e ci guardavano, come fossimo abitanti di un altro mondo, e scrutavano strumenti e attrezzature. Donne di ogni età, e tante. Molti uomini partiti da tempo per quella stramaledetta guerra ancora non avevano fatto ritorno. Di ogni età e tutte emananti qualcosa di particolare nel loro volto, nei loro sguardi. Comunque, per quello che gli abiti consentivano, c’era molta bellezza, e una visibile opulenza nelle forme.
Si fecero in quattro per ospitarci. Cedettero i loro letti, offrirono locali per i nostri attrezzi.
Io capitai in casa del vecchio Arnaldo, che viveva con moglie, figlia nubile e nuora. Il figlio era alle armi.
Le ‘vetture’, come chiamavano i muli, erano state scaricate e rifocillate, ed ora erano nella stalla, a riposare.
La sera Arnoldo, io e le sue donne, eravamo intorno al tavolo.
Mi tempestavano di domande: di dove sei, sei militare di carriera, sei sposato, hai studiato, quanto ti fermi.
C’era una certa meraviglia che io, ventiré anni, ero il comandante.
Altro stupore che proprio il mese precedente avevo preso la laurea. Non mi chiesero in quale materia, ma tra loro dissero che ero come l’Avvocato Guani, quello del grosso paese a valle, al quale spesso si rivolgevano per pareri e consigli.
Donata, la moglie di Arnaldo, verso i cinquanta, scuoteva ogni tanto la testa.
Tutti a dormire, e l’indomani, molto presto, eravamo pronti per muoverci, noi addetti alla bonifica. Molti paesani erano già ai loro piccoli lavori. La campana della ‘chiesa madre’ aveva chiamato a messa le donne che adesso stavano tornando.
Arnaldo mi indicò la moglie, abbastanza belloccia per la sua età, e ridendo mi disse che Donata, dopo che lui l’aveva ingroppata, come al solito, la notte, gli aveva candidamente confessato che lei ‘mi si sarebbe fatto’ volentieri, se avesse avuto la certezza di poter figliare ancora. Almeno avrebbe avuto un figlio di signore che avrebbe studiato.
Arnaldo, rideva di tutto cuore, mentre io, che per principio non ‘buttavo via niente’, ammiravo l’ancheggiare di Donata e il promettente gonfiore della sua camicetta.
Donata era in un gruppo di donne che parlottavano tra loro, dagli sguardi che ogni tanto mi rivolgevano ebbi la sensazione, e la presunzione che il soggetto fossi io. Non mi sono mai considerato un casanova, ma ero conscio che, in fondo, ero giovane, piacente, e tutti mi dicevano che avevo un certo modo di fare che non dispiaceva alle donne. Inoltre, venivo dalla città, ero ‘struito’ e la divisa su molte esercita un certo sex-appeal. Pensavo che in quel piccolo e sperduto paese, con meno di quattrocento abitanti e per due terzi femmine, forse qualche piacevole ‘ripassatella’ ci poteva scappare.
Quando il gruppo fu vicino, salutai militarmente.
Ci fu un bisbigliare di ‘buongiorno’, seguito da risatine soffocate.
Il primo compito era di identificare l’area da bonificare e perimetrarla. Poi avremmo studiato il tipo di ordigni per procedere di conseguenza. Avremmo cominciato dal bosco, sul declivio che portava al crinale dal quale, poi, si scendeva a valle, al grosso paese, alle strade di transito. Logicamente si trattava di mine anti-uomo, nel bosco non potevano entrare carri armati.
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Avevamo delimitato una zona di intervento. Avevamo creato un viottolo di accesso, bonificandolo dalle mine, e in uno spiazzo avevamo eretto una grossa tenda per custodire gli attrezzi. C’era anche un tavolino, alcune frasche raccolte nello sboschimento per ricavare il viottolo, e dei teli. Dovunque cartelli che avvertivano del pericolo.
Ormai erano tre giorni dacché avevamo iniziato le operazioni, in quella zona, mentre si procedeva alla identificazione di altri luoghi infestati da ordigni mortali che, purtroppo, avevano già mietuto vittime tra quella povera gente.
Ero seduto sul telo posto sulle frasche che andavano rinsecchendosi. Un lembo della tenda s sollevò: Donata, tutta in ghingheri, con un cestino infilato al braccio e coperto con un tovagliolo bianco.
‘Donata! Cosa fai qua, lo sai che &egrave pericoloso?’
‘Ce lo so’, ce lo so’. So’ fatto il sentiero tra i paletti rossi, dove passate voi.’
‘Perché sei venuta?’
‘Ho portato un po’ di pane, salame e vino.’
‘Ma io ho fatto colazione, questa mattina, a casa tua, me l’hai preparata tu.’
‘E tu dalla agli altri. E’ grazia di Dio, non deve esse sprecata!’
‘Arnaldo lo sa che sei qui?’
‘Arnaldo &egrave sceso alla piana, chissà quando torna.’
‘Ti vuoi sedere? C’&egrave una sedia.’
‘Sto meglio accanto a te.’
Sedette sul telo, vicinissima.
Aveva un profumo stranissimo, erba fresca, latte, pane caldo. Un profumo ‘buono’.
‘Ti sei stancata a fare la salita, Donata?’
‘Un po’ ‘lu core’, senti come batte.’
Prese la mano e la porta su una delle sue grosse tette. Erano prosperose, ma abbastanza sode, e si sentiva, ben eretto, un grosso capezzolo.
Era tiepido, e la mano indugiò sulla tetta, la carezzò.
‘Ma tu, Donata, non porti reggiseno.’
‘E a che te serve? Stanno tanto bene così! Guarda!’
Rapidi movimenti delle dita, che dicevano del lavoro dei campi, e la blusa si aprì del tutto.
Magnifiche tettone, bianchissime, con piccole vene azzurrine.
Prese la mia mano e se la portò sulla carne calda e vellutata.
‘Che te paro, comanda’? So’ zinne de vecchia?’
‘E chi dice che sei vecchia!’
‘Lo dice Arnaldo, perché so’ passati i quaranta! ‘Io glielo dico a quer capoccione, che non c’&egrave un pelo nero, da nessuna parte’ da nessuna parte, hai capito? Neanche là!’
Alzò di scatto la larga gonna. Neanche mutante, ma due belle cosce e un copioso e folto cespuglio di lunghi ricci neri che partivano dal pube e invadevano anche parte dell’inguine. Era vero, una scura macchia del colore dell’ala del corvo.
Mi ero eccitato più del previsto.
Ero sorpreso da quel comportamento.
Donata mi prese le mani, mi guardò, con occhi imploranti.
‘Comanda’, per favore, nun me manda’ via’ fammete’. fammete.. sogno solo a te”
Si abbandonò sul telo, a gambe larghe, alzando il bacino.
Non ci volle molto ad abbassare i pantaloni.
Era prepotentemente eretto.
‘Vieni, comanda’, nun perde tempo, daje’!’
Con le mani aveva scostato le grandi labbra, la sua rosea vagina sembrava fremere, il clitoride era rigido e vibrante.
Come avvicinai il glande in quel bosco, mi prese per le natiche, si inarcò ancora di più, e mi trascinò su sé, in s&egrave.
‘Madonna quanto sei bello, figlietto mio, non finisci mai, e che, ci hai un palo al posto dell’uccello?’
Il fallo sentiva le contrazioni della calda e umida vagina, e lei si dimenava freneticamente, con gemiti sempre più forti. Incrociò le gambe sulla schiena e fu percorsa da un palpito incalzante che terminò in un grido, e in una forte stretta delle sue gambe che mi premettero a lei. In quel momento il mio seme la irrorò, e lei lo munse voluttuosamente. Fino a quando, senza sciogliere le gambe, si rilassò un po’. Ero sempre in lei.
‘Sei ‘na forza, bello de mamma, un torrente. M’hai fatto godé come ‘na matta, m’hai sderenata’.’
Con dolcezza, mi alzai. Guardavo in giro per cercare qualcosa dove’asciugarmi’
‘Aspetta, more’, nun me poi lascia’ così”
Si alzò, si rivoltò, andò a poggiarsi con le braccia sul tavolino, la gonna alzata sulla schiena. Splendide chiappane divaricate e, tra il pelame, il roseo stillante del suo sesso.
Voltò il capo verso me, che ero rimasto interdetto, ancora coi pantaloni abbassati e col fallo di nuovo pronto alla bisogna.
‘Sei ‘no stallone, comanda’, e montala sta giumenta, daje!’
Non potevo’ rifiutarmi.
Le tette erano alquanto pendenti, fuori del tavolino.
Mi avvicinai, le dilatai le natiche e glielo infilai di colpo, così decisamente che temetti per la resistenza del tavolino. Le afferrai le tette, titillando, pizzicando i capezzoli, mentre la stantuffavo quasi con furia, coi testicoli che sbattevano sulle sue chiappe.
‘Che stallone che sei, more’, me stai a fa’ mori”’
Si dimenava, mugolava.
‘Vengo, more” vengo’ o’moro’ si’moro’. Oddio’morooooooo!’
E l’orgasmo che la sconvolse fu incredibilmente più squassante del precedente.
Rimanemmo così, col fallo in lei e le mani che le agguantavano le tette.
Quando sentì i colpi di reni che accompagnavano l’irruzione del mio seme, strinse le chiappe.
‘Io te lo stacco, te lo stacco”
Non fu facile riacquistare la calma.
Non era la prima volta che scopavo con una femmina che aveva diversi anni di più di me, ma era certamente la prima volta che ero stato coinvolto in una orgasmica di quel tipo.
Strano, però, non ci eravamo baciati, non era stato necessario alcun preliminare.
Non ho mai saputo se mentre noi eravamo intenti in quelle esercitazioni qualcuno s’era affacciato nella tenda.
Avevo subito un ‘attacco’ imprevisto e improvviso, ma dovevo riconoscere che era stato veramente appagante. Io a prendere l’iniziativa, con Donata, forse non ci avrei pensato, anche perché non sapevo quali delizie nascondesse sotto i vestiti, quanta passionalità fosse riposta in lei.
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Quando rincasai, Arnaldo non era ancora tornato e Donata stava chiacchierando con le amiche, di diversa età, dinanzi alla porta di casa.
I loro occhi erano su me, e avevano una strana espressione in volto.
Possibile che Donata avesse confessato la sua’ marachella? Non potevo crederlo. C’era anche la nuora, Filomena, la moglie del figlio.
Quando fui vicino, salutai.
Donata mi fissò insistentemente.
‘C’&egrave l’acqua calda al camino, Comanda’. Che fa te la porto in camera, così te fai un bagno nella tinozza?’
‘La prendo io, grazie.’
‘Ma no, tu va su, che ce pensa Filomena. Va, Filomé’ pensace tu.’
Salii nella camera che mi avevano assegnato, tolsi giubba e camicia, e rimasi a torso nudo. Senza neppure bussare, apparve Filomena con due secchi: acqua calda e fredda. Li pose a terra, vicino alla tinozza che era in un angolo, non discosta dalla finestra, dalla quale, poi, si sarebbe gettata l’acqua usata.
Filomena era molto giovane, sposata giovanissima, ed era piacevole d’aspetto e un po’ fredda nei modi. Era comprensibile, in casa della suocera, e col marito lontano.
Si fermò a guardarmi.
‘Siete proprio un fusto, sor Piero.’
Strano, nessuno mi chiamava per nome, in quella borgata.
‘Sono come tanti altri, Filomena, un uomo del tutto normale.’
‘Se lo dite voi!’
‘Perché, tu che dici?’
‘Io? Niente, ma circolano certe voci!’
‘E tu credi alle voci?’
‘Io so’ come san Tommaso, credo a quello che vedo e che tocco. E voi?’
‘Scusa, Filomena, diamoci del tu.’
‘Subito, così?’
‘Perché, dobbiamo aspettare qualcosa?’
Alzò le spalle.
‘Va be’!’
Aspettavo che se ne andasse per finire di spogliarmi e infilarmi nella tinozza nella quale, intanto, la donna aveva versato acqua calda e fredda, e si era curvata per sentirne, col gomito, la temperatura.
Veramente bei fianchi, e un bel culo, tondo. Mi spostai un po’ per sbirciare il seno. Dalla blusa si vedeva che neanche lei indossava il reggiseno. Che fosse abitudine del paese?
Filomena mi guardò.
‘Se vuoi, ti lavo la schiena. Ti aiuto a toglierti gli scarponi, tutto’ Se me dai la biancheria te la lavo.’
Non credevo di aver capito bene.
‘Mi laveresti la schiena?’
‘E tu come fai a lavartela da solo?’
‘Ah!’
‘Daje, che ti aiuto.’
Belle mani, curate alla meglio. Lavori casalinghi e dei campi non consentivano di più. Capelli lunghi, di un colore che non era nero e neppure rosso. Bronzo scuro. Rimboccò le maniche larghe. Scorsi le ascelle che, certamente, non conoscevano depilazione.
L’offerta era allettante, ma io sapevo che mi sarei trovato in forte imbarazzo, perché quella bella femmina, e l’acqua calda, avrebbero avuto sicuramente il loro effetto. E sarebbe stato ben evidente.
Mi decisi. Se era destino!
Cominciai a slacciare gli scarponi. Si chinò e proseguì lei. Meravigliosa visione di un paio di solide tette, bianche e rosa, e capezzoli come fragole su una torta deliziosa.
‘Siedite’.’
Sedetti. Stavo vivendo qualcosa di irreale, forse fantasticavo.
In quel momento si udì la voce di Arnaldo, dall’aia, che era giunto in quel momento.
Filomena si alzò di botto, abbottonò fino alla gola la blusa. Mi guardò con il fuoco negli occhi.
‘Pie’, nun crede che te la sei scampata’ e nun te chiude dentro, stasera’ o vuoi che dica tutto ad Arnaldo?’
‘Dirgli che?’
‘De come te sei ingroppata la moglie, du’ volte, de seguito’ Aspettame Pie’!’
Uscì di corsa e scese le scale.
Ero annebbiato, non riuscivo a distinguere la realtà.
Possibile che Donata avesse raccontato tutto? O Filomena l’aveva seguita ed aveva visto tutto?
Quella, diciamo così, attenzione di Filomena, in ogni modo, mi lusingava ma nel contempo mi irritava. Ma che, m’avevano preso per un cavallo da monta? Veramente Donata me lo aveva ripetuto: stallone’ stallone’
Dovevo chiudere la porta a chiave?
Mi sorpresi a fare una smorfia con la bocca e ad alzare le spalle.
In fondo, Donata era stata veramente ‘gagliarda’, o ero io a essere arrapato. E, fra l’altro, ‘lui’ mi disse chiaramente che continuava ad esserlo’
Ma si, porta aperta’ a meno che, Donata, gelosa, non si mettesse in osservazione per’
Decisi: porta aperta!
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La sera, a cena, Donata seguitava a versare vino nel bicchiere del marito.
‘Dona” ‘le disse- ‘che, me voi imbriaca’? Non ci prova’, preparate invece che ci ho qualcosa per te che te porterà in paradiso”
‘Si, Arna’, ma tu manco sai che cosa &egrave il paradiso, vero comanda’?’
Arnaldo la guardò, sorridendo.
‘E lui che ne sa?’
‘Non te preoccupa’, lui lo sa’ lo sa’!’
Filomena mi guardò, con aria di sfida, mi tolse il piatto davanti, e lo andò a mettere nel lavello.
Le solite chiacchiere sui tempi che si attraversavano, sulle difficoltà della vita. Arnaldo mi disse che io ero ‘beato’ perché a me la paga correva regolarmente, con sole o pioggia; la salute, grazie a Dio non mi mancava; ed era certo che non dovevo girà tanto per ‘trovare il nido all’uccello’. E qui sbottò in una sonora risata, dando una forte pacca sulle sode chiappe della moglie che gli passava vicino.

‘Comandà, anch’io ci ho il nido, che te credi? Vero Dona’? Anzi, sai che te dico, che vado a letto e t’aspetto. Fa presto, a mette a posto ce pensa Filomena. Annamo!’
Si alzò, prese per mano la moglie, e si avviarono alla scala, per andare nella loro camera.
Filomena, intanto, stava riordinando. Io ero andato un po’ fuori, all’aria.
Quando tornai, Filomena stava lavandosi le braccia e il collo, col sapone che faceva lei stessa e che profumava con i fiori di lavanda colti nel prato.
C’era buon odore, intorno, e lei era bellissima. Almeno così mi pareva.
Gli esercizi della mattina non avevano lasciato alcuna traccia di stanchezza, e per ‘lui’ sembravano essere stati solo preparatori.
Mi avvicinai a lei, si alzò diritta, ancora con le braccia bagnate, me le gettò al collo, e mi baciò sulla bocca.
Finalmente un bacio! E che bacio. Avido, goloso, bramoso. S’impadronì della mia lingua e la ciucciò ingordamente, come a farmi comprendere di cosa era capace.
Era stretta a me, e il suo grembo strofinava il mio, sentendo chiaramente il gradimento di quel contatto che evidenziava la mia prepotente erezione sacrificata nei pantaloni.
‘Sei un inferno, Filomena, una tentazione.’
‘E mettilo il diavolo nell’inferno, &egrave lì che deve sta, per questo &egrave stato creato’ aspettami’va nella camera tua’ me do’ una rinfrescata’ all’inferno”
Salii in camera, mi spogliai. Pensai che era meglio non indossare il pigiama.
‘Nature’ La giumenta non s’aspetta che il suo stallone si presenti in pigiama!
Sorrisi. Avevo accettato quel ruolo, stallone, cio&egrave una botta e via! Del resto, devo confessarlo, quello che ci serviva, ‘a me e a ‘lui’, era farci una serie di gradevoli e appaganti scorpacciate di fica e contorno’
Non dovetti attendere a lungo. La porta si aprì cautamente, entrò Filomena, in una lunga camicia da notte, richiuse accuratamente, senza far rumore, girò la chiave nella serratura. Il lume sul canterano era acceso. I suoi capelli, sciolti, giungevano alle spalle, scoprì il letto, alzò il lenzuolo, quando vide la mia nudità non perse tempo, lasciò cadere la camicia per terra, rimase in piedi. Era bella. Seno non molto grosso, sodo, fianchi bellissimi, e tantissimi riccioli neri sul pube, e all’inizio della coscia. Stuzzicante cespuglio così come la natura faceva crescere. Sedette sulla sponda del letto.
Quel cespuglio mi aveva ammaliato. Scesi di colpo, mi inginocchiai di fronte a lei, le divaricai dolcemente le gambe. Il pozzo d’oro della foresta nera, il titolo di una vecchia fiaba; ed era un pozzo incantato.
‘Mo’ che fai, Piero?’
Non risposi.
Tuffai la testa tra le mie gambe, dilatai delicatamente le grandi labbra, e la lingua le lambì, sentì la seta dei peli che le circondavano, procedette oltre, incontrò un piccolo clitoride vibrante. Profumo di lavanda, profumo agreste e inebriante. Ecco l’orificio madido e fremente della vagina. La lingua entrò, ne sentì le contrazioni, ne esplorò le pareti, ora stendendosi a spatola, ora come una punta vivente che cercava, cercava, dentro e fuori’
Filomena aveva ancor più schiuso le gambe, quasi orizzontalmente, e le sue mani frugavano tra i miei capelli.
‘Cosa stai a fa” che me fai’ oddio, ma sei veramente un diavolo’ me stai a fa veni’, così, senza manco’. Oddio, Pie” oddio’ sì’.sì’ ecchime’. ecchime’ eeeeeeeeeeeeeeecchi”””..me!’
Il suo grembo sobbalzò sconvolto, poi andò lentamente rilassandosi, mentre sentivo l’agrodolce del suo piacere avvolgere la mia lingua.
Mi alzai in piedi.
La visione del suo sesso, spalancato, era irresistibile.
Avvicinai il glande ala sua vagina, mentre lei ancora respirava affannosamente, e la penetrai dolcemente, lentamente.
Le gambe era completamente aperte, come prive di forza.
Cominciai a muovermi piano. Dentro’ una spinta’ un momento di sosta’fuori! E così, ancora. Il suo grembo riprendeva a muoversi, la vagina a contrarsi, strinse le gambe sul mio dorso, intrecciando i piedi’ le mie mani ghermirono le tette, le impastarono, pizzicarono i capezzoli, e la vagina, stringendosi, mi dichiarava il gradimento. Era scatenata, passionale, quasi violenta. Si abbandonava totalmente al piacere, lo voleva, e te ne dava, voluttuosamente. Sembrava rantolare, scuoteva la testa, a destra e sinistra, con gli occhi chiusi, le labbra dissertate. Un gemito crescente, che divenne un sordo gorgoglio quando fu ancora sconvolta da un orgasmo che ‘ci’ travolse ed io rovesciai in lei la testimonianza del piacere che mi aveva saputo donare.
Mi rovesciai su lei, senza uscire da lei, e giacemmo così, abbastanza a lungo.
Poi, mi sollevai, la spinsi delicatamente sul letto, mi sdraiai accanto a lei.
‘Sei bellissima, Filomena. Splendida.’
‘Non capisco più niente, Pieri’, niente’ non sapevo che ‘na lingua potesse fare tanto, ma &egrave il diavolo, Pieri’, il tuo diavolo, che trasforma l’inferno in paradiso.. amore.’
Mi baciò appassionatamente.
‘Mena, non so stato capace di tirarmi indietro”
Mi guardò con aria preoccupata.
‘Ma che’ sei matto’ proprio sul più bello?’
‘Si, ma, non pensi”
‘Penso che mo’ vedemo se &egrave lui, mi marito, o so’ io a nun quaglià, a nun fa figli! Mettete giù, Pieri’, che nun la reggo.’
Mi misi supino, lei si accucciò su me, prese il glande e lo cominciò a strusciare sul clitoride, poi lo portò alle piccole labbra, si sollevò un po’ e si impalò, lentamente, testa rovesciata, occhi chiusi, labbra semiaperte. Sedette su di me.
‘Ooooooooh! E’ proprio quello che ci vuole. Sei ‘na forza Piero mio, io ti svuoto, ti riduco un pizzico, senti’. senti”
E accompagnava le parole, smozzicate, con movimenti voluttuosi che incalzarono quando con una mano le afferrai una tetta e con le dita dell’altra le titillavo il piccolo clitoride. Peli che sembravano avere una loro propria vita, come onde del mare. Umidi, impiastrati della sua linfa, del mio seme.
‘Sei bellissima, Filomena, bellissima”
Si pencolò su me, con un capezzolo all’altezza delle mie labbra.
‘Ciuccia, Pieri”. ciuccia’ riempime sotto e svuotami sopra’ bravo, così’ proprio così’ me stai a fa’ morì’..’
Il mio sesso, imprigionato in lei, era strizzato dalle sue contrazioni, sempre più violente, sempre più vibranti’
‘Adesso’ Pie” adesso’ daie’ so’ assetata’. assetata”
Mungevamo tutti e due, io la sua tetta, lei il mio fallo, e quando, un po’ quietata dopo un orgasmo impetuoso sentì che stava sopraggiungendo la mia’ piena, spinse forte il bacino verso me, e rimase così, finché non finii di scaricarmi in lei.
Si stese su me, col suo seno sul mio petto, e il fallo che cominciò a sgusciare da lei, lentamente.
E fu continuamente così, fino al primo canto del gallo, quando mi baciò, si alzo, infilò la camicia, e se ne andò.
Mi avevano sorpreso e stordito gli accadimenti di quelle ore, del giorno e della notte. Era stato tutto molto bello, ma sentivo la necessità di riposare, quasi l’esigenza di ‘ricaricarmi’. Giovane si, lo sono, ma ogni cosa ha il suo limite.
Mi sembrava di essermi appena assopito, profondamente, quando sentii bussare alla porta e una voce che, forse rivolgendosi ad altri, diceva: ‘non risponde’dorme’che fa’, lo sveglio?’. Voce di donna, mi sembrava quella di Donata. E un’altra voce, maschile, rispondeva che voleva solo accertarsi che non mi servisse nulla. La riconobbi, era quella del Maresciallo Tonini. Ma che ora era? Guardai l’orologio. Oltre le dieci. Di solito alle sette ero già al lavoro!
‘Scendo subito, Donata”
Non ci misi molto, infatti, e quando scesi lei aveva preparato sulla tavola una fetta di torta e un qualcosa di giallognolo nella tazza.
‘Cos’&egrave questo, Donata.’
‘E’ zabaglione, bevi che te fa bene. Tu fatichi tanto, questo te tira su.’
Dolcificato col miele, denso, col latte tiepido, da poco munto.
Era buono, piacevole, andava giù benissimo.
‘Ma quante uova sono?’
‘Tu bevi, non ci pensa’, tanto credo che fino a quando torni non mangerai che quel po’ che t’ho preparato nella cesta che ti mando al campo.’
‘Non mandare nessuno, quante volte te lo devo dire, &egrave pericoloso.’
‘Nun te preoccupa’, camminamo tra i paletti rossi.’
‘E’ proibito, se vi fate male non vi paga nessuno, ci sono i cartelli, con scritto che non si può entrare, sono raffigurate mine che scoppiano”
‘Si scoppia &egrave segno che doveva anna’ cosi’. Va, forse viene Arnaldo.’
Donata aveva fatto uno ‘zabaglione’ anche per Tonini.
Era tardissimo. Ci avviammo al lavoro, a cavallo dei muli, e prima dell’inizio del viottolo che portava alla tenda con l’insegna che pomposamente diceva: BCM ‘Bonifica Campi Minati- Comando di Zona, ci dividemmo, lui sarebbe andato a Colle del Cerro.
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Mentre il mulo, lentamente, a muso basso, s’inerpicava, pensai che quanto accaduto, pur se piacevolissimo, non poteva trasformarsi in abitudine. Io ero sempre disponibile per una scopata, specie se era gratificante come le ultime che avevo avuto occasione di fare, ma’ Poi seguitavo a pensare che non dovevo sottilizzare, la ‘gnocca’ &egrave sempre la ‘gnocca’. Lì, la chiamavano la ‘patana’, la patata. Ma non era il ‘come’ si chiamava che faceva distinzione. Dalle chiacchierate coi locali, inoltre, avevo sentito che gli uomini, guardando certe ‘quadrane’ le belle femmine del borgo, non certo scarne, dicevano che loro una bella ‘benedizione, gliela avrebbero data, col loro aspersorio, e con quello che ne sortiva: molto meglio dell’acqua santa!
Eccoci alla tenda. Come al solito, nessuno.
Entrai, tolsi la giubba, mi chinai sul tavolino dove era la mappa del campo che stavamo bonificando, con indicati i luoghi dove avevamo rinvenuto mine, e lo stato di avanzamento.
Dovevo compilare il ‘diario’ del giorno prima, prendere visione dello stato dei lavori delle altre due sottozone, firmare le solite scartoffie’
Mi venne in mente di chiedere a Tonini, o al sergente Gori, se anche a loro le donne’
Ripensavo al giorno prima, alla irruzione di Donata, a come si era data da fare, e poi anche alla foga ingorda di Filomena. Inutile, l’aspersorio, il mio logicamente, era già pronto per un’altra benedizione. Forse stimolato dall’azione di quel poderoso zabaione!
‘E’ permesso?’
Qualcuno era fuori la tenda.
‘Avanti.’
Entrò una donna. Gonna scura e camicetta bianca. Un volto allegro, sorridente, con capelli castani, occhi splendenti, una bella bocca rossa, carnosa’ ed era carnoso, a ben vedere, anche il resto.
‘Buon giorno, comanda’, ho portato la colazione.’
‘E tu chi sei?’
‘So Nica, comanda’, la moglie del vetturale, quello che vi ha fittato le ‘vetture’.’
Le ‘vetture’ sono i muli.
‘E lui dov’&egrave?’
‘E’ ito dal veterinario, a valle, co’ due bestie che je sembrano un po’ azzoppate.’
‘E come mai mi porti tu la colazione?’
‘Me l’ha data Donata. Ieri ve l’ha portata lei, no?’
‘Si.’
‘Me l’ha detto che l’avete ringraziata’ e come l’avete’ringraziata.’
Avevo messo il cestino sul tavolo, e stava di fronte a me, io seduto, con aria sbarazzina, le mani in grembo e un lieve ancheggiare.
‘Quanti anni hai. Avete figli, Nica?’
‘Ci ho trentadue anni, e due figli. Si, uno di dieci, che &egrave andato col padre, e la piccola di due che sta co’ la nonna.’
‘E tu sei qui!’
‘Se vede, no?’
‘Certo che si vede. Ma come mai sei venuta proprio tu a portarmi la colazione?’
‘Veramente voleva venì Filomena, ma Donata l’ha rimproverata, jé ha detto che te deve fa’ rifiata’. Filomena m’ha detto che a te piace l’odore della lavanda, vero?’
‘Si, ma cosa c’entra?’
‘Niente, &egrave che anche io uso la lavanda. Voi sentì?’
‘Veramente”
‘E senti, comanda’, senti”
Doveva essere un’abitudine del luogo alzare improvvisamente la gonna e sbattertela in faccia.
E quella brunetta intraprendente non era niente male. Aveva delle belle gambe, e un delizioso triangolino riccioluto tra le gambe.
‘Nica”
Non mi ascoltava, poggiò il sedere sul tavolino e divaricò le gambe.
Una bella ‘patana’, non c’&egrave che dire, ben disegnata, senza sfrangiature.
‘Che, comanda’, non ti piace’ assaggiala’ fa come hai fatto co’ Filomena. A me non l’ha fatto mai nessuno. M’ha detto che te la sei magnata tutta’.’
In effetti, l’aspersorio era bello e pronto per la benedizione, ma quella patatina scura, tra quelle cosce bianche’ E poi, s’era aperta la blusa. Due tette di sogno. Dove cominciare? Pensai che mi aveva chiaramente detto che preferiva conoscere l’ignoto.
Ero seduto sulla sedia, e così rimasi. Portai la testa tra le sue gambe. Era vero, odorava di lavanda, intensamente, ma quando la lingua incontrò le piccole labbra della sua rosea vagina, a quel profumo si aggiunse quello agreste di quanto andava stillando, e che aumentò al semplice titillare del clitoride. Non stava ferma, si dimenava sempre più. Temevo che da un momento all’altro il tavolino potesse rompersi. Prese la mia testa tra le sue mani, e la spinse sempre più verso lei, verso il suo sesso, fino a quando sembrò svenire, sconvolta com’era da un orgasmo improvviso e irrefrenabile.
Rimase così, riversa sul tavolo. Poi, lentamente, si tirò su, mi guardò, con tenerezza, quasi in estasi.
‘Sei proprio un santo del paradiso, comanda” ma chi t’ha mandato’ il Signore?’
Intanto, m’ero alzato in piedi, e avevo sbottonato i pantaloni, dai quali era balzato, vispo e prepotente, il mio ‘coso’ che reclamava la sua parte. Mi avvicinai a lei per’.
‘Aspetta un momento, comanda’, me voglio mette comoda.’
Senza dir nulla, si sdraiò per terra, alzò le gambe. Aprendole completamente. Mi tese le braccia.
‘Vie’, comanda’, vi&egrave da Nica tua, faje sentì l’aspersorio che te ritrovi, falla consola’.’
Mi inginocchiai, con le ginocchia sul suolo nudo, e portai il glande vicino al suo palpitante nido d’amore. Alzò il bacino, sostenendosi sugli avambracci, lo posizionò in modo tale che la potessi penetrare. Sentii una vagina eccezionalmente stretta, che cedeva lentamente a mano che il mio fallo entrava. Mi fermai un momento.
‘Tutto’ tutto’ me devi sfonna’!’
E proseguii, fin quanto ne poté accettare.
Allargai le gambe, quasi coi testicoli per terra, e fu lei a cominciare la più impetuosa delle sarabande, mungendomi deliziosamente. Stantuffavo senza posa’
‘Daje, amore, daje’ sei ‘na forza’ affonda’ affonda’ sì’ così’ così’ nun l’avevo mai provato’ ecco che vengo’ vengo’ vengoooooooooo!’
Sobbalzava freneticamente, me lo strinse furiosamente, dette un urlo’ cominciava appena a rilassarsi quando con una ulteriore più forte spinta dei reni, non scaricai in lei il contenuto’ dell’aspersorio!
‘Ahhhhhhhhhh, Pieri’, che Dio ti benedica, questa sì che &egrave benedizione!’
Quando Nica se ne andò, dopo una ulteriore ‘riscossione’, rimasi a sedere sulla sedia.
Ero realmente preoccupato.
Non potevo andare avanti così, proprio come un animale da monta. Inoltre, prima o poi qualche padre, marito, fratello, poteva scoprirmi’ Far credere che ero ‘saltato su una mina’ sarebbe stata la cosa più facile del mondo.
Mi proposi di smetterla, anche a costo di cambiare Zona.
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Si, smettere un cavolo. Filomena non attese neppure che i suoceri dormissero, e dopo una cavalcata epica, e aver riacquistato fiato, mi chiese, senza giri di parole, se era meglio ‘lei’, Donata o Nica!
Cacchio! C’era un vero e proprio clan di femmine in calore, in quel borgo, e si scambiavano confidenze senza alcuna reticenza.
Cercai di celare la sorpresa, tentai di evadere la domanda perché, pensai, se sono così legate tra loro questa domani va a dire che lei &egrave la ‘meglio’. Se ciò significava che le altre due mi avrebbero voltato le spalle, poco male, ma se, invece, mi avessero voluto provare l’errore della mia valutazione, io come avrei fatto? Altro che gli ‘zabaglioni’ di Donata!!
Carezzandola, e con dolcezza, e soprattutto con tono mellifluo, ipocritamente carezzevole, le dissi che sarebbe stato bene non parlare con le altre di quanto avveniva fra noi.
‘No, Pieri’, no. Quando ce la grazia de Dio tutti ne devono gode’. Quando ci ricapita uno giovane, istruito, de città, insomma un ‘signore’ come te!’
‘Non sei un po’ gelosa?’
‘Tu sei un sole, e uno non &egrave geloso se il sole scalda anche gli altri.’
‘D’accordo, ma posso ritenere che non riceverò’ altre visite?’
‘No, qualche altra ci sarà di sicuro. Vie’ qua’ rifacciamolo’ cercherò di dire che non si devono affolla’, insomma, ce sarà un turno!’
Ma lei non attese il turno, visto che c’era e accertatasi della disponibilità dell’aspersorio, pretese una benedizione solenne.
Io sono rimasto diciotto mesi in quel borgo. Diciotto mesi, con pochi giorni di licenza.
Non &egrave presunzione, ma non so assolutamente quante ‘patane’ dovetti benedire. E nessuna mi ha deluso. Sembravano tutte infoiate, come se non fossero state con un maschio chissà da quanto. Per qualcuna era vero, ma le altre!
Di Caterina, però, non mi dimenticherò mai.
L’avevo già vista, in uno dei gruppi di donne che sempre parlottavano. Era sicuramente la più giovane, carina, bionda come le spighe del grano, con un personalino aggraziato, ed era una delle poche che portava dei vestiti interi, non gonna e blusa. Le forme del suo seno e del sederino erano veramente attraenti, nella loro freschezza, e quando venne nella capanna che avevamo costruito a Lecina, nello spiazzo a metà del declivio boscoso, in sostituzione della tenda, con tanto di porta e chiave, mi sorprese vederla. Non attendevo colazione, la mattina Donata mi aveva dato un piccola ‘manteca’ e una bella fetta di pane. A me quelle ‘manteche’ piacciono molto: l’involucro &egrave di caciocavallo fresco, e l’interno &egrave composto di una palla di burro poco salato.
Ne avevo già mangiato metà, quando Caterina bussò leggermente alla porta. Dissi di entrare.
‘Buon giorno, vi ho portato da bere, vino fresco, nel coccio”
Era un po’ accaldata, o era un rossore dovuto a qualcosa d’altro.
‘Entra, entra, ti chiami Caterina, vero?’
Annuì.
Entro, mi porse il recipiente. C’era un bicchiere sul tavolino, ne versai un po’ e glielo porsi.
‘No, non posso bere.’
‘Solo un sorso, alla salute.’
Prese il bicchiere, lo portò alle belle labbra, fece un piccolo sorso, me lo restituì.’
‘Adesso bevo io, dove hai bevuto tu e così vengo a sapere i tuoi pensieri.’
Bevvi, era fresco e gradevole.
‘Vi piace?’
‘E’ buonissimo’ come te.’
Il rossore del volto aumentò.
‘Allora’. Io me ne posso andare”
‘Cos’ di fretta?’
Alzò le spalle.
‘Vieni qui, Caterina, dammi la mano.’
Mi tese la mano. Bianca sottile, curata.
La guardai.
‘Hai una bella mano’ ma tu non lavori’.’
‘No, la terra no. Io ricamo e mando quello che faccio a uno che la porta in città. Coi soldi che ricavo compro il corredo.’
‘Sei fidanzata?’
‘Ancora no.’
‘Quanti anni hai, sei giovanissima.’
‘Il mese prossimo so’ diciannove.’
Gliene davo di meno. Era un tipo fine, elegante. E molto attraente.
Fu spontaneo tirarla piano per la mano, avvicinarla a me che ero rimasto seduto, e farla sedere sulle mie gambe.
Non so se se lo aspettava, ma non disse niente, come se tutto ciò fosse naturale.
‘Sei veramente bella, Caterina.’
‘Grazie’ anche voi, però”
Le carezzai il volto. Mi guardava con certi occhioni. Scesi lentamente al collo, più giù, sul seno. Incontrai una tettina meravigliosa, piccola, soda, con un capezzolino che sentii irrigidirsi non appena sfiorato.
Mi guardò ancora.
‘Che stai a fa’?’
Era passata dal ‘voi’ al ‘tu’. Lo presi come un incoraggiamento. Avvicinai le mie labbra alle sue. Erano calde, morbide, ma le teneva strette. Insistetti con la lingua, finché si dischiusero, e sentii il calore della sua boccia, il velluto della sua piccola lingua che si muoveva appena.
La mano, intanto, s’era intrufolata sotto la gonna, era salita lungo le cosce vellutate, ed aveva incontrato un sottile prato di seta che, visti i capelli, doveva avere il colore dell’oro antico.
Mi guardava, tra l’ intimorita e il desiderio di conoscere cosa altro avrei fatto.
Sentii il suo delizioso culetto che si muoveva.
‘Ste donne, pensai, tutte senza mutande!
La mano sentì il lieve dischiudersi delle gambe e le dita si infilarono dolcemente tra le grandi labbra, sfiorarono il piccolo clitoride, lambirono l’umido della vagina.
Caterina mi guardò, spaventata.
‘Fermete, comanda” so’ vergine”
‘Non ti preoccupare’ ti carezzi, tu, no?’
Annuì nervosamente.
‘Adesso ti accarezzo io, così, piano piano’ ti faccio male?’
Scosse la testa, e si distese un po’, allargando ancor più le gambe.
Proseguii con attenzione e delicatezza, solo sfiorando l’interno della vagina e insistendo sul clitoride. Fu certamente il più ‘tenero’ carezzamento della mia vita, ma l’effetto fu stupefacente. Caterina si agitava, sobbalzava, mugolava, girava la testa a destra e manca, fin quando strinse le gambe si portò le mani in grembo, e mi baciò freneticamente sulla bocca.
Ero eccitatissimo.
Non so quali racconti aveva ascoltato dalle grandi, ma decisi che dovevo’ omaggiarla ancora’
La deposi delicatamente col sedere sul tavolino, il vestito alzato, lei si poggiò sulle mani, certo capendo le mie intenzioni, e la mia lingua prese il posto delle dita, la baciò, la lambì, entrò un po’ in lei, ne uscì’ piccoli morsi alle grandi labbra e’ pensiero del momento, un dito tra le belle natiche, lungo il perineo umido, fino a sentire il palpitare del suo buchetto’ ebbe ancora un lungo sconvolgente orgasmo’
Il ‘buchetto’!
Fu come un lampo che attraversò la mente.
‘Scendi giù, Caterina, poggiati con le braccia sul tavolino”
Mi guardò, sorpresa, ma la mia espressione dovette convincerla. Eseguì.
Quelle splendide natiche, che dilatai, mostrarono la peluria dorata del suo sesso, e il bocciolo rosa del suo sederino.
Avevo sbottonato i pantaloni, che erano caduti per terra, e me ne ero liberato.
Il fallo fremeva, lo avvicinai tra le sue chiappe.
Voltò la testa di scatto.
‘So’ vergine’ so’ vergine’ me devo sposa”’
‘Non preoccuparti, abbi fiducia’.’
Mi guardai in giro’ Il burro della manteca’ ne presi un pezzo, col dito, e lo sparsi intorno al ‘buchetto’, col dito, così unto, provai ad entrarvi, palpitava’. Cedeva. Ancora un po’ di burro e’ poi lui’ era strettissimo non sarebbe mai entrato, ma io non ce la facevo più, ‘dovevo’ penetrare in lei’
‘Premiti, Cateri”premiti’ per favore’ se no c’&egrave pericolo che scivola di colpo nella ‘patana” premiti”
Forse quel ‘pericolo’ l’atterrì, perché sentii che si schiudeva, piano piano, e il mio fallo entrava gagliardo e vittorioso. Tutto, fin quando i testicoli batterono sulle natiche.
Aveva emesso solo un lieve lamento.
Mi fermai, afferrai le tette, poi lasciai una mano a tormentarle e l’altra andò a frugarla tra le gambe.
Cominciai un lento ma incalzante stantuffare.
Ad ogni colpo sentivo il suo ‘ah.. ah’, ma non mi sembrava di dolore. Non lo era, infatti, perché cominciò a dimenarsi a gemere, e quando esplosi in lei il seme così a lungo trattenuto, mugolò di piacere, e senza voltarsi mi gridò che ‘stava a venì come ‘na maiala’!
Quando la tensione scemò, sgusciai da lei, La voltai la baciai.
Le detti il tovagliolo che era sul tavolo.
‘Asciugati bene, sta attenta che il liquido non vada nella ‘patana’.’
Prese il tovagliolo e lo premette tra le natiche, forte.
Mi guardò con aria incantata, come in trance.
‘Non &egrave che posso rimanere ‘prena’?’
‘Non per questo bambina mia, non per questo.’
‘Non pensavo che me potesse piace’ così anche così. Ora devo proprio andà via. Te lo faccio ave’ il tovagliolo.’
‘Non ti preoccupà.’
La baciai ancora, l’accompagnai sulla porta.
‘Che fa’, comanda’, posso ritorna n’antra volta?
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