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Racconti Erotici Etero

Estremo Oriente. 1) La prima volta di Hiroshi

By 24 Novembre 2006Dicembre 16th, 2019No Comments

&egrave difficile, per me, nato e cresciuto tra gli agi della capitale del regno, libero dal bisogno, allevato nel culto dell’onore e del rispetto degli antenati e dell’autorità, accingermi a raccontare la mia vergogna, il mio fallimento come nobile. &egrave difficile raccontare la storia della mia passione, per me, uomo cresciuto tra gli agi e la morale della capitale del regno. Ma sento che, se non raccontassi la mia storia, sarebbe infinitamente peggio. Nascondere al mondo quello che ho provato, unica volta nella mia vita, per una donna, sarebbe un delitto ancora maggiore di quello che ho perpetrato nei confronti della mia famiglia, e dello Shogun.

Nacqui come Hiroshi Kumamasu, figlio unico ed erede del nome e della fortuna di Takeshi Kumamasu, fedele alfiere dello Shogun Ieyasu Tokugawa, colui che riportò la pace nel regno, dopo l’era dei regni combattenti, il periodo Sengoku. Ieyasu era un uomo duro, severo, intransigente, calcolatore. Era anche un uomo dotato d’intelligenza superiore, ed intuito politico eccelso. Sapeva circondarsi di alfieri fedeli, devoti, immancabilmente convinti che il loro signore fosse nel giusto, e che il suo destino si sarebbe compiuto inesorabilmente. Colui che divenne Shogun sapeva ricompensare la fedeltà, quella appena acquistata e quella sempre presente, e mio padre Takeshi era tra quelli che da sempre gli erano stati fedeli. Figlio cadetto di un signore di campagna, mio padre abbandonò presto il focolare domestico ed il suo fratello maggiore per intraprendere la carriera di samurai, al servizio del signore Tokugawa, nel periodo in cui quest’ultimo era soltanto uno dei vassalli di Hydeioshi Toyotomi, il dominatore della parte finale del periodo Sengoku. Takeshi dimostrò ben presto una notevole abilità con le armi, ed un certo acume tattico lo pose alla svelta in una posizione di comando nell’esercito privato di Ieyasu. Quest’ultimo lo ricompensò con un vasto possedimento, che si accrebbe di molto quando la famiglia Tokugawa arrivò al potere supremo.
Da parte mia, nacqui nel secondo anno del regno di Tokugawa, primo figlio di quella che mio padre sperava sarebbe stata una lunga serie di rampolli. All’età di quattro anni, fui inviato nella città di Edo, la capitale, alla corte dell’imperatore (una figura di paglia, completamente succube dello Shogun), per esservi educato alla vita ed alle armi. Trascorsi un’infanzia felice e spensierata, imparando bene il mestiere della spada, con più difficoltà il mestiere dei libri. Non appena entrai nella fase della maturità, il mio istitutore mi fece conoscere la mia prima donna, Aruko, una prostituta di alto bordo, una di quelle, per così dire, addette alla fioritura dei giovani nobili del regno. Era bella, Aruko, lo ricordo bene. Bella come lo può essere una donna matura, esperta, consapevole del proprio fascino e del proprio ruolo nel mondo e nella corte, una bellezza incantevole agli occhi di un adolescente smanioso quale io ero.
Ricordo bene, la mia prima esperienza con Aruko. Il mio istitutore mi aveva portato in una parte di Edo che non avevo mai visto, un quartiere un po’ discosto dal resto della città, situato dietro il palazzo imperiale, un posto discreto, dalle luci morbide, poco rumore, poca gente in strada. Io conoscevo bene il motivo di quella uscita con il mio insegnante, per questo mi ero aspettato di trovarmi nel più rumoroso quartiere dei piaceri, con la sua fiumana di gente, le luci forti e volgari, i richiami delle puttane dai balconi, l’odore di sesso, latrina, fumo e cibo che quel posto possedeva. Conoscevo il quartiere dei piaceri di Edo, lo avevo attraversato spesso con i miei compagni, mentre ci recavamo da qualche altro parte. Lo attraversavamo, ma non ci fermavamo mai. Forse per questo mi aspettavo una visita lì, per la mia prima volta. Fermarsi, finalmente, in un quartiere malfamato, libero di fare quello che avevo sempre sognato, assaporare il gusto di peccato che emanava dalle pareti dei bordelli… Diavolo, questo mi aspettavo! La mia sorpresa, nello scoprire che eravamo invece nella parte opposta della città, mi si dipinse sul volto. Mi domandavo ora lo scopo di quella uscita del tardo pomeriggio, vestito con i miei abiti migliori, profumato, elegante, eccitato. Il mio istitutore dovette leggermi il disappunto sul volto, perch&egrave lo vidi sorridere per un momento, prima di tornare serio. Ci fermammo davanti ad un edificio piuttosto grande, dalle pareti di pietra al primo piano, mentre gli altri due erano fatti di legno. Notai le porte e le finestre ben curate, le finiture della casa effettuate a regola d’arte, la luce debole e discreta che proveniva dalle finestre socchiuse ai piani superiori. Il mio istitutore mi fece entrare, scostando la porta scorrevole all’ingresso, fermandosi poi a suonare un campanello posto nella zona dove ci si deve togliere i calzari. Al suono tintinnante, ci apparve una donna ben vestita, piuttosto anziana, truccata come una delle geishe del palazzo, quel trucco pesante e innaturale che, personalmente, ho sempre trovato sgradevole. Pur coperto da quel cerone, intuii che il volto al di sotto era bello, o almeno lo era stato in gioventù, e la sua figura suggeriva una snella graziosità che avvalorava la mia ipotesi. Vidi che salutava il mio istitutore con calore, come se fossero vecchi amici, poi ci fece accomodare, scostando una porta in carta di riso, in una stanza elegante e sobria, calda e confortevole, con cuscini per sedersi ed un tavolo su cui erano posati dolcetti di riso, una bottiglia di sak&egrave, e l’occorrente per la cerimonia del t&egrave. Mi disse di chiamarsi Shizue, e mi informò che era desiderio dell’imperatore che il suo giovane protetto, cio&egrave io, celebrasse l’inizio della sua virilità quella sera. Allora era una casa di piacere! Il cuore prese a battermi forte, sebbene cercassi di non mostrare la mia eccitazione, celandola dietro una maschera composta che, credo, non ingannò nessuno. Ascoltai solo a metà le raccomandazioni di Shizue e del mio istitutore, perso in pensieri confusi ed umidicci, ma ascoltai quel tanto che bastava per capire che dovevo stare rilassato e lasciare che la mia donna mi insegnasse come darle piacere, e riceverne. Mi accennarono al fatto che avrei potuto passare la notte lì, se lo avessi desiderato, poi Shizue suonò un piccolo gong e, di lì a poco, vidi scendere le scale ed attendere composte a capo chino cinque donne, vestite con kimono di colori vivaci, uno rosso, uno blu, uno verde, uno giallo, uno nero con disegni argentati. Portavano i capelli raccolti in crocchie elaborate, le unghie lunghe e dipinte col colore dei loro vestiti, un trucco leggero e delicato che metteva in risalto i loro lineamenti naturali. Quella col kimono giallo colpì la mia attenzione, essendo in realtà quella oggettivamente meno graziosa. Era la più piccola, con un viso decisamente gradevole e comune quanto le altre lo possedevano straordinariamente bello. Quello che più mi colpì furono i lunghi, morbidi, setosi capelli che erano raccolti e fissati con pettini eleganti, e due fossette sulle guance che si approfondirono quando mi sorrise, presentandosi come Aruko. La scelta della mia prima donna fu fulminea, e per gli altri presenti nella stanza piuttosto sconcertante. Credo che il mio istitutore si aspettasse che scegliessi quella col kimono blu, la quale somigliava molto, nella sua bellezza, alla figliola del nobile Kawagame, che io consideravo la donna più bella di Edo. La ragazza con il kimono blu le somigliava molto, e per certi versi era ancora più bella: più alta, formosa, aggraziata, con quel portamento naturale e seduttivo che solo l’esperienza e gli anni portano in dono, a ricompensa della bellezza giovanile che scema. Invece io scelsi Aruko proprio perch&egrave era la meno bella, la più piccina, quella dalle forme meno accentuate. Oh, era bella, molto bella, su questo non c’erano dubbi, ma la sua bellezza era soverchiata da un fascino e un’aura di promessa che le altre non avevano, né avrebbero forse mai avuto.
Ci spostammo entrambi al piano superiore, in una stanza da letto calda ed accogliente, un futon steso sul pavimento di giunchi, coperte riccamente decorate con motivi di fiori ed uccelli. Un basso scrittoio era posto addosso alla finestra, per far entrare la luce del giorno, mentre un paravento di carta di riso permetteva alla donna di spogliarsi e lavarsi, utilizzando un catino d’acqua posto lì di fianco. Notai che c’erano altri dolcetti, e cibi di vario genere, su di una altro basso tavolo, ed acqua.
“Stanotte imparerai a dare molto piacere ad una donna, Hiroshi”, mi disse Aruko, con la sua calda voce sensuale. Si muoveva nella stanza con grazia leggera, aggiustando qualcosa qua, cercando altro dietro il paravento, sistemando un vassoio là. “Ho molta voglia di far provare piacere a te, Aruko”, risposi io, un poco intimidito dalla situazione.
“Oh, lo farai, Hiroshi, lo farai. E nel contempo imparerai le meravigliose vie del piacere, e del desiderio. Scoprirai che l’accoppiamento &egrave un fatto mentale, prima ancora che fisico. Anzi, la tua prima lezione l’hai avuta poco fa”.
“Quando ti ho scelta?”, chiesi io. Cominciavo a comprendere, e la cosa mi faceva piacere. Sembrò farlo anche alla mia maestra, perch&egrave sorrise, annuendo. “Infatti”, mi disse. “Il motivo per cui sei qui, e non in un bordello da pochi yen al quartiere del Piacere non risiede nel semplice fatto che sei un nobile. Sta nel fatto che la tua educazione non sarà mai completa senza sapere COME dare piacere ad una donna, e soprattutto non sarà mai completa se non imparerai a capire IL MECCANISMO dietro al sesso. Solo così non sarai preda del tuo uccello, quando dovrai scegliere. Fidati, tesoro, il più delle volte gli uomini si fanno guidare dal loro cazzo, nella vita, soprattutto in quella politica. Una geisha scaltra lo sa, e ne approfitta. Ecco perch&egrave sei qui.”. Annuii, compunto. Di colpo mi sembrò di stare a lezione di letteratura, non in una casa di piacere….
“Perché hai scelto me?”, volle sapere Aruko.
“Non so… quando vi ho viste, tutte e cinque, mi siete sembrate tutte bellissime. Tu però avevi qualcosa di diverso, anche se non so come spiegarlo”, risposi, non conoscendo la potenza del fascino, e della grazia di una donna consapevole. Aruko mi sorrise di nuovo. &egrave molto più bella quando sorride, pensai. Si inginocchiò accanto a me, carezzandomi il viso, e mi disse: “Qualcosa di diverso, eh? E cosa, in particolare?”.
“Mh…. non sapevo definirlo, in quel momento. A dire la verità, il mio uccello mi faceva male da quanto era duro. Stavo per scegliere la ragazza col kimono blu, sai? Però poi ho visto i tuoi occhi. Hai dei begli occhi, ed un bel sorriso. Ma, se devo dire quello che di te mi ha colpito, &egrave stato l’atteggiamento. Dei, le altre sono donne incantevoli, bellissime. Tu sei la più piccola, forse tra tutte la meno bella, e sono sicuro che lo sai anche tu”. Lei fece un cenno d’assenso con la testa, con aria soddisfatta. Mi trovai a pensare che era strano, ma continuai: “Tu però sei quella che si comporta in maniera più…come dire… sensuale. Almeno per me. Non so, Aruko, da te emana un’aria che mi fa pensare a quanto piacevole possa essere la tua compagnia, oltre che il tuo corpo. &egrave qualcosa di più, e di diverso, dall’attrazione fisica, per quanto io ti trovi molto bella e desiderabile”.
“Ah, Hiroshi, ottima risposta!”, annuì lei. “hai capito anche per quale motivo non solo tu abbia scelto me, ma il motivo per cui hai AVUTO una scelta. Complimenti!”. Sorrisi in risposta al suo sorriso, poi la vidi avvicinarsi a me, carezzarmi le guance appena spruzzate da una barba rada, poi le sue labbra furono sul mio orecchio. “prima lezione”, sussurrò, “Scegli la donna con cui vuoi stare, sempre con la testa, non con l’uccello. Se scegli bene, se non ti fermi solo all’aspetto fisico, dimostrerai alla tua favorita ed al mondo intero che non sei un uomo che si possa manipolare facilmente. Seconda lezione, giovanotto: per quanto la donna possa essere affascinante, non darle più considerazione del necessario. Non farne la tua confidente, mai….”. La sua voce si faceva via via più roca, il suo alito sapeva di rosa, le sue labbra sfioravano i miei lobi, provocandomi fremiti in tutto il corpo. “Terza lezione”, mi alitò nell’orecchio, “Impara a far godere una donna, soddisfala al punto che non si cerchi mai altri uomini, uomini che possano crearti problemi”. Prese il mio lobo tra i denti, mordicchiando e succhiando alternativamente, mandandomi scosse che partivano dall’orecchio e finivano nei miei lombi, facendo di nuovo rizzare il mio membro, che tirava la mia biancheria. Aruko aveva preso a carezzarmi il torace, spostando le falde del mio kimono, giocando con i radi peli del petto, facendo poi scivolare la stoffa dalle mie spalle. Rimasi a petto nudo di fronte a lei, col kimono appena sorretto dalla cintura che si porta alla vita, assaporando le labbra di Aruko con le mie, infilando per la prima volta la lingua nella bocca di una donna. Fu un bacio vero, languido e sensuale, con lei che frenava la mia impazienza, mentre mi carezzava il petto descrivendo piccoli cerchi sui miei capezzoli. Il piacere saliva, e continuò a salire quando la sua bocca scese a leccare i punti dove prima aveva passato le dita, lasciando scie infuocate di saliva, un umidore che si appiccicò alla mia pelle. Le sue mani armeggiarono un po’ con la cintura del kimono, poi la sciolsero, facendomi rimanere con il solo perizoma davanti a quella prostituta così affascinante. Toccò il mio pene con delicatezza, da sopra il tessuto, mandandomi lampi di piacere fin su negli occhi, che chiusi per godermi a pieno il massaggio. Era lenta, Aruko, lenta e metodica nel carezzare, stimolare, assaggiare. Mi tolse il perizoma dopo un tempo che mi parve infinito, poi fece scorrere la mano lungo l’asta, con delicatezza quasi irritante. Sorrise, commentando le mie dimensioni, soprattutto la circonferenza del mio pene, poi baciò la punta, e passò la lingua lungo tutto il membro, inumidendolo. Sentii che stavo per eiaculare, e lei pure se ne accorse, perch&egrave si rialzò, dicendo: “E’ troppo presto, Hiroshi, troppo presto”. Si alzò e, tendendomi la mano, mi fece alzare con lei. Con la sua voce roca ed intrigante, mi disse: “Ora impara a spogliare una donna, tesoro. &egrave un’arte, sai? Devi lavorare sulle vesti e gli accessori della donna come se dovessi scoprirla ogni giorno, non importa quanto tu l’abbia posseduta in passato. Ora te lo insegnerò”.
Per prima cosa, mi disse di spogliarla lentamente, partendo dai piedi. “Lascia per ultima la parte della donna che ti piace di più. Avrai più gusto, nel toglierle i veli, e l’attesa aumenterà il piacere di lei”. Obbedii, e cominciai a toglierle i sandali, scoprendole i piccoli piedi delicati. Come mi chiese, baciai ogni singolo dito, dai mignoli agli alluci, poi d’istinto baciai il collo del suo piede destro, carezzandole la pianta. Notai un tremito della sua gamba e sentii un sospiro incoraggiante. Ero chinato, così con la testa mi infilai sotto il suo bel kimono giallo, alla ricerca delle sue cosce. Cercai di essere attento, e non precipitoso, quindi cominciai carezzandole una caviglia, risalendo pian piano lungo il polpaccio delicato, assaporando la sua pelle setosa, avvertendo l’odore che proveniva dal suo sesso, che cominciò a farsi più pungente. La sentii incoraggiarmi, dirmi che ero bravo, ma la sua voce giungeva ovattata dalla stoffa pesante dell’abito, così non ci feci caso. Mi concentrai ancora di più, mentre con le labbra e con la lingua assaporavo ogni pollice della sua pelle ambrata. Aveva delle gambe lunghe, riflettei, per essere una donna piuttosto minuta. O forse ero io che, cercando di imitare il suo lavorio metodico, avevo falsato la mia percezione. Arrivai all’attaccatura della gamba, alla fine. La sua biancheria emanava un odore di lavanda che si confondeva con quello della sua vagina. Avvertii che inarcava il busto, per invitarmi a posare le mie labbra sul suo sesso. Sorrisi e mentalmente scossi la testa. La lezione me l’hai data tu, pensai. Quindi passai a baciare e leccare l’altra coscia, lasciando il sesso di lei a grondare di umori, il suo bacino a protendersi invano. Scostai anche la sua mano che cercava di spingere la mia testa di nuovo sul suo sesso, e scesi lento e metodico ad assaporare l’altra gamba, mentre le carezzavo l’interno delle cosce. Quando fui alla caviglia, le mordicchiai il collo del piede, strappandole un gridolino di sorpresa, poi tirai fuori la testa e le chiesi, sorridendo: “Così va bene, Aruko?”. Lei sorrise, soddisfatta dalla mia velocità nell’imparare. “Sì, va molto bene, tesoro. Impari in fretta. Hai già capito che lasciare la donna sull’orlo del piacere &egrave una dolce, dolce tortura che farà arrivare a vette immense l’orgasmo. Bravo. Ora continua, ti prego”. Incitato dalla sua soddisfazione (vera o finta che fosse, non mi importava niente), mi alzai, slacciandole la cintura del kimono, quel kimono giallo come la lussuria, brillante come i succhi che provenivano dal sesso di lei. La slacciai piano, con la mano sinistra, mentre con la destra saggiai la consistenza dei seni, piccoli, ben formati, dai capezzoli pronunciati e sensibili. Aruko gemette quando strinsi il capezzolo tra le dita, imprimendo una leggera rotazione. Il kimono cadde a terra, e subito dopo le mutande, mostrando il suo corpo alla luce della piccola lampada discreta e calda, e ciò che vidi mi piacque. Dire che era bella non le faceva giustizia. Aruko era una donna sensuale, intrigante, invitante, morbida e calda. La sua bellezza di donna fatta e consapevole era il risultato di natura ed esperienza, di valorizzazione e portamento innato. Oh, cielo, mi guardava col suo sguardo languido, mostrandomi i suoi piccoli seni sodi, il suo ventre morbido e le cosce setose, facendomi intuire le sue natiche tonde e polpose. Il suo sesso era accuratamente sfoltito, una striscia di peli morbidi, neri e lisci le copriva le grandi labbra, rivestendo un sesso gonfio ed invitante. Notai di sfuggita che il suo ventre aveva piccole ma insistenti smagliature, forse il segno di una gravidanza. Era una donna vera, femmina e madre, geisha e maestra. La mia Aruko, con il suo viso gradevole, i begli occhi a mandorla che si aprivano sul mondo mostrando il loro colore nocciola, le ciglia lunghe, il naso classicamente perfetto, le labbra piene e rosse come il sangue. Mi piaceva da morire, la mia prima donna. Accostai di nuovo la mano sui suoi seni, tremando leggermente. Presi a torturare i capezzoli, strappandole gemiti e sospiri di piacere, e sorrisi di approvazione. Spinto dal suo piacere, carezzai e presi il seno intero, premendolo con forza, fin troppa. Tanto che lei mi chiese di frenare la mia irruenza. Calmatomi, poggiai le labbra sul suo capezzolo, non sapendo bene cosa avrei dovuto farci, di preciso. In quel momento sapevo solo che sentivo una gran voglia di poppare, come un lattante. Aruko vide la mia indecisione, e mi disse di succhiare, come un bimbo, mentre con una mano potevo carezzarle l’altro seno. Così feci, succhiando e poppando. Poi l’istinto prese il sopravvento, credo, perch&egrave mi trovai a leccare la sua mammella, sentendo che il capezzolo si inturgidiva sotto le mie labbra, aumentando la mia già vistosa eccitazione. Aruko sembrava gradire, a giudicare dai suoi lamenti, così presi coraggio e mordicchiai leggermente quel bottoncino turgido e svettante, sentendolo tendersi ancora. Quando staccai la bocca, notai distratto il segno leggero dei miei denti, e la saliva che le avevano spalmato sul seno. Aruko, con gli occhi socchiusi, senza dire niente mi prese la testa e mi guidò sull’altro seno, invitandomi di fatto a ripetere le stesse operazioni. Questa volta, volli provare da solo, così con la lingua disegnai cerchi e curve intorno all’areola, indugiai sul capezzolo con la lingua, quasi a saggiarne la resistenza. Notai che la mia Aruko aveva cominciato a muovere il bacino con una certa insistenza e, con la mano libera, si stava carezzando il sesso. Staccai di nuovo la mia bocca e, guardandola, cominciai a baciarla lungo tutto il busto come lei aveva fatto con me. Scesi fino all’ombelico che, come scoprii dalle spiegazioni sussurrate e roche di Aruko, se accuratamente stimolato produce un piacere molto intenso, in parecchie donne (tra le quali lei, mi disse mezzo ridacchiando), poi affondai la testa in mezzo alle sue gambe, di nuovo in ginocchio. Seguii le sue indicazioni, notando che era più calma ora, di certo a causa dei miei maldestri tentativi col suo sesso. Comunque fosse, Aruko mi guidò alla scoperta del suo sesso, invitandomi a scostare le labbra, e ad infilare la lingua dentro la sua vagina. Annusai il suo odore di femmina eccitata che permaneva sui morbidi (Oh, non immaginavo nemmeno quanto lo fossero!) peli pubici, con la lingua assaggiai il succo della sua eccitazione che stava tornando a salire. Istintivamente, così come prima avevo deciso di torturarla, stavolta decisi che l’avrei fatta gridare. Lei da un po’ si era zittita, abbandonando le sue istruzioni per riprendere i suoi lamenti, così da solo trovai il piccolo clitoride eretto e pulsante, gonfio per l’eccitazione. Con la punta dell’indice lo sfiorai, guardandolo muoversi al mio tocco. Il tremito che prese Aruko mi disse che la cosa le piaceva molto, forse fin troppo. Mi avevano accennato che alcune volte un piacere troppo intenso può provocare fastidio, e quello mi sembrava il caso. Così lasciai perdere il dito, e baciai il piccolo nodulo del piacere. Stavolta il tremito fu del tutto positivo, perch&egrave fu accompagnato da un gridolino di Aruko, che mi incitò a leccarle il clitoride. Obbedii, prontamente. Lo leccai con amore infinito, col naso affondato nell’odore animale del suo sesso, ascoltando con la pelle i tremiti delle sue gambe, immaginando con le mie orecchie la sua espressione che si contorceva, mentre le sue mani mi avevano preso la testa, e lei gridava: “OH, sì, Hiroshi, sììììì, continua, mi stai facendo godere, Oooooohhhh”. Seppi che aveva raggiunto il culmine del piacere quando la mano destra, che era rimasta un po’ più in basso, ricevette un getto copioso di liquido, e notai che il suo tremore andava scemando, fino a calmarsi del tutto. Solo quando si fu calmata, mi alzai, ed osservai il suo volto affannato. Gli unici rumori nella stanza erano ora quelli prodotti dal suo respiro che si regolarizzava. Mi carezzò, sorridendomi, con lo sguardo fiero di quel suo allievo così dotato. “Hai talento per il Piacere, Hiroshi. Hai capito da solo anche un’altra lezione: la tortura &egrave dolce finch&egrave dura poco. Quando si arriva al punto in cui eri arrivato tu, bisogna sempre finire. Altrimenti, la donna resta insoddisfatta, e l’irritazione che questo provoca può pregiudicarne il piacere anche dopo. E come hai ben capito, se la tua compagna non gode, si cerca un amante più capace… al quale può anche raccontare i tuoi segreti”. Il complimento mi fece piacere, anche se non avevo pensato a tutte quelle implicazioni. Con la mente mi vedevo soddisfare la mia geisha, o mia moglie, in ogni possibile modo, e pensavo che quello fosse appropriato. Aruko, comunque, aveva ragione da vendere. Il dovere però non era concluso. La mia maestra non era ancora del tutto nuda. Mancava la parte che più mi attirava di lei. Mi accostai ancora di più, carezzandole il viso, baciandole le labbra, morbide e carnose. Poi, con lentezza e rispetto infinito, le tolsi uno dei pettini che le reggevano l’acconciatura. Lo posai con reverenza sul tavolino, poi tolsi gli ultimi due, posandoli nella stessa maniera. Quando tolsi lo spillone che fermava il tutto, sfilandolo con delicatezza, la massa dei suoi lunghissimi capelli scivolò verso il basso, mostrando una chioma meravigliosa, perfetta. I capelli erano lunghi fino alle caviglie, morbidi e lisci come velluto, neri e lucidi come il peccato, odorosi di sapone, e di lavanda. Le baciai la testa, sfiorando con la mano libera la sua criniera, poi mi voltai e posai lo spillone, come un oggetto sacro.
“Era questa la parte che più desideravi vedere, mio signore?”, chiese lei divertita.
“Oh, sì. Scoprire quanto sei bella, e sensuale, con i capelli sciolti, &egrave stata la cosa più eccitante capitata finora. Aruko, ti voglio da morire”, implorai.
“Oh, no, Hiroshi. Ricorda che non devi mai implorare una donna. Prendimi per mano e portami al futon. Ora &egrave arrivato il momento che tu mi possieda. Stenditi, tesoro, adesso lascia che la tua Aruko ti insegni le vie dell’amore…”.
Obbedii, di nuovo soggiogato dai suoi modi, e dall’eccitazione che mi prendeva prepotentemente posto nel cervello. Quando fui supino, sul futon profumato e pulito, la donna si stese su di me, facendomi assaporare il contatto del mio corpo contro il suo, la massa dei suoi capelli corvini come una coperta su di noi. Mi cercò di nuovo la bocca in un bacio languido e lento, mentre con la mano destra scese a toccarmi il pene. Il suo movimento in su e giù stava finendo il lavoro che la vista ed il contatto col suo corpo avevano iniziato. Si scostò leggermente, piegando le gambe, e nel movimento mi baciò i capezzoli, facendomi provare una scossa lungo tutto il corpo. Desiderai che quel suo bacio non finisse mai, lo ricordo bene. D’un tratto, si alzò, e si posizionò sul mio membro pulsante e pronto, facendo aderire l’entrata della sua vagina umida alla punta del mio pene.
“Ora….”, sussurrò.
“Ora, Aruko”, risposi io, la voce strozzata. La vidi scivolare verso il basso, penetrandosi dolcemente, mordicchiandosi le labbra in un’espressione di piacere che mi resterà impressa fino alla fine dei miei giorni ingloriosi. Scese sempre più in basso, in basso fino a toccare il mio ventre. Ero dentro di lei! Ero dentro Aruko, e cielo, come era caldo, avvolgente, umido quel posto così sognato! Sentivo che era il posto naturale per mettere il mio pene, il fodero fatto apposta per me. Nella mia ingenuità pensai che solo Aruko avrebbe potuto contenermi in modo così perfetto, e questo diede ulteriore spinta alla mia passione. Cominciai a muovere il bacino in modo disordinato, ma lei mi fermò, portandomi una mano sul petto. “Hiroshi, fermo. Se vuoi che ti insegni, stai calmo. Ora, lascia fare a me”. Annuii, cercando di forzarmi a non muovermi, ed attesi che Aruko facesse qualcosa. Per un certo periodo non si mosse, ma mi guardò sorridendomi con quelle adorabili fossettine. Mi attendevo che la mia eccitazione scemasse, ma al contrario mi trovai ancora più indurito. Aruko stava contraendo i muscoli vaginali, strizzandomi il membro per mantenerlo in erezione. Mi torturava un po’, come mi spiegò, per farmi capire che il sesso &egrave una questione ben più complicata della semplice meccanica. Io capivo, ma non ce la facevo più. Dovevo muovermi, e stavo per riprendere le mie spinte, quando fu lei a muoversi, dondolando sul mio pene, con movimenti circolari, spinte verticali, disegnando figure col suo bacino. Oh, sì era bello, bello! Il suo sesso scivolava, bagnandosi sempre di più, mentre mi procurava un piacere infinito, portandomi sull’orlo del piacere per poi ritrarsi quando la donna intuiva che ero al limite. Mi guardava, mugolava, godeva fissandomi con quei seducenti occhi a mandorla, mormorandomi quanto ero bravo, quanto ero dotato, quanto la facevo godere.
“Oh…Hiroshi….Ah…ecco una nuova…ah….lezione. quando la tua donna &egrave sopra di te…oh, sììì… non cercare di controllarla. Ponile le mani….ooooohhhh, sui fianchi….aaaaahhhh….così, bravo, ed ascolta i suoi movimenti con le tue dita….OOOOooooooohhhhh….mh…sì, Hiroshi, sei fantastico…..diventerai un amante eccezionale….oh, godoooooooooooo”. Con le mani poggiate sul suo bacino, avvertii distintamente il suo orgasmo, il tremore dei suoi fianchi, con il mio pene sentii il liquido che colava lungo l’asta. Aruko si accasciò contro il mio petto, ansimando. Ma io ero pieno, dovevo sfogarmi. Ero contento di averle dato piacere, ma era il mio momento. Senza uscire a lei, la rivoltai sulla schiena, facendole uscire un gridolino divertito, poi mi avvolse le gambe intorno al bacino, e cominciai a spingere furiosamente, con tutta la forza che avevo. Sbuffavo, ansimavo, cercavo di toccare con le mani in ogni punto. La morsi, persino. La lasciai un segno rosso sul collo, mentre spingevo, e spingevo ancora. Ai miei grugniti si accompagnarono ben presto i suoi ansiti, che mi dissero che anche Aruko godeva. Forse stava per raggiungere un nuovo orgasmo ma, impaziente com’ero, non me ne importava niente. L’unica cosa a cui pensai fu a svuotarmi del mio seme nel suo ventre, cosa che feci di lì a poco, spingendo i colpi con una furia animale, avvertendo i fiotti del mio sperma che si posavano dentro di lei. Rimasi stordito qualche secondo, poi ansimando uscii da lei, e mi rotolai sulla schiena. Anche Aruko ansimava, e mi guardava sorridendomi. Mi carezzò i capelli, poi si poggiò su un fianco e si lasciò abbracciare.
“Che irruenza, tesoro!”, mi disse. “spingevi talmente forte che domani mi faranno male le gambe. Mi hai pure morso il collo”.
“mi… mi dispiace, Aruko, davvero…”, risposi, imbarazzato. “non volevo farti male, lo giuro…”
“non mi hai fatto male, sciocchino”, ridacchiò lei. “Ho goduto molto, te lo posso garantire. Mi hai dato molto piacere, quest’oggi, ed hai imparato molte lezioni. Se rimani con me, stanotte, credo che ne imparerai molte altre, a cominciare dall’opportunità di frenare il tuo ardore…”.
Credo sia inutile aggiungere che passai tutta la notte nella casa di Shizue, e che in seguito ci tornai molte, molte altre volte….

bluebard@hotmail.it

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