FANTàSIA
Capitolo 1: La partenza
L’inizio della storia.
Ancora, per l’ennesima volta.
-Dai, su, da bravo, sono stanca. Lasciami dormire.
Sono ormai quasi quattro settimane che va avanti alla stessa maniera, ormai sono alla rassegnazione. Tanto vale girarsi e mettersi a dormire. Si, lo so, le coppie a lungo andare si adagiano nella routine. Il lavoro, i figli, i vari problemi quotidiani seppelliscono la carica erotica che avevi in gioventù. Si scopava come ricci, due o tre volte la settimana le prime volte. Poi è cominciato con una volta a settimana, nei week end. Incominci a saltarne qualcuno e diventa qualche volta al mese. Finché non arrivi al traguardo finale del ‘Cazzo, finalmente’.
Dormi, va. Non continuare a pensare a quella sua sparata ‘per me, una o due volte al mese è sufficiente’ quando tu, per sopperire, sei lì che ti spari seghe in bagno un paio di volte al giorno. Manco fossi un ragazzino in piena tempesta ormonale! Troverò prima o poi una soluzione, amo ancora mia moglie ma in questa situazione mi sembra di vivere assieme a mia sorella piuttosto che ad una Donna. Domani sono in’ trasferta’ devo ricordar’ zzzz.
L’aereo per Parigi sarebbe partito tra un’ora ed ero in ritardo per il check-in, per di più il carrello delle valige con la ruota sghemba che andava dove voleva lui non mi aiutava certo ad andare spedito. Arrivai al banco per la registrazione di corsa, solo una donna davanti a me stava finendo di registrarsi. Mi colpì in modo particolare e mi misi ad osservarla incuriosito. Alta circa 1,75, acconciatura bionda con una coda di cavallo legata alta, collo slanciato messo in evidenza da due pendenti Swarovski che scendevano dalle orecchie e ne sottolineavano la curva. L’impermeabile corto e chiuso in vita in cui era avvolta non mi permetteva di vedere i particolari della silhouette ma era evidente la classica forma a clessidra. La gamba slanciata era avvolta in calze fumè con la riga e finiva su una caviglia sensualmente sottile sottolineata dal laccetto in strass delle scarpette décolleté con tacco 10 a stiletto. Un profumo discreto ma alquanto particolare sottolineava il tutto e, stranamente, aveva un certo effetto sia sui pensieri che ai piani bassi. Tutto lasciava immaginare un fisico notevole e una certa raffinatezza tanto che continuai a contemplarla mentre si avviava all’imbarco con un incedere felino molto sensuale.
-…SIGNORE!- fui richiamato alla realtà dalla hostess al banco -Biglietto e passaporto, prego!
Quel profumo mi aveva stimolando in modo strano, mi eccitava. Ok, sicuramente complice l’essere andato in bianco la sera prima, era solo il cazzo che reclama gli prestassi attenzione, dovevo sfogare i pensieri che quella donna mi aveva stimolato, quindi mi fiondai nella toilette per darmi un po’ di sollievo.
Bip, Bip, Bip, messaggio via Bluetooth: ‘Ti ho eccitato così tanto?’
-Ma chi diavolo’- chi mi stava mandando quel messaggio doveva essere molto vicino, non stava passando dalla linea, aveva accesso diretto al mio smartphone.
Bip, Bip, Bip’ ancora, ‘Non buttare inutilmente il tuo nettare di Zeus nelle fogne, ci vedremo presto’.
CAZZO! Qualcuno mi stava osservando, e io li come un pirla con l’arnese in mano. Mi ricomposi immediatamente e uscii velocemente dal gabbiotto per beccarlo, ma ‘ nessuno, neanche ai lavandini. Solo quel profumo’ corsi fuori dal locale e mi guardai intorno, la vidi mentre stava entrando nel duty-free shop della Chanel, andai in quella direzione e dalla vetrina la vidi osservare alcuni tailleur facendo cenno verso di me ad una delle commesse del negozio. Una seconda commessa le si avvicinò, scambiarono alcune parole e si diressero insieme verso i camerini di prova portandosi uno dei capi in esposizione. Ecco una buona scusa per attaccare bottone con quella donna così intrigante: un consiglio per il regalo da fare a mia moglie. Mi avvicinai all’ingresso mentre la commessa a cui ero stato additato mi seguiva con lo sguardo attraverso la vetrina del negozio. Entrai e cominciai a guardarmi in giro fingendo di osservare la merce, in attesa che quella donna uscisse dai camerini.
-Posso esserle utile?- chiese la commessa.
Vedendola da vicino notai ai suoi lobi gli stessi pendenti già visti e anche lei aveva un collo particolarmente sottile e slanciato.
-Mi sto guardando in giro, grazie.- risposi gentilmente. Mi guardò con un’espressione tra la sufficienza e l’incuriosito.
-Venga con me!- alzai un sopracciglio, approccio un po imperioso per un’addetta alle vendite pensai.
-Ma’- stavo per obiettare.
-Venga con me di là!- disse in modo ancor più risoluto.
-Ok, ok, non si arrabbi.- risposi sempre più perplesso mentre la seguivo verso i camerini di prova.
I camerini sembravano vuoti, in uno di essi c’era appeso un vestito, probabilmente quello che l’altra commessa e la donna avevano portato con se poco prima. Strano però, in quel locale eravamo solo noi due e non c’erano altre uscite, dove erano finite?
-Il pacco per lei è lì. Adesso regoliamo il conto- disse -Non si preoccupi, non perderà l’aereo, abbiamo tutto sotto controllo.
-Ma cosa’- stavo per ribattere, ma non riuscii a finire la frase. Avvicinò l’indice della sua mano destra alla mia bocca per indicarmi di fare silenzio quindi lo portò in modo molto sensuale dentro la sua con dei movimenti che simulano una fellatio, lo bagnò bene di saliva. Prese la mia mano destra e sul palmo vi disegnò una specie di ipsilon con quel dito insalivato.
Avvicinando il suo viso al mio orecchio e tenendomi la nuca in un dolce abbraccio sussurrò -Rilassati, ora sei sul sentiero.
Ero paralizzato dallo stupore, stava facendo tutto lei. Mi portò la mano, su cui aveva disegnato il simbolo, sotto la gonna, vicinissimo al suo intimo ma impedendo che potessi toccarlo.
-Non ti muovere, stai fermo cosi.- sussurrò.
Poggiò le sue labbra sulle mie e mi bussò con la lingua. L’ accolsi ben volentieri, era inebriante come si muoveva nel cercare la mia. Così anch’io cominciai a rispondere all’invito che mi faceva quando la ritraeva.
Una, due, tre gocce sul palmo della mia mano ancora bloccata sotto la sua gonna, ‘per la miseria, deve essere un lago la sotto.’ pensai, mentre la mia eccitazione saliva ai massimi vertici.
-Sì. Lo sono.- disse, togliendomi la mano da sotto la gonna e avvicinandomela alla bocca -Lecca!
Oddio, leggeva nel pensiero?! Lo sguardo non ammetteva repliche, sembrava quello di una pantera in procinto di attaccare la sua preda. Obbedii perché comunque la cosa non mi spiaceva, aveva l’odore del sesso puro, carnale, estremo. Anche il sapore era sublime, sembrava miele, leggermente aspro e, come fossi un bambino che aveva appena messo il dito nella Nutella, leccai via quella crema da tutto il palmo.
Mi poggiò le mani sulle spalle e mi spinse a inginocchiarmi davanti al suo bacino, con un rapido gesto si slacciò la gonna facendola cadere ai suoi piedi. Rimasi senza fiato, avevo le farfalle allo stomaco e il cazzo era sul punto di esplodere alla vista di quella figa così perfetta, sormontata da un ciuffo di peli ben curati e rasati a forma di cuore. Aveva un piercing sul clitoride: un ciondolo di giada su cui era raffigurato lo stesso simbolo che aveva disegnato sulla mia mano, una goccia dei suoi umori vaginali si stava staccando dalle grandi labbra, allungandosi in un filamento.
-Bevi dalla mia fonte, preparala ad accoglierti.- disse.
Non me lo feci ripetere due volte e mi fiondai a baciarla come avevo fatto poco prima con la sua bocca.
-Ahhh’ sssiiiihhh’ final’ mentehhh!- sospirò, come fosse stata anni in astinenza.
Le stavo limonando la vagina, con la lingua mi sforzavo di andare il più a fondo possibile, lei rispondeva facendo contrarre i muscoli con il risultato di risucchiarla verso l’utero.
-Cont’ mmhh… …tinua. Siihhh… cosiihhh’- Mi incitava con il fiato corto.
Continuava a colare copiosamente umori, stentavo a stargli dietro. Fremeva, vibrava come una corda di violino, dovetti tenerla attaccata mio viso afferrandola per quelle perfette natiche che si ritrovava.
-C’ ci seihhh’. Ahhh’ quasihhh’ fai’ uno sforzo’ lo so’ che lo saAHHH’ sai!- affermò tra i sospiri.
Strana frase, ma mi fece balenare un’idea. Aprii il più possibile la bocca, la misi a ventosa su quella figa paradisiaca e, inglobando il clitoride con tutto il ciondolo, cominciai a poppare introducendo in vagina la lingua a mo’ di uncino. Cercavo di andare a titillare il punto dove pensavo fosse il fantomatico ‘punto G’.
-SSSIIIIHHH!!!’ AAAHHHH!!! MMMMHHH’. AVE’ VA RAGIONEHHH’! Sei’ tuhhh!
Stava raggiungendo l’orgasmo più travolgente che avessi mai visto in una donna. Cominciò a tremare come una foglia, si aggrappò con entrambe le mani alla mia nuca e si sedette a gambe spalancate sulla poltroncina alle sue spalle. costringendomi a mettermi carmponi davanti al suo inguine.
-Sto’ per’ ooohhhh’ veni’ ghhnn …ire! Prepa’ mmhhh’ preparalo!- disse, rivolgendosi a qualcuno alle mie spalle.
-Non staccare la bocca, tieni tutto quello che puoi e non ingoiare.- mi sussurrò all’orecchio l’interlocutrice della commessa a cui stavo ciucciando la figa. Alzando gli occhi verso lo specchio alle spalle della poltroncina riconobbi la seconda commessa a cui si era rivolta la ‘donna misteriosa’. ‘Va beh’, pensai, ‘siamo in ballo, tanto vale ballare’.
-Ecco, bravo. Hai capito perfettamente.- disse.
Ma che diavolo’ Ancora! Sembrava proprio sentissero i miei pensieri. Cingendomi i fianchi la seconda commessa mi slacciò cintura e calzoni e li abbassò fino alle ginocchia, il cazzo scattò come una molla verso il pube producendo uno schiocco. Avevo un’erezione notevole, come avessi ingoiato un flacone di Viagra. Probabilmente a chiunque si fosse trovato nelle mie condizioni sarebbe bastato un semplice tocco eruttare, invece provavo solo quella particolare sensazione al pube di chi sta per scopare per la prima volta.
Capii cosa intendevano per ‘prepararlo’ perché lei si abbassò verso il cazzo, con una mano arretrò il prepuzio e iniziò a stimolare con brevi colpì di lingua il glande. Quindi scese con la lingua verso i coglioni e, risalendo lungo l’asta lo insalivata per bene. Continuò così un po’ di volte finché non decise di infilarsi in un sul colpo tutta l’asta in bocca fino alla radice. Sentivo la sua lingua che mi stava stimolando il glande con la deglutizione. Non avrei resistito a lungo, stavo per esplodere.
-Kemina Hatha, è il momento, ADESSO!- affermò, dopo aver interrotto il lavoro di bocca e rivolgendosi alla compagna sulla poltroncina a cui io stavo dedicando le attenzioni.
-SIIHHH…. VENGOOOHHH’ AAAHHHH!!!- rispose questa con tutto il fiato che aveva in corpo. Mi serrò la testa tra le gambe impedendomi ogni movimento mentre dalla sua uretra uscivano violenti schizzi dell’inebriante nettare dal sapore così particolare che solo una squirtatrice sa produrre.
Al terzo schizzo in bocca riaprì le gambe, lasciandomi libero e spinse la testa lontano dal pube. La commessa ‘assistente’ mi fece rapidamente alzare, tenendo il mio cazzo con la mano destra e aperte le grandi labbra della compagna con il pollice e l’indice della sinistra, mi guidò verso l’imbocco della vagina che ancora pulsava per l’orgasmo. Appena i nostri sessi vennero a contatto le sue gambe mi si serrarono ai fianchi, afferr’ il cazzo alla radice con entrambe le mani mi trasse a sé inserendolo in un sol colpo.
-Oddio! Da quanto tempo’- esclamò.
Era cosi lubrificata che entrai facilmente ed era cosi stretta da riuscire a sentire ancora le contrazioni del suo orgasmo che stava scemando. Cominciai a muovermi mentre lei, per come mi aveva afferrato, cominciò a dare il ritmo che desiderava mentre carezzava contemporaneamente lo scroto.
-Adesso passerai a me il nettare di Afrodite.- Mi sussurrò l’assistente all’orecchio.
Avvicinò la sua bocca alla mia e con un profondo bacio gli donai gli umori che avevo ricevuto un momento prima.
Quella sensazione incredibile che aveva subito la lingua poco prima ora la subiva il mio cazzo, ogni volta che arretravo durante l’amplesso me lo sentivo risucchiato. La donna che stavo scopando riusciva a controllare perfettamente i muscoli vaginali e pelvici tanto da riuscire a succhiarlo come se mi stesse facendo una fellatio. Questo trattamento comincio ad avere il suo effetto, la sensazione che prima provavo al pube cominciò a scendere verso i coglioni, per poi risalire lungo la canna. Stavo per schizzargli l’anima in corpo. ‘Oddio, sto per venire come non mai!’ pensai.
-Sìii, vengo’ anch’io, Ahhh h.- gemette.
Schizzò ancora, spalancando le gambe mi afferrò le natiche tirandomi a se, inarcò il bacino riuscendo a farmi toccare il collo dell’utero con la punta del glande. Mi tenne bloccato in quella posizione fino a quando non scaricai tutto quello che avevo in canna e anche dopo che le contrazioni dell’orgasmo finirono proseguì con l’esercizio muscolare in cui eccelleva.
-Sei pronta?- chiese guardando sua assistente.
Lei rispose assentendo con la testa, aveva ancora la bocca piena degli umori che le avevo passato. La ‘prima donna’ mi lasciò libero e mi indicò con un cenno di alzarmi.
-…E tu, NON muoverti da lì e allarga le gambe!- mi ordinò in modo categorico mentre mi sfilavo da lei.
Visto come era andata finora non avevo alcuna intenzione di disobbedirle, quindi mi libera dei calzoni che mi impedivano l’operazione richiesta e mi misi come richiesto.
-Kemina Hiniel, mettiti in posizione!- ordinò.
L’assistente si stese supina tra le mie gambe, la testa davanti al bordo della poltrona su cui ero poggiato poco prima, ed aprì la bocca. L’altra ragazza si alzò dalla poltrona tenendosi una mano davanti a chiudere le grandi labbra del suo sesso. Mi afferrò il membro mentre si accucciava a mettere l’imbocco della sua vagina al di sopra della bocca spalancata della compagna distesa. Avrebbe scaricato all’interno quanto aveva ricevuto da me, pensai. Infatti così fece, mentre con la lingua mi ripulita l’asta da ogni residuo del nostro rapporto. La ragazza distesa fece la stessa cosa al clitoride della compagna non appena si accorse che non usciva più nulla dalla vagina. Quindi serrò la bocca e, come se la cosa fosse concordata, si alzarono entrambe in piedi terminando quella pulizia particolare.
-Non puoi uscire di qui conciato in quel modo.- disse quella che mi aveva scopato fino ad un attimo prima -Nel camerino troverai il completo per cambiati e delle salviette per pulirti, VAI ora!
-Ma’- cercai di obiettare.
-Vai, ti ho detto, o perderai l’aereo. è tutto a posto così.
Per la miseria, era vero, solo adesso realizzai che stavano chiamando il mio nome.
-…è atteso al gate G9. Ultima chiamata.
Mi fiondai nel camerino. Dallo specchio vidi riflessa l’immagine della commessa ‘assistente’ che stava riversano il contenuto della sua bocca in quella dell’altra, per poi unirsi in un bacio saffico appassionato come mai avevo visto, sembrava volessero proseguire fra loro due il ‘discorso’. Quell’immagine mi risvegliò i sensi, ma purtroppo non avevo più tempo.
Arrivai al gate che stavano per chiudere le porte.
-Mi spiace, signore.- Mi disse l’hostess al desk -Le operazioni d’imbarco sono concluse e il suo bagaglio è stato già scaricato.
-ACCIDENTI!!!- sbottai. -Mille euro andati in fumo.
Bip, Bip, Bip. Un altro messaggio: ‘Non era quello il tuo volo.’ Capitolo 2: Il viaggio.
Alea acta est.
Come sarebbe ‘Non era quello il tuo volo.’ Certo che lo era. Era stato prenotato da più di un mese, per di più con data fissa per stare nelle spese: adesso sarei stato costretto ad acquistarne un altro e sborsare ben più di mille euro, CAZZO!
Bip, Bip, Bip. E d’je, aĺlora insiste. ‘Segui attentamente le istruzioni.’ diceva il nuovo messaggio. Quali istruzioni? Ero perplesso, va bene che avevo avuto un’esperienza del tutto fuori dall’ordinario, ma le due ragazze che mi avevano scopato poco prima mica avevano parlato di istruzioni particolari.
Fu allora che la vidi: si stava dirigendo verso l’altro terminal: come era possibile! Aveva fatto il check-in per il mio stesso volo, non poteva trovarsi ancora a terra! Era impossibile! La hostess di terra al gate d’ imbarco mi aveva letteralmente chiuso le porte in faccia e sul tabellone delle partenze il volo non era più segnalato: ero certo che fosse partito! E quindi?
Adesso avevo una ragione più valida per attaccare bottone, la rincorsi sperando di raggiungerla e di arrivare nello stesso luogo in cui stava andando lei: se era sul mio volo vuol dire che in qualche modo sarei potuto arrivare a Parigi. Stavo per raggiungerla, solo ad una decina di metri mi sparavano da lei, quando voltò l’angolo del corridoio e sparì dalla mia vista quei pochi secondi che occorsero per arrivare in quello stesso punto. Mi ritrovai in una sala d’attesa con una vetrata che dava sul piazzale di sosta dei voli privati: sparita! Non c’era nessuno, altri accessi oltre a quello da cui provenivo e da cui potesse essere uscita non ce n’erano, quindi? Dove era finita? Doveva per forza essere nelle vicinanze, quel profumo particolare era ancora nell’aria.
-Questa è per lei.- disse una voce femminile.
Accidenti! Quasi mi piglia un colpo! Ero talmente assorto nella ricerca di quella donna sfuggente da non essermi accorto di avere qualcuno alle spalle. Mi voltai di scatto e quel che vidi fu una hostess di terra mozzafiato: una Walkiria alta forse 1.85, rossa di capelli anche se non più giovane. Sui siti erotici sarebbe stata sicuramente classificata MILF, ma come fisico era intrigante, anche se dalle gambe mi sembrava ben piazzata in fatto di muscolatura. Mi stava porgendo una busta.
-Scusi, ma come fa a sapere che è per me?- le chiesi -Non ha neanche chiesto il mio nome!
-Prenda! Non abbiamo tempo da perdere.- insistette lei -è già stato informato.
Ah, ecco, adesso l’ultimo messaggio ricevuto aveva un senso. Presi la busta e l’aprii, conteneva una fotografia, ma non una foto qualunque, era uno scatto fatto al mio matrimonio: io e mia moglie sull’altare mentre stavamo ricevendo dal sacerdote il calice con il vino consacrato che avremmo bevuto per la comunione.
-Cosa significa questo! Come fa ad averla! Chi glie l’ha data?- chiesi inquieto.
La walkiria mi guardò spazientita, mi prese la foto dalla mano e me ne mostrò il dorso. -Legga! E non faccia troppe storie.- disse.
‘Non si preoccupi, e si rilassi. Sua moglie sta bene, trascorrerà un soggiorno rilassante in una località termale per tutto il tempo in cui lei sarà assente.
Le è stato detto che è tutto offerto dal cliente, che lei avrebbe dovuto incontrare, quale ringraziamento per la sua disponibilità e discrezione nell’aver accettato l’incarico delicato affidatole e a causa del quale, per le difficoltà logistiche a raggiungere il luogo in cui si trova, i contatti tra voi sarebbero stati presi esclusivamente tramite la nostra agenzia. Sua moglie non saprà mai quello che lei dirà, farà o vedrà.
Deve decidere adesso accettare quanto le offriamo o tornare sui suoi passi. Qualunque sarà la sua decisione segua la nostra addetta, non se ne pentirà.’
Rimasi interdetto ma la cosa mi intrigava, anche se non capivo proprio il senso: quale incarico? Accettare cosa?
La walkiria, sempre più impaziente, mi guardava come volesse fulminarmi.
-Allora! Ci decidiamo, stiamo perdendo lo slot di decollo!- incalz’.
‘Non saprà mai niente.’ pensai ‘Rischiare? Se le condizioni sono veramente queste…’
-Oh, finalmente ha deciso!- disse sollevata -Muoviti, andiamo!
Chissà perché non rimasi stupito che sapesse già, prima che parlassi, quale fisse la mia decisione. Mi condusse verso una porta di sicurezza sul lato opposto della sala d’attesa che aprì col suo badge, scendemmo le scale fino al piazzale di sosta visto dalla vetrata della sala d’attesa.
-Seguimi, l’aereo ti aspetta.- disse dirigendosi verso uno degli hangar con all’interno un Gulfstream V senza insegne particolari, a parte il numero di identificazione: G9-1325Y. Che coincidenza, lo stesso numero del gate, o no?
Salimmo e, indicandomi la poltroncina più in fondo, disse: -Si metta comodo e allacci la cintura, tra dieci minuti decolliamo.
Appena seduto vidi dal finestrino avvicinarsi quello che pensai sarebbe stato l’equipaggio, cinque ragazze in tailleur viola ma, osservando meglio sembrava decisamente un abbigliamento troppo succinto per gli standard di un aeroporto: la gonna si sarebbe potuta tranquillamente definire ‘inguinale’, se non addirittura ‘trans-vaginale’ perchè arrivava appena a coprire il bordo delle calze autoreggenti e, altra cosa strana, le décolleté tacco 13 a spillo. ‘Non molto indicate per una hostess di volo.’ pensai. Al collo, invece del classico foulard, avevano un collare semi rigido di raso nero con un disegno in strass sulla parte anteriore, sembrava avere la stessa forma del segno che la commessa del duty-free mi aveva fatto sulla mano. Non portavano camicia e il bavero della giacca sottolineava la curva del seno, tutte con i capelli raccolti sulla nuca in uno chignon, il tutto completato da un piccolo capellino sulle ventitré da cui scendeva una veletta nera e fitta che nascondeva gli occhi.
Salirono a bordo e si iniziarono le operazioni per il decollo.
-Attendiamo il capitano e partiamo.- disse la walkiria che per tutto quel tempo mi era stata di fronte, come a volermi tenere sotto controllo. -Ancora un minuto.- concluse.
Sentii dei passi sulla scaletta, probabilmente era arrivato ma da dove era venuto? Non era insieme all’equipaggio e dal finestrino non l’avevo visto arrivare, eppure da lì avevo la visuale su tutto il piazzale. CRIBBIO! Era ‘Lei’ il capitano?! Rimasi letteralmente a bocca aperta, una delle hostess fece un sorriso divertito mentre la walkiria provvedeva a richiudermela sollevandomi il mento con due dita.
Da quando era salita a quando si chiuse nella cabina di pilotaggio ‘Lei’ riuscì sempre a impedirmi di vederle il viso. Furono chiuse le porte e supposi sarebbero iniziate le normali le operazioni per la partenza, e infatti: -Prepararsi al decollo.- disse la walkiria rivolgendosi alle altre hostess. Tutte cominciarono a svestirsi, compresa lei, e a riporre nel guardaroba il tailleur che avevano addosso, rimasero solo in intimo, molto arrapante peraltro, cappellino, calze e scarpe.
‘Prevedo un viaggio molto particolare.’ pensai.
– Sì. Lo sarà.- disse la walkiria rivolta a me -Non immagini quanto.
Eh, certo, figurati se non succedeva ancora! Mi adagiai allo schienale e attesi. Mentre l’aereo iniziava a rullare verso la pista l’equipaggio terminò di sistemare gli abiti nel guardaroba, fecero il normale cross-check per il decollo quindi si sedettero sulle poltroncine di servizio assicurandosi con le cinture di sicurezza. Piloti ed equipaggio non si scambiarono alcuna informazione tramite interfono o segnali acustici, come sarebbe normale su tutti gli aerei in fase di decollo ma la cosa ormai non mi sorprendeva più, mi sentivo comunque tranquillo.
Decollammo salendo con rateo di salita stranamente ripido per una rotta civile, sembrava stessero spingendo l’aereo fino al limite dello stallo perché non passarono più di cinque minuti dal decollo al momento in cui raggiungemmo le nubi dove si mise in assetto da crociera. Anche la quota era strana: perché volare all’interno delle nuvole?
La hostess che mi aveva portato fin lì si alzò dalla poltroncina di servizio si diresse verso di me.
-Tra poco cominceremo, dobbiamo prepararti. Spogliati!
-Come scusa?- ribadii io -D’accordo che oggi ho già avuto di questi inviti strani, ma’
Guardandomi con aria severamente infastidita fece un cenno alle altre assistenti di volo, due hostess vennero verso di me e mi sollevarono di peso dalla poltroncina tenendomi saldamente sotto la spalla e per il polso. Con me così bloccato la walkiria iniziò a sbottonarmi la camicia.
-Va bene, va bene, faccio da solo.- mi arresi.
-Ecco, bravo. Hai capito.- rispose lei.
Nudo come un verme mi fecero stendere sopra un lettino da massaggiatore che era stato preparato. Divise sui due lati provvidero a manicure, pedicure e depilazione strategica. Mi ritrovai pettinato, sbarbato, mani e piedi lisciati e la foresta bassa diradata così tanto che ne rimase solo un pizzetto all’attaccatura del mio pennello, sufficiente però per stimolare in modo appropriato un eventuale clitoride che lo avesse incontrato.
A parte la walkiria, solo una di loro non aveva partecipato a quella operazione: la più giovane. Pelle olivastra e capelli corvini, probabilmente mediorientale, con un seno prosperoso di una quarta abbondante e dalle curve ben piazzate.
-Bene, ora possiamo iniziare la cerimonia.- disse la capo hostess rivolgendosi a me -Rilassati, non reagire a quello che vedrai o ti sarà fatto o te ne pentirai.
Posò le sue labbra sulle mie in un casto bacio. Rimase così, immobile sul mio viso mentre percepivo che mi veniva versato olio tiepido sul corpo e iniziava un massaggio a più mani che stimolava soprattutto le parti più sensibili, sembrava lo facessero apposta: anche se non direttamente interessato da quella manipolazione il mio ‘cervello’ da uomo stava vivamente apprezzando quel trattamento e cominciava a darne dimostrazione.
‘In che cavolo di guaio mi sono cacciato? Accidenti a me è alla mia curiosità!’ pensai, ma la sensazione che già da prima avevo si fece più insistente, dovevo verificare. ‘Decollare è stata una scelta. Visto che prima o poi sarò obbligato ad atterrare, vediamo almeno di goderci il volo.’ continuai a pensare ‘Qual’è il tuo nome?’
-Bene, cominciamo.- mi sussurrò all’orecchio la capo hostess -Mi chiamo Elannah. Le altre intsnto interruppero il trattamento.
Elannah si mise di fianco al lettino. Si chinò infilandomi una mano dietro nuca, l’altra sul fianco attirandomi lentamente verso a sé. Incontrai le sue labbra, umide, carnose in un bacio profondo, la mano sul fianco scivolò lentamente verso il cazzo, lo impugnò e iniziò un lento e piacevole movimento su e giù. Chiusi gli occhi e mi abbandonai a quelle sensazioni, non era certo mia intenzione resisterle. Anch’io mossi la mano sul suo fianco, fu naturale, automatico. La sua presa sulla nuca si fece più decisa inizuando a succhiarmi il labbro inferiore. Feci scivolare la mano verso l’interno coscia, verso l’inguine, volevo saggiare la figa, volevo sentirla, ma arrivarono prima le sue unghie piantate sul collo e i denti serrati sul labbro ad avvisarmi di desistere. Il dolore mi fece tornare sui miei passi, aprendo gli occhi vidi Elannah che mi guarda severamente mentre si sollevava da me e dietro di lei le altre quattro hostess attorniavano la più giovane che aveva lo sguardo di un bambino davanti a una torta.
-Recepito il messaggio?- chiese Elannah.
-Forte e chiaro.- le risposi.
-Bene! Alzati adesso!- mi ordinò. Obbedii e, mentre due delle hostess riponevano il lettino, Elannah mi lasciò per andare verso la giovane. Seppure l’avessi paragonata a una MILF, il corpo era molto tonico e il culo era una favola, il tanga poi ne accentuava le forme: lo avrei voluto saggiare volentieri in profondità. Ora era di fronte all’adepta, le due hostess impegnate con il lettino la raggionsero e le slacciarono il reggiseno liberando il seno prosperoso da donna matura, le altre due fecero lo stesso con la giovane, il suo naturalmente era più sodo e giovane, più contenuto in confronto a chi le stava di fronte. Elannah aveva uno sguardo fiero e bramoso verso la ragazza, lei ne sembrava intimidita e chinò leggermente la testa, fecero entrambe un cenno e i loro tanga furono strappati tirando le fettucce sui fianchi.
La ragazza disse: -Elannah, Mia Signora Genitrice lascia che apra la porta della Vita.
-Ti sarà concesso. Sarai Inya che Marte controlla.- fu la risposta di Elannah mentre le portava una mano sul pube e l’altra alla nuca, carezzò un attimo il triangolo di peli corvini quindi scese più in basso intrufolando un dito fra le grandi labbra. La ragazza parve come sollevata, il viso tradiva quanto gradisse quel trattamento, socchiuse la bocca e si abbandonò alla stimolazione che le veniva fatta sulla clitoride, i suoi umori cominciavano a fluire all’esterno, il dito si introdusse ancora più a fondo, separando le piccole labbra cominciò un lento avanti indietro da e verso il perineo. Prima che soccombesse all’orgasmo il dito si inserì nella vagina fino a incontrare la resistenza del imene ancora intatto. Non venne lacerato ma la sensazione di dolore le impedì di raggiungere l’orgasmo lasciandole però la voglia. L’operazione proseguì per diverse volte fino a quando l’eccitazione della ragazza raggiunse un livello tale che i suoi fluidi vaginali furono talmente abbondanti da colare lungo le gambe e ogni semplice tocco la faceva sussultare. Elannah passò sulle gambe della ragazza il palmo della mano usata per stimolarla raccogliendone i rivoli di umori che stavano scendendo a terra.
-Vuoi mandare il tuo segno a Marte?- le chiese.
-Lo voglio!- rispose lei decisa -Apro a lui la porta della Vita e le porte del Piacere.
Capitolo 3: Resort.
Omnia mutantur.
Si era svegliata con il solito mal di testa, avrebbe voluto dormire ancora ma i crampi addominali non le davano tregua e quel fischio nell’orecchio era insopportabile, tanto valeva alzarsi e fare la doccia.
Si alzò e, in modo meccanico, si tolse il pigiama mentre si avviava verso il bagno. Sfilò le mutande e si infilò sotto il getto caldo. Lo squillo del telefono la interruppe, ‘E adesso chi diavolo sarà?’ pensò mentre usciva di corsa dalla doccia afferrando l’accappatoio per non sgocciolare in giro per casa.
-Pronto?- disse appena raggiunse il cordless che aveva dimenticato in camera.
-Buongiorno signora,- fu la risposta all’altro capo della linea – sono Rosa, ho il compito di avvisarla che tra dieci minuti una nostra addetta passerà a prenderla.
-Scusi ma credo abbia sbagliato numero.- ribatté lei, visto che non aspettava nessuno e tanto meno aveva degli appuntamenti.
-No signora, è tutto corretto si prepari- fu la replica che ricevette dall’altro capo della linea e subito dopo riagganciata. Rimase qualche secondo con la cornetta in mano, interdetta, ‘Bah, strano modo di fare promozioni’ pensò perplessa mentre tornava in bagno per finire la doccia. Cinque minuti ed era già pronta per uscire, la solita T-shirt extra large grigia a fiori sopra un reggiseno da cesta delle offerte dei grandi magazzini, pantaloni lisci neri a tubo su mutandine della stessa cesta del reggiseno; completava il tutto i famosi gambaletti antistupro color carne e delle ballerine marroni, una mise che sicuramente anche a East Harlem di notte non le avrebbe fatto correre alcun pericolo, tanto era insignificante ed anonima. Prese le chiavi della macchina e in un attimo fu fuori del palazzo in direzione del parcheggio dove aveva lasciato la macchina.
-Perché non mi ha atteso, eppure era stata avvisata.- udì all’improvviso alle sue spalle.
-AH!- gridò voltandosi di scatto, la voce di donna alle sue spalle pareva ce l’avesse con lei.
Si trovò di fronte a quella che si sarebbe potuta definire una Top Model nel pieno della carriera ma più giunonica. Portava un tailleur viola con gonna a mezza coscia da cui sporgeva leggermente il bordo di pizzo delle calze autoreggenti e le décolleté tacco 13 a spillo facevano sì che risultasse poco più alta di lei. Al collo aveva un collare semi rigido di raso nero con un disegno in strass che sembrava una specie di Y; non aveva camicia cosicché dal bavero della giacca si poteva vedere benissimo l’incavo del seno; capelli di un nero corvino erano raccolti in una coda di cavallo legata alta; ai lati del collo slanciato due lunghi pendenti Swarovski pendevano dalle orecchie; sulla testa un piccolo cappellino sulle ventitré da cui scendeva una veletta fitta a coprire gli occhi tanto da non permettere di identificare né la forma né il colore; le mani erano avvolte in guanti neri.
-Accidenti, mi ha spaventata. Scusi ma credo mi abbia confusa con qualcun altro.- affermò Lei, perplessa, in risposta a quello strano rimprovero.
-Nessuno sbaglio: suo marito sta lavorando per noi. Fino al termine della sua missione io sono stata designata come sua attendente per tutto il periodo necessario.- le disse quella strana donna -Mi chiamo Hande.
-N’ non capisco.- fu l’unica cosa che le uscì di bocca in quel momento.
-Sì, la sua perplessità è giustificata- disse Hande porgendole un plico -Qui ci sono tutte le spiegazioni.
Prese la busta con l’intestazione ‘Sakha Merka Ltd, Resort & SPA’ e l’aprì.
‘Buongiorno Signora,
suo marito è al momento alle Nostre dipendenze con un incarico molto delicato che richiede anche la sua collaborazione.
Per questioni logistiche e di sicurezza non Le è concesso di comunicare con lui e al contempo non possiamo permetterCi che riveli, anche involontariamente, informazioni che potrebbero vanificare la missione in cui è impegnato.
Quindi La preghiamo di seguire la persona che le ha consegnato questa lettera senza fare obiezioni, le è stato riservato un soggiorno in un nostro Resort esclusivo dove provvederemo a quanto necessario per lei.’
-Cos’è, uno scherzo?- chiese appena terminato di leggere -una specie di Candid Camera?
-No signora.- le rispose Hande facendo cenno alla Limousine Nera nera alle sue spalle di avvicinarsi -Dobbiamo assolutamente andare adesso, siamo già in ritardo.
-No, guardi la cosa non mi interessa e franc’- Non riuscì a finire la frase, gli occhi si annebbiarono e le gambe cedettero. Hande la sorresse appena in tempo, sapeva che la droga, di cui era impregnata la lettera, faceva effetto abbastanza velocemente ma non riusciva mai a calcolare correttamente i tempi di reazione dei soggetti. La infilò rapidamente in macchina e si mise a sedere al posto passeggero anteriore.
-A quanto pare avremo parecchio da lavorare con lei.- disse, rivolto alla autista. -Andiamo!
Si sentiva leggera, come stesse dormendo ma percepiva distintamente i suoni. Aveva sentito quello che aveva detto Hande all’autista e lo stupore iniziale divenne angoscia. Non vedeva niente: i suoi occhi percepivano solo delle ombre; non riusciva a muovere un muscolo: era come paralizzata, quel torpore simile ad un arto addormentato, solo che prendeva tutto il corpo. Distesa su l’ampio sedile posteriore vedeva solo la luce del sole, si stavano dirigendo fuori città. Trascorse un lasso di tempo che non riuscì a definire, quando ebbe la sensazione che la Limousine si fermasse per accedere a qualche varco di controllo percep’ una serie di rumori familiari, le ricordavano quando accompagnava il compagno in aeroporto.
‘Dove mi stanno portando? Cosa vogliono da me? Cosa mi succederà?’ pensò mentre l’angoscia cominciava a lasciar posto alla paura.
-Ti stiamo portando dove ti è stato detto.- disse Hande -Solo che il Resort è, diciamo’ lontano e un po’ particolare.
‘Oddio, sta parlando con me?’ pensò ancora più impaurita da quella affermazione.
-Sì, proprio con te- proseguì Hande -Il nostro compito sarà quello di rieducare e per quanto riguarda cosa ti succederà, quello dipenderà tutto esclusivamente da te.
Ora era nel panico più assoluto, si sentì sollevare e dopo qualche minuto le sembrò di essere adagiata su un seggiolino d’aereo e qualcuno che le stesse legando le cinture di sicurezza, poi fu buio e silenzio più assoluto.
-Ok dottoressa, si sta riprendendo.-
Cominciava a sentire di nuovo dei suoni distinti ma non vedeva ancora niente, gli occhi erano bendati e non riusciva ancora a muovere un muscolo ne articolare parola.
‘Dove sono? Un ospedale? Che mi è successo? Oddio! Ho avuto un incidente? Non ricordo niente a parte quello strano sogno.’
-Bene infermiera, adesso è pronta – disse la dottoressa poggiando una mano sulla fronte della nuova arrivata e rivolgendosi a lei disse: -Cara, adesso procederemo con la sua visita di ammissione.
-Comunque, per risponderti,- proseguì la dottoressa -nessun incidente. Noi non permettiamo MAI A NESSUNO di rifiutare le nostre proposte. Una volta che la missione è partita nulla e nessuno la può fermare, figuriamoci un’allieva riottosa come te! Ma questo lo metteremo in chiaro dopo… Ah, tanto per puntualizzare, non è un sogno!
‘Oddio’ pensò. Il cuore le batteva impazzito. In quel momento percep’ lo stato in cui si trovava: era completamente nuda, supina su un lettino con le braccia aperte legate a dei braccioli; le gambe anch’esse legate poggiavano su delle staffe in una posizione simile a quella delle sedie utilizzate per le visite ginecologiche ma erano sollevate molto più in alto e più aperte cosicché il culo si trovava sollevato dal lettino esponendo in modo osceno le parti intime: la figa con le grandi e piccole labbra dischiuse, tanto da avere il clitoride e l’ingresso della vagina in bella vista; così come la piccola rosellina poco distante.
-Bene procediamo!- disse la dottoressa riprendendo il discorso con l’infermiera – Scriva: il soggetto presenta l’organo principale mantenuto in pessime condizioni estetiche, mentre i secondari paiono inutilizzati sia da parte avversa che da da parte alleata.
‘Ma che sta dicendo? Non capisco cosa” cercava un senso a quelle parole: sembrava la sceneggiatura di una autopsia da poliziesco televisivo di second’ordine.
-Cara mia, tu la figa la usi poco e non te la sei mai depilata.- le si rivolse di nuovo la dottoressa, un po’ acida -Per non parlare poi del culo che non hai mai dato, ne fatto un bocchino o una bella lesbicata.- La volgarità di quel discorso la infastidiva, si sentiva violentata.
-Non ti preoccupare, imparerai!- proseguì l’infermiera -Anch’io ero come te, invece adesso di cazzi non ne posso più fare a meno. Intanto iniziamo con una bella Bikini Wax, poi vediamo di divertirci un po’.- parlava mentre, accarezzando il monte di Venere, scivolava con le dita fino al clitoride: la cosa le dava molto fastidio.
-Vedrai che alla fine comincerai ad apprezzare! Tanto dovrai imparare!- le disse stizzita l’infermiera capendo quel suo stato d’animo; prese forbici e pettine e cominciò a tagliare il grosso della foresta in modo brusco.
Quando cominciò a insaponare per usare il rasoio divenne più delicata, iniziò la rasatura delineando prima la forma dei peli sul monte di venere quindi si concentrò sull’interno coscia e le grandi labbra.
Quelle manovre di continui sfregamenti più o meno volontari sul clitoride, lo strizzare, tirare e stirare le grandi labbra cominciava ad avere un certo effetto su di lei e non poteva farci niente: sentiva che si stava bagnando’ e non poco..
-Bene, bene, bene. Non sei proprio così frigida come vuoi far credere’- disse l’infermiera poggiando la punta della lingua sul l’imbocco di quella vagina che ora si presentava molto umida. -e hai anche un buon sapore.
‘Che mi sta succedendo? Perché mi piace? Una donna mi sta leccando e’ mi piace!’ era stupita, la mente confusa, ma d’una cosa aveva la certezza: il suo corpo stava reagendo con un ‘Si, continua ti prego’ Continua.’
Invece dopo qualche minuto quel trattamento si interruppe, in quel preciso istante nella sua mente tutti i pensieri, le angosce, le sue più intime paure si fusero all’unisono in un unico desiderio: ‘Nooo! Ti prego! Nooo, continua!!! CAZZO FAI!!! NON SMETTERE!!!’; avrebbe voluto gridarlo, ma non poteva.
Per quanto fosse ancora legata cercava comunque di spingere il suo bacino verso quella fonte di piacere ma, come per la voce, non aveva la forza, e più si sforzava più si bagnava. ‘Ti prego continua! Non puoi farmi questo!’ adesso non aveva più paura, il suo bisogno animale stava prendendo il sopravvento. Fu accontentata: sentì di nuovo quella lingua sfiorare i peli e scendere verso la clitoride; due mani accarezzando le caviglie scendevano verso l’interno delle cosce fino ad arrivare alle porte del suo intimo per aprirlo ancor di più di quanto non fosse già.
Quella lingua iniziò una sua danza erotica, scendeva verso la vagina seguendo una delle grandi labbra, faceva un giro con la punta intorno all’imbocco per poi scendere verso quella Rosellina preziosa mai utilizzata per queste cose, quindi faceva il percorso inverso passando dall’altro lato della figa.
Ogni passaggio vedeva incrementare gli umori, le grandi labbra divennero sempre più congestionate e quella strana voglia animale adesso era un bisogno primario che voleva soddisfare assolutamente. Le mani divennero quattro: le altre due le stavano accarezzando le tette; cominciando col impastare, ogni tanto prendevano tra pollice e indice i capezzoli irti come due chiodini sulle piccole areole brune. Sentì una presenza circondare il volto e un odore , no, non ‘un odore’… per lei quella cosa calda che si avvicinava non aveva odore, si sentiva avvolta dal profumo più inebriante che avesse mai sentito, qualcosa di ancestrale, simile all’essenza che attira un’ape sul fiore. Come fosse quel l’insetto cercò di estrarre la lingua, di sollevare la testa, qualsiasi cosa potesse farle stillare la parte più nutriente di quel fiore e quel disperato, affannoso tentativo di raggiungere l’obiettivo ebbe un impercettibile successo: stava riprendendo il controllo dei suoi muscoli. Adesso il suo desiderio, la sua voglia, il suo più assoluto bisogno era di afferrare quella testa che la stava martoriato in mezzo alle gambe per spingerla fin dentro l’utero; ma voleva anche suggere a quella fonte che le stava sfiorando la bocca, berne tutto il nettare, fino a prosciugarla.
‘ANCORAAAAHHHH!!! MMMMHHH!!! NON SMETTETE!!! STO PER VENIRE!!!’ urlava nella sua mente.
Mani che la accarezzavano avvicinandosi sempre di più ai legacci che la trattenevano, finché con un rapido gesto li slacciarono, ora si sentiva libera senza riuscire comunque a muoversi, sentiva solo che i muscoli si stavano rilassando.
Tra le gambe ricevette un bacio appassionato alla sua intimità, labbra contro labbra, la lingua che cerca una controparte inesistente, la punta che titilla l’interno di un improbabile palato. Non resistette oltre, una serie di tremori le partì dal ventre,lampi di un temporale in una nube, fu un attimo, il bagliore d’una saetta, le gambe scattarono come chele di un granchio a imprigionare la testa che vi ci si trovava in mezzo, protese le braccia, artigli’ le mani sui fianchi della proprietaria della figa che le sovrastava la faccia e la trascinò sulla sua bocca cominciando a succhiare disperatamente quella clitoride gonfia di desiderio, la lingua a spazzolare quella vagina che stillava copiosa; la scarica che prima era esplosa all’esterno ritornò all’origine.
-AAAàAAHHHHH!!!!!!- Un urlo liberatorio le uscì dalla bocca, il getto potente che ne scaturi sorprese la dottoressa ma l’esperienza le permise di accogliere tutto quel nettare salmastro nella bocca e trattenerlo.
Nella stanza sembrò che il tempo, per un attimo, avesse avuto un sussulto, dove erano grida ora regnava un silenzio assoluto, irreale, sacrale.
Si era accasciata sul lettino, senza fiato né forze, ma serena e rilassata. La dottoressa mantenne su di lei uno sguardo fiero di approvazione mentre condivideva con l’infermiera il trofeo di piacere che l’allieva aveva prodotto col suo orgasmo. Era il loro compenso? Era stata soddisfatta del suo lavoro?
-Ok. Direi che ha quasi passato la visita. Concludiamo?- sussurrò l’infermiera all’orecchio della dottoressa.
-Sì. Certamente, vediamo la risposta attiva.- fu la sua replica.
Sul lettino, rannicchiata su un fianco in posizione fetale, le mani in mezzo alle gambe, stava ancora tremando scioccata da quelle esplosive emozioni che aveva provato. L’infermiera iniziò a togliere braccioli e staffe a cui l’avevano tenuta legata all’inizio di quella visita particolare, la dottoressa la aiutò a stendersi supina e accarezzandola delicatamente le tolse la benda dagli occhi: adesso poteva vedere.
Mise a fuoco a fatica ma erano lì ai suoi lati: due ragazze alte e slanciate, stesso aspetto di quella che l’aveva rapita, solo che la dottoressa era rossa di capelli e l’infermiera era bruna con i capelli acconciati stile belle-epoque, sembrava la Valentina di Crepax.
Erano entrambe nude, escludendo che calzavano autoreggenti bianche con sandali tacco 10 a stiletto e cuffietta bianca in testa.
-Cosa mi è successo?- chiese quasi sussurrando.
-Niente di grave, cara,- la tranquillizzò la dottoressa -hai fatto il primo passo per liberarti delle tue inibizioni.
Non riusciva a dare un senso a quella risposta, ma non le importava in quel momento, si sentiva bene, tutto le angosce e le sue paure se ne erano andate, era in pace con se stessa. Inoltre il massaggio a quattro mani che le due donne avevano iniziato la stava mettendo sempre di più a suo agio. L’infermiera si occupava della parte alta, partendo dalla testa arriva ai seni e giù fino all’ombelico, mentre la dottoressa partendo dai piedi si concentrava sull’altro suo centro di piacere per raggiungere anche lei lo stesso punto della sua assistente.
Il massaggio era molto sensuale, l’infermiera stimolava i capezzoli e tutto il seno mentre ogni tanto, quando si allungava su di lei, avvicinava le labbra alle sue.
Più il massaggio procedeva e più la dottoressa si concentrava sulla figa, apriva e chiudeva le grandi labbra facendole sfregare tra loro, faceva scorrere i polpastrelli appena oltre il bordo della fessura, la impastava e quando vide stillare i primi umori fece scivolare lentamente un dito in vagina iniziando un dentro-fuori particolare: faceva ruotare il dito accarezzando le pareti interne come a descrivere una O mentre con il palmo dell’altra mano sul monte di venere stimolava la clitoride con l’indice e l’anulare. Quando le dita in vagina diventarono due si limitò a farle girare su se stesse, poi ne inserì tre, alla quarta il sussulto di fastidio che ricevette come risposta la fece desistere, continuò solo con le tre dita aumentando gradualmente la velocità della penetrazione.
Dottoressa e infermiera si guardarono negli occhi e si fecero un cenno, una alla sinistra e l’altra alla destra del lettino avvicinarono la loro figa alle sue mani, poteva sentirne il pelo sfiorare le dita. Il massaggio la stava eccitando di nuovo, ma ora non ne era più impressionata, anzi era un po’ stuzzicata dalla situazione. Comincio a muovere le dita, le fece scorrere su e giù arrivando alla fessura umida e oltre.
‘Allora anche a loro la cosa non dispiace.’ pensò.
-E brava la mia matricola,- le sussurrò l’infermiera all’orecchio -forza, lasciati andare.
Prese coraggio e infilò il dito medio nelle loro vagine, loro risposero avanzando con il pube per facilitare l’ingresso. Le dita diventarono due, aggiunse l’indice e aument’ i colpi.
La dottoressa intanto aveva cominciato a toccare punti nella sua vagina che le davano fitte sempre più elevate di piacere.
Aveva il desiderio di godere come prima, stava raggiungendo l’orgasmo ma stavolta sembrava più soft… un’intuizione, mise le quattro dita chiuse a cuneo sul pollice e le inserì fino alle nocche, non ci fu bisogno di fare altro, con un -SSSIIIII- urlato all’unisono si spinsero verso di lei fino a far entrare completamente la mano fino al polso.
-DAI, MUOVI QUELLE MANI, DATTI DA FARE E SCOPACI COME SI DEVE!- le urlò la dottoressa.
Era al settimo cielo, cominciò ad andare dentro e fuori da quelle fighe che stavano colando umori a tutto spiano lungo il suo braccio. La dottoressa era molto soddisfatta di quel trattamento perché cominciò a darsi da fare con il massaggio particolare che le stava facendo. Più si avvicinava a godere, più aumentò il ritmo delle mani affondate in quelle fighe bollenti e che le colavano umori addosso. Finché’
-Dottoressa, sto per sborrare!- la informò l’infermiera.
-Ok, Terminiamo.- fu la risposta e cominciando ad accelerare il movimento delle dita all’interno della figa dell’allieva.
Stava per esplodere, la vagina cominciò a contrarsi, aumentò il ritmo delle braccia, voleva far sapere loro che stava raggiungendo l’acme.
Nel momento esatto che esplose l’orgasmo la dottoressa estrasse le dita che massaggiavano la vagina, le prese la gamba sotto il ginocchio portandola verso le spalle, la stessa cosa fece l’infermiera cosicché il primo getto la colpì in pieno volto, aprì la bocca per riceverlo, quello e gli altri successivi.
Quando anche la dottoressa e l’infermiera raggiunsero l’orgasmo si sfilarono dalla mano che le stava piantando in corpo e, alzando la gamba in modo che la loro figa fosse in direzione del viso dell’allieva, squirtarono .
-AAAAAHHHHHaaaaaahhhhhh’- gridarono tutte insieme all’unisono fino ad esaurire l’aria nei polmoni.
Lei era svenuta con loro. La scarica di adrenalina di prima e le endorfine dell’orgasmo poi l’avevano spossata oltre ogni limite, era troppo, stramazzò sul lettino e fu avvolta dal buio.
-Ti piace vero?- chiese l’infermiera in modo investigativo.
-Sì, è una buona puledra.- rispose la dottoressa -una volta addestrata sarà alla portata di qualsiasi soggetto.
-Non intendevo quello, tu la trovi arrapante!- incalzò.
-Non dire sciocchezze, non ti permettere di dire certe cose! Pensa a chiamare Hande piuttosto, che la riporti in camera!- disse brusca.
-Ma io credevo…- cercò di giustificarsi l’infermiera, ma si interruppe quando vide gli occhi della Dottoressa. -Mi scusi Padrona. Sarà fatto come desidera.- disse inchinandosi per congedarsi e arretrando verso la porta.
‘Piccola impertinente! Dovevo dargli una lezione.’
Ma aveva visto giusto, quella non era una puledra, era un purosangue della miglior specie. Ci avrebbe pensato di persona, avrebbe potuto sicuramente trasformarla in una Reclutatrice. Capitolo 4: Materia prima.
Gutta cavat lapidem.
Cominciava a riprendersi, si sentiva tutta indolenzita ma almeno riusciva a muoversi.
Solo gli occhi facevano fatica ad aprirsi ma una volta che ci riuscì cercò di guardarsi intorno per capire dove si trovasse. In un primo momento mettere a fuoco fu difficile, come si fosse svegliata da un lungo sonno, si strofinò gli occhi col dorso delle mani e gradualmente le allontanò dal viso riuscendo nell’intento di focalizzare un punto preciso. Anche la vista stava riprendendo le normali funzioni.
‘Dove sono? Cosa mi è successo?’ Domande senza risposta nella sua mente ma normali per chi si risveglia in un luogo diverso da dove pensava di essere. Ma più di tutte la preoccupava quella a cui solo lei poteva dare risposta…
‘Chi sono?’
La mente era vuota, per quanto si sforzasse nulla riusciva a far breccia in quel sipario bianco, nessuna immagine o ricordo. Sollevò lentamente la schiena dal letto finché non fu seduta, le girava la testa, era completamente nuda e sentiva addosso l’odore di sesso.
Si guardò intorno, era al centro della stanza adagiata su di un letto circolare con lenzuola di seta bianca. La parete alla sua destra era completamente a specchio, con delle fessure a formare un rettangolo come se in quel punto vi fosse una porta. Sul lato opposto la luce del sole filtrava da una tenda pesante rossa che doveva celare un’ampia finestra. Di fronte poteva vedere il bagno separato dalla stanza da una vetrata che permetteva di vedere tutto quello che vi succedeva all’interno, mentre alle sue spalle una porta di accesso a un guardaroba che sembrava vuoto.
Poggiò i piedi a terra e provò a alzarsi, le riuscì abbastanza facilmente anche se sentiva le gambe deboli ma visto che tutto sommato stava in equilibrio si diresse verso la tenda. L’aprì quel tanto che bastava per vedere fuori ma, visto che era nuda, rimase al riparo da eventuali sguardi indiscreti.
Nulla, non c’era nulla. Scostò completamente la tenda, nessuno avrebbe potuto vederla. Di fronte a lei la grande vetrata scorrevole dava su un patio oltre il quale un giardino ben curato
chiuso su entrambi i lati da pareti alte circa sei metri terminava con una piscina particolare: occupava tutta la larghezza del giardino, la parete esterna trasparente si affacciava sul vuoto come fosse stata sull’orlo di un dirupo, oltre solo la distesa del mare fino all’orizzonte, come se si trovasse su l’estremità di un promontorio.
Cominciò a girare per la stanza per trovare un indizio che le permettesse di capire dove si trovava. La parete a specchio effettivamente aveva una porta ma poteva essere aperta solo dall’esterno. Il guardaroba era immenso ma solo la scarpiera era utilizzata, una infinità di scarpe di tutte le forme e colori ma tutte molto sexy con un tacco sottile e alto minimo 10 centimetri.
Le cassettiere erano vuote tranne qualcuna che conteneva calze autoreggenti e reggicalze di varie fogge e colori. Il mobile per il trucco invece conteneva tutti i suoi accessori, anche oltre ogni limite.
Il bagno era molto spazioso, dietro un divisorio in vetro c’era una doccia a pioggia che occupava tutta una parete, asciugamani e accappatoio in lino erano poggiati su delle mensole all’ingresso della sauna sulla parete opposta alla doccia e al centro della stanza una vasca con idromassaggio già piena d’acqua, così ampia da contenere almeno tre persone. Water e bidè erano sulla parete di fondo ma senza alcunché potesse dare un minimo di privacy.
Decise che una doccia le avrebbe fatto bene. Voleva togliersi quel odore di sesso che le impregnata la pelle. Si avvicino alla mensola vicino agli asciugamani dove era esposta una vasta scelta di saponi in bottiglia, ognuno con una particolare essenza. Li odorò tutti decidendo che Ylang-Ylang e Patchouli sarebbe stata la scelta corretta, si diresse alla doccia, apri l’acqua e cominciò ad insaponarsi.
Finalmente qualcosa che riusciva a rilassarla, i muscoli riprendevano vigore, il massaggio della spugna insaponata sulla pelle era piacevole, anche troppo perché stranamente cominciava a renderla molto sensibile.
Ogni volta che passava la spugna sui seni sentiva uno strano formicolio partiva dalla nuca, scendeva lungo la spina dorsale, stimolava le parti basse fino a fermarsi in un punto preciso all’interno del suo ventre, proprio dove si trovava l’utero. Era piacevolmente attratta da quello stimolo, scivolò con una mano fino al capezzolo, stuzzicandolo con le dita finché si inturgidì mentre con l’altra mano si portò la spugna insaponata verso il boschetto posto sul monte di venere.
Cominciò con dei lenti movimenti circolari, quello strano formicolio era scomparso ma dal punto in cui si interrompeva cominciò ad irradiarsi una sensazione che aumentava la sua eccitazione, sentiva le grandi labbra congestionarsi mentre la figa si bagnarva non certo dell’acqua che le scorreva lungo il corpo fino in mezzo alle gambe.
Non resistette oltre, lasciò cadere la spugna, allargò leggermente le gambe e fece scendere la mano in mezzo ad esse, il dito medio si introdusse in mezzo alla fessura della figa incontrando il clitoride turgido, inserì anche l’anulare imprigionando quel bottoncino magico fra l’estremità delle falangi, fece scorrere su e giù le dita lungo le piccole labbra aumentando gradualmente il movimento fino ad arrivarne a sentire l’imbocco della vagina, piegò le due dita e le affondò in essa; le sentiva deliziosamente avvolte da quel ambiente caldo e umido, ogni affondo aumentava il piacere ma cominciava a non bastarle, voleva di più: un cazzo che la prendesse lì su due piedi
La bottiglia di sapone era a portata di mano sembrava fatta apposta: il tappo a forma di pigna, un diametro che permetteva alla mano di avvolgerla tra pollice e indice, liscia e uniforme.
Si accovacciò a gambe larghe, con le dita che stava estraendo dalla vagina dischiuse la vulva e iniziò a introdurre la punta di quel dildo improvvisato, non era la stessa cosa di un cazzo ma adesso si sentiva più appagata, penetrò molto lentamente perché voleva assaporare quel momento il più a lungo possibile, con la stessa lentezza lo estrasse quasi completamente per poi riaffondarlo ancora, aumentò gradualmente la velocità seguendo il montare del suo orgasmo.
Sola con sé stessa chiuse gli occhi e cominciò a lasciarsi andare, stava per venire’
‘Sìii’ sfondami’ dammelo tutto… fino in fondo’.’ la sua mente cercava di immaginarre qualcuno che la prendesse mentre iniziavano le prime contrazioni vaginali dell’orgasmo, portò entrambe le mani al seno e cominciò a strizzarsi i capezzoli mentre il dildo entrava e usciva sempre velocemente dalla sua vagina.
-Sìii’ Sìii’ continuahhh’- cominciò con un sussurro finché esplose l’orgasmo -SSSIIIIHHH’ BASTARDOòOHH!… FAMMI GODEREEEHHH!!!- urlò con tutto il fiato che aveva in corpo mentre le veniva estratto il dildo dalla figa che stillava copiosi umori.
Si voltò di scatto verso la presenza alle sue spalle, conon entrambe le mani le afferrò la nuca e cercò le sue labbra, fu un bacio profondo alla ricerca della lingua avversaria da succhiare, voleva scambiare le proprie salive e la risposta ci fu, calda, intensa, di una passione furiosa; la presenza ricambiò l’abbraccio e iniziò a sollevarla, sentì quei due seni sodi contro i suoi e il sipario bianco nella sua mente si aprì: Lui che usciva per andare all’aeroporto, la telefonata, l’incontro al parcheggio, Hande, la ‘visita’, solo una piccola parte le sfuggiva: il volto e nome di lui e soprattutto il proprio. Solo allora si rese conto che era tra le braccia di una donna e in un atteggiamento decisamente sconveniente.
-AH!- urlò spalancando gli occhi e allontanando da lei quella presenza.
Nuda di fronte a lei Hande stava chiudendo l’acqua della doccia, in mano ancora il dildo improvvisato.
-Benvenuta tra noi, Ween.- le disse, osservando ad un passo di distanza la posizione da verginella della sua allieva -Pensavo che l’effetto della visita ti fosse passato, ma vedo che ora si, decisamente sei tornata te stessa.
Lei cercava di coprirsi come poteva, un braccio sul seno e una mano sul pube, mentre ammirava quella specie di statua classica in carne ed ossa che si trovava di fronte, la coda di capelli corvini, gli occhi azzurri molto penetranti, un seno sodo dalle punte all’insù, una vita sottile che si allargava su dei fianchi ben modellati da cui partivano due gambe slanciate dalle classiche tre fessure e al centro di esse la collina del piacere con il piccolo triangolo di peli, corvini anch’essi e ben curati.
Stava in punta di piedi come se portasse dei tacchi altissimi.
-Chi sei?- chiese incerta ad Hande -Perché mi trovo qui? Dove mi trovo? E perché mi hai chiamato Ween, sai chi sono?
-Quante domande! Avrai le risposte a tempo debito. Al momento tutto quello che ti è dato sapere é che Ween é il tuo nome o, per essere più precisi, é quello che ti è stato assegnato fino a quando non avrai terminato il tuo percorso e io sono Hande, la tua attendente; ma questo lo sapevi già.
-Quale percorso?- incalzò Ween.
-Come ti ho già detto lo saprai a tempo debito.- rispose con un piglio un po’ severo Hande.
-Adesso vieni che ci prepariamo.- continuò uscendo dalla doccia e aprendo tra le braccia il telo di lino pronta ad accogliere Ween per asciugarla.
-Allora? Ti muovi?- la incitò con tono un po’ severo – ci stanno aspettando.
-Chi?- chiese Ween avvicinandosi titubante ma sempre coprendosi con le mani -Chi ci aspetta?
-Finiscila di fare domande!- fu la risposta secca mentre veniva avvolta dal telo caldo -Vai in guardaroba e aspettarmi!
-Ma’- cercò di insistere Ween ma Hande le si pose davanti fissandola in modo severo -Ho detto: VAI!- mentre indicava la porta del guardaroba; non lo urlò, ma quel ‘VAI’ pronunciato in quel modo le fece venire la pelle d’oca, quindi preferì ritirarsi senza insistere oltre. Capitolo 5: Il dono
Faber est suae quisque fortunae.
Elannah si voltò molto lentamente portando al di sotto del seno la mano che un attimo prima era tra le cosce di Inya, come a volerla proteggere; il palmo rivolto in alto e chiuso a coppa conteneva ancora parte degli umori raccolti durante quel massaggio intimo. Avanzò verso di me preceduta di un passo da due delle ancelle; si fermò a poca distanza dal mio viso con le ancelle dietro le mie spalle, fece loro un cenno di assenso con la testa.
-Ma che’ AHI!!! Perché?- fu l’unica cosa che riuscii a dire poco prima ritrovarmi, non so come, bloccato da loro in posizione inginocchiata con il naso a sfiorare il perfetto boschetto di Elannah: emanava un profumo di puro sesso animale, era inebriante; avevo la tentazione di affondare la lingua per assaporarne il gusto ma ne ero tenuto a debita distanza. Abbassò lo sguardo e ordinò: -Guardami!-
Sollevai il viso, ebbi un brivido lungo la schiena quando incrociai i suoi occhi color smeraldo: una tigre che punta la preda.
Sorridendo in modo enigmatico intinse l’indice della mano libera nel palmo di quella che teneva sotto al seno, come fosse un pennino nel calamaio.
-Alla Prima Porta ti è stato donato l’Algiz, e lo hai accettato.- sussurrò e con l’unghia del bagnata di umori mi tracciò una specie di B spigolosa al di sopra del sopracciglio destro, quindi una freccia con la punta rivolta verso l’alto sopra quello sinistro e infine terminò con una X al centro della fronte.
-Sappi che ciò che hai chiesto ha un prezzo.- proseguì con un tono decisamente più inquietante.
-Ma io’- la protesta mi si ricacciò in gola sentendo il suo indice scendere dal centro della fronte, lungo il naso per fermarsi a premere le labbra.
-Oh, si che lo hai fatto!- disse con voce profonda, sensualmente severa e facendo cenno alle ancelle di rialzarmi.
Adesso ero in piedi, confuso più che mai, mentre Elannah abbassava la mano intrisa dei residui umori di Inya ad afferrare ciò che in quel momento pareva non essere nel pieno delle sue funzionalità; iniziò un lento avanti indietro di una estenuante sega che lo fece propendere verso una forma più consona a quella strana situazione. Non capivo il senso di quella cerimonia, seppure sembrasse ne fossi la causa e neppure cosa mi univa a quegli strani personaggi; però qualcosa doveva pur esserci perché con il proseguire di quella sega e il montare del mio piacere guardai alle spalle di Elannah: la giovane Inya, senza essere sfiorata da alcuno, si contorceva come se stessero stimolando a lei le parti intime; l’espressione del viso e gli occhi socchiusi mi fecero immaginare una invisibile presenza intenta a procurare piacere. Il desiderio di essere io quella entità combinato al trattamento che stavo subendo in quel momento ebbero effetto: il cazzo erutt’ nella mano che Elannah aveva posto davanti a raccogliere il prodotto del mio orgasmo, proprio come aveva fatto poco prima con l’adepta. Il rito avvenne in senso inverso, Inya si mise in ginocchio mentre Elannah le si avvicinava, anche a lei segnò la fronte come aveva fatto con me ma stavolta usando il mio di ‘inchiostro’. Terminato il rito Elannah la fece rialzare porgendole entrambe le mani, si inginocchi’ alle sue spalle e iniziò a spogliarla completamente: le tolse una scarpa, quindi l’altra, fece scendere le calze accarezzandole la pelle, si rialz’ per togliere la veletta e infine le slacciò la fascia al collo mentre lentamente le sussurrava qualcosa all’orecchio ma non percepii cosa diceva: il brusio dei reattori copriva le parole, cercai di interpretare il labiale e pareva dicesse: ‘Adesso sei libera, segui entrambi con giudizio’.
Ynia, in punta di piedi come non avesse tolto le scarpe, mi osservava:p senza la veletta due smeraldi mi scandagliano tanto a fondo da mettermi a disagio; l’istinto di coprire con le mani il pube era forte, una sensazione che immagino possa essere la stessa che prova una donna osservata insistentemente da un maschio.
Avanzò lentamente verso di me con l’incedere da passerella e si fermò quando i capezzoli mi sfiorarono il petto. Guardò indietro, verso il gruppo che aveva lasciato: sembrava volesse una conferma. Elannah le fece un cenno di assenso e mi sembrò che ne fosse rincuorata perché sospirò tornando a rivolgersi a me è mi abbracciò appoggiando la testa sulla spalla.
Elannah e le altre si ritirarono, scomparendo alla nostra vista: ora eravamo relativamente soli.
Il respiro di Inya mi solleticava il collo, mi piaceva. Iniziò a muovere la testa come un gatto che cerca carezze, chiusi gli occhi per assaporare quel momento’
Il tocco divenne più deciso, mi scuoteva la spalla e il sussurro della sua voce si fece sempre più chiaro: -…eur, …sieur, monsieur!
Aprii gli occhi un po’ rintronato, il viso della hostess che mi guardava.
-Monsieur, nous faisons notre descente finale, vous soulevez le dossier du siège et attaches votre ceinture de sécurité, s’il vous pla’t.
‘E che cazzo, proprio adesso!’, dovevo essermi addormentato di botto, non ricordavo nemmeno il momento dell’ imbarco. Va beh, prepariamoci… Capitolo 6: Es.
Nosce te ipsum.
‘Mio dio! Che diavolo mi è preso! Amoreggiare con una donna! Che mi è preso!!!’ Una miriade di pensieri le turbinavano in testa.
‘Non è da me, sicuramente mi hanno drogata! Non è possibile che mi comporti così. Che vergogna’ E che schifo!!!’ Era scioccata, ma anche sorpresa di se stessa, del suo comportamento.
-Sì. Forse scopolamina e metaqualone c’entrano qualcosa.- disse Hande alle sue spalle, -Ma non credo sia il tuo caso, gli effetti sono già passati da un pezzo: hai dormito per ventidue ore.- Aveva raggiunto Ween nel guardaroba, asciutta e rivestita dopo la doccia fatta insieme, poteva vederne l’espressione sconvolta dal riflesso dello specchio della coiffeuse dove era seduta, ancora avvolta nel telo che le aveva messo addosso.
-Cosa?- chiese Ween, interdetta dall’aver ricevuto risposta a una domanda non espressa.
-Dicevo: è possibile che ciò che abbiamo usato causi questo tipo di comportamenti. Ma non ha certo il potere di costringerti a fare cose che non vuoi. Quindi’- Ribad’ Hande con un sorrisetto sarcastico.
Ween avvamp’ nel rendersi conto di cosa intendeva con quel ‘Quindi’.
-Adesso prepariamoci, ci stanno aspettando e rischiamo di arrivare in ritardo.- Concluse iniziando ad armeggiare con le attrezzature da makeup.
Ci volle parecchio tempo ma il risultato che Ween vide riflesso nello specchio la lasciò senza parole: l’immagine di una Playmate.
‘Non è possibile, non ci credo, sono io?!’ Pensò.
-Non ti stupire, non c’è nulla di meglio di un buon trucco per valorizzare una donna.- affermò Hande mentre apriva l’anta di un armadio vicino a lei per prelevarne il contenuto – Soprattutto se abbinato al giusto vestito.
-Ma è indecente!- esclamò Ween osservandolo, -Non mi metterò certo un coso del genere!
Era un vestito lungo, di seta bianca leggera, aperto sul di dietro: talmente aperto da lasciare la schiena scoperta fin sotto l’inizio del solco tra le natiche. Sul davanti era praticamente trasparente, salvo il ricamo di un serpente: era tessuto con una trama in pizzo poco più fitta e partiva all’altezza dell’ombelico per salire ad avvolgere il collo, quindi ridiscendere con l’intento di coprire i capezzoli e terminare in basso dove la testa a fauci spalancate celava a malapena l’inguine.
-Senti, vedi di non crearmi problemi.- La riprese Hande, -Sei stata assegnata a me e chi mi comanda non accetta rifiuti: non voglio conseguenze a causa tua!
Lo stesso sguardo severo mostrato poco prima nel bagno, era chiaro: ogni resistenza sarebbe stata inutile.
-Ok, direi che ci siamo capite.
Hande prosegui levandole il telo in cui l’aveva avvolta dopo la doccia, solo un accenno di Ween a trattenerlo: si vergognava ancora a farsi vedere nuda anche dopo ciò che era successo ma la maniera decisa dell’attendente ebbe la meglio, quindi alla fine si arrese e la lasciò fare.
-In piedi e alza le braccia!- le ordinò e lei, obbediente, esegu’. Le infilò il vestito: calzava alla perfezione.
Ween era certa fosse stato fatto apposta per le sue misure perché non vi era una piega fuori posto, il serpente di pizzo copriva esattamente i punti previsti, l’orlo lasciava scoperte le caviglie, uno spacco per lato arrivava giusto all’altezza del fianco dove i lembi si sormontavano fra loro cosicché rimaneva chiuso, a patto che stesse ferma, ben eretta e con le gambe unite.
Non cap’ bene perché ma Ween sentì il bisogno di mettersi in punta di piedi.
-Uhm, bene, bene, bene.- mormorò tra sé e sé Hande: seppur impegnata a passare in rassegna la scarpiera aveva notato quel suo gesto e ne rimase compiaciuta, -Alla natura non si comanda!
-Queste!- disse infine scegliendo un paio di Ankle Strap col cinturino sottile e tacco particolarmente alto a stiletto. La calzata era fatta solo di una sottilissima striscia in vernice: praticamente aveva solo la funzione di tenere fissata la suola al piede.
-Non riuscirò mai a camminare con quelle! Rischio di rompermi una caviglia!- Si lamentò Ween.
-Oh, non ti preoccupare, so che c’è la puoi fare!- replicò Hande inginocchiandosi davanti a sollevarle un piede per calzare la prima scarpa e poi fare lo stesso con la seconda.
Ween, in precario equilibrio su quei tacchi esagerati, osserv’ Hande inginocchiata davanti a lei e iniziò a provare un sottile piacere da quella situazione: si sentiva una matrona romana durante la vestizione, mentre viene aiutata dalla propria schiava personale.
Quel pensiero unito all’immagine di loro due insieme sotto la doccia la eccitavano ne era sconcertata. Si rese conto di non poter impedire ai capezzoli di ergersi e al suo nido di bagnarsi e di desiderare, no’ di voler ripetere quella esperienza.
Le sembrò che Hande avesse capito: nell’istante in cui quel pensiero erotico le attraversò la mente Hande alzò la testa e la guardò con un sorriso ambiguo.
Si, ne era quasi certa.
Terminato di allacciare la seconda scarpa Hande le bloccò la caviglia con la mano mentre col palmo dell’altra era partita ad accarezzare l’interno della gamba, risalendo verso l’inguine.
‘Dio, no’ Ti prego’ No’ Non ce la faccio” pensò.
Stava mordendosi il labbro inferiore dalla voglia che provava ma non voleva accettare, provò a bloccare quella mano serrando le cosce, ma fu peggio: per non perdere l’equilibrio arretrò le braccia appoggiando le mani sul piano della coiffeuse.
Quella posizione, più che un rifiuto, sembrava un invito esplicito a soddisfarla.
Le dita di Hande raggiunsero la fessura all’incrocio delle gambe, facendola sussultare.
-Tranquilla, non sarà come pensi.- le disse Hande -Devo allacciare il sottogonna, altrimenti ti salirà tutto fin sotto le tette.
Ne fu sollevata ma anche delusa. Effettivamente sotto il vestito sentiva dei laccetti, come se indossasse un reggicalze.
Hande lasciò la caviglia che stava tenendo e apr’ un cassetto del mobile dove Ween era poggiata. Estrasse uno strano oggetto di metallo: aveva una vaga forma a L, arrotondata, il lato più lungo terminava a ogiva, con tre anelli equidistanti alla base. Muovendolo produceva un tintinnio. Ween comprese: era un dildo, molto particolare ma un dildo.
-Ho detto che non sarà come pensi, non che non ci sarà nulla.- le sussurrò Hande mentre spostava la parte frontale del vestito per scoprirle il monte di Venere. -Molto bene, vedo che non hai bisogno di aiuti.
Era vero. Era così tanto eccitata che in quella posizione le grandi labbra si erano leggermente dischiuse e si potevano vedere umori che formavano filamenti sui bordi: sembrava l’ingresso della rana di un ragno di terra.
Con pollice e indice Hande le divaric’ bene la vulva, poggiò la punta del dildo all’imbocco e iniziò l’introduzione. Ween non reagiva, immobile nella posizione che aveva assunto cercava di domare le sensazioni che le stavano combattendo dentro.
Avrebbe voluto fuggire, ma allo stesso tempo andare incontro a quello strumento di piacevole tortura.
Smise di respirare, strinse le dita sul bordo del mobile tanto da farsi venire le nocche bianche. Rimase così, congelata, fino a quando Hande non terminò di introdurre completamente la parte più lunga, quindi fece in modo che quella più corta e ricurva sfiorasse la clitoride. Completò l’operazione legando i lacci del vestito ai tre anelli cosicché rimase fissato in quella posizione.
Cap’ quale sarebbe stato il supplizio: il dildo era parte integrante del vestito, si sarebbe mosso dentro e fuori di lei ogni volta che avesse mosso un passo. Non os’ immaginare con quale risultato, viste le condizioni in cui già si trovava.
-Su, cammina.- disse Hande mentre la aiutava a rimettersi eretta.
-N’ Non ce la faccio- piagnucol’ Ween.
Già solo le scarpe le rendevano difficile mantenere l’equilibrio con quel coso dentro poi’ Sarebbe stata distratta ad ogni passo: una piacevole distrazione che le avrebbe impedito di pensare ad altro.
-Oh, si che c’è la puoi fare. é solo questione di allenamento, come tutte le cose.- la rimproverò Hande. Prese in astuccio dallo stesso cassetto dove aveva trovato il dildo quindi la accompagnò fuori del guardaroba, verso la parete a specchio nella stanza.
Quei pochi passi erano stati un supplizio, mantenere l’equilibrio su quelle scarpe la costringeva a muovere le spalle, e l’oggetto dentro di lei, legato a loro dal vestito, le seguiva con un leggero movimento circolare o con un dentro fuori che stimolava nello stesso tempo la clitoride, colpita mai due volte di seguito nello stesso punto.
Il ricamo del vestito poi le stava stuzzicando i capezzoli.
Ogni passo un flashback: si immaginava vista dall’esterno alla ‘visita’, nella ‘doccia’, alla ‘vestizione’; ogni metro un livello più alto del piacere provava. Ma i passi furono troppo pochi.
-E adesso?- chiese.
-Un attimo.- Hande aprì l’astuccio.
Ween sgran’ gli occhi: un collare, un collare in morbido cuoio nero, al centro un anello di metallo. Al di sopra dell’anello una croce con i due bracci inclinati fatta di strass, simili a diamanti, al di sotto la scritta WEEN sempre in strass ma simili a smeraldi.
-Mettilo.-
Lo prese titubante e se lo avvolse al collo. Avvicin’ le clip magnetiche di chiusura e contemporaneamente al click del collare la porta sulla parete a specchio si aprì.
-Potrai uscire di qui solo con indosso quello. Potrai toglierlo solo chiusa in questa stanza. Adesso andiamo.
Uscirono, Ween si trovò in corridoio con pareti coperte da pesanti tende di velluto scarlatto che rendevano l’ambiente ovattato.
Ebbe un brivido e dalla bocca socchiusa un sospiro simile a un rantolo: era lungo, molto lungo e alla fine’
delle scale.
Avanzò, appoggiata al braccio di Hande.
Capitolo 7: Okija.
Sàpere aude.
La porta era davanti a lei, ma non la vedeva, non poteva vederla: aveva chiuso gli occhi: non c’è la faceva più, avrebbe voluto fermarsi lì.
Avevano camminato molto da quando era uscita dalla sua stanza, un passo dopo l’altro e quell’ultimo passo ancora le avrebbe fatto raggiungere il traguardo, in tutti’
No, non è esatto, ‘con’ tutti i sensi.
Il vestito con il suo accessorio stava raggiungendo il suo scopo: una lacrima sfuggiva dalle grandi labbra solleticando l’interno coscia nello scendere verso la caviglia, il suono acquoso del dildo che picchiettava sulla clitoride impregnata di umori, il profumo che la figa emanava nel grondare piacere.
Percepiva che si sarebbe persa in quel passo finale e si abbandonò: si lasciò guidare da Hande come un cieco segue la sua guida, ubriaca delle sensazioni che stava provando.
La porta si aprì, fece quell’ultimo passo e’ fu la fine.
L’orgasmo fu potente: sentì le contrazioni di vagina e utero, quasi dolorose, una scossa part’ verso il cervello e rimbalz’ indietro trasformandosi in un rivolo denso e cristallino che cadde sul pavimento a formare una piccola macchia.
Le gambe cedettero e il fiato trattenuto durante quelle sensazioni le uscì dalla bocca con un sibilo profondo come’ Un serpente, un serpente che annuncia la sua presenza.
Lo spettacolo che si presentò ai chiunque si fosse voltato verso quel suono fu di vedere Ween al fianco di Hande, inginocchiata e ansimante, a capo chino, come un cavaliere che si annuncia al proprio signore.
-Ben fatto, Hande, ora puoi andare.
Ween riconobbe la voce, un brivido le corse lungo la schiena.
Per istinto serrò la mano che ancora teneva sul braccio della sua ‘attendente’ in una tacita preghiera a rimanere, invece lei si ritir’ verso la porta lasciando che quella mano cadesse nel vuoto.
Rimase ancora in ginocchio, a testa bassa, spossata. Provava una profonda vergogna ora che si rendeva conto di non essere stata sola con Hande. Percep’ il tocco delle mani protese verso di lei a sfiorare le spalle.
-Su, Ween, non avere paura.
Era restia, ma si lasciò aiutare dalla Dottoressa ad alzarsi, senza riuscire però a sollevare lo sguardo: una bambina timida.
Con due dita sotto il mento le sollevò il viso.
-Guardami, aprì gli occhi.- la voce calma della Dottoressa era rassicurante, non certo sprezzante come durante la ‘visita’; anche l’espressione era benevola, quasi materna. Obbedi e…
‘Oddio, no! non è possibile!’
Una sala enorme, si apriva di fronte a lei piena di specchi, vari divani lungo le pareti, tappeti spessi e parecchi cuscini sparsi in giro; Una decina di uomini la stavano osservando, così come le donne: tutte vestite grossomodo come lei ma sembravano essere il doppio degli uomini.
Cominciò a tremare: stava mettendo assieme i tasselli.
Ogni indizio la portava verso una soluzione a lei terrificante: drogata, rapita, prigioniera in un luogo sconosciuto che si rivela’
-Un casino, mi avete rapita per fare la puttana in un bordello!- le uscì solo un sussurro, anche se stava per avere una crisi isterica.
-Uhm, no. Non è esatto.
-Come sarebbe: NON è ESATTO!- ribad’ Ween alzando il tono, -Sono vestita come una escort, ho un coso infilato su per la figa che mi sta facendo impazzire, ho fatto cose che COL CAZZO mi sarebbero passate per la mente, sono rinchiusa in una stanza dove sembra che tutti i cazzi presenti vogliano inforcare il primo buco disponibile e tu’ TU MI DICI DI STARE CALMA!!!
Adesso era in piena crisi di nervi.
Il bruciore alla guancia fu repentino,non violento, ma sufficiente a zittirla.
-Hai finito?
-Sì’-, stava per piangere, -non voglio’
-Questo lo vedremo, adesso calmati,- il tono era, nonostante tutto, rassicurante, -tu qui sei un ospite.
-Come sarebbe: ‘un ospite’?
-Si, un ospite, per un desiderio espresso dalla persona a cui questo è dedicato. Lei glielo ha concesso.
-Lei chi?
La dottoressa le indicò un soppalco dove una donna elegantissima, in un vestito nero, un cappello con veletta che celava il viso e una capigliatura bionda raccolta a coda di cavallo legata molto alta, stava osservando il gruppo di persone; come stesse assistendo a una pièce teatrale.
-E cosa significa?- rintuzzo Ween
-Significa che nessuno ti costringerà a fare nulla.
-Tutto ciò che hai fatto finora’ lo hai voluto tu,- proseguì la Dottoressa infilando la mano nello spacco del vestito fin sotto la bocca del serpente ricamato, -questo non puoi nasconderlo.
Ween ebbe un sussulto quando sentì quella mano indiscreta muovere il dildo dentro di lei.
Estraendo le dita bagnatedi umori gliele accost’ alle labbra. Ween arricci’ il naso un po’ schifata ma, quell’odore era il suo, del suo piacere, non poteva negarlo. Estrasse timidamente la punta della lingua e la picchiett’ tra medio e anulare, in un crescendo, sempre più veloce, sempre più a fondo, con sempre più piacere: anche l’ultimo suo senso fu appagato.
La Dottoressa sorrise compiaciuta, la prese per mano e la condusse verso il divano più vicino.
-Vedi, qui nessuno giudica e nessuno viene giudicato. Sei libera di essere.
In effetti, guardando intorno, non vide alcuna persona che la guardasse in modo critico o facesse commenti su come si era comportata un attimo prima.
Anzi sembrava che tutti stessero in qualche maniera flirtando tra loro. Aveva anche la netta impressione che la Dottoressa stesse facendo la stessa cosa: le era seduta accanto sussurrando le parole all’orecchio, con voce lenta, sensuale, sfiorandole con le dita il collo e le braccia.
-Ricordi cosa hai provato durante la ‘visita’? A cosa stavi pensando? Cosa desideravi?
-Io, no’ non saprei’ ero…-, era sconcertata, lo sapeva, lo sapeva benissimo ma non lo accettava.
-Cosa volevi nella doccia? Ti sei fatta sditalinare da Hande, hai goduto, eri eccitata, anche quando ti ha preparata per venire qui’ e lo sei ancora: lo vuoi, ammettilo!
La stava provocando sempre di più, le sue parole le entravano nel cervello e scendevano in basso accompagnate dalle sue carezze.
I baci dietro l’orecchio amplificavano quella sensazione: il respiro le si fece più corto, i capezzoli le si indurirono, la sensazione di umido in mezzo alle gambe, la voglia di serrarle su quell’oggetto ancora dentro di lei.
-Io’ Io non sono’ Non voglio diventare’
-Cosa? Dillo!
Se mai fosse possibile la Dottoressa lo disse in un modo che sembrava sia un ordine che una supplica, mentre afferrava il dildo in Ween, cominciando a giocarci con movimenti esasperatamente lenti.
Le stava montando un orgasmo potente quanto quello che l’aveva annunciata alla sala.
-Cosa ti fa paura, cosa vuoi che nessuno veda?- insisteva, aumentando il ritmo della mano.
-…una troia’
-Oh, ma lo sei, tutte le donne lo sono,- fu lapidaria nella risposta, -come tutti gli uomini sono dei porci! è la base, la base di tutti. Lo sai e pretendi di nasconderlo, ma qui è impossibile, quindi: cosa vuoi adesso?
Forse aveva capito, o forse ormai aveva raggiunto il punto di non ritorno. La risposta le uscì con tutto il fiato che cercava di controllare: -SCOPAAAHHHRE’ un cazzo di maschio’ qualcuno che’ mi riempia!
Imprigon’ tra le gambe quella mano che sadicamente le aveva strappato quella confessione, mentre poggiava la testa sulla spalla della Dottoressa, ansimandole sul collo.
Il sottile gioco degli opposti: l’aguzzina, ora, era la dolce matrona.
-Non puoi bloccare completamente il potere che hai.
Accarezzò il viso di Ween poggiato sul suo seno mentre liberava la mano dalla morsa in cui era stata trattenuta e aprendo con un rapido gesto lo spacco del vestito così da rendere visibili le grazie finora oggetto delle sue attenzioni.
-Senti, ascolta la sorgente del tuo potere,- proseguì, slegando i lacci del vestito dal dildo, -questa è ciò che un Maschio brama e con questa puoi domarlo.
Estrasse lo strumento di dolce tortura, ricoperto di lattiginosi umori e glie lo pose sotto il naso.
Quell’odore, la sua essenza su quell’oggetto, non era più un fastidio, anzi la eccitava, la spingeva a annusare, a leccare, a succhiare; e cominci’ a provare quella cosa che sapeva di non aver mai fatto: un pompino in piena regola; anche se cimunque si trattava di un simulacro di cazzo.
-Ogni cosa ha un nome che gli dà potere,- continuò la Dottoressa, -vagina significa fodero. Si … proprio il fodero della spada.
Ween la guardò, la guardò come quando da bambina, col ciuccio in bocca, guardava la nonna che le raccontava le antiche storie del Paese.
Ora tutto era chiaro e le parole della nonna le uscirono naturali: -E finché la spada sta nel fodero’
-…le guerre non saranno combattute-, completò la frase la Dottoressa.
-Arwenamin’
-Dimmi, Ween.
-Perché?
-Perché devi scegliere. Ti è stato concesso di scegliere.
-Cosa? Scegliere cosa?
Gelith incontrò lo sguardo di Ween, chiuse gli occhi e chinò la testa. Non ci fu risposta.
‘Sì, è la vita. Lo saprò solo dopo che avrò scelto.’ Ora sapeva.
Si alzò, chiuse gli occhi, slacciò il colletto che teneva su la parte superiore del vestito e questo scivolò terra.
Un brusio di ammirazione della sala l’accolse: stavano ammirando la stupenda figura di quella Donna nuda, con quel serpente audacemente tatuato sulla pelle.
Capitolo 8: La scelta.
An làmb a bheir, ‘s i a gheibh.
Beh, mi era già capitato di avere vuoti di memoria nei periodi di stress eccessivo, ma al massimo si trattava di non ricordare dove avessi appoggiato qualcosa: sbarcare dall’ultimo volo della giornata senza ricordarsi il momento della partenza mi faceva strano’ quel sogno poi’ e la scena di noi, quattro gatti di passeggeri, scesi da un aereo da centocinquanta posti in un aeroporto completamente deserto, se non per qualche sparuto inserviente che gironzolava per gli ambienti e tutti abbastanza rintronati, vista l’ora tarda, era abbastanza angosciante.
-Buonasera.- Al mio saluto l’agente ai passaporti mi squadrò come se la stessi prendendo per il culo.
-Motivo del suo arrivo qui?
-Affari.- risposi, al che mi guardò dubbiosa.
-Qual’è la sua destinazione?
-Per stanotte mi fermo in città poi girer’ per fare visita a vari clienti.- Risposi in modo neutro mentre la poliziotta dai capelli corvini sfogliava il passaporto, volessi mai che facesse problemi.
-Ne è sicuro?- Domandò con fare più investigativo e continuando a fare un girotondo con lo sguardo tra me, il monitor e il passaporto.
‘Certo che no, mi sono fatto un viaggio di diecimila miglia per essere qui apposta a farmi fare un pompino proprio da te!’ Fu il pensiero fugace che mi passò in quel momento per la testa come risposta da darle. Le solite domande psicologiche di controllo del cazzo: alle volte avevano il potere di irritarmi, però non mi parve il caso di esternare in quel modo il mio disappunto.
Quindi optai per un più normale: -Certamente. Il viaggio è stato prenotato dalla mia segretaria, perché?
-Uhm.- fu la risposta, come se i dubbi della poliziotta fossero aumentati.
-C’è qualche problema?- Le chiesi, non avrei voluto tirarla per le lunghe: volevo solo arrivare in fretta in albergo e stendermi. Oramai ero rimasto l’ultimo, non c’era più nessuno ai controlli, solo io e lei.
-Come mai ha un visto speciale?
-Un’ cosa?
-Attenda li e non si muova.- E mi indicò il recinto di stand-by mentre si attaccava al telefono.
Mi tenne sott’occhio fin quando non arrivai al posto indicato, quindi voltò le spalle, sicuramente voleva impedire che capissi lo scambio di battute con la persona all’altro capo.
-Rimanga lì.- mi disse uscendo dal suo gabbiotto qualche istante dopo, per allontanarsi col mio passaporto.
-Ma’ io’- replica inutile, non mi diede retta, si allontanò troppo in fretta.
Solo, in zona franca, con l’aeroporto praticamente chiuso, senza passaporto e con un problema di visto’ Ma quale visto? Io ero in area Schengen.
‘Ma che cazzo sta succedendo?’ pensai. Cercavo una spiegazione plausibile ma tutte, per una o più ragioni, da scartare.
‘Dove diavolo sarà finita adesso, è da un pezzo che se n’è andata!’
23:59 segnava l’orologio del tabellone orario voli’ 00:00.
-Venga con me!
-Porta puttana!- Altro non mi uscì di bocca dal colpo che mi prese nel sentire quel ordine improvviso alle spalle.
‘Ma da dove cazzo è arrivata?’ pensiero appropriato, ma inutile da esprimere.
-Dove?- Le domandai.
-Non faccia storie, si muova!
-Ma vorrei sapere perché…AHIO!
Mi aveva afferrato il gomito premendo col pollice nell’incavo, come una morsa: un dolore lancinante. Allentava solo se assecondato il movimento di seguirla; quindi’
Mi diresse verso la porta di accesso agli uffici: quella normalmente riservata al personale, aprendola col suo badge. Camminammo lungo un corridoio chiuso,che dava su uffici vuoti, fino ad un ascensore con la chiamata a chiave. Le porte si aprirono e lei mi infilò dentro.
-Digiti tredici appena chiuse le porte.
-Ma’ scusi, non viene con me? E il mio passaporto?
-Faccia come le dico!
-HEI! UN MOMENTO! COSA’- le porte si richiusero ad una velocità incredibile -…sta succedendo?
Ok, adesso c’era di che preoccuparsi seriamente: decisamente quello non era un normale protocollo di polizia.
‘Dio, Dio, oddio.’ pensai osservando in giro: porte ermetiche a filo parete; rivestimento in inox, come le pareti e il soffitto; nessuna botola di ispezione; nessuna pulsantiera con pulsante di allarme o apertura porte; un tastierino numerico inciso a lato della porta. Se avessi sofferto di claustrofobia sarebbe stato il panico più totale.
‘Ha detto tredici’ quindi” digitai 1: si illuminò; digitai 3: anche questo.
Qualche secondo e le porte si spalancarono.
‘?!?!?! Una reception?! E da quanto in questo aeroporto esiste un hotel interno, e di lusso poi!’
La concierge sollevò la testa da quello che stava facendo dietro al bancone, e le doveva piacere parecchio a giudicare dalla faccia. Mi fece cenno di avanzare.
-Un secondo e’ vengo’ da lei.
Mi scapp’ un sorriso per l’immagine che quel ‘vengo’ sospirato mi stamp’ in testa, forse un po’ beffardo perché se ne accorse e ne sembrò offesa.
-Ben arrivato, la stavamo aspettando.- disse dopo qualche istante alzandosi dallo sgabello su cui era seduta, aggiustandosi con un rapido movimento la gonna molto mini fin troppo ben sollevata.
-Veramente non capisco perché. Non dovrei essere qui, mi ci hanno mandato e sinceramente’
-Se si trova qui è perché così è stato deciso.- mi interruppe lei, -Adesso le fisso la camera, così si potrà rinfrescare prima di riprendere il viaggio.
-Si, certo, sicuro. Senza bagaglio ne passaporto!- fui un poco acido e me lo fece notare con un’occhiataccia.
-Scusi. Non volevo essere scortese. Vede, sono stanco, non è che mi sento tanto bene e sono in una situazione alquanto strana.
-Scuse accettate!- Rispose, -La capisco: ci capitano molti ospiti così, però, effettivamente, la sua posizione è leggermente fuori ordinario, anche se non è la prima volta.
-Comunque continuo a non capire.
-Adesso l’accompagno in camera, così si rinfresca e riposa un po’ prima che la vengano a prelevare.
-Auff,- sbuffai, -sembra proprio che non riesca a farmi capire.
Ero troppo stanco, stufo, gli occhi mi si chiudevano da soli: mi arresi.
-Ho capito benissimo,- mi sussurrò avvicinandosi col busto per non farsi sentire, da chi non lo so, -ma non sono autorizzata a dare certe informazioni.
Informazioni no, ma la vista del suo decolté, nella posizione in cui stava, fu un calmante sufficiente’ beh, calmante’ due bocce quarta misura senza reggiseno…
‘Minchia!’ L’aveva fatto apposta, ero sicuro, l’aveva fatto apposta. Si rimise eretta come un soldatino, che mi venisse un accidente se non sembrava un invito.
-Stanza 1331.- Scand’ in modo chiaro, -è qui sul piano. Mi segua che l’accompagno.
Resa incondizionata.
Alzai le spalle: -Va bene, andiamo!
Si incammin’ lungo il corridoio a lato del desk, io mi attardai un attimo sulla soglia mentre lei andava avanti per uno sguardo all’ambiente che stavo lasciando: di fronte alla reception l’ascensore da cui ero uscito; sulla sinistra il salottino di attesa; sulla destra il lodge bar; nessun altro ingresso o vetrata verso l’esterno; pareti di marmi e stucchi in bianco su nero; quadri di nudi artistici ( probabilmente una ‘personale’ di qualche artista) e’
Quasi scoppiai a ridere: un movimento con la coda dell’occhio al desk.
‘AH! PPPER’!!!’ Pensai nel vedere quel botolino di rossa mozzafiato alta non più di 1.55, con due tette sesta misura fuori dalla camicetta, uscire da sotto il bancone e dirigersi verso il bar, si leccava le labbra facendo un gesto inconfondibile con la mano.
‘Se non ti lecchi le dita’ alle volte, la pubblicità” giuro, fu una sofferenza’
-Allora andiamo?-
…non riderle in faccia: -Si’ si’ andiamo!-
‘Non sta a me giudicare.’
-La sua stanza.- disse la concierge entrando,- nel bagno troverà l’occorrente per la toilette; nell’armadio il ricambio.
-Grazie. Molto gentile.- Risposi.
-No, grazie a lei per la comprensione.- Lo disse prendendo la mia mano destra e poggiando il suo indice sinistro sulle mie labbra, prima darmi un bacio a sfioro sulle stesse.
Ritornò sui suoi passi lasciandomi lì, impalato davanti alla porta che si richiuse dietro di lei, interdetto’ ‘Deja-vu?’
Una doccia. Decisamente mi ci voleva una doccia per far passare la stanchezza e la tensione che avevo accumulato, poi avrei inforcato il letto. Al da farsi avrei pensato l’indomani, per adesso avevo solo bisogno di dormire; andai a controllare nell’armadio: un completo scuro con tanto di camicia, calze e scarpe coordinate; almeno per il cambio ero a posto.
Mi portai in bagno, aprii l’acqua della doccia e iniziai a spogliarmi.
‘Ma che diavolo’ e quando sarebbe successo che mi sia depilato?’
Stavo per chiamare per’, visto il livello di assurdità raggiunto, mi sembrò inutile aggiungerne altri e poi non era spiacevole.
‘Finalmente!’ Il dolce rilassamento dei muscoli al contatto del materasso fu un bell’invito per Orfeo: mi addormentai di botto.
Toc, toc
-Umpf.
Toc, TOC.
‘E adesso chi rompe i coglioni!’
Brutto essere svegliato nel pieno del sonno, anche se avevo riposato abbastanza con quel poco di ore di sonno: avrei voluto stare ancora qualche minuto a letto.
-Arrivo!- Rivolsi alla porta mentre mi mettevo un asciugano in vita per andare ad aprire: ero andato a letto nudo.
‘Ma che ore sono?’ 00:00, era fermo.
‘Perfetto! Millequattrocento euro di Khaki X-Wind.’
Aprii la porta distratto dal cercare di rianimare l’orologio.
-Vestiti, dobbiamo andare.
Un tuffo nel fiume alpino dopo una sauna finlandese, si, certo, fu proprio quella la sensazione sulla pelle nel sentire quella voce.
Lo sguardo mi passò dall’orologio alle perfettamente curate dita, pelle olivastra, ferme sulla soglia, calzate in sandali che spuntavano dal bordo di un vestito da sera lungo: un Armani forse, visto il colore rosso. Sollevai lentamente lo sguardo: sapevo cosa avrei trovato alla fine.
-Tu!
-Si.
-Allora’
-Sì.
-Devo farlo adesso?
-Sì, mi dispiace. Ma lo sapevi, questo è il prezzo.
-Va bene. Scelgo lei’ e te.
-Grazie.
Andai a vestirmi mentre Inya entrava. Si sedette sul letto, era stupenda.
-Sono pronto. Andiamo.
La presi sottobraccio e ci incamminammo lungo il corridoio, verso le scale. Lei fece un sospiro, mordendosi il labbro inferiore.
Capitolo 9: Il Ritorno.
Carpe diem, quam minimum credula postero.
Arrivammo alla porta.
Inya mi si stringeva al braccio, respiro rapido, occhi socchiusi e volto rivolto in alto, cercava di trattenersi: le scale erano state una dolce sofferenza, era palese, ma evidentemente non voleva mostrarlo.
-Tutto bene?- domandai.
-Sìhh,- sibil’, -andiamo.
Aprii, entrai facendola accomodare mentre osservavo intorno: al posto d’onore vidi di spalle Lei, La bionda misteriosa; Inya andando ad accovacciarsi alla Sua destra, le poggiò la testa sulla gamba, come un cucciolo; Lei mi accenn’ di sedere sulla sedia alla sinistra, dietro le sue spalle.
-Lo sai perché sei qui vero?- sussurr’ con voce suadente, sensuale e avvolgente: dava serenità.
-Sì, credo di sì.
-Non sembri preoccupato, perché?
-Perché l’ho sempre tenuto in conto, anche se così no, non l’avrei mai detto!- risposi indicando quel che avveniva nella sala ai piedi del palco.
-Oh, quello? Quello è parte dei tuoi desideri.
-Già, avrei dovuto immaginarlo. Ma è proprio lei?
-Si.
Quel desiderio recondito: la sottile follia di lasciare ai sensi più profondi la guida delle proprie azioni; raggiungere il piacere senza alcun pensiero, liberi nel corpo e nella mente. Quel suo lato nascosto che fugacemente aveva mostrato, tanto da scolpire nella mia memoria ogni attimo in cui la sua esuberanza aveva preso il sopravvento; adesso lo ammiravo palesemente: si muoveva come’ no’ era diventata quello che aveva tatuato addosso.
La guardavo incedere con passo lento verso una coppia, gli occhi fissi sulla donna, lui visibilmente eccitato: rosso in viso e fronte lucida di sudore. Si portò al fianco di lei, avvicinando la bocca all’orecchio a sussurrarle qualcosa mentre con il dorso della mano le accarezzava una guancia, scendendo lungo il collo, la spalla, il braccio e afferrarle il polso.
Qualunque cosa le avesse detto fu efficace: la ragazza assecond’ il movimento che le stava imponendo: portare la mano verso i pantaloni di lui, aprirne il davanti, estrarne il cazzo e iniziare una lenta masturbazione a mani sovrapposte.
Con l’altra mano sulla spalla e continuando a sussurrare all’orecchio, la fece accovacciare, gambe larghe, di fronte a quello scettro di carne, mentre il lento va e vieni delle loro mani continuava.
Avvicinò le labbra alla bocca della ragazza, estrasse la lingua e ne percorse il contorno, la risposta non tardò: come una murena esce dallo scoglio attirata dall’esca del sub, così le due lingue si incontrarono, con un’abile danza la guidò verso l’obiettivo, avanzando finché le due bocche unite fecero sparire la punta di quel cazzo svettante. La ragazza, ammaliata, prese l’iniziativa e proseguì da sola il pompino mentre la mia compagna, la ritrosa, la repressa e ora invece maestra di danze si portava sinuosa alle sue spalle per slacciarle il vestito lasciandolo scivolare a terra, insinuando la mano al centro delle gambe aperte: amplificare il piacere al massimo il suo scopo.
L’eccitazione dei presenti era palese e lei sapeva di averne il controllo: bastò uno sguardo e il movimento di ripiegare l’indice verso il palmo per richiamare a sé una donna sulla cinquantina che ubbid’ prontamente, come tirata da un guinzaglio.
Lo sguardo, il dito che aveva fatto da richiamo portato a sfiorare il monte di Venere, allargare le gambe: tutto era un tacito ordine di portare la bocca a soddisfare il suo piacere. Finché le attenzioni non si rivolgevano su qualcun’altra: allora faceva in modo che la persona lasciata venisse soddisfatta da qualcuno che si trovava a portata di mano.
Era indiscutibile, lei voleva che l’iniziativa, la guida del gioco, fosse condotta dalle Femmine; era padrona di se stessa e di tutti: direttore di un’orchestra di corpi in amplesso, nessuno fu lasciato da solo, tutti erano intenti a far godere qualcuno.
Solo lei pareva insoddisfatta: il serpente era sempre in caccia. Non trovava la sua preda: poteva fare un cunnilingus a una ragazza che in quel momento veniva inculata o un face-sitting su una donna matura scopata dal compagno, arrivò persino a segare un cazzo piantato nella figa di una MILF formosa.
Come volesse rimanere al culmine dell’eccitazione senza mai farla arrivare all’acme, ogni possibile variante di un’orgia la stava sperimentando, ma senza mai concedersi fino in fondo.
-Sta cercando soddisfazione,- disse Lei, -non si placher’ finché ciò che le brucia dentro non sarà soddisfatto.
Ero preso da quella performance, eccitato oltre ogni limite, dovevo liberarmi, il cazzo mi faceva male per la posizione che aveva assunto nei calzoni: mi sbottonai, lo estrassi e iniziai a massaggiarlo.
Vidi Inya sollevare il viso verso di Lei con espressione interrogativa, ricevette un cenno di assenso a cui rispose con un sussurrato: -Grazie, mia Signora.
Si alzò, venne dietro di me, mi bloccò e, richiudendo il tutto nei pantaloni, mi sussurr’ all’orecchio: -Dobbiamo andare.
Prendendomi per mano come si fa con un bambino, mi condusse verso il lato del palco dove una scala scendeva con un ampio arco su di una specie di presbiterio nella sala sottostante.
Stavamo arrivando in fondo alle scale e osservavo ancora la mia compagna, rivolta di spalle, impegnata in un 69 sopra una ragazza giovanissima che si faceva aiutare nel cunnilingus da una donna matura: una lezione pratica di sesso orale probabilmente.
Fu un attimo, non ebbe scrupoli stavolta: lasciò quella giovine a bocca asciutta scattando in piedi, alzò la testa annusando l’aria, si girò verso di noi. Continuò a fissarmi mrntre co veniva incontro, si fermò davanti a Inya alzando a mezz’aria la mano destra, lei rispose con un baciamano.
-Sono pronta, Arwenamin.
-Lo so cara,- le rispose continuando a fissarmi mentre armegguava con la mano sotto il vestito e estraendo un butterfly vibe, -Si vede, e si sente.
-Vero, caro?- disse rivolgendosi a me, mentre mi piazzata sotto il naso quell’oggetto intriso di profumati e vischiosi umori.
-Sìhh.- Sospirai: cos’altro potevo dirgli, mi sentivo completamente fatto.
-Così mi volevi allora?- Mi sussurrò all’orecchio mentre si portava sinuosa dietro di noi, -Una vergine vogliosa, una che prende l’iniziativa sempre e comunque. Un animale da letto.
-No! Io non volevo’ Io volevo’ Io’- quelle parole erano una spina nella pelle: non senti niente finché non la tocchi, ma se solo la sfiori fa male.
-Oh, non ti preoccupare, anch’io ne sono la causa: deluso da me? No, forse, la verità è che ti sei illuso!- Diceva questo mentre allontanava Inya da me. Le stava alle spalle e la tirava verso una larga chaise longue imbottita al centro del palco in cui ci trovavamo.
-Dunque hai scelto,- disse mentre faceva scorrere la zip che apriva il vestito di Inya, -ne sei sicuro?
-S’ si. Io t’ ti vorrei, ma anche’ anche lei mi’ mi’
Il vestito non fasciava più Inya: quello era terra e lei, nuda, in piedi davanti al bordo della chaise longue, mi guardava.
-Oh, vedo che non hai ancora capito,- mi interruppe venendo al mio fianco, -vedi, mio caro, non sei tu che puoi scegliere, siamo noi che ci offriamo. Tu devi solo accettarlo.
-Ma’. io’ lei’- ero allibito, o, meglio, pietrificato.
Le fece un cenno e Inya si sedette divaricando le cosce a mettere in mostra il suo fiore, invitandomi a lei con il braccio sollevato.
-No, non tu: lei ti ha scelto per aprirgli la porta della Vita,- mi sussurrò all’orecchio mentre mi stava spogliando, -e quelle del piacere, ricordi?
-Sì, adesso si. Allora quel tuo invito ad uscire la prima volta’ lei a scegliere sull’aereo’ non’ non c’è differenza….
-Già, bravo, vedo che hai capito. Vai, esaudisci i tuoi desideri, lei si è offerta e io te la dono.
E così feci: saggiai la sua bocca, intrecciammo le lingue, mi guidò a scendere verso quella porta, la sua porta: il suo dono. E lo trovai inebriante, profumato, saporito: me lo stavo gustando mentre si stendeva e con le mani sulla mia testa guidava sui suoi punti più sensibili. Era una fonte di nettare inesauribile, finché mi attirò di nuovo verso l’alto.
-Entra!- Un ordine, un desiderio, una supplica. Le sue mani che dal mio viso scendono lungo il petto, i fianchi; una mano che afferra il cazzo alla radice, una che apre le sue grandi labbra; una leggera trazione e la punta è all’imbocco, caldo, umido, avvolgente e stretto. Un ostacolo, il suo sguardo, le sue mani di nuovo sui miei fianchi e le gambe aperte e sollevate che si chiudono premendo lentamente i talloni sulle mio culo; la sua espressione sofferente quando la porta si apre e quella estatica dopo essere entrato a fondo. Il primo dono é aperto.
E tutti gli altri seguirono: tutto ciò che avevo desiderato, senza limiti, Inya non si risparmiava e così faceva la mia compagna. Godevo di loro e loro di me ma in modo speciale: ogni volta che stavo per raggiungere il punto di non ritorno o una o l’altra me lo bloccava, stringendo la base del cazzo. Era pazzesco: godevo ma non venivo. Finché’
Io, lei e Inya sotto di noi: formavano un triangolo perfetto: mancava poco e sarei venuto alla grande Mi prese la testa fra le mani e avvicinò il viso, mi guardò negli occhi ma lo sguardo era oltre il mio: -Sapevi che ogni desiderio ha una contropartita, vero? Accettare è stata la tua scelta,- disse con voce sospirata e triste, -lei è parte di me, tu sarai la parte di lei in me.
L’orgasmo fu assolutamente devastante, adrenalina pura in vena, inarcai la schiena per affondare il più possibile in quella figa che mi si stava contraendo sul cazzo: volevo far combaciare le naturali aperture di cappella e utero, volevo sparare tutta la mia essenza direttamente nelle sue ovaie, il mio dono a chi si è donato.
Esplosi in un urlò animale: -AAAHHHH’
‘Click’, il collare mi si chiuse al collo: Lei dietro di me: -Adesso sei completamente MIO!
…
-…TTENTAAA!!!- Un attimo, poco prima della fine, poi solo buio, pace, serenità.
-Ok, dottoressa, l’abbiamo ripresa, sembra stabile.-
Sentiva le voci ovattatate, gli occhi non volevano aprirsi, ogni singolo muscolo del corpo doleva.
-Dai, su, apri gli occhi.
Quella voce…
-Dai, forza, resta con noi, tu almeno sei stata fortunata: non mollare proprio adesso!
Sì, era lei, ma cosa era successo?
-Arwenamin’
-Cosa ha detto?- chiese l’anestesista.
-Non ho capito…- rispose la dottoressa, -Arleen, aveline’ qualcosa del genere.
Socchiuse gli occhi: si, Gelith era lì, sarebbero state protette e avrebbe istruito sua figlia al meglio.
Scivolò ancora nel buio e nel silenzio: adesso voleva solo riposare’ per ora.
La dottoressa tolse la catenina dal collo della donna che stava soccorrendo, il ciondolo, a forma di Y, le dava fastidio nelle manovre.
Conosceva quel simbolo: la runa Algiz, Protezione nell’affrontare situazioni inesplorate. Sollevò la testa osservando il corpo esanime dell’uomo tra le lamiere, anche lui ne portava uno al collo. Uno sguardo intorno: una donna bionda passava indifferente tra la folla di curiosi verso le operazioni di soccorso dello strano incidente stradale, un uomo la seguiva appresso.
-Sar’ fatto, Mia signora’- sussurrò la dottoressa osservandoli allontanarsi.
(Anni dopo)
-Ciao, Zia!- salutò Enya.
Sì, Zia Sophie, non una vera zia: lei la chiamava così. La dottoressa che soccorse sua mamma anni prima. Convivevano da che si ricordava e avevano un rapporto speciale, complice: gli avevano insegnato certi giochetti!
-Heil’, viperetta, com’è che sei tornata così presto?
-Devo prepararmi per bene. Il mio nuovo ragazzo mi porta al Club Avalon, una bella cenetta, poi a ballare e infine una notte nel loro resort cinque stelle superior: festeggeremo alla grande il mio ventunesimo compleanno: ho intenzione di spolparlo vivo, non sa cos’è esattamente quel posto.
-Uhm. E come fa ad avere due inviti nel club privè più esclusivo del Paese?- chiese dubbiosa, -Naviga nell’oro?
-Sua nonna, quando siamo andati da lei: gli ha regalato una gift-box dicendo che non sapeva cosa farsene e che sarebbe servita molto di più a lui.
-Che nonna perversa! Sai come si chiama il pacchetto?- Chiese Sophie, una punta di apprensione nella voce, -Così magari lo regalo anch’io a tua madre e ci spupazziamo un poco come si deve.
-Siete due porcelline fatte e finite! Mi pare si chiami ‘I tre desideri’, della’ Aliz, Agiz o qualcosa del genere.
-Algiz, forse?
-Sì, forse. Sai, ha un logo quasi uguale a una delle tessere che tieni nel sacchetto ricamato col serpente: una Y ma con una stanghetta in più.- Rispose Enya avviandosi verso il bagno.
-Sì, Algiz: la runa Protezione- disse tra sé Sophie.
-Cosa?- Aveva aperto la doccia.
-Niente, cara…- le rispose ad alta voce, terminò sussurrando: -…niente.
Si diresse verso la cabina armadio della camera padronale, fece scattare un listello largo una ventina di centimetri: una intercapedine tra due armadi si aprì. Attese che Enya finisse la doccia.
-Gelith, sono arrivata! Ho incontrato giù questo ragazzo che dice di’
-Essere venuto a prendermi. Si. Ciao, Ma’. è Conn, il mio ragazzo.- urlò dalla camera Enya.-Finisco di truccarmi e arrivo! Vedessi che regalo mi ha fatto Zia.
-Ok. Gli offro qualcosa, intanto.-
-Allora? Cosa gradisci, Conny? Caffè, té’ Mé?
-Conn, signora, il mio nome è Conn. Groucho Marx, giusto?- Enya lo aveva avvisato che mamma metteva alla prova la cultura dei ragazzi con cui usciva, -una Coca-Cola, se possibile, grazie. Nell’attesa della ragazza disquisirono su vari argomenti.
Il ragazzo stava bevendo l’ultimo goccio quando sgran’ gli occhi cominciando a tossire in modo convulso: la bibita gli era andata di traverso.
Ween si alzò preoccupata per dargli alcune pacche sulle spalle: -Su, su, Conny. E che diavolo t’è preso? Cos’è, hai visto un fantasma?
Si, forse si, gli occhi del ragazzo erano fissi in un punto preciso: la porta della camera padronale. Ween voltò la testa in quella direzione: un brivido, che già in passato aveva provato, le attraversò il corpo.
-Ma’ coff’ ma’- Conn cercava di dire qualcosa tra i colpi di tosse, -coff… è’ coff.. inde’ coff’ cente! Davvero mi’ coff.. permetterete di portarla al fuori così?
Wenn si riprese dalla sorpresa senza darlo a vedere al ragazzo.
-Si, perché? Cosa non va? è un vestito da sera più che adeguato per dove state andando,- disse Zia Sophie spuntando da dietro Enya, -specialmente considerando la vostra conclusione di serata.
Enya abbozz’ un perverso sorriso malizioso.
-Beh, contente voi!- rispose Conn, -andiamo? Ho la macchina sotto.
-Ehi, ehi, ehi. Dove credi di andare con lei bardata così!- Lo bloccò Ween.
-Ah, certo. Volevo ben dire, bel dolcetto o scherzetto!- Il viso del ragazzo tradiva una certa delusione.
-No, non hai capito: domani inizia novembre, fuori è sottozero e sta calando un nebbione che non si vede a un palmo,- spiegò Ween, andando velocemente verso la camera per riapparire con un pesante drappo nero e rosso sul braccio e, in mano, una specie di collare in raso nero.
-Vuoi essere tu a metterglielo?- chiese, rivolta al ragazzo.
-è una cosa che non si usa più da tempo: un mantello che apparteneva alla nonna di Sophie,- Lo disse guardandola e ricevendo un impercettibile assenso col capo, -tiene più caldo di un cappotto e non rischia di sgualcire il vestito.
-Questo va allacciato al collo: fa da colletto.- gli spiegò la zia mentre porgeva al ragazzo il collare.
Quando Conn fece scattare la chiusura ebbe una strana sensazione alle parti basse e fu quasi certo che anche Enya provò qualcosa, perché ebbe un leggero sussulto che la fece inarcare leggermente con la schiena e socchiudere le labbra; quindi fu la volta del mantello: agganci’ la parte interna in raso rosso ai cinque anelli equidistanti presenti sul colletto.
Indietreggi’ di qualche passo ammirandola: -Eheheh, se lo tieni chiuso ti manca solo il cappello a punta e sembri proprio una strega,- la prese in giro,- dai, andiamo, siamo già in ritardo.- disse, prendendola per mano.
-Ti fermerai per pranzo domani?- chiese Ween con tono era forzatamente scherzoso mentre scendevano le scale, -Dopo che avrete festeggiato credo ne avrai molto bisogno.
-Se non muoio prima!- rispose il ragazzo scendendo le scale.
-NON’- soffocò il rimprovero in gola, era dal giorno prima dell’incidente che non sentiva quell’odioso saluto, chiuse la porta alle spalle tornando in soggiorno.
-Allora?- chiese Sophie.
-Sì, Arwenamin,- si stese sul divano, la testa sulle ginocchia di Sophie, -sua nonna doveva saperlo, per questo deve averglielo dato.
-Già, le è toccato un maschio.
-Nonna Ween’ – sospirò, -mi suonerà strano essere chiamata così, speriamo solo sia Femmina.
-Oh, lo sarà. Sono certa che lo sarà. – cercò di consolarla Gelith.
-Meno male che esiste il GPS, cazzo! Con questa nebbia non vedo neanche il cofano della macchina.- Conn temeva di arrivare tardi al ristorante.
-Non ti preoccupare, ci aspettano.- Lo rincuor’ Enya poggiando la mano sulla coscia e risalendo maliziosamente verso il pacco che, da quando erano usciti di casa, era mediamente sull’attenti.
Arrivarono col buio calato da un pezzo.
‘Peccato, a Enya sarebbe piaciuto la vista dal promontorio di fronte al castello’ pensò Conn.
-Non fa niente, lo vedr’ domani.- sussurrò lei varcando la porta del Resort tenuta aperta da un portiere in livrea.
-Cosa?- Il ragazzo non aveva afferrato cosa avesse detto ma lei non rispose alla domanda: fece finta di non aver sentito. La guardarobiera le si avvicinò mentre si stava sfilando il mantello dal collare: -Bentornata, Inya.- le disse sottomessa la ragazza chinandosi a raccogliere da terra il mantello lasciato cadere dalla ospite.
Conn non si accorse di quel particolare saluto: era passato oltre osservando verso l’altro lato della hall una strafiga bionda seduta al bancone del lodge bar, così particolare da attirare la sua attenzione: portava grandi occhiali da sole sotto un cappello a tesa larga, collo lungo e sottile delineato da due lunghi pendenti Swarovski, simili a serpenti: non sapeva bene perché ma ebbe la netta impressione che stesse osservando proprio lui.
Anche Inya guardò in quella direzione, fece un leggero inchino: un saluto regale. La bionda le rispose sollevando il calice che teneva in mano.
Lei fu, Lei è, Lei sempre sarà.
Lei non ti segue’ mai.
Lei ti aspetta.
Non può esistere se tu non esisti.
Sii pronto.
Fino a quel momento’ sta a te fare in modo di non avere rimpianti quando la incontrerai.
(FINE)
O no?
grammaticalmente pessimo........
Ciao Ruben, sei un mito! Hai un modo di scrivere che mi fa eccitare! La penso esattamente come te. Se…
Ti ringrazio, sono felice che ti piacciano. Vedremo cosa penserai dei prossimi episodi, quando si chiuderà anche la sottotrama di…
Davvero molto bello. Piacevole come gli altri e decisamente pregno di sentimenti espressi senza risultare melensi o ripetitivi. D'impatto leggiadro,…
Come ti ho detto, in pochi e poche sanno sa scrivere in maniera così eccitante sia dare un senso ad…