Skip to main content
Racconti Erotici Etero

Il Cambio

By 19 Giugno 2013Dicembre 16th, 2019No Comments

Sono una ragazza normalissima come tante, lavoro, faccio shopping, vado al cinema. Ho un po’ di imbarazzo a raccontarvi quanto mi accade ma ho bisogno di parlarne ed è giunto il  momento di farlo. Il passaggio alla pubertà è stato per me un po’ difficile, a causa del mio sviluppo fisico un po’ tardivo e così, mentre le mie compagne avevano già gli attributi sessuali tali da attirare i ragazzi anche più grandi, io ero invisibile all’universo maschile. Tutte le mie compagne avevano il fidanzatino ed io no. Non ero brutta, ma nemmeno attraente. La situazione mi pesava parecchio e, allo scopo di attirare l’attenzione su di me, cominciai a regalare ai miei compagni momenti di sesso allo stato puro. Era sufficiente che uno di loro me lo chiedesse ed io accettavo di masturbarlo con cura.  La voce si era sparsa a scuola e masturbavo non solo i miei compagni di classe ma anche quelli più grandi, ragazzoni di diciotto, diciannove anni che si facevano masturbare tranquillamente da me. In genere masturbavo ragazzi per i quali non nutrivo alcun sentimento, né mi attiravano fisicamente.  Probabilmente si trattava di una forma di narcisismo/esibizionismo per colmare l’assenza di autostima.

La tecnica era sempre la stessa e facevo tutto io. Andavamo in bagno, entravamo insieme in un gabinetto dove stavamo a malapena in due, gli abbassavo i pantaloni, le mutande e li masturbavo in piedi, guardandoli negli occhi.  Senza mai nemmeno baciarli. Mentre li masturbavo gli sorridevo, gli dicevo parole dolci e poi ….. cercavo di ripararmi dagli schizzi che immancabilmente arrivavano rapidi. Assistevo ai loro orgasmi aiutandoli con gridolini e sospiri più o meno invitanti, ma tutti rigorosamente falsi.

Inizialmente masturbavo tutti quelli che me lo chiedevano, poi iniziai ad essere selettiva concentrandomi su quelli che mi piacevano di più.  Logico che in questo modo pestai i piedi di molte mie compagne che cominciarono ad isolarmi. La qualcosa, invece di scoraggiarmi, mi spinse a continuare su quella strada. Li incontravo, chiedevano, abbassavo i pantaloni e ….. zac lo schizzo era fatto.

Ricordo ancora un pomeriggio, durante la gita scolastica a Parigi, sul lungo senna una mia amica ed io ci eravamo staccate dal gruppo e giravamo sole facendo finta di essere parigine.  Fummo avvicinate da un signore sulla quarantina che ci parlava in francese senza smettere e senza capire che non capivamo una sola parola. Aveva un tono di rimprovero, come fossimo colpevoli di chissà quali crimini. Avevamo un po’ paura di aver fatto qualcosa di male. Dopo qualche minuto, guardai con aria interrogativa la mia amica e le dissi: “Ora lo masturbo, così sta zitto…..” e così mi avvicinai a lui sorridendo e gli passai la mano sul pacco. Lo guadavo negli occhi e vidi contemporaneamente la paura che volessi fargli del male ed il desiderio che glielo facessi davvero. Del cazzo, però, nemmeno l’ombra. E così mi presi la briga di verificare con mano. Gli tirai giù la cerniera, infilai la mano, mi infilai sotto le mutande e ……. magia! Si era indurito! Lo estrassi e piano piano cominciai a masturbarlo, lì, sul lungo senna, dietro un enorme albero il cui tronco ci nascondeva alla vista delle auto che passavano.   

“Brava Giulia! Fagli vedere che non scherziamo. Se dopo ha voglia di romperci i coglioni lo denunciamo per sesso con minori.”

Lo masturbavo lentamente, piegata in due, mentre lo guardavo negli occhi. Lui gettava uno sguardo alle mie gambe che uscivano dalla gonna e poi alzava gli occhi. Poi guardava di nuovo giù , nella camicetta, cercava le mie tette che, ovviamente, non si vedevano. Io continuavo a guardarlo negli occhi e ogni tanto i nostri sguardi si incrociavano. Non reggeva il mio sguardo e spesso chiudeva gli occhi e appoggiava la testa all’indietro sul tronco dell’albero. Sembrava un uomo buono e forse cominciava a temere che fossimo minorenni ed il rischio che correva. Ma aveva un bel cazzo di ragguardevoli dimensioni e soprattutto bello duro. Il che mi faceva piacere. Cominciò a gemere piano tra parole che non capivo con quell’accento delizioso che hanno i francesi. La mia amica mi incitava a far presto e, intanto, controllava che non venisse nessuno. Glielo estrassi fuori dai pantaloni completamente, insieme alle palle. Con una mano lo masturbavo e con l’altra gli manipolavo i coglioni.

Sentii il suo respiro crescere di intensità, bofonchiava qualcosa che naturalmente non capivamo, ma sentivamo chiaramente che stava per venire e la mia amica disse: “Brava Giulia, brava, sta per venire. Al primo schizzo smollalo e scappiamo”

“No, poverino, quello è il momento più bello . Voglio accompagnarlo fino all’ultima goccia …… e poi scappiamo”

Gli tiravo la pelle fin su e poi lentamente gliela tiravo giù fin dove potevo. Godeva come un maiale ed io ero eccitatissima. Il primo schizzo mi prese di sorpresa. Poverino, forse erano mesi che non veniva, perché lo schizzo forte andò lontano almeno un paio di metri. Impugnavo il suo cazzo come la manica della pompa dei pompieri e sparavo in direzione del parapetto. Uno schizzo colpì la gamba della mia amica che emise un gridolino.  Forse, a ripensarci ora, il francese avrebbe voluto che glielo prendessi in bocca, ma io non ci pensai nemmeno. Continuai a masturbarlo fino all’ultima goccia che cadde sulle sue scarpe. Mi alzai di scatto e senza nemmeno riporgli l’arma nel fodero, scappammo via come il vento.

Per molto tempo, mi ero limitata alla masturbazione manuale dei miei compagni, ma il prepotente della scuola, che avevo masturbato molte volte, un ragazzo pluriripetente, un giorno mi chiese di fargli un pompino.

“Come si fa? “ chiesi curiosa

Me lo spiegò così come sapeva fare lui, con un italiano sintatticamente devastato e con termini onomatopeici di uno slang comprensibilissimo.  Da quel momento in poi a lui, e piano piano a quelli più machi, praticai solo pompini con sborrata fuori. Era più difficile difendersi dagli schizzi e spesso macchiavo camicette e pantaloni. Quell’anno in vacanza al mare, per la prima volta, un ragazzo, con almeno una decina d’anni più di me, mi chiese, l’ingoio.  Mi piacque. Niente più macchie e senza nemmeno che me lo chiedessero ingoiavo tutto. Feci impazzire i miei amici e gettai nella costernazione le mie amiche. Non mi limitavo più a masturbarli, ma dopo un paio di colpi per renderli più rigidi, mi piaceva prenderli in bocca e spompinarli con amore e devozione fino a quando mi riempivano la bocca si sperma.  

Da allora il sesso per me è diventato quasi una “droga”. Passarono almeno un paio di anni prima che il bruco si trasformasse in una farfalla ammirata e desiderata come sono oggi e che, quindi mi lasciassi andare ad un sesso più adulto. Ma quel periodo mi aveva lasciato una ferita profonda. Avevo assistito a centinaia di orgasmi ai quali non avevo mai preso parte e questo mi aveva indotto un desiderio di orgasmo che, credo, sia ormai perenne.

Inizialmente non desideravo fare sesso con chiunque incontrassi. Semplicemente avevo voglia di fare sesso molto spesso con il mio partner, ma fino ad oggi non ho ancora trovato qualcuno con il mio stesso appetito sessuale. Ho avuto ragazzi con problemi sessuali (eiaculazione precoce, difficoltà di erezione) o  semplicemente ragazzi che non vogliono fare l’amore quanto lo desideri io. Un vero problema che mi porta prima a disinteressarmi del partner, poi ad allontanarmi da lui per provare attrazione per altri e in ultimo a tradire.

Non riesco ad avere un fidanzato a lungo. Ogni volta che ho provato ad avere una relazione stabile con un ragazzo è sempre finita male proprio a causa della mia irrefrenabile voglia di fare sesso con altri. Mi accade spesso di ricreare quelle situazioni dei tempi del liceo, quando masturbavo più uomini contemporaneamente. Sento il bisogno di esser trattata da zoccola, che mi obblighino di fare le cose più spinte (tipo sesso anale, penetrazione doppia, pissing, manette e fruste ecc.) …..

Questa situazione mi sta condizionando la vita.. non faccio che pensare al sesso,… mentre sono a lavoro cerco gente da trombare oppure mi collego su internet e mi masturbo.

Anche in questo momento ho voglia di trombare ….e, tra un po’, mi masturberò….!!!!

In questo periodo sono fidanzata con Mirko e tengo tantissimo a lui, ma la parte di me che si sente insoddisfatta mi fa paura e temo che il mio bisogno di fare l’amore più volte al giorno quasi tutti i giorni mi faccia fare qualche sciocchezza della quale potrei pentirmi. Cerco di trattenermi, non solo perché non voglio perderlo, ma anche per difendere il suo buon nome di macho.

È ormai primavera e l’aria serale è dolce e ancora fresca. Dopo cena ero uscita di casa per incontrare Mirko. Ero allegra e mi sentivo felice. Avevo indossato una gonna nera lunga quasi al ginocchio ed una camicetta di seta color cipolla, che si apriva sul petto su una collana nera con intarsi in oro bianco che mi aveva regalato Mirko. Sotto, rigorosamente secondo i suoi gusti, avevo un tanga e autoreggenti nere, senza reggiseno. Un decolletè tacco nove completava il tutto. Ero allegra, ma anche un po’ arrapata e mi ero organizzata per favorire la sua eccitazione e arrivare ad una decorosa scopata. Dico decorosa perché non sempre le scopate con Mirko erano decorose, nel senso che spesso mi lasciava a metà del guado da sola. Ma lui non si accorse di nulla e propose di andare al solito bar, che io odio, dove ci sono tutti i suoi amici.  Non potevo essere felice della scelta, ne nacque una discussione. Arrivammo al bar che la discussione stava sfociando in una vera e propria lite. Ci fossi riuscita!

Ma con Mirko litigare è impossibile. È di gomma e non reagisce. Quando proprio non ne può più, tronca la discussione, si gira e se ne torna a casa piantandomi dove mi trovo. Quella sera mi trovavo proprio dove non avrei voluto essere, nel suo bar, con i suoi amici da me cordialmente odiati. Sono bravi ragazzi, qualcuno anche figo, ma tutti insieme sono un vero tormento.  Comunque quella sera ero davvero seccata di essere stata abbandonata proprio dove non avrei voluto essere, con la prospettiva di una decorosa scopata andata di traverso. 

Ne avevo abbastanza. Decisi di fargliela pagare e invece di girare i tacchi e andarmene anche io, mi unii ad un gruppo di suoi amici. Bisogna studiare da vicino il nemico se lo si vuole battere.  Eravamo in cinque o sei su un tavolo con bicchieri di birra che arrivavano pieni e tornavano vuoti. Ma anche il gruppo si formava e si disfaceva attorno a quel tavolo. Bravi ragazzi, con brave ragazze. Allegri e disinvolti.

Dopo una certa ora, però, il bar cominciò a svuotarsi. Uno alla volta tornavano a casa. E rimanevamo sempre meno. Al tavolo eravamo rimasti in tre e, nella nostra saletta, c’erano solo tavoli vuoti.

“Questa birra, bella fresca, mi rilassa ma mi ha anche fatto venire un leggero mal di testa” dissi pensando di cominciare a costruirmi un buon motivo per dileguarmi anche io.

“È tipico di questa marca di birra. Forse c’è qualche ingrediente che provoca un leggero mal di testa. Io, però, so come farlo passare – disse Alfredo alzandosi e raggiungendomi alle spalle. Appoggiò due dita di ogni mano sulle mie tempie e cominciò a muoverle in circolo – così in pochi minuti di massaggio ti passerà. Rilassati”

Sorrisi ed eseguii spostandomi con il sedere sul limite della seduta, chiusi gli occhi e appoggiai la testa sulla pancia di Alfredo, mentre lui continuava il discorso che aveva interrotto con Piero per massaggiarmi.

Piano piano sentivo il beneficio di quel leggero massaggio e il mal di testa, in effetti, stava sparendo. L’unico problema era che Alfredo e Piero li avevo spompinati molte volte e temevo che mi chiedessero di farlo lì, nel bar, davanti a tutti.

“Sto molto meglio, ora. Grazie Alfredo” dissi per liberarlo da quella scomoda posizione.

“Scherzi? Così come è andato via ritorna immediatamente se smetto di massaggiarti. Non avere fretta, per me non è un problema continuare” rispose Alfredo

“È vero, Giulia. Lasciati andare se non vuoi che il mal di testa torni più forte di prima!” gli diede man forte Piero

Così decisi di rilassarmi completamente, mentre i due ripresero a parlare. Sentivo che Alfredo spostava il massaggio dalle tempie alla nuca, poi dalla nuca intorno alle orecchie, poi sotto la gola, infine sul collo e sui deltoidi della clavicola. Mi rilassavo e mi chiedevo dove sarebbe arrivato con il massaggio. Ogni tanto si abbassava con la bocca all’altezza dell’orecchio, smetteva di massaggiare senza staccare le mani e mi sussurrava con voce suadente: “rilassati, rilassati, sei in paradiso, lo sai?”

La prima volta mi venne da ridere, risata che riuscii a trattenere, poi, però, proseguì e mi accorsi che in effetti quella voce mi rilassava e non mi accorsi,se non quando era troppo tardi, che con le mani era sceso giù, sotto la camicetta. Dico troppo tardi perché fu un gemito di piacere che mi uscì dalla bocca che mi svegliò dal torpore in cui ero caduta.

La cosa non sfuggì a Piero: “Brava Giulia, lasciati andare. Sei tra amici e ti fa bene rilassarti”

Aprii gli occhi e vidi Piero seduto dall’altra parte del tavolo che mi sorrideva. La sua distanza da me mi rassicurò. Chiusi di nuovo gli occhi mentre sentivo le mani di Alfredo che giocavano le mie tette piene e sode, mentre torturavano i miei capezzoli.

Mi lasciai andare mentre diventava sempre più difficile trattenere i gemiti. Sapevo che il bar era ormai quasi vuoto e non temevo l’arrivo di altri avventori. La musica era quella giusta e l’atmosfera calda e piacevole. Avevo disarmato le mie difese ed ero completamente in balia di quel massaggio. Non ebbi nulla da ridire, nemmeno quando Piero, che nel frattempo si era seduto davanti a me , cominciò ad accarezzarmi l’interno cosce.

“Che gambe meravigliose. Sono bellissime e ad accarezzarle, anche senza togliere le calze si sente che sono lisce come il marmo, morbide come un cuscino di piume. – diceva Piero – Lasciati andare bella Giulia, rilassati”

Intanto Alfredo, ormai padrone delle mie tette, avvicinandosi con la bocca al mio orecchio, continuava a profferire parole suadenti e mordicchiarmi e baciarmi i lobi delle orecchie. Piero, invece, con le mani diventava sempre più audace ed io, me ne rendevo perfettamente conto, non ero in grado di opporre nessuna resistenza. 

Era inevitabile. Piero nel guadagnare sempre più spazio, arrivò a lambire la passerina e si accorse che ero bagnatissima.

“Oohooh Ohhhh!!!! Qui c’è un lago sotterraneo! Cos’è questo? – chiese Piero mentre portava alla bocca il dito bagnato dei miei umori – roba buona…….. il frutto dell’amore”

Aprii gli occhi, lo guardai e …. gli sorrisi. Piero rispose al sorriso, bagnò di nuovo il dito nella mia Passerina e questa volta lo portò alla mia bocca. Assaggiai con la lingua, ma Piero insistette perché aprissi la bocca. Lo feci, lui infilò il dito in bocca ed io lo succhiai. Piero ripetè l’operazione, ma questa volta portò il dito alla bocca di Alfredo che succhiò anche lui.

“Ora siamo fratelli di sesso” disse Piero con un fil di voce ed infilò di nuovo le mani sotto la gonna per togliermi il tanga.  Sono decine gli uomini che mi hanno tolto le mutandine mentre ero in paradiso e in attesa di essere scopata e tutt’ora questa operazione mi manda in estasi. La vista delle mutandine che scivolano lungo le gambe è come la sigla di un film porno del quale sono la protagonista femminile.

Si, va bene, erano amici di Mirko, ma in quel momento io avevo bisogno di essere scopata e desideravo vendicarmi delle coglionate di Mirko. Erano suoi amici. Bene, era quello che ci voleva. E se fosse venuto a saperlo gli avrei detto che era tutta colpa sua…..

Alfredo continuava a torturarmi i capezzoli, mentre prese a baciarmi il collo e la bocca.

“No……no…. Ti prego, no…… Mirko si incazzerà come una bestia“ dicevo mentendo e facendo la parte della verginella.

“Il responsabile di quel che sta succedendo è Mirko.Non avrebbe dovuto lasciarti qui da sola. Conosceva perfettamente il rischio che correva.” Rispose Alfredo che continuava a baciarmi mentre mi stringeva le tette e giocava con i capezzoli induriti.

Io continuavo a lamentarmi e intanto rispondevo ai baci di Alfredo tra un “nooooo…..” ed un “ti prego, no…..”, ma, quando fu il momento, alzai il sedere per permettere a Piero di togliere il tanga.

Piero sfilò lentamente il tanga dalle mie gambe e lo portò al suo naso per sentirne il profumo. Emise un mugugno di approvazione. Poi lo fece sentire ad Alfredo ricevendone lo stesso apprezzamento e poi lo avvicinò al mio naso come un rito propiziatorio: “Senti questo profumo? È profumo di sesso, vero?”

“Siiii. È sesso, sesso puro…….ne ho bisogno” risposi io con un fil di voce.

“Vuoi scopare? “

“Siiiii, scopatemi…….. vi prego….”

Piero non si fece attendere e infilò nuovamente una mano sotto la gonna, mi divaricò le gambe e infilò un dito nella passerina, cominciando a masturbarmi.  

Speravo di prendere qualcosa di più sostanzioso, ma i due amici di Mirko erano suoi degni amici e non trovavano il coraggio di tirare fuori i loro aggeggi e darmi una buona scopata. 

Fu allora che arrivò il proprietario del bar che, nell’entrare nella saletta per aver raggiunto l’orario di chiusura, si accorse con stupore di quello che stava succedendo.

“Cosa state facendo? Coglioni! Non vedete che Giulia ha bisogno di essere trombata e non le basta esser masturbata?” Così dicendo fece spostare Piero e presa una bottiglia di birra, ancora mezza piena, che era sul tavolo la infilò sotto la mia gonna e poi nella passerina e rivolto a me disse: “Allarga le gambe, puttanella, che ora ti diamo ciò di cui hai bisogno”

Allargai le gambe e sentii il freddo collo della bottiglia entrare dentro. I primi centimetri entrarono immediatamente, ma poi arrivò la parte grossa del collo della bottiglia e l’introduzione diventò più difficoltosa. Ero senza parole e senza respiro. Avevo occhi e bocca spalancati, il respiro bloccato. Il barista spingeva la bottiglia, potevo sentirla mentre entrava lenta, centimetro dopo centimetro. Poi la tirò fuori con altrettanta lentezza. Appena fu fuori mi scappò un sospiro di sollievo. Mi si era asciugata la gola. Mi mise la bottiglia in bocca ed un po’ di birra che era ancora dentro mi finì in bocca insieme ai miei umori.

La estrasse dalla bocca e mi disse: “Vuoi bere la birra? Oppure vuoi che ti scopo la figa? Oppure, forse, vuoi che con questa bottiglia ti faccio il culo?”

Con un filo di voce, devastata dal desiderio di essere scopata risposi: “La voglio nella figa….. tutta….. scopami…..”

Con un sorriso sadico, tornò ad infilare la bottiglia nella figa: “Eccoti accontentata puttanella. Ora ti faccio scopare dalla bottiglia, ma non posso farti andar via con il culo sano. Lo sai, vero? Dopo ti sfondo il culo con il mio cazzo gigantesco!”

“Siii,siii ancora, tutta, tutta dentro e dopo il culo…..siii, il culoooo…”

La birra che era ancora dentro la bottiglia, finì nella passerina raffreddando i bollori, ma poi il dolce su e giù del barista cominciò quasi immediatamente a produrre il suo effetto di piacere.  “Ecco! È questo ciò di cui ha bisogno Giulia. Vero? Fatti sentire puttanella, facci sentire quanto ti piace”

Non fu certo per il suo invito, ma era proprio ciò di cui avevo bisogno, qualcosa di duro e mobile nella mia passerina. Infilava e sfilava la bottiglia dalla mia passerina con abilità e badando a far strisciare il collo della bottiglia lungo le pareti della vagina, regalandomi fremiti di piacere. Un paio di volte appoggiò la bottiglia sul mio buco del culo. Provò a spingere ma l’introduzione era davvero difficoltosa. Inoltre io mi lamentavo: No….no….no scopami, scopami….”

Ben presto i mugolii ed i gemiti di piacere si fecero sempre più forti accompagnati da un ritmo cardiaco e di respirazione sempre più concitati e in pochi minuti ebbi il primo orgasmo della serata. Un terremoto mi avrebbe scosso meno. Sentivo tremori e piacere in tutto il corpo, piegai le gambe e tirai le ginocchia verso di me, scoprendo oscenamente quella bottiglia che mi stava chiavando in fondo.

“Voglio un cazzo – dissi – riempitemi di cazzo!”

“Sarà fatto, signorina – disse il barista – ogni desiderio è un ordine! Ma vogliamo qualcosa in più, vogliamo il culo!” 

 “Prendete ciò che volete, ma fate presto. Ho bisogno di essere chiavata da un cazzo” gemetti.

Il barista tolse la bottiglia e mi fece alzare in piedi. Mi fece fare qualche passo e mi fece appoggiare con le braccia su un tavolo, piegata a novanta gradi. Alzò la gonna, divaricò bene le mie chiappe, aprì la patta dei pantaloni e tirò fuori un mostro di almeno venticinque centimetri. Si sputò sul palmo della mano e spalmò la saliva sul buco, infilò un dito esplorativo e appoggiò la cappella sul mio buco del culo. Spinse, spinse forte, mentre lo incitavo a sfondarmi il culo. Entrò tutto. Sentii un bruciore violento. Lo estrasse e sentii ancora quel bruciore, poi piano piano il bruciore lasciò il posto ad un piacere intenso mentre lui mi scopava il culo.

“Godi, puttana, godi mentre ti fotto il culo. Te lo sfondo il culo, te lo allargo e dopo di me per godere dovrai infilarti i pali della luce!”

“Si, siii, siiiii!!!! Scopatemi, chiavatemi, sfondatemi. Voglio molti cazzi, ho bisogno di molti cazzi nel culo!!!!”

Era vero. Godevo, godevo come una cagna. Quella sera ero uscita di casa perché avevo bisogno di essere scopata e mi sarei accontentata del cazzetto di Mirko, ma ora inaspettatamente avevo venticinque centimetri di cazzo nel culo che mi stavano procurando orgasmi a catena.  Il barista mi teneva per le mani e con quelle furiosamente mi tirava indietro con tutto il corpo mentre lui spingeva con il bacino in avanti in modo che il suo cazzo entrasse nel profondo del culo, giù, giù nel profondo! Mi sentivo esplorata, allargata, sfondata e godevo e mi lasciavo prendere da profondi orgasmi fino a quando sentii un caldo liquido riempirmi le viscere. Era venuto dentro di me!

Il barista estrasse il cazzo del mio culo e il suo sperma cominciò a colarmi lungo le gambe. Cedette il posto ad Alfredo, già pronto con il cazzo in tiro. Lo appoggiò sul mio culo!

“Sfondami – gridai – Alfredo, scopami, fammi godere, fammi godere ancora!”

Non era il cazzo del barista, era più piccolo ma abbastanza duro. Lo sentivo. Entrò con facilità. Lo sfintere, piano piano si stava richiudendo attorno al cazzo di Alfredo. Cominciavo di nuovo a sentire qualcosa. Lo sentivo eccitatissimo. Sentivo il suo respiro sempre più affannato. Mi piaceva molto.

“Oh, mio dio!, Alfredo! Le gambe mi tremano, riempimi, riempimi di sperma….”

Alfredo mi riempì, strappandomi qualche altro gemito di piacere. Sentii il suo sperma caldo riscaldarmi le viscere. Sentivo il fuoco nel mio retto.  Caddi a terra, senza forze! Mentre Alfredo ed il barista si tiravano su i pantaloni, Piero mi aiutò a rialzarmi e  a rimettere le mutandine. Sentivo lo sperma che colava e si asciugava lungo le gambe e sulle calze. Il barista disse: “Piero, Giulia è a pezzi, non vedi? Riportala a casa!”

Povero Piero, proprio lui che non aveva scopato si prese l’impegno di portarmi a casa

Il cambio

Salii nella macchina di Piero e proprio in quel momento arrivò un sms: “Scusami! Ho sbagliato! Scendi, sono sotto casa tua” Era Mirko. Il cretino! Si era accorto un po’ troppo tardi di aver sbagliato. Passando la mano sulle gambe, sulle calze, sentivo lo sperma del barista e di Alfredo che si era seccato e si era indurito. Mi eccitava pensare a quei due maiali che mi avevano sfondato il culo. Mi eccitava pensare ai fiumi di sperma che erano stati versati per me.

Mi feci portare a casa e feci posteggiare a venti metri dal portone, vicino a dei giardinetti. Mirko era seduto sugli scalini del portone. Dissi a Piero di spegnere il motore che avevo bisogno di calmarmi un po’ prima di salire. Mandai un sms a Mirko: “Va via, sto dormendo. Non scendo”. Vidi che lo leggeva, ma non andò via. Testardo. Meritava che scopassi un suo amico a venti metri da lui.

Misi la mano sulla patta di Piero. “Scusami Piero, ma io ho ancora voglia di scopare. Ho voglia di te. Tu non sei venuto …….. hai voglia anche tu?” dissi mentre gli manipolavo il cazzo dai pantaloni. Era chiaro che sotto i pantaloni il cazzo di Piero non era ancora pronto.

“Scusami, Giulia, ma la scena di quei due che ti scopavano era troppo eccitante! Ho dovuto masturbarmi e sono venuto nelle mutande. Ora ho bisogno di un po’ di tempo per farlo rialzare!”

Ci provai io a farlo rialzare. Introdussi la mano nei pantaloni, sotto le mutande. Lo presi in mano, lo scappellai, lo presi in bocca, leccandolo tutto intorno. Ma non ci fu nulla da fare era come morto.

 “Io ho voglia di scopare, Piero” dissi supplicando quasi piangendo.

“Mi dispiace! Non ne vuol sapere! – disse – scopati la leva del cambio……”

Era una sfida. Mi misi a ridere e ridendo tolsi le scarpe e mi misi in ginocchio sul sedile. Tolsi le mutandine, alzai la gonna e appoggiai un ginocchio sul sedile di Piero. Ora ero a cavallo tra i due sedili e sotto di me svettava la leva del cambio. Salii con i piedi sui sedili e mi accovacciai con l’ingresso della figa in direzione del pomello del cambio. Piero non credeva i suoi occhi e, sopratutto, non credeva che l’avrei fatto. Abbassai il bacino e appoggiai la figa sul pomello, poi con la mano aprii le grandi labbra e cominciai ad abbassare il bacino guidando la discesa con la mano sul pomello che cominciò ad entrare.

“Sei una vera troia” disse Piero mentre gli colava la saliva dalla bocca per il desiderio.

Il pomello entrò nella figa con un po’ di difficoltà. Mi rialzai e feci uscire il pomello e poi ripetei l’operazione. Ero impegnatissima nella introduzione, avevo la bocca aperta e ridevo come un oca giuliva. Il pomello entrò di nuovo e mi scappo un gemito di piacere. Poi mi abbassai ancora un po’ ed entrarono una decina di centimetri del cambio. Ormai era entrato tutto dentro e la mia passerina aveva cominciato a secernere i miei profumatissimi umori. Incominciai a muovermi in modo che il pomello sfregasse nelle parti più sensibili della figa. Era duro. Molto duro. Mi alzavo e mi riabbassavo procurandomi un gran piacere. Cominciai a gemere mentre insistevo in quel dolce su e giù. Vedevo Mirko seduto sugli scalini e questa vista aumentava il piacere. Mi sentivo scossa da fremiti di piacere, ansimavo. Era la prima volta che non mi stava scopando un essere umano e godevo mentre guardavo Mirko. Godevo. Mi sporsi in avanti appoggiandomi sugli schienali dei sedili anteriori. Lavoravo di bacino, piegavo la schiena in modo che toccasse la vagina molto in fondo. Sorridevo a Piero. Sorridevo e  ansimavo, ansimavo di piacere. Piero mi mise una mano sotto la camicetta e stringermi le tette. Gli sorridevo sfidandolo a godere anche lui. Andavo su e giù su quella leva, lentamente, roteavo il bacino perché il pomello raggiungesse tutti i punti più sensibili. Chiudevo gli occhi e gemevo di piacere. Poi li riaprivo e sorridevo a Piero. Era un piacere intenso, dolce e lento. Guardavo Piero e gli sorridevo, poi avevo una punta di piacere e chiudevo gli occhi e mi dimenavo perché il pomello stimolasse tutta la figa.

“Vieni anche tu, Piero. Masturbati………” gli dissi

A Piero gli era venuto duro e cominciò a masturbarsi. Brividi percorrevano il mio corpo. Spostavo il bacino perché il pomello sfregasse le parti più sensibili. Mi sentii investita da una ondata intensa di piacere e sperimentai un orgasmo ….. meccanico del quinto grado della scala mercalli. Quando riaprii gli occhi, dopo aver assaporato l’orgasmo, vidi che Piero era sul punto di venire anche lui. Feci in tempo ad afferrargli i coglioni e a fermagli l’orgasmo.

“Aspetta, voglio farti venire con la mia bocca, mentre la tua auto mi scopa. Questa auto ha una leva del cambio stupenda, rigida rigida. Piacerebbe anche a te. “

Piero non rispose. Era un po’ contrariato per il blocco ai coglioni. Io non ci pensavo nemmeno a sfilarmi la leva del cambio dalla figa per cederla a lui. Piero dovette fare un po’ di contorsionismo per poter avvicinare il suo cazzo alla mia bocca, mentre io continuavo a fare su e giù. Dovetti lavorare di lingua sul frenulo di Piero mentre continuavo freneticamente ad agitarmi sulla leva del cambio. In pochi minuti intercettai con la bocca gli schizzi di sperma di Piero ed anch’io mi lasciai sciogliere ad un orgasmo “meccanico”.

Che felicità!

 “La prossima volta, Piero – dissi – voglio scoparmi la leva del freno a mano che mi sembra più lunga.”

Riacquistate le forze, scrissi un sms a Mirko per indurlo a liberare il campo e permettermi di rientrare  a casa: “Vai a casa, amore. Io non scenderò a salutarti!”. Lo vidi andar via sconsolato.

Leave a Reply