Questa è una storia di fantasia e contiene alcuni passaggi che trattano di violenza e sesso non consensuale, tuttavia è stata creata a solo scopo di intrattenimento e non vuole in alcun modo incentivare comportamenti misogeni.
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Nei vicoli più oscuri di una metropoli già fagocitata dalla malavita, si parlava dell’arrivo di un nuovo giocatore, un pezzo grosso proveniente dal Giappone. Si diceva che aveva abbastanza soldi per comprarsi metà della città. Il suo nome era Arata Takahashi e la sua influenza cresceva come un’erbaccia nelle crepe di quella corrotta giungla di cemento. Una minaccia invisibile che, a poco a poco, diventava sempre più persistente.
Da quando era giunto in città, Arata aveva messo le mani su ogni business moralmente discutibile, ma la sua vera forza era proprio la sua ricchezza, la stessa con cui comprava il silenzio e la compiacenza di poliziotti e politici.
Ovviamente un male così opprimente non poteva eludere l’attenzione dei giusti, di quei pochi che davvero miravano a far trionfare la giustizia, di quelli che credevano davvero che le cose potevano migliore, persino in quel covo di corruzione che era la metropoli.
Il nome di Arata comparve presto sulle scrivania di detective che avevano fatto della loro crociata personale il suo arresto, ma era come cercare di inchiodare della gelatina al muro. Ogni volta che si intravedeva una breccia in quella fortezza oscura rappresentata dal boss, ecco che le prove sparivano, così come i testimoni, almeno quelli che non ritrattavano.
Nonostante Arata sembrasse inarrestabile, c’era qualcuno che non aveva paura di tenergli testa, qualcuno che era davvero deciso a buttarlo giù dal suo trono: il capitano Emily Smith.
Emily, nota per il suo approccio pratico ed un’intelligenza acuta, aveva fondato una task force, composta dagli elementi migliori della polizia, presi da vari distretti. Erano tutte donne e avevano competenze e conoscenze uniche. Il loro obiettivo era solo uno: abbattere Arata.
Mesi di sorveglianza, incursioni e lavoro sotto copertura, avevano portato allo smantellamento di diverse operazioni chiave all’interno della rete della gang ma, man mano che si avvicinavano al cuore della bestia, la creatura diventava più sfuggente, e presto anche la task force si trovò ad un punto morto. Per fortuna non era da sola in questa lotta.
L’agente dell’FBI Taylor Johnson, famosa per aver condotto molte operazioni per la sezione anti gang, aveva collaborato con la squadra di Emily contro Arata, fornendo importanti informazioni che avevano condotto a molti arresti. Ora, dopo giorni e giorni passati ad inseguire le ombre, pare che Taylor avesse scoperto qualcosa di interessante.
Alcuni collaboratori di Taylor, avevano intercettato delle chiamate tra Arata ed alcuni boss locali. Ovviamente tutto era in codice, ma gli esperti erano riusciti a decifrarlo. Pareva che Arata avesse intenzione di stringere un alleanza con un altro grande boss della mala, e che avrebbe condiviso con lui i dettagli di alcune grandi operazioni durante un incontro che si sarebbe tenuto in una determinata sera nella villa di Arata, durante una festa privata.
Dopo mesi e mesi di sudato lavoro, questa notizia era manna dal cielo. Se la squadra fosse riuscita ad imboscarsi alla festa, piazzare delle cimici nell’ufficio di Arata, e magari frugare nel suo computer, sarebbe stata ad un passo davanti a lui. Anticipando le sue mosse avrebbe minato i suoi affari, e quindi la sua credibilità. Forse non sarebbe mai riuscita ad arrestarlo, ma danneggiando i suoi affari lo avrebbe reso un bersaglio per i suoi alleati che si erano fidati di lui. Sarebbe stato costretto a lasciare la città, se non gli Stati Uniti stessi, a meno che non volesse evitare un destino peggiore della morte. La missione non era priva di rischi, ma tutte sapevano che poteva essere l’unica chance per vincere questa guerra.
La sera dell’operazione, Emily, suo malgrado, dovette restare indietro. Lei era il volto della squadra, quella che parlava ai giornalisti, quella che parlava con i testimoni ed interrogava gli indiziati. Il suo viso era troppo conosciuto per passare inosservata alla festa. Decise che avrebbe aspettato, insieme a Taylor, in uno dei rifugi sicuri della task force, ovvero una barca ormeggiata ai moli.
Emily, pur avendo quasi quarant’anni, non li dimostrava assolutamente. Era alta e dal fisico atletico. Aveva ordinato il silenzio radio per tutta la durata dell’operazione, quindi non poteva far altro che camminare nervosamente avanti ed indietro per la cabina, osservata dalla più giovane Taylor, il volto da ragazzina, il corpo snello e minuto.
Finalmente Emily si fermò, poggiando un braccio al muro e guardando fuori da un oblò, con lo sguardo perso nei suoi pensieri e nelle sue preoccupazione. Taylor, notando il nervosismo della collega, si alzò e la raggiunse.
“Non preoccuparti, Emily.” disse Taylor poggiando una mano sul fianco della collega “Le tue agenti sanno il fatto loro.”
Emily annuì, forzando un sorriso. “Lo so, ma questa volta temo che stiamo facendo il passo più lungo della gamba. Al minimo errore potremmo ritrovarci in guai seri”.
“E cosa ci sarebbe di nuovo?”. Rispose Taylor, alzando una mano e scostando delicatamente una ciocca di capelli rossi dal viso lentigginoso di Emily.
Emily rimase interdetta da quel contatto inaspettato. I suoi occhi verdi si mossero sulla pelle scura e giovane di Taylor, finendo per perdersi nei suoi occhi color nocciola. Inconsapevolmente si morse un labbro. Quando la mano della collega scivolò lungo il suo viso, il cuore iniziò a batterle forte. La vide alzarsi sulla punta dei piedi e in un attimo sentì il sapore delle sue labbra; un bacio dolce e caldo che le mandò scariche elettriche in tutto il corpo e che sciolse le sue difese. Le sue labbra si socchiusero.
Il bacio divenne più profondo, mentre le mani di Emily, ancora stordita dalla quella improvvisa intimità, si sollevarono quasi timidamente ad accarezzare le guance di Taylor, tracciando la forma ovale del suo viso. In un attimo Arata, le sue colleghe, la missione e persino il mondo intero erano lontani anni luce. C’erano solo loro due, i loro cuori palpitanti ed i loro respiri.
Emily si distaccò un attimo, cercando negli occhi dell’agente qualsiasi segno di rimpianto o esitazione, ma ciò che trovò fu un riflesso del suo stesso desiderio, una fame che non poteva più essere ignorata. Si baciarono di nuovo, questa volta con un’intensità feroce. Le sue mani scivolarono sul corpo di Taylor, tracciando le sue forme da sopra i vestiti. Le mani di quest’ultima erano altrettanto ansiose e saggiavano ogni centimetro del suo corpo atletico, un tocco esperto che faceva eccitanti promesse.
I loro movimenti divennero più urgenti, il bisogno di essere più vicine una forza travolgente. Taylor spinse Emily sul letto, mettendosi a cavalcioni sopra di lei. I suoi baci si trasformarono in morsi delicata sul suo collo.
La canottiera di Emily fu la prima ad andare, tirata sopra la testa con una rapidità che la lasciò senza fiato. Seguì il suo reggiseno, la chiusura che cedette sotto le mani impazienti di Taylor e che liberarono quei seni pesanti e pieni, così come la pelle chiara punteggiata di lentiggini che quasi formavano una costellazione sulle sue spalle.
Avidamente, Taylor prese a coppa i morbidi rilievi, i suoi pollici sfiorarono le sue punte sensibili. Emily sussultò, inarcando la schiena ed offrendosi al tocco della donna. Il suo corpo fu investito da ondate di piacevole calore. Le sue mani artigliarono i fianchi di Taylor, attirandola più vicino a se. Il contatto si fece più intenso e l’aria nella stanza si caricò di desiderio.
Le loro lingue si intrecciavano mentre esploravano i loro corpi. Le mani di Taylor vagarono più in basso, carezzando gli addominali di Emily, poi le sue agili dita iniziarono ad armeggiare con la cintura dei suoi pantaloni. L’attesa era una creatura vivente che si agitava nei loro ventri e chiedeva di essere liberata.
Il respiro di Emily si fermò quando la bocca di Taylor iniziò a scendere, i suoi denti che sfioravano la pelle sensibile, il suo respiro e la lingua che tracciava un percorso lungo il suo collo. Poi, con un fervore che fece sospirare Emily, le labbra di Taylor si chiusero attorno ad uno dei suoi capezzoli, succhiando e mordendo.
Emily inarcò la schiena, i suoi occhi rotearono all’indietro mentre emetteva gemiti leggeri. I suoi respiri divennero ansiosi ed irregolari.
Taylor spostò la sua attenzione all’altro seno, la sua lingua che guizzava sulla punta rigida, mentre il corpo di Emily rispose con scosse involontarie. Quell’assalto ai suoi capezzoli la stava gettando in un vortice di sensazioni che le offuscavano la mente. I suoi gemiti si fecero sempre più forti, le sue mani si strinsero a pugno nelle lenzuola mentre si stava perdendo.
I baci di Taylor le scivolarono lungo il corpo, scendendo fino all’ombelico, poi sentì le sue dita scivolare dentro i pantaloni, afferrare le mutandine e tirare il tutto verso il basso, rivelando il sesso umido di Emily, che Taylor si fermò ad osservare come un predatore affamato. Tuttavia ancora non era arrivato il momento di placare quella fame.
Taylor sfilò completamente i pantaloni di Emily, trascinando via anche le scarpe ed i calzini, gettando tutto sul pavimento. Mentre Emily cominciava a non resistere più all’attesa, ecco che le mani di Taylor afferrarono uno dei suoi piedi, che cominciò ad accarezzare e baciare con sempre più insistenza. E quando i baci furono sostituiti dal tocco della lingua, il piacere le fece arricciare le dita del piede.
La lingua saggiò la superficie sensibile della pianta, salendo fino alle dita. Taylor chiuse le sue labbra attorno all’alluce, succhiandolo con veemenza ed ogni altro dito fu vittima dello stesso dolce ed umido abbraccio. Emily si sentì come se stesse per esplodere.
Finalmente Taylor abbandonò i piedi di Emily, risalendo lungo le sue gambe, arrivando alle cosce. Con una ferocia che le tolse il fiato, la sua lingua iniziò a colpire. La reazione fu istantanea, mentre i suoi fianchi iniziarono a sollevarsi e le sue mani stringevano le lenzuola.
Mentre la lingua di Taylor torturava le pareti del sesso, il suo pollice trovò la clitoride, che iniziò a strofinare in cerchi rapidi che fecero lacrimare gli occhi di Emily per l’intensità della sua eccitazione, che urlava di essere liberata. I suoi gemiti si fecero più forti, mentre il suo corpo si muoveva fuori dal suo controllo.
Il suo orgasmo si sviluppò in un crescendo, una sinfonia di sensazioni che diventava sempre più forte ad ogni colpo della lingua di Taylor. Mentre iniziò a pensare di non poter più reggere altro piacere, ecco che due dita dell’amica si immersero improvvisamente dentro di lei, strappandole un urlo primordiale di pura estasi che echeggiò per la cabina.
Taylor si beava delle reazioni di Emily. Il suono delle sue grida era come musica. Sentì il calore del suo orgasmo che scivolava lungo la sua lingua e le schizzava in viso.
Le sue dita si mossero ancora più velocemente, spingendo il piacere di Emily ancora più in la, mentre il pollice continuava a torturare la clitoride gonfia.
Con un ultimo grido disperato, il corpo di Emily si irrigidì, i suoi muscoli si contrassero mentre raggiungeva un piacere che non aveva mai provato prima. Taylor la leccò, assaporando ogni goccia di dolce nettare che si riversava fuori dal suo sesso. E poi, con un sospiro che sembrava provenire dalle profondità della sua anima, Emily crollò sul letto, gli enormi seni che si sollevavano ed abbassavano a ritmo del suo respiro, la pelle madida di sudore.
La mente di Emily era come quella di uno che si svegli da un sogno particolarmente intenso e reale. Un angolo della sua coscienza sentì Taylor prenderle la mano e baciargliela, spingendola poi sopra la sua testa. Ma quando avvertì il freddo acciaio stringerle il polso con un clic sinistro, fu come una doccia fredda, ma ormai era troppo tardi. Taylor l’aveva ammanettata ad una barra di legno posta sopra la testa del letto, immobilizzandola.
“Cosa stai facendo?” Chiese Emily, interdetta. Di tutta risposta, Taylor le sferrò un pesante schiaffo che la fece ansimare, mentre un impronta rossa ed incandescente iniziò a formarlesi sulla guancia.
Taylor, ancora semi vestita, scese dal letto, attraversò la cabina e spalancò la porta. Sulla soglia c’era una donna seguita da due uomini. Le loro ombre si proiettavano sinistramente sul pavimento.
La donna fece un passo avanti, i tacchi a spillo che ticchettavano con un ritmo incalzante. Aveva più o meno l’età di Emily, e con lei condivideva l’altezza ed il fisico atletico. Aveva corti capelli biondi ed i suoi occhi azzurri brillavano di una gioia maligna mentre osservava la forma nuda ed incatenata di Emily.
“Ti sono mancata?” Chiese la donna.
Emily la riconobbe immediatamente. Era Mia Jackson, un ex membro della task force, buttata fuori per via dei suoi metodi troppo estremi, culminati con un incidente che aveva coinvolto un innocente passante.
“Che cosa hai fatto, Mia?” chiese Emily.
“L’unica cosa che potevo fare. Dopo che mi hai buttato fuori come spazzatura, sono andata da Arata. Era molto interessato ad ascoltare la mia storia.” Rispose Mia, schioccando le dita.
Gli uomini dietro di lei fecero un passo avanti, i loro volti una macchia di malizia e lussuria. Emily lottò contro le manette, il suo cuore batteva forte mentre si rendeva conto del pasticcio in cui si trovava.
I due uomini si avvicinarono al letto, i loro sorrisi mandarono un brivido lungo la schiena di Emily. Le loro mani erano ruvide, il loro tocco estraneo e sgradito sulla sua pelle. Cercò di allontanarsi, ma le manette la tenevano saldamente ferma, un duro promemoria della sua vulnerabilità.
Il primo uomo, un bruto con la testa rasata ed un tatuaggio sul collo, le afferrò le caviglie con presa ferrea. Il secondo, con i capelli unti ed il naso storto, si allungò e le afferrò i seni, stringendoli bruscamente. Gli occhi di Emily si riempirono di lacrime di dolore e paura, il suo corpo reagì con repulsione.
Taylor guardava la scena a fianco della sua complice, un sorriso sadico disegnato sul viso.
L’uomo con i capelli unti si sporse, il suo respiro caldo e disgustoso mentre sussurrava oscenità all’orecchio di Emily. La sua mano si muoveva dai suoi seni all’addome.
“Urlerai per me, troia?” le chiese con una voce carica di desiderio, mentre cominciava a slacciarsi la cintura dei pantaloni.
L’uomo che le teneva le caviglie le allargò le gambe e si chinò su di lei. I suoi denti le sfioravano l’interno delle cosce, mentre la sua lingua tracciava un sentiero bagnato verso il suo sesso. Il tocco era ruvido, invasivo, e lei poteva sentire la sua saliva mescolarsi alla sua eccitazione. Quando iniziò a sentire le sue dita affondare nel suo sesso, cercò di chiudere le gambe, ma le fu inutile. La sua lingua sferzava senza pietà la sua clitoride.
Lacrime calde le rigarono le guance mentre le dita dell’uomo spingevano dentro di lei.
L’uomo rasato si fece da parte, cedendo il posto a quello con i capelli unti. Emily senti il suo pene cominciare a spingere contro la sua apertura. Chiuse gli occhi, cercando di trattenere un grido mentre veniva violata.
Il suo corpo, che fino a poco tempo prima aveva provato un piacere così vivo e genuino, ora era diventato una prigione, una gabbia di dolore e disperazione. Strinse i denti e si irrigidì mentre sentiva tutta la lunghezza dell’intruso dentro di se.
Le prime spinte furono superficiali, quasi provocatorie, come se lo stupratore stesse assaporando il suo disagio. Ma non ci volle molto perché trovasse il suo ritmo, i suoi fianchi si mossero con un’efficienza brutale che le inviò onde di dolore.
Le mani di Emily si serrarono a pugno, le unghie si conficcarono nei palmi mentre cercava di trattenere i singhiozzi, ma non servì a nulla. La sua resistenza crollò ed iniziò ad implorare con voce strozzata.
“Per favore,” disse nell’orrore e nella vergogna “Per favore, fermati.”
Ma l’uomo non le prestò attenzione, i suoi grugniti rispondevano per lui alle suppliche. La violentò con una primordiale ferocia, ogni spinta una dichiarazione di dominio su di lei.
Il mondo di Emily si restrinse al dolore, alla pienezza straziante del pene dell’uomo dentro di lei, al modo in cui sembrava riempirla, senza lasciare spazio a nient’altro. Le lacrime ora cadevano liberamente, calde e disperata, ogni singhiozzo un grido silenzioso di pietà che non riceveva risposta.
L’uomo inaspettatamente le afferrò la gola, togliendole l’aria. Le sue spinte si fecero sempre più frenetiche e poi, con un ruggito di trionfo, venne, ed il suo seme caldo si riversò dentro di lei, un ultimo atto di dominazione che la lasciò sporca ed usata.
Il secondo uomo, con gli occhi accesi di una fame feroce, prese il posto del primo. Non perse tempo, tuffandosi dentro di lei senza un briciolo di gentilezza. I suoi movimenti erano violenti, un assalto furioso che inviò ondate di dolore al suo corpo.
Presto, il caldo getto del bruto riempì Emily, tremante e sfinita. Per quello che sembrò un’ eternità, rimase li, i seni scossi dal suo pianto, l’unico suono udibile nella stanza. Con orrore e disperazione sentì un fluido caldo ed estraneo colare fuori dal suo sesso.
Mia guardava tutto questo con gioia sadica. Un sorriso distorto le marcava le labbra sottili, mentre allungava la mano verso un manganello appeso all’attaccapanni. Si diresse verso il letto, i suoi tacchi che scricchiolavano contro il legno come un conto alla rovescia. Gli occhi di Emily si spalancarono per l’orrore quando sentì la presa della donna saldarsi intorno alla sua caviglia.
Con uno strattone crudele, Mia sollevò la gamba di Emily. La tensione nella stanza era palpabile, mentre il manganello si avvicinava al suo ano.
Con una spinta selvaggia, il manganello fu dentro di lei, ed un’agonia incandescente sembrò spaccarla in due. Urlò con tutto il fiato che aveva, squarciando il silenzio della cabina.
2
Le differenza fisiche e caratteriali di Amelia e Zoey, le due agenti della task force inviate alla villa di Arata, erano abissali. La prima era un vero topo di biblioteca, esile e minuta, dal viso ovale coronato di lunghi capelli biondi ed un paio di occhiali poggiati sul naso. La seconda era una vera e propria donna delle caverne, dalle spalle larghe ed i lineamenti duri. Sul corpo possente non c’era un filo di grasso, sostituito da muscoli d’acciaio. Aveva lunghi capelli castani raccolti in una coda e lo sguardo duro.
Questa coppia improbabile non sarebbe potuta apparire più fuori luogo in un ambiente così mondano, in mezzo alla crème dell’alta società, senza contare che l’abito da festa cozzava in maniera grottesca sul corpo di Zoey. Eppure le abilità di Amelia, abile informatica, fecero in modo che il loro duo non avrebbe potuto essere più appropriato. Infatti, con grande abilità, era riuscita a creare dei documenti che le identificavano come la figlia del governatore e la sua guardia del corpo.
Anche la loro età aveva contribuito a rendere la cosa molto credibile, infatti Amelia aveva ventiquattro anni, proprio come la vera figlia del governatore, mentre Zoey aveva poco più di trent’anni, come ci si aspetterebbe da una matura guardia del corpo al servizio di qualcuno di importante.
Per giorni, le due agenti avevano studiato la planimetria del luogo, così come il background degli invitati quindi, nonostante le vitali implicazioni e la tensione derivata dalla responsabilità del loro incarico, si muovevano a loro agio, salutando e comportandosi come gli altri invitati.
La fortuna sembrava arridere alla missione. La sala da ballo era talmente ghermita di persone, che i luogotenenti di Arata avevano il loro bel da fare per tenere sotto controllo tutti, quindi fu facile per le agenti aspettare che guardassero altrove per defilarsi nell’ombra, salire su una rampa di scale ed infilarsi in un corridoio, alla fine del quale c’era una porta riccamente intagliata che corrispondeva all’entrata dell’ufficio.
Amelia forzò la serratura, che si aprì con uno scatto, e quando la porta si aprì le due donne si ritrovarono davanti ad un monumento di opulenza e potere. Gli scaffali erano pieni di tomi rilegati in pelle, mentre la scrivania che dominava la stanza era una mostruosità in mogano, su cui stonava un volgare portatile di ultima generazione, che attirò subito l’attenzione di Amelia.
Zoey, fedele alla sua professionalità, si mise subito al lavoro per posizionare i microfoni. Nonostante la mole si muoveva con la grazia di una pantera, mentre i suoi occhi esperti varavano i punti migliori dove piazzarli.
Anche Amelia non perse tempo. Le sue dita volavano velocemente sulla tastiera, hackerando in un batter d’occhio il sistema di sicurezza, ma proprio mentre stava infilando la chiavetta USB che avrebbe usato per scaricare i dati, ecco che la porta dell’ufficio si era aperta. Sulla soglia comparve la loro ex collega Mia, con uno strano sorriso dipinto sul volto. Le due donne la guardarono come se avessero visto un fantasma.
Dietro di Mia incombeva un figura enorme, una montagna d’uomo dalla pelle scura, anche lui in perfetto disaccordo con l’abito elegante che indossava. Gli occhiali neri che indossava e l’espressione della sua bocca lo rendevano una fredda e silenziosa sentinella impassibile, ma la cui sola presenza bastava ad incutere timore.
“Bene, bene,” Disse Mia, sorniona “guarda cosa abbiamo qui.”
“Mia…” disse Amelia, cercando di restare calma nonostante il suo cuore avesse cominciato a battere forte “cosa ci fai qui?”.
“Beh, in qualità di nuovo capo della sicurezza di Arata, ho avuto il sospetto che ci fosse una falla nella sua sicurezza. Pare che avessi ragione.”
Le sue parole suonarono come schiaffi in faccia, ma Amelia non ebbe il tempo di carpire appieno il significato, giacché l’uomo, con una velocità inaspettata, le fu subito addosso, bloccandola per un braccio ed allontanandola dal computer.
“Lasciala andare!” Abbaiò Zoey, togliendosi in fretta le scarpe con i tacchi e correndo in aiuto dell’amica.
Mia, che anche lei si era tolta le scarpe, si parò davanti alla rivale, e subito iniziarono a combattere.
La lotta fu brutale e veloce, una danza selvaggia e quasi ipnotica. Mia, con anni di esperienza alle spalle, era un’avversaria formidabile, nonostante avesse un fisico ed un’altezza più contenuta della rivale. Si muoveva con grazia ed i suoi colpi erano precisi e calcolati.
Zoey, d’altra parte, era una forza della natura. I suoi muscoli si contraevano a ritmo dei suoi pugni, tirati velocemente uno dopo l’alto. Alla sua potenza si aggiungeva una velocità che non lasciava respiro. Esperienza contro potenza e, sfortunatamente, questa volta la bilancia pendeva dalla parte della prima. Un calcio ben piazzato colpì in pieno lo stomaco di Zoey, facendola cadere a terra. L’ultima cosa che vide fu il tallone di Mia calare su di lei, e poi il buio.
Poco dopo, le due donne si svegliarono in una stanza fredda ed illuminata da un’asettica luce bianca. Dall’odore potevano solo immaginare di trovarsi sotto la villa, in quella stanza che nella planimetrie risultava così diversa dalle altre e, del cui scopo, si potevano solo fare orribili congetture.
I polsi di Amelia erano legati ad un palo di metallo, le sue braccia tese sopra la testa. Le caviglie di Zoey erano incatenate a ceppi saldati nel pavimento, mentre i polsi erano assicurati a catene saldate al soffitto. Era imprigionata in modo da rimanere sospesa a qualche centimetro da terra e con braccia e gambe divaricate.
Una pesante porta di metallo si aprì cigolando e Mia entrò con il suo solito sorriso. Taylor era dietro di lei e con un espressione molto simile. Infine arrivò la montagna d’uomo, seguito da un’altra figura che le due donne conoscevano fin troppo bene: Arata Takahashi.
Arata era un uomo di modesta statura, con una testa calva ed un sorriso beffardo. Il suo corpo rotondo era avvolto da un elaborato kimono di seta.
“Sono contento che siate venute alla mia festa.” Disse Arata in un inglese storpiato e stridulo, ma carico di minaccia. “Era da molto che vi stavo aspettando, sopratutto dopo che la mia amica Mia mi ha parlato così tanto di voi. Il minimo che possa fare è fornirvi di un intrattenimento molto speciale.”
Fece un passo avanti verso Amelia, i suoi occhi le scorrevano il corpo con una fame che le dava il voltastomaco.
“Ho sentito così tanto parlare della leggendaria hacker,” disse con lo sguardo che indugiava sula scollatura del vestito ed i piccoli e sodi seni, spinti verso l’alto dalla tensione delle braccia. “Scommetto che potrò servirmi delle tue… abilità.”
Le catene di Zoey tintinnavano mentre le tirava, i suoi occhi lampeggiavano di una furia che sembrava incendiare l’aria stessa. Ma era tenuta ferma, il metallo le mordeva polsi e caviglie, lasciandola incapace di proteggere se stessa o la sua collega.
Arata si allontanò, i suoi occhi si spostarono sulla forma ammaccata e malconcia di Zoey.
“Una donna forte che spezzerò con gioia.”
I cuori martellavano nei petti delle due donne, la loro paura una bestia viva e pulsante che minacciava di divorarle.
“Pagherai per tutto questo.” Riuscì a balbettare Amelia. In risposta, la risata di Arata proruppe come lo schiocco di una frusta, acuta e crudele.
Mia si diresse in direzione di Zoey con sguardo caustico.
“Te ne pentirai.” Le disse la poliziotta. Mia la schiaffeggiò talmente forte che lo schiocco echeggiò nella stanza come se volesse spaccare l’aria. La testa della donna scattò di lato, e sebbene i suoi occhi divennero umidi, il suo sguardo era carico di sfida.
Con un sorriso malizioso, Mia alzò una mano per afferrare la scollatura di Zoey, tirò forte ed il tessuto dell’abito da sera si strappò facilmente, così come quello del reggiseno, liberando i grandi e sodi seni.
Infine le afferrò le mutandine, che non diedero più resistenza degli altri abiti mentre venivano strappate via, lasciandola completamente nuda.
Le guance di Zoey si infiammarono di rabbia ed umiliazione, la sua dignità a brandelli come i suoi vestiti.
Mia fece un passo indietro, ammirando la sua opera, i suoi occhi indugiavano sul corpo possente e muscoloso di Zoey.
“Bellissima.” Mormorò, con voce carica di desiderio.
Il sorriso di Arata si allargò, mentre i suoi occhi scrutarono famelici la forma nuda della sua prigioniera.
“Davvero…” disse in un tono sinistro “Mostrami altro, Mia.”
Mia si avvicinò ad un tavolo vicino, i fianchi ondeggianti con la sicurezza di chi avesse la vittoria in pugno. Sul tavolo giacevano un assortimento di strumenti, uno più terrificante dell’altro. La sua mano afferrò una pesante frusta di cuoio.
Con uno scatto del polso, fece schioccare la frusta nell’aria, il suono come uno sparo. Il corpo di Zoey si irrigidì, i suoi occhi si chiusero mentre attendeva il primo morso di dolore.
La frusta colpì, non la sua carne, ma il freddo pavimento di pietra, facendole correre un brivido lungo la schiena. Mia si avvicinò alle sue spalle, il suo respiro caldo contro l’orecchio.
“Stai per urlare per me, puttana.” le sussurrò, la sua voce una tenebrosa promessa.
La prima frustata calò in una bruciante linea di fuoco sulla schiena di Zoey. Aprì gli occhi di scatto, i suoi denti si strinsero così forte che pensò che potessero rompersi. Non avrebbe dato loro la soddisfazione di sentire il suo dolore, non avrebbe dato loro il potere che desideravano.
Il secondo colpo fu più duro del precedente, ed il terzo quasi spezzò la sua determinazione. Ogni frustata era una sinfonia di agonia, ogni schiocco un crescendo che faceva sussultare il suo corpo contro le catene.
Amelia guardava inorridita, la sua paura dimenticata di fronte alla sofferenza dell’amica.
“Smettetela, vi prego.” implorò, con la voce piena di lacrime.
Gli occhi di Mia si spostarono su di lei, il sorriso malizioso non vacillava mai.
“Ma come? Ho appena iniziato a scaldarmi.” Rispose mentre la mano scendeva e si alzava, più e più volte.
L’aria era densa dell’odore di paura e dolore, gli unici suoni erano lo schiocco della frusta ed i grugniti degli sforzi di Mia a cui, occasionalmente, si univano i lamenti di Zoey. La sua schiena era una tela cremisi, ogni colpo di frusta lasciava il suo marchio di agonia. Sentiva il sangue scorrerle lungo la schiena così come il sudore sul suo corpo. Quasi non si accorse che il tormento era cessato, ed ora Mia le si era parata davanti.
Sul volto dell’aguzzina vi era un’ombra di disappunto, probabilmente perché non era riuscita a far urlare la sua vittima, ma presto una risata simile quasi ad un latrato proruppe dalle sue labbra, e la mano che impugnava la frusta si sollevò ancora.
La lingua di cuoio morse come un serpente il seno di Zoey con crudele precisione, lasciandola sotto shock, il dolore un fulmine rovente che sembrò spaccarla in due. Urlò, un suono crudo e primordiale che echeggiò nella stanza.
Ancora e ancora, la frusta trovò il suo bersaglio, il cuoio le mordeva la carne morbida, lasciando una scia di lividi e sangue al suo passaggio. Gli occhi di Zoey si spalancarono a ogni colpo, il suo corpo si contorceva e sussultava contro le implacabili catene. Il dolore era un’entità viva e pulsante che la consumava, bruciando le ultime vestigia del suo orgoglio.
Le urla si fecero più forti, le suppliche di pietà più disperate. Ma la frusta non si placò, i colpi piovevano con una ferocia ritmica che sembrava pulsare con il battito del cuore sadico della torturatrice.
Arata osservava con un misto di fascino e desiderio, i suoi occhi non lasciavano mai il viso contorto di Zoey.
Il braccio dell’ansimante Mia cadde lungo il suo fianco, la frusta scivolò dalla sua presa, dimenticata. I suoi occhi, così pieni di malizia, non lasciarono mai quelli di Zoey mentre si avvicinava, gli alti tacchi che ticchettavano sul pavimento di pietra con il ritmo di una marcia funebre. L’aria si fece densa dell’odore di sudore e sangue, una testimonianza dell’orrore che si era svolto.
Le sue mani si allungarono, le sue dita si conficcarono nella carne dei seni di Zoey con una gioia crudele. Il dolore era intenso, una nuova agonia che sembrava amplificare il pulsare dei colpi di frusta. Gli occhi di Zoey si chiusero di colpo, il suo corpo si irrigidì mentre la presa di Mia si stringeva, le sue unghie che si conficcavano nella pelle tenera.
Gli occhi di Mia brillarono di soddisfazione mentre guardava le lacrime scorrere sul viso di Zoey, i singhiozzi silenziosi che le scuotevano il corpo mastodontico. Ma non era abbastanza. Strinse i capezzoli gonfi tra il pollice e l’indice, torcendoli ferocemente finché le urla di Zoey non riempirono la stanza, una sinfonia di dolore che sembrava risuonare in ogni angolo.
Il suono della sua agonia era musica per le orecchie di Mia, una dolce vittoria che alimentava i suoi desideri di vendetta. Si sporse , il suo respiro caldo contro l’orecchio di Zoey.
“Ora sei mia.” sussurrò.
La prese di Mia si fece più stretta, le sue dita torcevano la carne sensibile finché gli occhi di Zoey non le rotearono all’indietro, mentre il suo corpo tremava per i singhiozzi. Il dolore era insopportabile, un incubo da cui non poteva svegliarsi.
E poi, con un’ultima crudele torsione, Mia si avvicinò al suo viso, la sua lingua snodò fuori per assaggiare le lacrime di Zoey. La sua bocca trovò la morbidezza della sua guancia, la sua saliva un marchio ardente all’orgoglio della sua vittima.
Mentre Mia si muoveva per reclamare il suo premio, la sua mano scivolava verso il basso.
Con un sorriso distorto, Mia si fece strada tra le gambe di Zoey, le sue dita trovarono la strada verso il centro caldo ed umido del suo sesso. Il corpo di Zoey rispose, suo malgrado, i suoi muscoli si contrassero attorno alle dita di Mia mentre iniziavano a sondare sempre più in fondo.
Il suono appiccicoso della mano di Mia che scivolava dentro e fuori di lei, quella nauseante intrusione, era quasi troppo da sopportare. La sua mano si muoveva con una velocità che sembrava quasi soprannaturale e poi, con una spinta finale e brutale, si ritrovò con tutto il suo pugno dentro di se, fino al polso.
Il dolore era inimmaginabile, un’agonia incandescente che sembrava consumarla dall’interno verso l’esterno. Inarcò la schiena.
Arata si avvicinò con un oggetto che aveva raccolto dal tavolo; un oggetto che assomigliava molto ad un microfono bianco ma che ronzava sinistramente. Lo avvicinò a Zoey e le vibrazioni che l’oggetto emanava le fecero venire i nervi a fior di pelle.
La mano di Mia si fermò per un momento, osservando Arata mentre avvicinava il vibratore. Si passò la lingua sulle labbra, eccitata.
Nel momento in cui il dispositivo ronzante entrò in contatto con la carne sensibile di Zoey, il suo corpo si contorse, il dolore momentaneamente dimenticato. I suoi occhi si chiusero di colpo mentre l’intensa sensazione la travolse, le vibrazioni sembrarono risuonare attraverso ogni terminazione nervosa. Presto iniziò a gemere, la mano di Mia ancora sepolta nelle sue viscere. Il suo corpo iniziò a contorcersi e le catene tintinnavano con la forza dei suoi movimenti.
E poi accadde. Il sesso di Zoey rilasciò un fiotto caldo che inzuppò il braccio di Mia ed il pavimento sotto di se.
Il braccio di Mia, ormai quasi sparito fino al gomito nel corpo convulso di Zoey, il vibratore premuto saldamente contro la clitoride era una visione quasi grottesca. Il pollice di Arata fece scattare il dispositivo ad un’impostazione più alta, osservando con una gioia sadica la risposta del corpo di Zoey, i muscoli tesi al massimo. Gli orgasmi rochi si susseguirono ad ondate. Zoey, la cui forza era leggendaria, era ridotta ormai ad un giocattolo nelle mani dei suoi aguzzini.
Il cuore di Amelia batteva forte, mentre con orrore osservava la tortura alla sua amica.
“Per favore,” implorò “lasciatela stare.”
Ma le sue parole caddero nel vuoto, il loro suono si perse nella sinfonia di dolore e desiderio che riempivano la stanza. Gli occhi di Arata brillavano di trionfo, la sua presa sul vibratore non vacillava mai.
E poi, come uno spettro del passato, apparve Taylor, con gli occhi pieni di una luce sgradevole. Si mosse dietro Amelia, le sue mani scivolarono lungo il suo corpo per afferrare la cerniera del vestito. Con un movimento freddo e deliberato, iniziò ad abbassarla, il tessuto sussurrò mentre si apriva per rivelare la sua nudità.
La montagna umana che corrispondeva al nome di Gary si avvicinò a sua volta, la sua imponente struttura sovrastava la minuta poliziotta, a cui afferrò il tessuto del vestito in una presa d’acciaio. Con uno strattone potente glielo strappò dal corpo, insieme al suo intimo, lasciandola esposta e vulnerabile.
Le labbra calde di Taylor si posarono sulle sue quasi con dolcezza, mentre le mani le avvolsero i seni, tastandoli delicatamente. Senza preavviso si chinò strinse le labbra intorno ad un capezzolo, sferzandolo con una lingua calda e gentile che la fece gemere.
La mano di Taylor scivolò, tracciando i contorni del suo addome e dirigendosi ancora più giù, verso la fonte della calda umidità che sorgeva tra le sue gambe. Non aveva mai provato niente del genere prima, la sensazione che quel tocco non richiesto era estranea, ma eccitante. Iniziò a tremare e singhiozzare.
Taylor rise. Aveva capito che Amelia era vergine, ma questo non la fermò. Si inginocchiò tra le sue gambe, gli occhi che le brillavano di desiderio. La sua bocca aleggiava sopra il suo sesso sensibile. La sua lingua scivolò fuori, la punta iniziò a sfiorarle la clitoride.
Amelia fu come percossa da dolci e calde scariche elettriche, mentre il piacere la travolse come un fulmine. Nonostante la paura e la consapevolezza della situazione in cui si trovava, non poté fermare il suo corpo mentre i suoi fianchi sussultarono involontariamente.
Gary, con la sua mole massiccia, aveva iniziato a spogliarsi, con movimenti deliberatamente lenti. Si prese il suo tempo, ogni bottone e cerniera erano una silenziosa dichiarazione di dominio. I suoi occhi non abbandonarono mai le due donne ed infine mise a nudo il suo corpo, testimonianza di una forza brutale ed un potere primordiale.
Amelia guardò con timore il pene dell’uomo, lungo e spesso. La sua vista la fece tremare, ma ecco che il lavoro della lingua di Taylor diede i suoi frutti, e la fece prorompere in un orgasmo fuoriuscito direttamente dalla sua anima. Il suo corpo si contorse nell’estasi.
Quando le ondate di piacere cessarono, si ritrovò sporca, tremante e vulnerabile. Lacrime di vergogna scivolarono dalle sue guance arrossate.
Taylor si fece da parte con un sorriso sadico e soddisfatto, mentre Gary avanzava. Lo guardò esterrefatta mentre lui le sollevava le gambe.
Amelia sentiva la punta dell’enorme pene che premeva contro il suo sesso. Tremava ma non era in grado di distogliere lo sguardo dal suo aguzzino, ne di proferire parola. Tutto sembrava come sospeso, ma poi, con una spinta brutale, lui era dentro di lei.
Il dolore era come niente che avesse mai provato prima, un’agonia incandescente che sembrava spaccarla in due. Urlò, il suono echeggiò nella stanza, un lamento che sembrava scuotere le fondamenta stesse della terra. I suoi occhi lacrimarono mentre si sentiva squarciare dall’ingombrante intrusione.
Gary iniziò a muoversi, i suoi colpi profondi e punitivi, ogni spinta le faceva capire la realtà della sua situazione. Per loro lei non era altro che una loro proprietà, ormai. Le sue grida si fecero più disperate, il suo corpo tremava e cercava inutilmente di sottrarsi a quel supplizio. Lui era troppo forte, troppo potente. Le sue gambe erano tenute larghe dalle sue mani enormi, il suo corpo aperto e vulnerabile al suo assalto. Poteva solo assecondare i movimenti del mostro.
I grugniti di Gary, i rochi gemiti di Zoey che ancora veniva torturata dal vibratore di Arata e le urla di Amelia riempivano la stanza di una strana sinfonia.
Ogni colpo toglieva il fiato alla povera Amelia che fu più e più volte sul punto di svenire, ma ecco che qualcosa cambiò. I movimenti di Gary si fecero più frenetici, il suo respiro più corto, ed ecco che improvvisamente l’intruso uscì dal corpo della minuta poliziotta ed iniziò a schizzare sul suo ventre, ferendo la sua dignità. Scoppiò a piangere.
Qualche giorno dopo il capo della polizia trovò un pacco anonimo sulla sua scrivania, contenente un disco senza etichetta, che subito esaminò.
All’interno c’era un video da incubo, un montaggio di dolore e degradazione che sembrava durare un’eternità. Le agenti scomparse, Emily, Amelia e Zoey erano le protagoniste, nude, sporche e piene di lividi. Uomini senza volto, le identità nascoste nei passamontagna, abusavano su di loro in tutti i modi possibili, alternandosi in schiere infinite. La telecamera si fermava sovente sui volti delle tre donne, catturando ogni smorfia ed ogni lacrima.
La scena finale mostrava gli uomini, ormai saziata la loro lussuria, che si disponevano in cerchio intorno alle tre poliziotte ed urinare sui loro corpi spezzati, sui visi, sui seni, sui sessi e persino sui piedi, lavando via le chiazze di liquido seminale che copioso le ricopriva.
Il messaggio di Takahashi era stata recepito forte e chiaro.
Notevole! D’impatto e duro come un buon thriller ma con la giusta carica erotica. Ben fatto!
Storia davvero interessante, anche se devo dirlo: povera Amelia
, mi ci ero affezionato dopo la seconda riga in cui compare.
Spero vorrai pubblicare in futuro ancora altre storie (anche dello stesso genere, ovvio, o proprio una continuazione di questa).