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Il padroncino brasiliano

By 12 Gennaio 2014Dicembre 16th, 2019No Comments

di Tom (contatto Facebook: Tomas Mantelli)

Subito dopo essere stata presentata ai figli della signora Laetitia mi fu imposto di baciare i piedi alla figlia di lei, Lilian, e al figlio, che come ho detto si stava fottendo allegramente mia sorella Marta. Dopo i convenevoli di rito, Antonio mi prese per i capelli e mi costrinse a uscire dal mio appartamento. Il bello era che se io indossavo solo qualche indumento, lui era completamente nudo e con il cazzo fieramente eretto fra le gambe. Poteva esserci anche qualcuno sulle scale, o potevamo essere intravisti dalle ampie finestre che davano sul cortile interno, ma lui non se ne preoccupò. Sempre strattonandomi per i capelli mi fece entrare nella sua casa e mi costrinse a inginocchiarmi sul pavimento come una cagna. Lui sedette su una poltrona, appoggiò le spalle allo schienale e aprì oscenamente le cosce. Con una mano andò al suo inguine e iniziò un lento massaggio alla base dell’asta. Mi osservò. Io, per pudore o più probabilmente per paura, non osai sollevare lo sguardo.
‘Ma tu non me lo prendi in bocca?’ domandò Antonio.
Non risposi.
‘Ah, ho capito. Sei stata addomesticata solo da mia madre, per adesso’ continuò il ragazzino ‘In questo caso vedrò di dare una raddrizzata anche a te. Alzati in piedi!’
Rimasi immobile.
‘Non obbedisci, vero?’ disse Antonio ‘Per ora l’incantesimo può solo impedirti di ribellarti. Bene, quando le cose stanno così”
Si interruppe a metà della frase e mi afferrò nuovamente per i capelli, sporgendosi un poco verso di me. Ero come intontita, in effetti. Avrei dato la vita per la mia padrona Laetitia, ma per il figlio, sebbene non riuscissi ad imporre il mio rifiuto di fronte ai suoi modi disgustosi, non riuscivo a provare la medesima fedeltà. Non lo amavo ancora.
Antonio mi fece alzare in piedi e tornò ad appoggiarsi alla poltrona. Mi guardò con attenzione dalla testa ai seni, poi scese con i suoi occhi vogliosi su mio addome, sul mio perizoma e sulle mie gambe. All’improvviso lo vidi sorridere compiaciuto, e come per incanto mi ritrovai entrambe le punte dei suoi piedi affondate nella bocca dello stomaco. Sebbene avesse qualche chilo di troppo, il ragazzino era stato velocissimo a sollevare entrambe le gambe e a spingermi le sue estremità nella pancia. Sentii il fiato che si spezzava in gola e un dolore lancinante al centro dell’addome. Mi portai le mani al ventre, riuscendo solamente ad abbracciare le caviglie di Antonio, che dopo il calcio doppio non aveva ancora ritirato i piedi ed era lì che mi osservava sorridente e allegro.
Non so perché formulai quel pensiero, ma in mezzo al dolore che provavo l’unica cosa su cui riuscii a focalizzare la mia attenzione fu quanto fossero belle e forti le sue caviglie. Dopo un attimo crollai in ginocchio. Lui ne approfittò per ritirare le gambe e per posarmi le piante dei piedi sulle spalle. Sentii la pressione dei suoi talloni sulle scapole e provai l’impulso di sollevare la testa e baciarli. Erano piedi grandi, ben modellati e abbronzati. Piedi da giovane dio del Brasile.
E la pancetta del mio padroncino’ero sbigottita’fino a qualche giorno prima non avrei degnato neppure di uno sguardo quel ragazzotto cicciottello che forse non aveva neppure il diploma! Non lo avrei neppure catalogato come appartenente alla razza umana!
Invece adesso ero lì, prostrata davanti a lui e con i suoi piedi premuti sopra la mia schiena’pronta a leccare lo sporco sotto le sue piante, se solo me lo avesse ordinato’c’era decisamente qualcosa che non andava, in me’eppure mi sentivo così bene, in quella posizione’anche con quel dolore terribile allo stomaco che mi impediva di rimettermi in piedi.
Lo amavo’amavo quel giovane straniero del Sud, i suoi modi barbari, il suo addome prominente e sudaticcio, i suoi piedi sporchi, il suo cazzo svettante e le sue palle pelose’
‘Come la mettiamo, adesso?’ domandò Antonio ‘Hai ancora voglia di disubbidire a me?’
‘No, padrone’
Dissi proprio così. Padrone. Mi uscì spontaneo dalle labbra. Non fu lui a ordinarmi di chiamarlo con quell’appellativo.
Sentii il suo piede destro che si sollevava e si andava a posare sulla mia testa. Lo sentii strofinarsi contro i miei capelli. Forse il padroncino voleva utilizzare la mia inutile criniera di giovane studentessa italiana come zerbino per togliere un po’ di sporcizia dai suoi piedi meravigliosi. Sì, non poteva che essere così. Mi sentii onorata di poter essere il suo tappetino, e se avesse voluto fare di me la sua latrina sarei stata ancora più entusiasta.
Lentamente il suo piede scivolò attorno alla mia faccia e si posò davanti alla fronte. Sollevai il mento e me lo ritrovai lì, a pochissimi centimetri dal mio naso. Le dita di quel piede’mio dio, erano bellissime! Sporche e polverose da leccare fin sotto le unghie. E poi il tallone, la caviglia’sentii di amare quel ragazzino più di chiunque avessi mai amato prima. Mi sporsi di più, e soffocando il dolore alla pancia iniziai a leccare quel meraviglioso oggetto del desiderio. Antonio me lo lasciò fare, ridendosela tranquillamente dalla sua comoda poltrona. Mi diede da leccare anche l’altro e io non mi feci pregare. Tuffai la lingua negli spazi fra le dita, asportai ogni traccia di polvere e sporcizia e inghiottii tutto ciò che trovavo. Non m’importava del sapore. L’unica cosa essenziale era l’igiene delle estremità del padroncino. Passai al dorso dei piedi, alle piante sudate e alle caviglie. I talloni, forti e ben modellati, richiesero parecchio impegno da parte mia, perché la pressione sui pavimenti sporchi aveva finito con l’appiccicare lo sporco fin nelle più minute asperità della pelle. Antonio, nel frattempo, rideva come un bambino. Doveva dargli una strana sensazione, essere trattato come un dio da una ragazza bellissima e di qualche anno più grande di lui. Una sensazione a cui probabilmente non doveva essere nuovo.
Di tanto in tanto lo vedevo menarsi il cazzo con una mano e accarezzarsi i capelli con l’altra. Spostava i piedi per mostrarmi meglio i punti in cui voleva essere leccato e adorato, e io, sua schiava devota, eseguivo i suoi ordini silenziosi con tutta l’ardore che potevo dimostrargli.
‘Ora vieni qui, puttana’ disse dopo un po’.
Essere chiamata puttana mi fece uno strano effetto. Sì, ero la sua puttana. Lui per me era tutto. Era un dio. Io per lui non ero nulla. Ero solo un trastullo momentaneo di cui presto, forse, si sarebbe sbarazzato. Non capii come avessero fatto le cose a prendere quella piega, e sul momento non sembrò importarmene neppure più di tanto.
‘Leccami il cazzo’ ordinò il padroncino.
Mi sollevai quel tanto che bastava per avere la faccia all’altezza del suo membro e avvicinai le labbra alla cappella. Il suo cazzo non era lunghissimo come mi sarei potuta aspettare da un mulatto del Sud America, ma in compenso era dritto e massiccio, con una cappella gonfia che sembrava fatta apposta per penetrare le inutili bocche di noi baldracche italiane.
Lo presi fra le labbra e lo avvolsi amorevolmente nella mia calda lingua. Sentii che il respiro del padroncino si faceva più lento e più profondo, i suoi muscoli vibrarono e la sua mano andò dietro la mia nuca. Mi afferrò di nuovo per i capelli e mi spinse verso di sé. In un attimo la mia visuale fu occupata dai peli pubici del ragazzino. Erano fittissimi e neri. Peli di giovane dio sudamericano. Poi le sue palle sbatterono sul mio mento e il suo uccello volò nella mia gola. In una serie di voli alla cieca lo sentii puntare il becco contro il mio palato e contro le mie tonsille. Dallo stomaco ancora dolorate sentii risalire un conato di vomito che soffocai con decisione.
Il mio giovane padrone doveva essersi dimenticato di farsi la doccia, ultimamente, e l’odore della sua orina mi investì prepotentemente le narici. Ma neppure questo aveva importanza. Io ero la sua schiava e avrei provveduto alla sua igiene personale. Sfilai il cazzo dalla mia bocca e presi a leccarlo per tutta la lunghezza, dalla cappella alla base dell’asta. Arrivai alle palle e le presi in bocca tutte e due, prima l’una e poi l’altra, succhiandole come gustosi lecca-lecca. Mi concentrai sui peli (perché anche loro avevano ricevuto qualche schizzetto di pipì!), li presi in bocca a ciuffi e li succhiai avidamente fino a ripulirli dalle ultime tracce di piscio.
Antonio sollevò le gambe e mi appoggiò le cosce sulle spalle.
‘Prendimelo in bocca, troia’
Lo feci con immensa gioia’lo succhiai con trasporto e passione’amai quell’insinuante obelisco di carne dura dal momento stesso in cui iniziò a violentare senza pietà la mia bocca’arrivai a imboccarlo dall’apice alla base e tornai su’di nuovo e di nuovo ancora’sentii gemere il padroncino, percepii il suo respiro che si trasformava da prima in un ansimare confuso e poi in un rantolo di libidine.
‘Adesso ti vengo in bocca, puttana, e tu bevi tutto’
Non avevo mai inghiottito la sborra di un uomo, e di certo non mi sarei aspettata che la prima boccata di sperma che avrei assaggiata nella mia vita provenisse dal cazzo di un ragazzino straniero dall’igiene quantomeno approssimativa.
All’improvviso Antonio mi serrò la testa con una mano e me la spinse in profondità fra le sue cosce. Le sue palle mi fecero da airbag mentre mi schiantavo contro il suo inguine odoroso. Poi il primo spruzzo mi esplose dentro la bocca. Non fu come me l’ero immaginato. Fu forte, violento, quasi come lo scoppio di una piccola carica dentro la mia testa…sboooorrrr!!…mi ritrovai la bocca piena di pasta tiepida e collosa’era quello lo sperma? Milioni di celluline impazzite che vibravano la loro codina gelatinosa sulle mie papille gustative?…un nuovo spruzzo’sbooorrr!!…deglutii quanto dovevo per non soffocare’sbooorrr!!…Antonio lanciò un gridolino di piacere, mi artigliò la testa con tutta la sua forza e la tenne stretta fra le cosce. I suoi talloni colpirono ripetutamente la mia schiena, causandomi non poco dolore, ma io resistetti; il padroncino stava solo dimostrando quanto godimento gli aveva procurato la sua italoputtana e di questo non potevo che essere fiera.
Un nuovo getto nella mia bocca’sbooorrr!!…e io lo deglutii come potei, soffocando un colpo di tosse che avrebbe finito con l’infastidire il mio signore.
‘Brava, troia, bevi! Bevi tutto e non lasciartene scappare nemmeno una goccia!’
Alte due scariche, poi il piacere del padroncino sembrò dissiparsi. Sentii che il suo membro si ammosciava nella mia bocca’i suoi respiri divennero più lenti e graduali’sboorrr!!…un altro piccolo schizzo nella mia bocca, poi la sua voce che mi incitava ‘Puliscimi il cazzo, stronza’
Adesso perché ero una stronza? Non gli avevo forse procurato il dovuto piacere? Non ero stata brava? Eppure ce l’avevo messa tutta, per farlo godere, e lo avevo fatto solo per lui!
Sfilai la sua mazza dalle mie labbra e mi occupai diligentemente della pulizia del cazzo. Diverse passate di lingua sull’asta, poi qualche bacetto a risucchio sulla punta della cappella e di nuovo giù con le labbra fra le palle e la base del membro. Antonio sembrò sospirare soddisfatto, mi allontanò con un calcio e allungò le gambe sul pavimento. Io, senza che lui me lo chiedesse, presi a massaggiare i suoi polpacci e le sue caviglie. Avrei voluto leccarlo, ma temevo che essere toccato da una bocca appena violentata come la mia gli avrebbe causato solo disgusto e repulsione.
Lui si lasciò adorare come un dio per qualche minuto, la braccia abbandonate sullo schienale della poltrona e la testa fieramente reclinata a guardare il soffitto. Per diverso tempo non mi degnò di considerazione, quasi non fossi nemmeno in quella stanza.
‘Tu mi farai guadagnare un mucchio di soldi’ disse dopo un po’.
Lo fissai sbalordita.
‘Ho diversi amici che si sono trasferiti in questa città, lo sai? Suppergiù hanno tutti la mia età e le donne italiane non li considerano nemmeno di striscio. Tu, però, sei stata addomesticata da mia madre. E’ una maga, sai? Quando sei sotto i suoi incantesimi il disprezzo che nutri verso una persona si tramuta in amore’
Sollevò un piede e me lo strusciò sul viso. Provai il desiderio di leccarlo.
‘Vedi, cagna? A cose normali non ti faresti mai toccare dal mio piede sudicio, invece adesso sei lì che sbavi perché non vedi l’ora di leccarlo’ disse Antonio ‘Ti venderò a buon pezzo. Per essere una troia italiana sei anche bella. I miei amici mi dovranno dare cinquanta euro per fotterti in bocca e cento se vogliono sbattertelo in figa. Dovrai farti consegnare i soldi prima della prestazione, e appena li avrai soddisfatti dovrai tornare subito da me’
‘S’sì, padrone’
‘Ah, ti farò accompagnare dal nostro schiavo di famiglia. Per ogni evenienza, non si sa mai’metti che qualcuno voglia fare il furbo”
Annuii.
‘Lui lo conosci già. Quando ci stabiliamo in una nuova città lo presentiamo a tutti come nostro padre. Non è mica nostro parente, sai? Mio padre è morto quando ero piccolo. Lui è solo un idiota che mia madre ha trasformato nel suo utile zerbino domestico. Lo facciamo dormire nel garage, e alla gente raccontiamo che è partito per un viaggio di lavoro. I soldi ce li procuriamo con le schiave che creiamo in ogni città. Alcune le mandiamo a battere, mentre altre’beh, diciamo che sono loro stesse a farci dei regalini’sai, mia madre non ha problemi a sottomettere mogli di politici o di grossi industriali’
”’
‘Oh, quasi dimenticavo’visto che ci siamo trasferiti solo da qualche giorno, a me e a mia sorella servono degli accompagnatori’sì, insomma, un fidanzato per lei e una fidanzata per me. Non che ci aspettiamo di innamorarci di qualche stupido italiano, naturalmente. E’ così, giusto per aver qualcuno con cui uscire nei fine settimana. Tu sei troppo vecchia, per me, e tua sorella la vuole mia madre come sguattera di casa. In questo palazzo, però, vive una troietta che fa proprio al caso mio. E’ la biondina del terzo piano, hai presente?’
‘Sì, la conosco’si chiama Sabrina’ risposi ‘E ha un ragazzo’
‘Quello che piace tanto a mia sorella’ disse il padroncino ‘Domani invitali tutti e due a casa tua. Mia sorella ed io abbiamo dei progetti su di loro”
Continua’

tom

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