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Racconti Erotici Etero

Il pulman

By 18 Gennaio 2010Dicembre 16th, 2019No Comments

Il finestrino del pullman 137/A durante la tratta corbeta-drove castello è grigio. Sarà il sudicio, il tempo che fa schifo, il mio umore, i gas di scarico che si accoppiano furiosamente con l’umidità di questa nebbia che non vuole evaporare. Almeno la foschia ha pietà, si mangia gli oggetti di questa città, piccola ma non piccola quanto insulsa, impregnata di un medievale splendore e da cinquecento anni lasciata ad invecchiare in attesa che qualcuno la stappi per sentire l’odore di aceto. Riversato in stato comatoso sulla moquette dei sedili osservo il mondo fermo al semaforo, annoiato ma incapace di reagire: manca lo spirito di rivalsa sul destino che ci mette tutti quanti in riga davanti ad una luce rossa.

L’erezione che mi porto dietro da stamani non accenna mutazioni. Nascosta alla meno peggio nei jeans preme sulla fibbia della cintura; non fa tanto male, ma il fastidio che crea si sta riversando lungo i centri nervosi di tutto il corpo. Perché sono in queste condizioni? Non sono diverso dagli automobilisti che contemplano il semaforo, anche se a me non interessa il verde: sono in attesa. No, non sono incinto, la questione non si pone nemmeno, e non perché i miei genitori hanno avuto un maschietto senza utero. Sono in attesa che il principio primo per cui esiste la vita sull’universo si metta in moto per farmi scopare. Adeguatamente protetto, s’intende. Non intendo aggiungere un’altra creatura in pena a questo pianeta sovraffollato, vorrei solo poter vivere pienamente la condizione di post_adolescenziale necessità che mi attanaglia il basso ventre. I testicoli in piena produzione rilasciano ormoni che mi annebbiano il cervello, spingendomi a ripensare ai pochi ricordi piacevoli che ho dei momenti appena trascorsi. E mi sovviene pure il pensiero di quando, tre mesi fa, cercavo di mettere in piedi una storia che potesse funzionare. Da allora non è cambiato nulla; anzi sì, adesso siamo a un anno e mezzo senza sesso. Quella che diciotto mesi fa sembrava una scelta obbligata, che si è poi tramutata in arcana maledizione, ora non è altro che fastidiosa consapevolezza. E a quanto pare non serve trovarsi la ragazza. Il primo indizio che qualcosa non andava avrebbe dovuto darmelo la prima notte che abbiamo dormito insieme: una fermezza da suora infibulata. Poi i baci a stampo stile gioco della bottiglia a undici anni, il respingermi, simulare le mestruazioni, cadere dalle nuvole con domande del tipo ‘ma che vuoi?’ pronunciate con totale candore, e infine i no. Pura negazione. Mai sentito qualcuno essere più deciso pronunciando questa parola. A nulla è servita l’insistenza, diversificare gli approcci, diluire con la vodka, i tentativi nel sonno, e neanche la pazienza. Alla richiesta, lecita, ‘perché no?’ si è Adv sempre limitata a ripetere la domanda segando via il punto interrogativo in fondo. Perché NO. Poi ogni volta si addolcisce e inizia a dirmi che non si sente pronta, la devo capire, esce da una storia così lunga e un po’ traumatica, devo darle tempo e poi sarà bellissimo. E intanto sono gonfio.

Il semaforo si è fatto verde e il traffico torna a scorrere mentre riesco a percepire il principio di autodistruzione che si sta compiendo in me. Non ce la faccio più, sono scappato da casa sua in preda al delirio ormonale, avevo ancora il cazzo fuori dai pantaloni quando ho sbattuto la porta, penosa compensazione per non essere riuscito a sbattermi lei. Nella nostra relazione il tempo che ho passato con un’erezione inutile sarebbe sufficiente per fare il cammino di Santiago sui ginocchi; altro che purificazione spirituale, sto raggiungendo il nirvana degli sfigati. Sono seduto negli ultimi sedili, il pullman è mezzo vuoto e a giudicare dai capelli che spuntano qua e là direi che i miei compagni di viaggio sono tutti oversessanta in equilibrio tra il sonno, la morte e i cazzi loro. Il mio di cazzo invece preme per uscire, vuole essere liberato dall’infame morsa del cotone lavorato. Slaccio la cintura, sgancio il bottone e come un apprendista di nuoto in apnea il mio sesso esce fuori di colpo, sembra che cercasse solo uno spiraglio attraverso il quale respirare. Ci guardiamo, e lo compatisco, così come compatisco me stesso per la situazione in cui mi trovo da troppo tempo. Cercherò ancora una volta di dargli una mano, che appoggio sopra con indifferenza, guardandomi attorno. Le teste non si sono mosse, per quello che vedo potrebbero essere venti parrucche appiccicate ai sedili. La punta rossa, congestionata, fa capolino dalla pelle tirata in basso, e sento che se non voglio esplodere devo darmi da fare adesso che il pullman viaggia a velocità moderata, ignorando ignorato le macchine e i motorini che lo sorpassano. Mi sfrego il cazzo tranquillo, pensando.

Poco più di un’ora fa, a casa sua, sul divano; in lei non c’è niente di diverso, forse solo un barlume di latente arrendevolezza nello sguardo, forse sono solo più determinato del solito. Sembra che i miei tentativi di renderla partecipe al mio perenne stato di eccitazione la stiano smuovendo dal solito stoicismo: ha i capezzoli turgidi, lo sento addirittura attraverso il reggiseno imbottito e il pesante golf di lana grezza che ha fregato ad un suo amico [un vecchio amante? Non è dato saperlo]. Le mani circuiscono i seni per poi passarci sopra distratte, come la tappa intermedia tra i fianchi e le spalle, e un bacio più lungo del solito sembra voglia invitarmi ad andare oltre. Mentre i queens of the stone age cantano I never came e la mia lingua le accarezza il collo entrambe le mani passano oltre il territorio di confine della maglietta, una sulla pancia, leggermente in fuori [fantastica secondo me, orrenda secondo lei], l’altra lungo la spina dorsale fino all’attaccatura del reggiseno, che cede senza troppe preghiere. Lei mugugna qualcosa, non capisco se per approvazione o lamentela, per sicurezza la ignoro e lascio parlare Josh Homme: Cause I don’t care / If you or me is wrong or right / Ain’t gonna spend another night. La mano che fino ad un attimo prima si trovava più vicina al mio reale obbiettivo si sposta decisa verso il reggiseno che si fa sollevare senza pretese; per certe cose occorre tempo, e un certo tatto. Le stringo i capezzoli, forse anche più forte del dovuto, un altro mugugno altrettanto ignorato mentre le azzanno con delicatezza una spalla scoperta. La mano che stava sulla schiena si sposta verso il fianco, passa sulla scanalatura delle costole e si ferma solo un attimo a tastare la maniglia dell’amore appena accennata. Non vorrei che questo contatto rimettesse in moto paranoie dimagranti non necessarie quanto onnipresenti. Mi sposto sui glutei puzzolenti di shit ma è uguale, e anche se rimango sopra i pantaloni riesco a sentirne la piacevole rotondità che ha catturato il mio sguardo non appena ci siamo conosciuti: niente fianchi larghi, solo un bel culetto all’infuori, uno di quelli che andrebbe preso costantemente a schiaffi. Le affondo dieci dita nella carne e la mia lingua le torna in bocca, cercando di indirizzare i respiri nel mio fiato, iniziare a pensare all’unisono a dove sistemare la mia pulsante erezione che le spinge su una coscia. E alla fine vengo.

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