Il suono della neve
***
La neve si appoggia in silenzio sulla mia pelle. Mi incanto a fissare la perfezione geometrica dei cristalli di ghiaccio sul mio seno. Ognuno di essi protrae ancora la sua esistenza su di me per pochi istanti, poi il mio calore inevitabilmente lo fonde. Una goccia gelata scivola sul mio capezzolo e vi rimane sospesa.
Non riesce però ad aver il tempo per precipitare: la tua mano mi afferra il petto, bramosa…
***
Mi piace lasciarti camminare nuda, quando è inverno, sul terreno soffice e candido, per la neve appena scesa.
Vederti libera da ogni condizionamento alimenta le mie fantasie infinite. Questo penso, mentre strizzo il capezzolo, decorato da fiocchi raccolti attorno alla punta.
Segui le mie dita con gli occhi e con le labbra, che si increspano di un mescolio di dolore e piacere, per le attenzioni ricevute.
Liquefatto il velo sotto pollice ed indice, per la pressione, dolce ma presente, ruoto con le stesse dita l’estremità del seno, per accendere il tuo desiderio.
Ti accendo: un gioiello che prende vita.
Ma sono ingordo e raccolgo in terra una manciata di neve fresca, appena caduta.
La sfioro sul tuo sesso bollente; le labbra, assetate, la consumano man mano che la premo dentro.
Mi bagni di te e dei fiocchi fusi dal tuo desiderio dirompente.
Entro dentro con un dito, per sentire il clito turgido per il frigore; due, tre, quattro. La mia mano è dentro di te.
Ecco, ora la muovo dentro la tua carne, violando il ventre che non mi lascia uscire. Mi stringi impudica, assaporando i miei pensieri, intuendo cosa potrei farti vivere.
Le fantasie, come raggi di sole, irrompono improvvise e reali.
Adesso uso i denti, solleticando di nuovo i capezzoli, uno per volta. Aumentando il ritmo e l’intensità, alterando il tuo respiro.
Lenti morsi che alimentano un pensiero…
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Ora ho capito cosa intendevi con fiamme e gelo.
Ora so cosa significa bruciare di freddo piacere e sentire in corpo un fluido caldo che combatte l’assideramento della carne.
O forse non si tratta di un combattimento. È un amplesso. Energia rovente che si salda alla ghiacciata materia.
Tremo intimamente surriscaldata. Rabbrividisco di caldo languore.
Ora non fermarti. Mordimi ancora, balbetto. Adoro questo lieve dolore che pizzica la mia eccitazione…
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I morsi si fanno audaci e decisi, intenti a strapparti ogni sensazione dalla gola. Ascoltare il suono delle emozioni è decisamente appagante.
Nessuno, in piena valle imbiancata, potrà udire il piacere mescolato al dolore, gocciolare dalle labbra e farsi, indecentemente, mugolio.
Così pensavi, così credevi, lasciandoti andare in preda alle emozioni, invece di soccombere al controllo della solita quotidiana razionalità.
Decido di bendarti, per aumentare la tua percezione del mio volerti guidare senza lasciarti spazio per anticipare le mie mosse.
Solo un velo rosso, calato sugli occhi, a contrasto del tuo corpo nudo.
Osservo dove ho lasciato il segno del mio impeto: le sfumature violacee incise dai miei denti, contrastanti con la pelle chiara.
“In ginocchio, adesso” la richiesta è decisa e ferma, forzandoti con la mano sulla nuca ad assumere la posa richiesta.
Il tuo viso sfiora le mie cosce. Sfioro i capelli, afferro le ciocche nella mano, rialzando il tuo mento, per farti sentire il mio corpo eccitato dal mutato scenario: il tuo naso spalmato sul mio vigore.
“Cosa vuoi adesso” chiedo, sillabando rapido le parole.
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Sfumature variegate di rosso sono tutto ciò che i miei occhi rilevano. Le ginocchia nude sprofondate nel bianco elemento necessiterebbero di un sollievo che so ancora lontano. Il contatto scortese del tuo pene gonfio ed esigente sul mio viso è invece caldo. Quasi piacevole.
Voglio… Voglio il tuo seme… Il mio pensiero si fa debole voce.
Dischiudo le labbra.
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Affondo, con decisione pulsante, la mia carne fra le tue labbra docilmente socchiuse in attesa. Guaina di spada, la tua bocca mi accoglie, avvolgendomi e risucchiandomi in una estasi inimmaginabile.
Aumento il ritmo, mutando la dolcezza in violenza, la mia mano scivola fra i tuoi capelli e li usa per farti infoiare del mio cazzo, facendoti sbattere le labbra alla base della mia asta, piena di vigore per prenderti appieno, per poi riportarti sulla punta e ricominciare a guidare il tuo movimento.
La tua lingua, la tua gola, lo scivolare dei tuoi denti sono l’inferno che ricerco adesso.
Brucio di desiderio di averti in ogni altro modo. Stacco la tua bocca dal mio cazzo e premo il tuo viso sulla neve, lasciandoti scivolare le mani in avanti, facendoti sfiorare il terreno imbiancato.
Vederti inarcare la schiena mi eccita, viziosa sollevi le terga, come cagna in calore, determinata a farti usare in ogni modo che sappia farti godere.
Immobile, vibri, respirando l’attesa. Sai che farti aspettare mi eccita moltissimo.
Il mio silenzio e il non sfiorarti ti fa bagnare come mai avresti pensato. Improvvisamente, un pugno di neve riempie la tua gola, per raffreddare il tuo bollore, per placare la tua sete: adoro spiazzarti, sin dal primo incontro.
***
Qualcosa intorno a noi sta cambiando.
Sputo poltiglia ghiacciata.
Mi rendo conto che ha smesso di nevicare.
Le tonalità di rosso che vedo si fanno più chiare: evidentemente le nubi diradate hanno lasciato spazio a un pallido sole che improvvisamente ci ha illuminato. Mentre le mie dita stanno perdendo sensibilità immerse nel manto di neve sotto il mio corpo, la pelle della schiena per qualche secondo mi regala una piacevole sensazione di lieve tepore.
Mi sorprendo a domandarmi se le mie intimità, ora ben esposte al tuo sguardo, possano accendersi anch’esse di colore vivo e ricordare un fiore solitario, o se ora ti risultano piuttosto come ferita aperta, su cui magari infierire ancora.
Il poco sollievo solare presto svanisce ed il gelo ritorna prepotente a pungere ogni mia terminazione nervosa.
Scaldami. Scaldami, ti prego. Fa penetrare il tuo calore nei miei antri.
Ti sto offrendo tutto, anche ciò che non vorrei.
Abusane. Ti supplico.
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Avvicino il naso alla tua carne, un odore eroticamente invitante. Sorpresa, ti rilassi per farti violare.
Esposti e purpurei i canali del tuo piacere, per il gelo attorno. Entro con un dito, dove il tuo miele mi avvolge, già fradicia per le continue attenzioni.
Mi muovo lento per farti scivolare nel desiderio di essere inghiottita dalle emozioni. L’altra mano ti schiaccia il viso nella neve, trattenendoti per la chioma fra le dita vigorose. Uso un secondo dito per slargarti meglio. Reagisci con un sobbalzo.
Come mantice, alterni soffi ritmici dalla bocca, ad ogni mio spingerti le dita dentro, incendiando i tuoi pensieri fino a lasciarti assetata.
Entro anche con un terzo: indice, medio ed anulare a sentire le tue viscere bruciarmi la pelle, mentre i gemiti soffocano nel terreno candido di fiocchi calpestati dalla tua bocca.
Tiro fuori il mio cazzo, hai chiesto di averlo, impudica e supplichevole, lo avrai.
Entra dentro, gonfio e deciso, appena ho sfilato dall’antro dilatato le mie dita; ti apri, come panna sbattuta da una frusta, dimenando i fianchi ad ogni mia spinta.
Uso le dita nell’altro orifizio, voglio aprirti completamente, per riempirti di me.
Lascio il tuo volto ad annaspare, mentre le dita stringono il tuo seno, usandolo come appoggio per ogni mio movimento.
Cerchi di godere, opponendo una resistenza studiata, seppur irrazionale ed istintiva, alimentando la tua voglia di essere solo Femmina, tale e quale ti desidero: un corpo sensualmente pulsante.
I capezzoli esplodono sotto la mia stretta, li prendo entrambi, esco da ogni tua apertura e osservo il colore del tuo piacere: rosso intenso, la stessa sfumatura del tuo rossetto.
Pieno di vigore, sfondo lo sfintere ancora pulsante e ti sono dentro, carne nella tua carne.
Ora, violentemente, indossi la mia bramosia di averti.
Sussulti per le oscillazioni capaci di strapparti ogni grida, rendendole ben manifeste nel luogo silenzioso. Ti arrivo in gola, tanto premo dentro il tuo corpo parte di me.
Sono pronto per riempirti: sei un mondo attorno a me, che mi vuole risucchiare dentro, questo sento adesso.
E, copioso, ti bagno dentro, facendoti vibrare.
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Le mie guance hanno perso sensibilità. Le labbra e il mento mi bruciano, reclamano tepore.
Sto per scoprire a quale categoria di uomini appartieni.
Cerco di non contrarre i muscoli anali, mentre la tua foga scema lasciando il mio corpo abusato e dolente in più punti.
Sei uno di quelli a cui l’ossitocina rilasciata dopo l’orgasmo esaurisce oltre al desiderio anche la voglia di sopraffazione? Ora mi coccolerai come ho visto fare a tanti uomini, fin troppo dolce e premuroso per compensare i sensi di colpa per i supplizi finora inflittimi?
La benda, per via delle sollecitazioni dell’amplesso, è scesa al collo.
O sei dell’altro tipo? Uno di quelli a cui il calo della libido toglie anche quei limiti che durante il rapporto comunque ti ponevi per evitare di esagerare provocando la mia fuga? E ora che hai ottenuto la tua eiaculazione – il tuo sperma sta colando nelle mie viscere, elemento alieno e oltraggioso – e non temi più di veder venir meno l’oggetto dei tuoi desideri, perché ormai sono esauditi, sei capace di qualsiasi cosa?
Giro la testa e ti guardo, consapevole della mia espressione implorante.
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Agnello per Lupo. Questo sei adesso.
Annusi il mio manifesto desiderio di sbranarti senza alcuna inibizione, guardandomi negli occhi.
Il mio sadismo, la mia passione per emozioni alimentate dal piacere mescolato al dolore esce prorompente.
Ti propongo un ruolo definitivo, netto, chiaro. Appartenermi senza alcun limite, diventare la mia schiava.
Per farlo uso un pennarello indelebile e comincio a scriverlo sulla tua carne.
Usando epiteti e sinonimi consoni a quanto rappresenti per me.
Disegno frecce ed altri simboli, per evidenziare tue qualità che ho toccato con mano o altre di cui sarebbe opportuno approfondire.
Decido di condividere con te i miei pensieri, renderti partecipe di quello che vivrai al mio fianco, ma è presto per parlarne; utilizzo quanto ho portato in un borsone, che avevo lasciato vicino in terra.
Caviglie e polsi, repentinamente, si trovano avvinti da cinte di cuoio fermate da una fibbia di acciaio lucido.
I moschettoni scattano per bloccare ogni tuo movimento inadeguato e fermano a due a due gli arti, offerti remissivamente.
Ecco, ora sei, pienamente a disposizione, deliziosamente complice nella situazione creatasi.
“Alzati”, ti dico ed aggiungo deciso, “sali in auto”. Ti indico il portellone posteriore, già spalancato, dove prendere posto, in una posa rannicchiata e decisamente scomoda per un viaggio di cui non conosci la destinazione.
Un sorriso sale sulle mie labbra, quanto accadrà sarà decisamente inconsueto per la tua mente, ma so che appagherà la tua ingordigia di emozioni.
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Sai che lo farò.
Vuoi approfittare del mio sentir piacere procurandotene, a qualunque costo, disposta perfino a subire per accendere la tua eccitazione, fino al paradosso di un godimento ottenuto soffrendo. E io te lo lascerò fare, vittima e complice di questa terrena passione: intima e profonda pena, sentimento intenso in grado di dominare la volontà, puro desiderio sessuale.
Cammino ai piccoli passi cui sono costretta fin contro al paraurti. Mi siedo sgraziata nel vano, sollevo le gambe portandole all’interno e cercando di aiutarmi con le braccia legate chino testa e spalle per incastrarmi nell’angusto spazio, assumendo un’esasperata posizione fetale, troppo contratta per definirsi naturale.
Sporgenze dure e spigolose premute contro la mia pelle striata d’inchiostro rendono la posizione ancor meno sopportabile.
E ho ancora freddo.
La tua ombra si avvicina. Chiudo gli occhi un secondo prima del tonfo metallico.
Li riapro, ma il buio non scompare.
Un brivido mi attraversa la schiena incurvata.
Ti sento aprire lo sportello. Il tuo peso inclina lievemente l’assetto. Richiudi.
Il motore si avvia e una bassa vibrazione mi pervade, sovrapponendosi al tremore che ho e non riesco a placare.
Ci avviamo, con un leggero sobbalzo. E mentre il mio corpo nudo e umiliato durante il moto sussulta e preme alternatamente contro le pareti che mi tengono imprigionata, mi nasce sul viso, a pochi centimetri dal gancio metallico che mi lega i polsi, un piccolo sorriso, che ovviamente ti terrò nascosto, malizioso e sfrontato.
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(fine prima parte)
(seconda parte)
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“Ne è sicura?”
Ripeto agli agenti di polizia l’umiliante risposta: “Sì… Certo… Sono consenziente.”
Numerose macchine ci sfrecciano accanto. Dai finestrini tutti si voltano per osservarci. Per osservare me, soprattutto.
I lampeggianti della volante che ci ha fermato ed ora è davanti alla nostra auto sul bordo della statale ci illuminano ad intermittenza di un’irreale luce azzurra.
“Anche di quello?” Indica nel bagagliaio il plug anale che mi sono sfilata, a fatica, davanti ai loro occhi.
Mi stringo nella lurida coperta in cui mi hanno avvolta dopo avermi aiutata ad uscire e che in realtà mi copre solo fino ai fianchi. “Sí, anche di quello…”
Circa una mezz’ora prima che la pattuglia mi trovasse rinchiusa e brutalizzata nel bagagliaio, il sospettato aguzzino – e che cercavo loro di spiegare essere in realtà mio perverso complice – aveva rallentato e s’era fermata dopo quella che nel buio di quell’ambiente freddo e ristretto in cui ero incastrata sembrava essere stata un’eternità. Aveva spento il motore, era sceso, ed aveva chiuso con il telecomando.
Mi aveva lasciata lì dentro, sola nel silenzio, per una seconda parvente eternità. Poi improvvisamente il baule si era aperto inondando il mio corpo nudo, infreddolito e sporco, di luce e di gelo. “Ti ho comprato un regalino.” L’avevo visto con la coda dell’occhio scartare qualcosa di scuro e bombato. C’aveva versato sopra un liquido viscoso da un flaconcino. Poi la sua mano si era allungata verso il mio sedere e aveva appoggiato l’oggetto contro il mio ano. Me l’aveva spinto lentamente dentro. Aveva richiuso il baule, lasciandomi quel corpo estraneo enorme piantato nel retto, ed eravamo ripartiti.
“Ha con sé i suoi documenti d’identità?” mi chiede il poliziotto più anziano, palesemente poco convinto.
Mi volto a guardare lui, appoggiato alla portiera, smarrita.
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L’eccitazione crescente, trasportando in auto una cagnetta di razza, a mia completa disposizione, mi aveva travolto, tanto da affollare ogni pensiero, rendendo minima la mia lucidità, comunque sempre ben presente.
Le canzoni di Simona Molinari, si succedevano ad un volume elevato, annullando ogni suono proveniente dall’esterno. Un jazz moderno, modulato da una voce capace di donare emozioni in più lingue. Ne aspettavo, con desiderio, un concerto in zona, per poterla ascoltare dal vivo.
Accanto a me la borsa della ragazza ed in una sacca di tela verde, spartana ma adatta allo scopo, ogni suo accessorio e vestito che le avevo fatto ripiegare con cura dentro. Non la sentivo muovere, né gridare, nemmeno quando rallentavo alle ormai frequenti rotonde della strada extraurbana, nemmeno un anelito per cercare aiuto, quando passavamo minuti, fermi ad un semaforo rosso, in mezzo al traffico dei piccoli paesi che venivano attraversati. Notevole la sua capacità di mantenere il controllo, ne ero molto soddisfatto.
Un’insegna aveva attirato la mia attenzione, indicava di svoltare a destra, pochi metri più avanti. Lasciai la macchina sul lato della strada, dopo averla chiusa con il telecomando che, docile, aveva emesso una serie di acuti bip, per confermare il mio ordine, serrando al sicuro un gioiello tanto prezioso.
Il sexy shop era ben fornito, una commessa ai limiti della decenza, per nulla invadente, ma molto disponibile, ascoltava ogni mia richiesta con movenze studiate e ripetitive; come sempre l’abito non fa il monaco ma, certamente, il suo completino succinto non lasciava nulla all’immaginazione: una quarta di seno ed un culo sodo erano le sue caratteristiche più evidenti, si facevano gustare ogni volta che si muoveva fra gli scaffali, per illustrare i prodotti in vendita.
La somma da pagare era adeguata a quanto scelto, saldai il conto per contanti, per non lasciare tracce inutilmente. Non mi avrebbe più rivisto. Un vero peccato, non poterla ritrovare in altro contesto, magari compagna di gioco della mia preda.
Aperta la macchina, posai quanto acquistato, prendendo quanto volevo usare subito: un giocattolo per farmi sentire dentro di lei e non lasciarla sola nel buio.
Per renderle meno doloroso l’inserimento, avevo scelto un lenimento fruttato, un “gel dell’amore” come usano chiamarli, utile per massaggi o ben altro, avrebbe reso l’accoglimento meno violento; mescolare la decisione con la dolcezza, mi permetteva di suscitare emozioni tanto contrastanti che scioglievano chi le provasse.
Avevo notato la sua smorfia di piacere, appena riempita, ma non dissi nulla, conoscendo molto bene la sua capacità di gustare ogni mia attenzione, anche quelle più perverse.
Ripartita la macchina, avevo seguito la strada verso la collina, dove in alto erano ancora presenti i fiocchi di neve. La notte avrebbe gelato la strada. Pensai alle catene, ordinatamente riposte vicino la testa della ragazza, una scatola di plastica gialla, sicuramente meno comoda di un cuscino di piume, per la possibilità di sbatterci la fronte, nei movimenti imprevisti della macchina.
La volante della polizia, poco più avanti, controllava la dotazione di gomme termiche o di altri mezzi adatti al maltempo, per evitare che stolti automobilisti procedessero senza alcuna attenzione. Lentamente avanzavo, nella lunga fila che si era formata, la strada stretta non permetteva una inversione ad U, speravo solo nel controllo a campione e di non trovarmi fra i prescelti: l’ultima cosa che desideravo era far vedere ad un agente dove le avevo riposte.
La paletta, tanto temuta, era mossa con lenta determinazione da una poliziotta, magra e bionda con i capelli molto corti che mi fece cenno di accostare a destra e rallentare vicino ad una volante, dove due uomini in divisa si avvicinavano ripetutamente alle auto, per verificare quanto necessario. Uno grassoccio e non tanto alto, l’altro atletico e ben palestrato.
Abbassai il finestrino, consegnando patente e libretto, come richiesto, per i controlli di rito. Mi chiesero delle catene, dopo aver notato le gomme tradizionali. Risposi che le avevo dietro, in bauliera, le avrei messe al bisogno. La richiesta fu esplicita e diretta: “ce le mostri”, omettendo il consueto “per favore”.
Scesi, mentre mi seguivano, cercai di aprire al minimo il portellone e di estrarre la valigetta richiesta, senza rendere visibile quanto altro trasportavo; nonostante i miei movimenti, era impossibile non notare la presenza della ragazza, appoggiata sopra la valigetta, oggetto di tanto interesse.
Quello grassoccio, il capo dei due, mi chiese minaccioso “Cosa fa questa donna qua dentro?” aggiungendo “Mi sa che lei deve spiegarci molte cose…”. Mi spinse, senza toccarmi, verso la portiera, solo con l’indicazione della mano, mentre l’altro agente parlava con la ragazza, inondata dalla luce.
Avevo dato un’occhiata di intesa alla fanciulla, appena intravista, sapevo tutto di lei. Sapeva benissimo cosa rischiava a non salvarmi da quello spiacevole impiccio. Ero certo che mi avrebbe tolto d’impiccio, accampando le scuse più fantasiose.
***
“Credo, credo che siano in macchina, nella mia borsa…”
“Li può prendere, per favore.” Non c’è punto interrogativo.
“Ci penso io”, dice lui con una tranquillità spiazzante. Si infila nell’abitacolo. Armeggia un po’ sul sedile, ne fuoriesce con la mia borsetta in mano e l’allunga ad uno dei due agenti.
È aperta. Strano, perché io la chiudo sempre.
“Sono nel portafoglio arancione…”
Il poliziotto ci infila una mano dentro e, nuovamente sorpreso, ne estrae un fallo artificiale di dimensioni inverosimili, marrone scuro, incredibilmente simile all’originale (mi chiedo se qualcuno particolarmente dotato l’abbia messo a disposizione per farne uno stampo o sia frutto di un modellatore di vero talento). I due agenti si scambiano uno sguardo ed assumono entrambi un’espressione piuttosto divertita.
Istintivamente mi viene da precisare che non è mio e non l’ho mai visto prima, ma mi trattengo. Lui, dietro di loro, mi sorride, con quell’espressione da vero stronzo che mi fa impazzire.
L’agente rimette nella mia borsetta il fallo e, come fosse uno stupido gioco di prestigio, ne tira fuori, tenendolo per un capo, un filo a cui è attaccata una lunga serie di sfere di varie dimensioni, il cui utilizzo è abbastanza lampante.
Mi guarda con una strana espressione. Abbasso lo sguardo.
Ripone anch’esso.
“Senti,” mi dice passando al tu, “ognuno è libero di divertirsi come gli pare…” Al collega scappa uno sbuffo. “Ma in auto devi stare sul sedile con la cintura. È la legge.” Mi squadra. Solo ora mi accorgo che, a differenza dell’altro, è decisamente bello, prestante e dai lineamenti gentili, ed è chiaro che sa di esserlo. “E in pubblico non puoi stare così.” Indica le parti scoperte del mio corpo, facendomi vergognare ulteriormente. “Dove hai i vestiti?”
Guardo di nuovo lui, a cui scommetto non dispiacerebbe vedermi in balia delle voglie sadiche di queste forze dell’ordine, molteplicemente penetrata dai loro membri prontamente estratti dalla cerniera della divisa, o magari sodomizzata dai loro manganelli…
Il suo sorriso si allarga, sembra dirmi “piacerebbe anche a te, mia cara”. Avrebbe ragione. Il solo pensiero inumidisce nuovamente il mio pertugio in quest’istante ben poco nascosto.
“Non ce li abbiamo”, mente lui. “É uscita così.”
“Hai qualcos’altro per coprirla?”
“No, niente.”
I due si guardano. È chiaro che non sanno cosa fare. Possono permettermi di proseguire il viaggio così?
Io tremo sempre più forte. Il calore ch’era arrivato nel bagagliaio durante la marcia e aveva finalmente allontanato il gelo della neve dal mio corpo è ormai scomparso.
“Dove stavate andando?” L’uso involontario dell’imperfetto mi inquieta non poco.
“A casa di amici, qui al prossimo paese.” Non so se stia dicendo la verità; ero convinta mi stesse portando a casa sua. “A lei piace farlo con più persone e io cerco solo di accontentarla.” Lo dice con una naturalezza che mi sconvolge. Io arrossisco come una bambina sorpresa a masturbarsi.
Sente l’ennesimo suo colpo basso anche la poliziotta, che dopo aver aspettato istruzioni dai colleghi parecchi metri dietro noi si è avvicinata e ora mi sta guardando disgustata. Vorrei credere sia invidia, ma a parte una dose forse eccessiva di mascolinità, non ha davvero nulla che credo vorrebbe cambiare con me.
“Questa sta morendo di freddo,” dice agli altri accennando a me; ho l’impressione che mi tratti istintivamente come niente più di un oggetto inanimato. “Che facciamo?”
Non mi dispiacerebbe, nella mia fantasia, che ci fosse anche lei a seviziarmi un po’…
I due agenti si guardano, poi il più aitante mi allunga la borsa e fa un cenno verso la macchina. “Andate. E ricorda quello che ti ho detto.”
Non lo ricordo già più, ma annuisco ugualmente e faccio un passo verso il posto accanto al guidatore. Poi mi giro di nuovo, come avessi dimenticato qualcosa.
“Questa?” Faccio per togliermi la coperta. Il poliziotto aspetta di vedermi nuovamente i seni prima di fermarmi con un gesto.
“Tienila. Se siamo ancora qui ce la riportate quando tornate indietro.”
Si starà chiedendo quanto può durate l’orgia che abbiamo millantato?
E l’avremo davvero solo millantata?
Ringrazio e sparisco nell’abitacolo.
Entra anche lui.
Mi guarda compiaciuto, mette in moto e riparte, salutando le forze dell’ordine.
Dieci secondi dopo mi ha già tirato via la coperta, ha già acceso la luce nell’abitacolo, e mi ha fatto spalancare le gambe.
***
(fine seconda parte)
In tutte le volte in cui Maria ordina a Serena di spogliarsi, Serena rimane sempre anche a piedi nudi oppure…
Quanto vorrei che il live action di disney fosse più simile a questo racconto! Scherzi a parte: divertente, interessante, bel…
grazie amore
Non credo di aver avuto il paicere, ma grazie intanto della lettura.
Leggendo i tuoi racconti continua a venirmi in mente Potter Fesso dei Gem Boi