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Racconti Erotici Etero

Il tecnico del computer

By 27 Giugno 2008Dicembre 16th, 2019No Comments

Cinque potenziali nuovi clienti con cui chiudere contratti che prima, devono essere scritti. Un terzo del personale in ferie. Il risultato &egrave che sto lavorando come una matta! E come ciliegina sulla torta, saltano tutti i computer del ufficio. Succede di lunedì sera, mi arrabbio come una pazza ed inveisco contro il monitor che ho di fronte, maledetta abitudine di non salvare mai fino alla fine, eppure non &egrave la prima volta che mi succede. Spero di aver perso poco o nulla del lavoro svolto fino a questo momento! Con un diavolo per capello, cerco il numero del tecnico, la mia esperienza mi dice che &egrave un problema sul server, chiamo ed il nervoso aumenta, quando sento la sua voce registrata sul nastro della segreteria. Sono quasi tentata di chiamare qualcun altro, ma mi dispiace cambiare, ormai c’&egrave un rapporto di amicizia con Andrea, che dura da anni e spesso, va anche oltre la normale amicizia.

‘Lui ci ha fornito il primo computer che abbiamo acquistato per l’ufficio, &egrave nostro fornitore fin dal 1990. Ricordo che quando ha installato il primo computer, io ero una bambina di quattordici anni, ero in ufficio a far compagnia a papà e guardavo estasiata Andrea che collegava i cavi, mentre spiegava quello che la scatola magica, avrebbe fatto per l’ufficio, interessata più al suo aspetto fisico, che alle sue spiegazioni. Quattro anni dopo, quando i PC in ufficio erano già diventati quattro, mi aveva dato qualche dritta per usarne uno per lo studio. A quei tempi a scuola, per un’ora alla settimana, ci portavano nel laboratorio di informatica, il prof spiegava di getto e ci faceva scrivere parole verdi ed incomprensibili, sul monitor monocromatico dei vecchi computer didattici, comandi che spesso non ero io a scrivere, visto che eravamo sempre a gruppetti di quattro, o cinque alunni attorno al computer. Mi era stato utile per capire quello che il professore spiegava al mattino, naturalmente mio padre lo aveva ben retribuito per il disturbo, ci incontravamo due volte a settimana in ufficio, dopo la chiusura, mi insegnava a comprendere ciò che il prof ci aveva insegnato al mattino ed andava anche oltre, spiegandomi anche cose che non avevo ancora affrontato a scuola. In effetti non era così difficile come sembrava, erano parole in inglese che rappresentavano comandi per la macchina in linguaggio BASIC, non mi ci volle molto per imparare e diventare la più esperta della classe, ma le lezioni non terminarono comunque fino all’estate. Questo perché, malgrado Andrea avesse quindici anni più di me, mi piaceva frequentarlo, &egrave sempre stato un uomo molto simpatico e quello che mi insegnava cominciava ad appassionarmi, oltre a piacermi come lo insegnava, se fosse stato lui il professore, a scuola avrebbero capito subito tutti.
Oltre a questo c’era anche la componente estetica, cavolo, &egrave sempre stato molto bello, supera in altezza il metro e novanta, capelli castani scuri, occhi celesti come il cielo, lineamenti perfetti, fisico sempre ben curato ed in forma, un vero e proprio adone, che aveva il suo bel ascendente su una diciottenne che si apprestava ad uscire dall’adolescenza, malgrado fossi già molto disinibita e lontana anni luce dall’essere ancora vergine, oltre ad essere già fidanzata con mio marito.
Mamma mia quanto ci facevo l’oca! Specialmente quando, per mio volere, le lezioni si spostarono dall’ufficio di papà al suo. E’ li che la nostra amicizia &egrave nata ed &egrave andata oltre, malgrado fosse un bellissimo esemplare di uomo fatto e finito, con nugoli di donne che aspettavano soltanto una sua parola per cadere ai suoi piedi, si &egrave fatto circuire da me, dalla mia sfacciataggine e, forse, dalla mia giovinezza.
Cercò in tutti i modi di resistere alle mie provocazioni, tenevo infatti un atteggiamento un po’ troppo dissoluto, tanto che un giorno, durante una lezione, decise di parlarmi a quattr’occhi del mio comportamento, a suo dire, troppo sfrontato e del tutto sbagliato. Mi spiegò, per quasi un’ora, che sarebbe stato un errore, che fra noi due non poteva succedere nulla, la differenza d’età era notevole, soprattutto per la mia giovane età, mi spiegò a lungo la differenza che poteva esserci fra la cotta che mi ero presa per lui ed il vero amore, quello che provavo per il mio fidanzato, parlò soltanto lui, sempre attento a stopparmi ogni volta che provavo ad aprire bocca, fin quando alla fine mi decisi e dopo essermi alzata in piedi ed avergli tappato la bocca con la mano, riuscii finalmente a prendere la parola. Fu la prima volta che parlai, senza imbarazzo, della mia vita sessuale ad una persona diversa dal mio fidanzato, lo feci perché avevo capito che tutti i suoi discorsi, tutto il monologo che aveva improntato, con la ferma intenzione di non accettare repliche da parte mia, serviva soltanto a convincere lui stesso, a fugare i propri sensi di colpa, per i pensieri peccaminosi che stava facendo sulla giovane figlia del suo datore di lavoro. Gli confidai che io, in realtà, non ero affatto innamorata di lui, ne tanto meno mi ero presa una cotta, provavo amore soltanto per il mio fidanzato, ma mi eccitava ed io volevo sesso, niente altro e soprattutto nessuna complicazione, quello che avrebbe potuto succedere nell’ufficio in cui ci trovavamo soli, avrebbe dovuto rimanere fra quelle quattro mura. Il mio discorso lo sollevò, glielo lessi in faccia e questo mi diede la misura di quanto fosse eccitato all’idea di abusare sessualmente di me, oltre al fatto che dopo avermi rivolto un sorriso da lupo famelico, mi saltò subito addosso con un impeto inaspettato. Mi spogliò completamente in pochi secondi e, dopo avermi leccata su tutto il corpo come il più gustoso dei gelati, mi spaccò letteralmente in due con il suo grosso pene. All’inizio sdraiata sulla sua scrivania, con la schiena sopra la tastiera del computer, tanto che alla fine, me la ritrovai stampata sulla pelle. Quel giorno mi fece impazzire, mi prese in posizioni del tutto inconsuete per le mie conoscenze dell’epoca, cambiava spesso, spostandomi di peso come fossi un fuscello, del resto la differenza fisica era notevole, io alta un metro e sessantacinque, quarantasette chili di peso, lui un omone sopra al metro e novanta, in forma e palestrato. Poche volte toccai terra quel giorno durante il rapporto sessuale, sempre in braccio a lui, o appoggiata sulla scrivania. In seguito, l’indolenzimento e l’irritazione alla vagina, mi durarono un paio di giorni, fortuna che con il mio fidanzato avevo il rapporto aperto che perdura anche oggi, altrimenti, avrei dovuto comunque confessare il motivo della mia temporanea astensione dal sesso, visto che lo facevamo con cadenza quotidiana. Le restanti lezioni successive, passarono dalla durata di un’ora, a due ore, ma non perché dovevamo studiare prima di divertirci col sesso, si dilungarono perché avevo capito che dovevo abituarmi al suo grosso pene, molto lungo e molto largo, prima di farlo sfogare a piacimento. Non che servisse molto, visto che Andrea era, ed &egrave, un vero e proprio stallone, un amatore instancabile, mi faceva sempre godere come una pazza, portandomi fino allo sfinimento fisico, dovuto ai numerosi orgasmi ed all’indolenzimento muscolare dovuto alla sua dotazione. Malgrado i dolori post rapporto però, trovavo grande piacere a farlo con lui, in oltre era sempre molto fantasioso e trovavo molto piacevole essere presa ogni volta in modo strano, inventava continuamente qualche posizione nuova, forte del fatto che mi poteva girare e rigirare a suo piacimento. Oltre a questo, c’era anche la componente psicologica che mi faceva impazzire, Andrea non chiedeva mai il mio parere, mi prendeva come voleva, quando voleva e, per quanto tempo voleva, il giorno che decise di sodomizzarmi, camminai male per una settimana, non servì nemmeno che raccontassi al mio fidanzato che cosa fosse successo, se ne accorse subito da solo.
I nostri rapporti fisici terminarono con la fine della scuola e quindi, delle lezioni, anche se quella estate, un paio di volte andai a trovarlo di nascosto, stando attenta a non farmi beccare da qualcuno che avrebbe potuto parlare con mio padre e dirgli dove mi aveva vista, magari non sarebbe successo niente, ma non si sa mai, meno discorsi girano, meglio &egrave. Da quell’estate i nostri rapporti si interruppero definitivamente, lo rividi due anni dopo in discoteca, lui era accompagnato dalla moglie e non successe nulla, a parte qualche scambio di battute di cortesia.
Quando iniziai a lavorare nell’azienda di famiglia, riagganciai il rapporto di amicizia, a seguito del bisogno di assistenza in ufficio. Dopo sette anni, quel frangente fu la prima volta, in cui ci incontrammo di nuovo da soli. La situazione era cambiata, non ero più la depravata studentessa del liceo, che aveva bisogno di lezioni sul computer e che si faceva sbattere dal proprio insegnante, ero laureata da un anno e mio padre mi aveva già investito con i più ampi poteri amministrativi all’interno della società. Io avevo la responsabilità di tutto quanto accadesse in ufficio, per questo rimasi sola dopo la chiusura ad attendere il suo intervento, visto che doveva portare a termine un precedente impegno. Quando arrivò, le diciannove, ora in cui avrebbe dovuto arrivare, erano passate da un pezzo.
‘Ti sei rifatta le tette?’, fu la prima cosa che mi chiese, senza nemmeno salutarmi, come se non fossero passati cinque anni dall’ultima volta che ci eravamo incontrati e parlati.
‘Si! Ti piacciono?’, risposi, parlando con tono arrabbiato, per fargli capire che ero innervosita dal suo consueto ritardo.
‘Fammele vedere!’, disse ignorando completamente il mio tono di voce, mentre appoggiava la borsa sopra una sedia, prima di avvicinarsi e sbottonarmi la camicetta, mentre io lo guardavo incredula dal basso verso l’alto, seduta sulla mia scrivania, con le mani serrate sul bordo. Di colpo passai dal essere arrabbiata, all’essere divertita a vedere che per lui, i sette anni passati dall’ultima volta in cui avevamo fatto sesso, non contassero assolutamente nulla. Spostò il reggiseno verso l’alto e dopo avermi preso entrambi i seni nelle manone a coppa, mi palpeggiò con forza.
‘Cazzo che belle tette! Sembrano vere’ finalmente hai realizzato il tuo sogno di rifarle eh? Cos’&egrave una terza? Adesso si che ci sta il mio cazzo nel mezzo!’, disse dopo averle mollate ed appoggiandomi una mano sulla spalla, spingendomi ad abbassarmi, mentre con l’altra mano si apriva la patta ed estraeva il grosso pene in erezione.
Aveva quarant’anni, ma non era cambiato di una virgola, nel tempo in cui non ci eravamo frequentati, era ancora il solito adone ed il solito stallone da monta autoritario, sapeva come prendermi e quanto mi piacesse essere dominata, mi diede una ripassata epica quella sera, fino alle ventuno passate non iniziò a lavorare sui computer, io invece non riuscii a sedermi per i successivi due giorni. Alla fine mi confidò di aver sperato per tutto il giorno di trovarmi da sola, erano sette anni che aveva voglia di sbattermi, era felice come un bambino che fossi a lavorare in azienda, almeno avremmo potuto riagganciare il nostro rapporto di amicizia. Da quella sera, in effetti, tornammo ad essere i vecchi amici di un tempo, naturalmente i nostri incontri, avvenivano soltanto nel momento in cui i computer avevano bisogno del tecnico, ovviamente gli interventi erano sempre serali, avvenivano dopo la chiusura e facevamo in modo di trovarci soli. Lui riparava i computer ed io pagavo in natura, o meglio, per non dare adito a chiacchiere, ogni intervento costava alla società una cifra irrisoria, quasi simbolica, altrimenti alla lunga avremmo dato adito al nascere di sospetti in persone che non dovevano averne, primo fra tutti mio padre. Non che mi piacesse questo fatto, ogni volta insistevo affinché mi facesse pagare il corrispettivo intero, ho sempre fatto sesso per piacere, mai per soldi, con lui poi il piacere &egrave sempre stato grande, ma ogni volta ignorava le mie lamentele, dicendomi che non si sentiva proprio di farmi pagare la cifra altrimenti dovuta, se lo avesse fatto si sarebbe sentito in colpa, soprattutto alla luce del fatto che, agli inizi, mio padre lo pagava per darmi lezioni, ignaro di quanto in realtà accadesse. In pratica percepiva denaro per scoparmi, adesso le cose erano cambiate e voleva sdebitarsi, allora era agli inizi e quei soldi, guadagnati senza fatica ed anzi, provando piacere, gli avevano fatto comodo per diventare ciò che era diventato.’

Il messaggio che incido sul nastro della segreteria, in preda all’ira, &egrave tanto immediato quanto stupido.
‘Andrea mi sono saltati i computer! Ti aspetto domattina all’apertura dell’ufficio, VIENI!!! O te la scordi per sempre!’, attacco il telefono sbattendolo, ma subito mi pento per la frase finale che ho aggiunto, mi rendo conto in quel momento che io non so nulla di lui, malgrado ci si conosca da anni, non so se ha dipendenti che ascoltano la segreteria, non sono più tornata al suo ufficio da quando avevo diciotto anni, ho dato per scontato una cosa che non andava data per scontata, cerco di essere ottimista e confido sulla buona sorte.
Il giorno dopo, alle nove del mattino, ricevo una telefonata sul mio cellulare personale, &egrave Andrea ed &egrave piuttosto arrabbiato.
‘Ma ti sei rimbecillita?’, mi chiede senza nemmeno salutarmi.
‘In effetti ho pensato anch’io che ho detto una”, cerco di giustificarmi, ma non mi da il tempo di concludere.
‘Una cazzata’ ecco cosa hai detto! Meno male che sono arrivato in ufficio per primo ed ho cancellato il messaggio!’, insiste molto arrabbiato, facendomi sentire ancora più stupida di quanto già mi senta.
‘Io’ io”, ma non riesco ad aggiungere altro.
‘Che cazzo ti passa per il cervello? Ti aspetto fra mezz’ora nel mio ufficio! E porta il computer che non funziona!’, mi urla nel telefono Andrea, prima di appendermi in faccia la conversazione.
Chiamo uno degli impiegati e gli chiedo di scollegare il server, me lo faccio caricare in macchina e corro all’ufficio di Andrea. Sono un po’ preoccupata per il tono che ha usato al telefono, mi dispiace soprattutto per la nostra amicizia, io sono così, faccio la dura ma sono molto sensibile da questo punto di vista, odio far arrabbiare la gente. Parcheggio davanti al suo ufficio ed entro, vengo invasa dai vecchi ricordi, l’ambiente &egrave tutto cambiato dall’ultima volta che c’ero stata, ma del resto sono passati quasi quattordici anni, l’arredamento &egrave tutto nuovo e ci sono anche altri vani adibiti ad ufficio, probabilmente acquisiti nel tempo da Andrea, man mano che l’azienda cresceva.
‘Andrea?’, chiamo a voce alta, con un tremito di emozione, un po’ per i ricordi che mi fa rivivere quel posto, tutti molto eccitanti, ed un po’ per paura che sia ancora molto arrabbiato e che si possa arrivare a litigare.
Una porta a scomparsa si spalanca di colpo, sbattendo contro il fine corsa nel muro, Andrea irrompe come una furia nella piccola reception, mi guarda serio, i suoi occhi sono di ghiaccio ed io, mi sento intimidita come una bambina colta con le mani nella marmellata. Attraversa velocemente il piccolo locale e punta la porta d’ingresso, infila le chiavi nella toppa e chiude, io sono talmente impaurita che non mi giro nemmeno a guardare, capisco che ha chiuso perché ho sentito scattare la serratura. Torna verso di me e mi stringe con forza il polso destro, mi tira velocemente all’interno del locale da dove &egrave uscito, con una forza tale che riesco con difficoltà a non prendere una storta alla caviglia, camminando veloce sui tacchi che indosso. Il locale &egrave il laboratorio dove ripara i computer, c’&egrave un bancone lungo sul quale se ne vedono almeno tre completamente smontati, uno soltanto &egrave funzionante, almeno il monitor &egrave acceso, ma anche quello ha tutti i componenti al di fuori del case. Sento la mini a balze del vestitino candido che indosso, che svolazza per la velocità con cui mi tira, mi porta fino al bancone, in prossimità del computer accesso, mi mette l’altra mano sulla nuca e mi spinge in avanti, tenendomi il braccio destro piegato all’indietro, mi fa male mentre mi schiaccia sul bancone con la manona in mezzo alle scapole. Mi sento le tette schiacciate sul piano di formica, il tintinnio della fibbia della sua cintura sul pavimento, mi fa capire che non indossa più i pantaloni, il pensiero precede di un istante lo strappo del mio perizoma nuovo ed il mio grido di dolore, quando mi penetra di colpo. Non sono bagnata ed &egrave come se mi stesse stuprando, la mia vagina risponde prontamente, ma prendere quella grossa verga quasi a secco, &egrave molto doloroso. Con entrambe le mani sulla schiena mi schiaccia sul tavolo con il suo peso, riesco a malapena a respirare, mi scopa con foga, &egrave una furia e più mi bagno, più aumenta la velocità e la profondità degli affondi. Mi sta letteralmente impalando e schiacciando sul tavolo, &egrave più doloroso che piacevole per me e quando inaspettatamente eiacula dentro di me, appoggiandosi sul tavolo e ritraendosi qualche centimetro, per me &egrave una liberazione. Mi viene da piangere e mi scappa qualche lacrimuccia, non oso muovermi dalla posizione in cui mi trovo.
‘Sei stronzo! Mi hai fatto male!’, esclamo con un filo di voce, mentre riprendo fiato.
‘Non &egrave ancora finita puttana! Così impari a sparare cazzate!’, sibila riprendendo fiato a sua volta.
So benissimo che non &egrave ancora finita, non serviva che lo puntualizzasse, me lo dice il suo cazzo, ancora duro come il marmo e ben piantato dentro di me, malgrado abbia eiaculato.
Resta immobile solo qualche secondo, poi riprende a sbattermi con inaudita energia, fortunatamente non mi sciaccia sul bancone come poco prima, ci tiene le mani appoggiate sopra, sono completamente abbandonata sul piano, come se fossi un buco di carne bollente da scopare, in dotazione al banco da lavoro, si muove tutto, i monitor LCD barcollano pericolosamente. Questa volta però sono preparata, ormai sono fradicia e piena di sperma, non mi fa male e nel giro di qualche affondo ben assestato arriva il mio momento di godere, urlo di nuovo, ma questa volta &egrave per piacere, mentre mi contorco per gli spasmi dell’orgasmo.
‘Che cazzo di zoccola! Io ti sto punendo e tu godi?’, esclama con voce roca, continuando a sbattermi a tutta forza e prolungando incredibilmente il piacere che sto provando, tanto che continuo ad emettere gridolini ad ogni affondo, mi sta squassando il ventre a colpi di maglio e godo come una pazza.
Mi sta scopando da arrabbiato, come una furia si ritrae e mi gira verso di lui, mi spinge la schiena sul piano del banco e mi solleva le gambe, me le divarica al massimo possibile tenendole per le caviglie e mi infilza ancora di colpo, sento un rumore di sciabordio, una sostanza fluida mi sta colando verso il basso, entrando nel solco delle natiche, &egrave calda, mi solletica l’ano mentre ci passa sopra, continuando il suo cammino verso il bancone. Immagino sia il suo sperma unito ai miei copiosi umori, la sostanza che sta colando fuori dalla vagina, da un lato sono contenta che mi stia imbrattando il pertugio posteriore, dato che mi sta punendo e non sarebbe una vera punizione se non mi sodomizzasse, da un lato però sono preoccupata per il mio vestitino, mi ha già stracciato il perizoma e, se mi imbratta anche il vestito, fa l’en plein ed io non ho voglia di ripassare da casa a cambiarmi. Oltre al fatto che sarebbe imbarazzante passare in mezzo alla gente del centro, dove si trova il suo ufficio, con vistose chiazze di sperma sul tessuto candido. I miei pensieri non mi impediscono di godermi la punizione che sta continuando ad infliggermi Andrea, adesso mi ha stretto le gambe, continua a stringermi le caviglie con entrambe le mani e ad affondarmi con impeto nel ventre. Con le gambe strette il mio piacere aumenta, lo sento da matti sul clitoride ed i miei gemiti di piacere sono quasi urla, mamma mia come mi si sta facendo, sto veramente godendo alla grande e quando mi coglie il secondo intensissimo orgasmo, strillo come una pazza, prima che Andrea mi piazzi una delle sue manone sulla bocca, per soffocare il casino che sto facendo. L’orgasmo &egrave talmente intenso che mi scappa anche qualche goccia di pipì, ma non me ne accorgo fin quando non me lo fa notare lui.
‘Cazzo’ sei proprio una troia’ mi hai pisciato addosso!’, esclama sorpreso Andrea ritraendosi di scatto, ma il tono della sua voce adesso &egrave divertito, non &egrave più tanto arrabbiato, conoscendolo, immagino che sia stata tutta una pantomima, tanto per dare un po’ più di pepe alla cavalcata che comunque ci saremmo fatti. Mi sollevo sui gomiti e lo guardo divertita, mentre corre a pinguino, con i pantaloni attorno alle caviglie, verso il rotolo di carta assorbente attaccato al muro, &egrave una scena esilarante vedere un omone che corre a saltelli, seminudo e con il pene duro che sussulta. Ho ancora le gambe completamente divaricate, mi sento completamente impiastricciata la sotto, dall’enorme galleria che mi ha scavato nella vagina continua a colare roba, resa ancora più fluida adesso dalla mia pipì.
‘Daresti un po’ di carta anche a me per favore?’, chiedo senza smettere di ridere ad Andrea che si sta pulendo, intanto controllo il vestito, fortunatamente &egrave avvolto sui fianchi, quindi non si &egrave sporcato, al massimo sarà un po’ umido per il sudore, in effetti fa un caldo boia dentro al laboratorio.
‘Ma non hai l’aria condizionata?’, mi informo, mentre a ‘pinguino’ &egrave tornato verso di me e mi porge una palla di carta assorbente.
‘Adesso ti sfondo il culo, troia! Il caldo &egrave l’ultima delle cose di cui dovresti preoccuparti!’, cerca di darsi ancora il tono da duro di poco prima, ma gli occhi sorridenti lo tradiscono, mi guarda con desiderio mentre mi pulisco la passera con le gambe spalancate e gli porgo una nuova palla, di carta assorbente e fluidi organici da gettare.
‘Cazzo’ guarda che razza di squarcio che ho aperto nella tua fighetta stretta! Ma non ho finito’ adesso ti scavo un tunnel anche fra le chiappette!’, dice sorridendo.
‘Non mi fare male, dai!?! Già mi hai sfondata davanti’ facciamo che lo fai la prossima volta? Dopo poi, non posso sedermi per una settimana!’, ribatto con voce da bambina, per fargli capire che la mia &egrave solo scena e sono disponibile come sempre a sottopormi al suo volere.
‘Non ci pensare nemmeno troia! Non ti muovi da qui fin quando c’&egrave l’ho duro così!’, ribatte mentre se lo impugna con la mano destra e lo appoggia fra le mie grandi labbra spalancate, me lo struscia un po’ sul clitoride ed il mio movimento involontario di fianchi &egrave molto eloquente, tanto che lo guida di nuovo fra le piccole labbra e mi infilza ancora, facendomi sospirare di piacere.
Mi scopa piano, con misurata calma, senza affondare troppo, sta lubrificando il pene con i miei umori, mi tiene di nuovo per le caviglie e mi spalanca le gambe, solleva la gamba destra verso l’alto e mi lecca le dita del piede, strette fra le sottili strisce di cuoio dei sandali che indosso.
‘Stai diventando feticista?’, chiedo ansimando di piacere.
‘E’ un periodo che sono attratto dai piedi femminili’ e tu hai dei bellissimi piedini’ ti da fastidio?’, risponde con voce roca.
‘Anzi’ &egrave piacevole! Solo’ che non sono’ proprio puliti’ ho camminato’ in strada e’ i sandali sono’ aperti!’, la mia frase esce spezzettata fra un sospiro e l’altro.
‘Non mi interessa! Lo trovo molto eccitante! Preparati’ adesso sono lubrificato abbastanza!’, conclude eccitato, mentre si sfila e guida il pene verso l’ano, senza smettere di leccarmi le dita del piede.
Il glande viscido di umori, si appoggia sul mio buchetto posteriore, appoggio la schiena sul bancone per rilassarmi meglio e per fornirgli un miglior angolo d’entrata, trattengo il fiato mentre attendo la fitta di dolore, anche se sono completamente rilassata ed in attesa, so che quando spingerà, mi sentirò lacerare. Andrea da un colpo secco di reni e lo sfintere cede subito per il rilassamento, solo che oltre a cedere viene anche dilatato troppo, ben oltre natura e la fitta di dolore &egrave lancinante. Mi sento spaccare in due, non riesco a trattenere un grido di disperazione, quasi a squarciagola, ogni volta e come se mi rompesse davvero qualcosa.
‘Aspetta! Aspetta! Aspetta!’, dico velocemente, appoggiando il tacco a spillo del piede libero nel bel mezzo degli addominali. Si ferma subito immediatamente, ha solo il glande dentro al mio intestino, resta bloccato per farmi abituare all’enorme ingombro, ma non &egrave facile abituarsi a certi calibri, devo imparare a fare training autogeno, o smettere di farmi sodomizzare da lui.
‘Ahia! Mi brucia’ levati un attimo!’, mi lamento ancora, ma lui per contro impugna anche l’altra caviglia e dopo aver spostato il tacco dal ventre, affonda con un potente colpo di reni, facendomi di nuovo strillare per il dolore.
‘Via il dente’ via il dolore!’, recita, mentre mi infilza fino a metà verga.
Un corno, sono impalata come un pollo allo spiedo, tento di divincolarmi mentre pesanti lacrime scendono involontariamente a rigarmi il viso, &egrave proprio uno stronzo, mi sollevo sulle braccia e tento di sottrarmi, ma mi afferra i fianchi e non riesco a sfuggire, mi tiene le gambe sollevate con gli avambracci sotto alle ginocchia, cavolo, &egrave come se avessi un paletto incandescente ficcato nell’intestino. Grido di nuovo per la sofferenza, quando tenendomi serrata per i fianchi inizia a sbattermi, non lo fa con impeto, ma il dolore &egrave comunque ancora troppo forte e non &egrave piacevole.
‘Ti prego”, singhiozzo e finalmente la mia preghiera lamentosa sortisce il suo effetto, Andrea si ritrae completamente, la sua espressione eccitata e famelica non &egrave cambiata, ma ormai sappiamo entrambi che, ogni volta quando mi sodomizza, il rituale &egrave sempre lo stesso, del resto &egrave molto dotato ed all’inizio mi fa sempre molto male.
‘Guarda che tunnel ti ho scavato fra le tue belle chiappette’ anzi &egrave più di un tunnel, &egrave proprio un traforo!’, dice soddisfatto mentre mi osserva, gli piace sfondarmi e poi darsi arie da super macho, piace anche a me, ci vado d’accordo anche per questo. Il dolore scema rapidamente, senza il suo grosso bastone bollente a lacerarmi le carni, ogni volta mi dice quanto mi ha aperta, ma le sue puntualizzazioni sono inutili, il dolore e l’aria che circola liberamente, rinfrescandomi l’interno dei pertugi, mi da la misura esatta, anche senza vedere. Andrea aspetta il tempo che ormai sa essere necessario, quindi torna all’attacco, si appoggia e spinge piano, penetrandomi immediatamente nell’intestino senza nessuna difficoltà, ormai la strada &egrave fatta e ci vorrà un bel po’ di tempo prima che si richiuda, sento ancora un po’ di dolore, ma non &egrave nulla e per esperienza so che fra poco svanirà, lasciando spazio al piacere. Ricomincia a martellare con calma, ogni colpo di reni affonda sempre più il grosso pene nel intestino, adesso si che mi piace, non sento più male, soltanto piacere, con la mano destra mi titillo il clitoride ed i miei gemiti involontari ricominciano a riempire il piccolo ambiente. Mi infilo due dita nella vagina e tocco il grosso pene che mi sta aprendo l’intestino, il terzo orgasmo non tarda ad arrivare e mi imbratta le dita di copiosi e viscidi umori, continua a sbattermi con la solita cadenza, ha un’espressione quasi insolente sul viso, quasi a volermi dire che potrebbe continuare per sempre. Ma appena il mio corpo smette di contrarsi involontariamente si ritrae lentamente, fino ad uscire da me, di peso mi rigira sul bancone, ponendomi di nuovo a pecorina, mi infilza di nuovo e mi fa male toccando qualcosa dentro di me, &egrave andato troppo profondo e glielo faccio notare. Se ne frega delle mie lamentele e va avanti, mi sbatte con foga, sembra che voglia accelerare i tempi e venire, raccoglie i miei capelli in una mano e mi tira la testa all’indietro, con l’altra mano mi strizza una tetta, vibra colpi fortissimi che mi squassano l’intestino, ci vorrà una settimana buona prima di potermi sedere di nuovo. Trovo eccitante il maltrattamento a cui mi sottopone, anche se odio il dolore, Andrea riesce sempre a farmi sentire un suo oggetto sessuale, ogni volta abusa del mio corpo a suo piacimento, domandomi e dominandomi completamente, sa che amo sentirmi così, malgrado ogni tanto mi lamenti. Il quarto orgasmo &egrave tanto immediato quanto inaspettato, precede di pochi secondi la sua seconda eiaculazione, un vero e proprio clistere di sperma caldo che mi inonda l’intestino, godo senza gridare, questa volta sono i suoi gemiti che superano i miei in decibel, sono sfinita e mi abbandono sul bancone, se potessi mi ci addormenterei sopra, ma Andrea, malgrado il fiatone, mi invita a fare in fretta. Si ritrae e grosse gocce di sperma mi scivolano lungo le cosce, corre ancora a pinguino a prendere la carta assorbente, questa volta la palla me la tira, mentre lui si pulisce nei pressi del rotolo, ormai quasi terminato. Mi detergo le gambe e vado verso la porta con la targhetta ‘bagno’, cammino a gambe larghe mentre tampono l’ano sformato con la carta, in bagno mi faccio un bel bidet con l’acqua fresca, ogni volta che lo faccio, dopo aver scopato con qualcuno che non &egrave mio marito, mi diverto a pensare che i francesi hanno ragione, quando dicono che &egrave un accessorio per le puttane. Mi lavo e, dopo essermi asciugata e rimessa eretta, cerco di dare una posizione accettabile alla mia camminata ma, fra i tacchi ed i pertugi slabbrati dal grosso pene di Andrea, sembra che me la sia fatta addosso quando cammino.
Quando torno nel laboratorio Andrea non c’&egrave più, lo chiamo, ma lui &egrave tornato ad aprire la porta d’ingresso, quando torna si &egrave già ricomposto completamente come me, soltanto il lieve rossore sulle gote che abbiamo tradisce la lunga scopata che ci siamo fatti, sempre che io resti ferma nel posto in cui mi trovo, perché se cammino, chiunque può capire che sono stata sodomizzata da qualcosa di molto grosso.
‘Mi hai fatto portare il server’ &egrave in macchina ed &egrave pesante’ vai a prenderlo!’, esclamo mentre rientra nel laboratorio.
‘Vieni nel mio ufficio a sederti’ riprenditi un attimo’ si vede ad un chilometro che ti ho inculata!’, ribatte concitato.
‘Ma perché sei così agitato? Non c’&egrave nessuno”, chiedo mentre mi tira per una mano verso il suo ufficio. Quando ci entriamo vengo soprafatta dai piacevoli ricordi di quando ero una diciottenne spensierata.
‘Sta arrivando mio figlio’ viene sempre verso quest’ora per imparare il mestiere’ ormai ha quasi sedici anni”, ne parla con orgoglio, gli si illumina la faccia mentre lo menziona.
‘Ciao papà’ Oh’ buon giorno”, la giovane voce alle mie spalle mi spinge a voltarmi indietro, lo faccio con un po’ di difficoltà, il raffreddamento muscolare sta iniziando a farmi sentire i dolori dell’indolenzimento.
‘Buon giorno”, rispondo gioviale al ragazzo, bello come il padre, forse anche meglio, visto che assomiglia molto anche alla madre, una bellissima donna.
‘Ciao Daniele’ la signora ha la macchina qua fuori’ ti dispiace prendere il PC che ha nel bagagliaio?’, chiede Andrea al figlio.
‘Cavoli’ &egrave più bello di te! Chissà che magari non voglia continuare sulle orme del padre!’, scherzo appena rimaniamo di nuovo soli, portandomi una mano fra le cosce.
‘Ma perché no? La nave scuola l’abbiamo avuta tutti da ragazzi’ tu poi saresti un bellissimo natante su cui fare esperienze’ una Amerigo Vespucci del sesso’ bella e molto navigata! Anche bella rodata per altro’ visto che fra le gambe &egrave ancora più dotato di me e con te avrebbe vita facile, dato che gli ha già aperto la strada papà!’, scherza a sua volta Andrea.
‘Che stronzo! Sei quanto di più distante può esserci da un gentleman’ allora manda lui a portarmi il server’ tanto a te non la do più!’, ribatto sorridente mentre esco dal suo ufficio claudicante, in strada rivolgo un sorriso solare al figlio, mentre lo incrocio con il mio server in mano, mi guarda con la stessa espressione del padre quando mi fotte, la cosa potrebbe promettere proprio bene. Quando mi siedo in macchina, la leggera fitta mi fa cominciare a pensare a quello che mi aspetterà nei prossimi giorni, sempre che Andrea, quando mi riporterà il computer, non voglia aggravare la mia situazione.
Entro in ufficio che sono già passate le dodici, alla fine poi ho deciso di passare da casa a cambiarmi, mi sono fatta anche una bella doccia, dopo la sudata dentro al laboratorio di Andrea &egrave stato un toccasana. Gli impiegati mi guardano strano, Laura, la mia segretaria, mi chiede se mi sono fatta male, le sembra che stia zoppicando, ma io cammino ancora strana per la feroce sodomizzazione che ho subito, la sotto non si &egrave ancora richiuso nulla. Tutti pendono dalle mie labbra ed io, do la cattiva notizia che il server non &egrave ancora pronto, il chiacchiericcio e le sbuffate mi fanno comprendere che non hanno preso bene la notizia, siedo a fatica alla mia scrivania ignorando le proteste dei dipendenti, in effetti sono tutti in ufficio a fare nulla, anche se fingono di far qualcosa. A fatica mi rialzo dalla sedia, che palle, adesso che avevo trovato la posizione in cui non sentivo dolore, sporgo la testa dall’ufficio e li guardo fingere di lavorare.
‘Andate pure a casa!’, esclamo a voce alta per farmi sentire da tutti, ‘Oggi ci prendiamo mezza giornata di ferie, tanto non possiamo fare nulla’ andate al mare che c’&egrave il sole!’, concludo, mentre tutti raccolgono le proprie cose e fuggono letteralmente dall’ufficio. Resto sola nel giro di neanche un minuto, ora cosa faccio? Potrei andare al mare anch’io, ma a minuti rientrerà mio padre e dovrò render conto dell’ufficio deserto, oltre al fatto che avendo mandato via tutti, adesso dovrò restare per rispondere al telefono.
‘Uffa’ che noia!’, mi lamento ad alta voce, mentre mi risiedo a fatica alla scrivania e mi metto a giocare a solitario, senza la rete non mi rimane altro che fare giochini, almeno potessi collegarmi ad internet.
Venti lunghissimi minuti dopo entra mio padre, sto consumando il mio pasto quotidiano in ufficio, costituito da uno yogurt alla fragola e due pesche, gli comunico quello che &egrave successo e dopo aver brontolato un po’, va via anche lui, dicendomi che non sarebbe rientrato. Siamo rimasti soltanto io e gli operai del piazzale e del magazzino, che comunque smonteranno alle quattordici, ho voglia di mettere la segreteria ed andare via anch’io, ma cerco di rimanere professionale e non mi muovo.
Alle quattordici in punto ho già risposto a venti telefonate, mi accorgo dell’orario per la processione degli operai a timbrare il cartellino, ognuno mi saluta e va via, dieci minuti dopo sono completamente sola in azienda. Non so cosa fare e gironzolo per l’ufficio, ignoro qualche minuto il telefono che squilla, ma alla fine, visto l’insistenza, decido di rispondere.
‘Ciao Ilaria’ il server &egrave pronto’ vuoi che sia io a portarlo? O mando il mio BAMBINO?’, Andrea rimarca molto sulla parola bambino.
‘Non vorrai mica davvero fare il ruffiano per tuo figlio?’, rispondo divertita.
‘Sto scherzando”, ribatte senza convincermi affatto, ‘Sta già arrivando però’ l’ho mandato a portarti il computer, avresti dovuto vedere quanto era contento di venire da te’ in genere si lamenta quando gli do questi compiti, oggi non ha protestato ed ha messo il computer sullo scooter a fatica pur di venire da te’ mi sa che questa mattina hai fatto colpo sul mio bambino!’, aggiunge gioviale, mentre immagino il sorriso malizioso che tiene stampato in faccia.
‘Poi non dare la colpa a me se diventa sessuomane come te!’, ribatto sorridendo, anche se non sono proprio convinta che anche lui stia facendo battute.
‘Non ti preoccupare’ ha imparato molto da me’ ciao!’, esclama, prima di attaccarmi il telefono in faccia senza darmi la possibilità di replicare, cosa avrà voluto dire con l’ultima frase? Non gli avrà mica raccontato tutto? Ho voglia di richiamarlo e chiedere spiegazioni, quando sento il rumore molesto di uno scooter truccato, che entra dal cancello principale e parcheggia davanti all’ingresso degli uffici.
Mi alzo e vado alla finestra, vedo il figlio di Andrea che si sta togliendo il casco, ha il mio computer appoggiato sulla pedana dello scooter e lo regge con la gamba che non appoggia a terra, lo osservo un po’ dalla finestra mentre armeggia con il mio server, mettendoselo sottobraccio per mettere lo scooter sul cavalletto, fa tutto con eccezionale semplicità, fisicamente &egrave grosso come Andrea e sembra altrettanto forte.
‘Buon giorno signora! Andrea, mi ha mandato a riportarle il server.’, esordisce cordialmente mentre entra nell’ufficio e mi vede. E’ un bellissimo ragazzo, fisicamente sembra Andrea, cavoli sembra un modello.
‘Ciao’ vieni, ti mostro dove va sistemato il server!’, ribatto, incamminandomi verso il ripostiglio che serve anche da magazzino per la cancelleria, dove il server ha la sua sede.
‘Sembri molto giovane’ da quanto lavori per Andrea?’, chiedo intanto che cammino, sentendomi lo sguardo incollato al fondoschiena, quando mi sono cambiata ho messo una mini in jeans ed un top smanicato azzurro, non molto aderente, ma da dietro sono sicura che mi si intraveda il perizoma dalla gonna a vita bassa.
‘Ho sedici anni’ ma lavoro da sempre nel tempo libero’ in estate mi guadagno qualche soldino extra, ma lo faccio soprattutto perché mi piace”, mi risponde Daniele mentre mi segue, per nulla intimidito dal fatto che ci troviamo soli, sembra molto sicuro di se stesso, inusuale per un ragazzo così giovane, ha proprio preso tutto dal padre. E’ da quando &egrave entrato, anzi no, &egrave da quando ho parlato al telefono con Andrea che non penso ad altro, che cosa gli avrà detto? Forse non gli ha detto assolutamente nulla ed il suo &egrave uno dei suoi soliti tiri mancini, tipo quello di questa mattina, quando ha finto di essere molto arrabbiato con me. Comunque non mi interessa, non voglio scoprirlo adesso, magari più tardi lo chiamo e lo chiedo a lui, adesso mi interessa soltanto che il server venga rimesso al suo posto e poi in funzione.
Entro davanti a lui nel minuscolo ambiente due metri per uno, il mobiletto che contiene il server &egrave esattamente nella metà, così rimango intrappolata in fondo al magazzino, appoggiata alla fotocopiatrice, visto che il ragazzo con le sue dimensioni fisiche, sembra riempirlo tutto. Sistema il tutto in pochi secondi, sembra molto esperto malgrado l’età, quando si rialza in piedi mi guarda fisso dal basso verso l’alto, ha lo sguardo malizioso e sembra che mi stia fissando il decolleté, cavoli ma allora Andrea gli ha detto qualcosa davvero. Abbasso lo sguardo verso il mobiletto aperto che contiene il server, mi sento un po’ intimidita, soprattutto perche sono bloccata in un angolo.
‘Ho finito signora’ glielo ho messo dentro’ vuole provare se si accende?’, chiede con voce ferma e stranamente calda, sicuramente mi sto immaginando tutto, ma perché la sua domanda mi sembra così maliziosa, si, forse le parole che ha scelto lo fanno pensare, ma può darsi che sia la mia immaginazione.
‘Si’ grazie’ accendiamo’ io non so nemmeno da dove si accende”, rispondo timida, dicendo la verità, visto che il maledetto server non ha un tasto di accensione come gli altri PC.
‘Nei computer che devono fare i server in genere il tasto di accensione serve solo ogni tanto ed &egrave mascherato’ vede’ si trova in questo buchetto’ basta infilarci qualcosa e si accende! Il mio però &egrave troppo grosso”, dice mostrandomi in suo indice e la frase ai miei orecchi risulta di nuovo molto maliziosa, ma che cavolo, la frase &egrave maliziosa, non mi sto immaginando nulla, questo ci sta provando.
‘Ah’ si! Vuoi una penna?’, mi affretto a replicare, non voglio raccogliere le sue provocazioni.
‘Lasci stare’ ho la mia!’, continua a bloccarmi la fuga con la sua massa fisica ed io resto con la schiena contro la fotocopiatrice, nel tentativo di restare il più possibile lontana da lui, anche se una cinquantina di centimetri non possono definirsi lontananza. Daniele infila la punta della propria penna nel buchetto del PC, le ventole interne cominciano a sbuffare e le luci a led lampeggiano.
‘Sembra che sia tutto a posto”, la mia frase &egrave preceduta da un sospiro di sollievo, mi sento bloccata all’angolo e comincio a diventare un po’ claustrofobica.
‘Sembra proprio di si!’, ribatte, quasi rassegnato all’idea di dover uscire da quel anfratto dove mi sta bloccando. Si mette di nuovo in piedi e si volta verso di me, mi guarda strano, molto strano, troppo. Un rivolo di sudore mi scende lungo la schiena, malgrado quello sia il posto più freddo dello stabile, per tenere sotto controllo la temperatura del server. Adesso mi violenta! Devo imparare ad indossare scafandri da palombaro, invece di minigonne e tacchi alti. Due stupri in un giorno solo, da due uomini grandi e grossi che sono pure parenti, cavolo, sto per fare un record, ci vorrebbero i funzionari del Guinness. Va bene, quello di stamattina era simulato, ma se dovesse succedere anche adesso? Quanto ci sarebbe di finzione e quanto di verità? I miei pensieri si interrompono quando il ragazzo si volta ed esce dall’angusto locale, mi sento una scema di prima categoria, mi sono fatta un mucchio di inutili seghe mentali.
‘Posso accendere un computer per collegarmi al server? Voglio verificare che tutto sia a posto!’, chiede Daniele fermandosi alla prima postazione che incontra uscendo dal magazzino.
‘Quello del mio ufficio &egrave già acceso’ vieni! Puoi usare quello!’, nella mia voce adesso non c’&egrave più il tono intimidito di poco prima, mi sono rincuorata.
Accompagno Daniele nel mio ufficio e gli cedo la mia sedia, mi appoggio alla parete dietro di lui e guardo distrattamente quello che fa, penso ancora a quanto sono scema, ma soprattutto penso a quanto sono troia, visto che adesso la sensazione che provo &egrave di delusione perché non &egrave successo niente. Mi rendo conto di essere fradicia, cavoli mi sono eccitata pensando al ragazzo che abusava di me, che stia diventando masochista? E magari anche pedofila visto che &egrave un bambino, ha la metà dei miei anni, Ilaria sei proprio scema.
‘Mi dice la password per entrare?’, la voce di Daniele mi riporta alla realtà.
‘Quale password?’, rispondo concitata, come se lui potesse sapere quali fossero i pensieri da cui mi ha distolto.
‘Per accedere al server”.
‘Ma io non ne ho la più pallida idea’ Fa sempre tutto tuo padre”, dico come se dovessi discolparmi di una grave mancanza.
‘Posso chiamarlo?’, la sua &egrave una domanda retorica, visto che sta già componendo il numero sulla tastiera del mio apparecchio.
‘Papà’ mi serve la password del server’ voglio controllare che sia tutto a posto’ no’ dai’ ma sei matto? Si arrabbierà di sicuro’ Ma dai’ ma’! E se poi’ ma sei sicuro? Ma io’ ma se’ ok! Ma’ va bene’ ciao.’, ogni volta che ribatte qualcosa sembra in preda ad emozioni diverse, che cavolo gli starà dicendo? Che lo stia veramente spingendo a provarci? Conoscendo Andrea non mi stupirebbe più di tanto.
‘Bene”, annuncia girandosi verso di me, ruotando sulla sedia e guardandomi come poco prima dentro al magazzino. Non mi stacca gli occhi di dosso mentre si alza in piedi, immagino l’espressione stupita che ho stampato in faccia, mi sento anche intimidita, non lo conosco e non so che cosa potrebbe fare. Allo stesso tempo sono anche super eccitata, che sia il timore che sto provando a farmi sentire così? Certo, trovo la situazione molto stuzzicante, ma credo che sia così, soltanto perché &egrave un gioco a distanza con Andrea, ma cosa gli avrà raccontato sul mio conto? Gli avrà detto che sono una ninfomane e che sono affamata di cazzo? Oppure che sono la sua troia personale? No! Non &egrave possibile che abbia detto a suo figlio certe cose, ma quella frase che ha lasciato sospeso al telefono, non posso crederci. Sono eccitata ma non ho mai avuto veramente intenzione di lasciarmi andare, anzi, tutt’altro, va bene scherzare, ma gli scherzi sono belli quando durano poco.
‘Ha detto mio padre”, inizia il ragazzo.
‘Cosa!?!’, il tono che uso &egrave un misto fra l’arrabbiato ed il risoluto, il ragazzo si blocca di colpo, come se la mia reazione fosse esagerata e fuori luogo, mi guarda con occhi sbarrati.
‘Che passerà lui stesso fra un’oretta’ p-per verificare che sia tutto a posto”, conclude con un filo di voce.
‘Scusami’ non volevo sembrare brusca’ ma sai il computer mi serve e tuo padre a volte mi fa veramente arrabbiare’ scusa di nuovo’ non &egrave colpa tua!’, mi affretto a scusarmi con Daniele, mentre sta già girando intorno alla scrivania e uscendo dal mio ufficio.
‘Di nulla’ si figuri’ so quanto può essere irritante papà’ ho provato a dirgli al telefono che si sarebbe sicuramente arrabbiata’ ma non da mai peso alle mie parole’ arrivederci alla prossima”, esclama il ragazzo, ma gli leggo in faccia che mi ha preso per una pazza, prima che esca dal mio ufficio e salga sul proprio scooter truccato, partendo a razzo.
Che scema, ci casco ogni volta, mi scappa da ridere mentre mi siedo alla scrivania e rispondo ad una telefonata. Ma questa volta me la pagherà, no’ so già che non &egrave vero, farà di me quello che vuole come sempre.
Venti minuti dopo Andrea entra nel mio ufficio, stranamente &egrave in anticipo, guarda la mia faccia e ride come un matto, come sempre non mi saluta neanche, gira intorno alla scrivania e mi da due colpetti sulla spalla per farmi alzare dalla mia sedia. Si diverte a vedere la mia espressione arrabbiata e giù a ridere di nuovo.
‘Che stronzo”, so soltanto dire.
‘Che scema!’, ribatte senza smettere di ridere.
Le sue dita si muovono veloci sulla mia tastiera, ogni tanto scoppia di nuovo a ridere ed io mi sento sempre più stupida.
‘Voglio romperti il culo’, lo guardo stupita, ‘Tutto attaccato! E’ la password del server’ a Daniele non potevo dirla!’, e giù a ridere come un matto.
‘Adesso la cambio però’ un giorno potrebbe servire e se io non potrò venire? Si! La cambio”, aggiunge, mentre io resto in piedi di fianco a lui in silenzio, a sentirmi una ‘salama’.
‘Che cazzo stai facendo ancora li?’, mi chiede ad un tratto, come se avesse cambiato improvvisamente umore, ‘Ficcati sotto questa cazzo di scrivania e fammi un pompino! Tanto so che non vedi l’ora che comincio a fotterti!’, conclude duramente. Dio come mi sento scema, mentre mi inginocchio e scivolo sotto la scrivania, gli sbottono la patta e lo tiro fuori, cominciando a fargli il pompino che mi ha appena ordinato.
Dieci minuti più tardi, il secondo perizoma della giornata, giace stracciato sulla mia scrivania, mentre io sono seduta cavalcioni sul suo grembo e mi sto impalando sul suo cazzo, tiene le mani incrociate dietro la nuca, completamente appoggiato allo schienale della mia sedia, mi guarda divertito mentre mi scopo da sola, saltellando su di lui e gemendo di piacere.
‘Mi piaci da morire’ sei troppo troia’ se’ no dai’ lasciamo perdere”, le sue parole mi arrivano da un universo parallelo, mentre mi contorco in preda all’orgasmo, incredibilmente intenso. Quando mi sbatte sulla scrivania fa di tutto per accelerare l’eiaculazione, &egrave la seconda volta oggi che mi scopa guardando l’orologio, mi fa sentire ancora di più un oggetto sessuale da usare a piacimento. Il pensiero però &egrave eccitante e sconvolgente allo stesso tempo, quando per la terza volta nella giornata, mi inonda con i suoi fiotti caldi e copiosi, godo di nuovo e strillo tutto il mio piacere. Dopo esserci ripuliti, quando arriva il momento di salutarci, per la prima volta in vita mia, gli do un bacino sulla guancia, non so perché l’ho fatto, forse per quelle parole che ha pronunciato prima, o forse perché mi sono resa conto che nutro davvero un affetto particolare per quel uomo, &egrave la prima volta che mi rendo conto che &egrave uno dei miei migliori amici. Il bacio lo stupisce, quasi arrossisce un pochino e come sempre si allontana senza nemmeno dirmi ciao. Che stronzo!

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