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Racconti Erotici Etero

IN VIAGGIO DI LAVORO

By 3 Ottobre 2007Dicembre 16th, 2019No Comments

Eccomi qui. In questo bell’albergo a cinque stelle. Finalmente, la giornata dal cliente &egrave finita, ed io sono alla reception in attesa che mi venga assegnata una camera.
Ci sei anche tu, che stai parlando al telefono, mentre attendi che ti venga assegnata la tua.
Capelli color mogano chiaro, occhi verdi. Sei bellissima, nel tuo tailleur castigato, che lascia solo intuire che sei magra e longilinea.
Posso solamente vedere, tra il pantalone e la scarpa, che hai le caviglie sottili e ben disegnate.
Ecco: finalmente mi danno la chiave elettronica della mia stanza. La 415.
Raccolgo le mie borse e mi avvio verso l’ascensore.
Mentre cammino, posso sentire il portiere che ti comunica il numero della tua camera. La 416.
Chiamo l’ascensore, e tu mi raggiungi, con il tuo trolley.
Ti fermi appena dietro di me. Io non mi volto. Entro in ascensore, premo il pulsante del piano e mi appoggio, di spalle, in fondo alla cabina.
Entri anche tu. E mi saluti.
Buonasera, ti dico, guardandoti quegli occhi verdi come il mare. E ti sorrido.
Devi avere più o meno la mia età. Forse un paio d’anni più giovane. Qualche piccola ruga di espressione segna il tuo viso.
Ricambi il sorriso, dicendo: “anche oggi abbiamo finito di lavorare, vero?”
“Certo”, rispondo, “ma oggi &egrave solo lunedì, e la settimana &egrave ancora lunga…”
Mi dici “io invece sono fortunata… riparto domattina”.
Rispondo: “allora io mi sento veramente sfortunato…”
Fingi di non capire l’allusione al fatto che mi sento sfortunato perhcé te ne vai, e ridi. La tua risata &egrave leggera, fresca, come il tuo profumo, agrumato, che si insinua nelle mie narici.
Sono come bloccato… la mia mente sta rapidamente scorrendo tutte le possibilità di dire qualcos’altro di intelligente, per poterti parlare ancora, ma non trovo nulla. Mi guardi, dritto negli occhi e mi sento scoperto, nel mio stupido tentativo di agganciarti.
Arrossisco lievemente e distolgo lo sguardo, fingendo di leggere il menù del giorno, appeso vicino alla tastiera. Per fare questo, mi avvicino leggermente a te. Sento il tuo respiro. Lo respiro. E’ buono.
Volto il viso verso i tuoi occhi, e ti guardo, senza dire nulla. Questa volta ti sono vicino. Quasi a tiro di labbra.
Tu esplori un po’ il mio viso, il tuo sguardo si sofferma sulle mie labbra. Poi la suoneria dell’ascensore ci avvisa dell’arrivo. Le porte si aprono.
Esci, trascinando il trolley dietro di te. La tua camminata &egrave perfetta. Hai il portamento fiero di un capo e i movimenti morbidi di una modella. Sei certamente una manager, nella tua Azienda.
Ti seguo, con le mie borse. Percorriamo, senza parlare, il lungo corridoio. Tu davanti, io subito dietro.
Improvvisamente giri la testa verso di me, fingi stupore nel vedermi ancora dietro di te e…
“non ci avranno per caso dato la stessa camera?” dici.
Questa frase, come un fulmine, mi spacca il cervello in due. Non so cosa dire. Ho paura di offenderti, se ti dicessi la verità. Ho paura di fare la figura del fesso, se non rispondo nulla. Ho paura che tu me l’abbia detto apposta, e se non ti dò una risposta allusiva, penserai che sono solo un pesce lesso…
Dopo una pausa, mi esce solamente un: “…non potrei aspettarmi di meglio, dal caso.”
Tu non rispondi e mi guardi dritto negli occhi, sorridendo.
Ti fermi di fronte alla tua camera e cerchi la chiave elettronica in tasca.
Io procedo, arrossendo alla camera seguente, che &egrave la mia. Cerco a mia volta la chiave, nella mia tasca. Tu strisci la tua chiave nell’apposita fessura. Con uno scatto la tua porta si apre. Mandi dentro il trolley. Entri anche tu. E mentre la porta si chiude a scatto dietro di te, mi pare di sentire la tua voce che dice: “…neppure io…” SLAM!
Rimango fermo, di stucco, con la mia chiave in mano, a guardare la tua porta. Non so se &egrave vero, oppure no. Non sono certo di quello che ho sentito. Non sono neppure certo di averlo sentito. Forse mi sono autosuggestionato? Forse non hai detto nulla, forse hai detto qualcos’altro.
Mi convinco che non &egrave possibile che tu abbia detto “neppure io”. Striscio la card ed entro nella mia stanza.
Accendo la luce e poso la borsa sull’apposito sostegno. Ti sento telefonare. Posso sentire quasi chiaramente qello che dici. E mi stupisco. Di solito questi hotels hanno un’ottima insonorizzazione…
Ma capisco subito perché.
Le stanze sono comunicanti, e ci dividono solo due porte: quella dal mio lato e quella dal tuo.
Inoltre, la stanza da bagno &egrave rivolta verso la tua camera, ed immagino, quindi, che la tua stanza da bagno sia adiacente. Questi hotel isolano acusticamente molto bene la camera, ma pensano poco alla stanza da bagno.
Poco dopo, infatti, terminata la telefonata, posso chiaramente sentire che entri in bagno, il rumore plastico del coperchio del WC alzato ed appoggiato al muro e, dopo poco, il rumore di un rivoletto che scende nell’acqua.
Un caldo languore sorprende la base del mio sesso, mentre tu scarichi lo sciacquone.
In silenzio disfo il mio bagaglio, riponendo le cose nel piccolo armadio a muro.
Poi mi spoglio, entro in vasca e mi faccio una doccia.
Nella doccia ripenso alla giornata, mi convinco sempre di più che tu non hai affatto detto: “neppure io” e, piano, ti dimentico, la tua immagine travolta da mille altri pensieri che affollano la mia mente. In tutto quel casino mentale, riesco finalmente a rilassarmi. L’acqua tiepida scende sui miei capelli e sul mio corpo, come una dolce carezza su tutta la mia pelle.
Il vapore offusca la stanza, mentre il getto d’acqua mi massaggia la nuca e scende, lungo la schiena, tra i miei glutei e po tra le mie cosce. Rimango così per un po’, godendomi il rilassamento che sopraggiunge. E mi appoggio alla parete.
Chiudo il getto d’acqua ed inizio ad insaponarmi prima il viso, poi il petto, piano, indugiando con le mani sulla peluria che lo ricopre. Ad occhi chiusi, immagino che non siano le mie mani, e vedo la tua immagine davanti a me. Ridicolo! In una vasca con il tailleur! Che pirla… mi dico da solo, e continuo ad insaponarmi, scendendo sulla pancia.
Ah, sto diventando vecchio, penso, quando la mano scende sulla mia “pancetta” e la insapona, vigorosamente, raggiungendo poi il ciuffetto di peli che circonda il mio sesso.
Lo guardo, e la mia mano lo afferra. Lo scappello. Due dita, ad anello, circondano la base del glande e, lentamente, iniziano a muoversi avanti e indietro, per insaponarlo e pulirlo.
Questo stimolo, pur effettuato sul sesso non eretto, qualche piccolo brivido me lo dà, e, piano piano, sento il membro che, pulsando, si gonfia lentamente. Ogni scorrimento delle dita tra la base del glande e la pelle mi dà sensazioni sempre più forti. Presto mi ritrovo con il membro completamente eretto, tra le mani che lentamente lo massaggiano. E la sensazione che provo &egrave quasi la stessa che proverei se fossero le tue mani. Piano, la mia mente si astrae dalla realtà, e immagino le tue mani che, delicate, percorrono tutto il mio sesso. Penso alla tua bocca, che leggera bacia la mia cappella, prendendo nel bacio prima solamente la punta, poi sempre di più. Ti immagino seduta sul WC, con le gambe completamente aperte, e io davanti a te, in piedi, che mi faccio succhiare. Immagino di sentire i tuoi capelli che mi sfiorano la pancia ed i testicoli, dolcemente, procurandomi lievi brividi di piacere. Immagino la tua mano che, a coppa, raccoglie i miei testicoli gonfi di seme, e li porta, uno ad uno, alla bocca, leccando poi da lì tutta l’asta fino al buchino della cappella, soffermandoti a leccare il filetto, appena sotto. Vedo le tue mani, che stringono il membro. E le mie vene, pulsanti, che si gonfiano, nella stretta. Vedo una tua mano che scende tra le tue gambe, a raccogliere i tuoi umori, e poi me li spalma lungo il cazzo, rendendolo scivoloso. Ecco… ora le tue mani scivolano sul mi membro umido quasi come farebbero le pareti della tua passerina vogliosa, e mi dànno sensazioni celestiali. Sputi sul mio cazzo, e poi vi spalmi anche la saliva, che gronda poi a terra, e sulle tue mani, in grosse gocce, ogni volta che me lo meni, sempre più veloce. Alcune gocce di saliva vengono lanciate, dal rapido movimento delle tue dolci mani, anche sulle tue belle tette e ti immagino, con il rossetto sfatto ed i capelli disordinati per il pompino, e un rivolo di saliva che cola, come fosse sborra, oscenamente da un angolo del labbro.
Ti immagino che porti il mio cazzo, ormai lubrificato, tra le tue tette, e che con loro me lo seghi, prendendo in bocca completamente la cappella ad ogni mia spinta e, da dentro, leccandola senza tregua.
Mentre questo avviene, ricordo il dolce rumore del rivolo della tua piscia. Ed ogni nuovo colpo, con la mano, mi dà dei brividi così forti da rizzarmi i pelini della schiena, appena sopra le natiche. Sento le palle piene di sborra. Le tue mani aumentano il ritmo, la tua bocca emette degli schiocchi, succhiandomelo. Ecco il brivido alla base delle palle! Ci siamo! Con un alto gemito scarico tutto il mio seme nella tua bocca, porca. Cinque lunghi schizzi di bianco, vischioso seme. Bevilo tutto, come se fosse la più ambita delle bevande, il più dolce miele, il più nutriente nettare. E’ tanta, lo so, la sborra che ti ho dato. Ma tu sei così porca che non te ne perdi neppure una goccia. Quasi… una piccola goccia cola veramente dall’angolo delle tue labbra sul rossetto sfatto e si posa sulle tue tette.
Mentre il mio culo ancora si contrae, e la mia mano rallenta il massaggio, piano mi riprendo.
Apro gli occhi… sono nella vasca, ma ho schizzato sul pavimento e almeno uno schizzo ha raggiunto il perfino il lavandino. Le mie mani sono piene di sapone e tengono in mano il mio cazzo, tutto rosso, che piano piano si sta ammosciando.
Sento la tua voce che inizia a cantare, a meno di un metro da me, nell’altra stanza.
E penso al mio gemito di prima: l’avrai sentito?
Subito mi vergogno, e una calda vampata mi avvolge il petto ed il viso.
Prima di tutto: mi avrai sentito?
E se mi hai sentito… hai capito di cosa si trattava? Certamente si. Un gemito non lascia dubbi. E poi, sei stata ad ascoltarmi in completo silenzio. Non puoi non avere sentito.
Forse avrai persino sentito le mie chiappe sbattere contro la parete, mentre mi masturbavo.
Non puoi avere dubbi… dio che vergogna!
E se avessi anche intuito che mi masturbavo pensando a te? Dio, Diiiio! Che vergogna!!!
Ecco perché hai iniziato a cantare, poco dopo il mio orgasmo. Forse volevi farmi capire chiaramente che avevi sentito tutto. Come a dire: “Ehi, lo sai che, come tu senti me cantare, io ho sentito quello che hai fatto?”.
Cazzo, che vergogna. Ora penserai di me che sono un segaiolo. E che con un bocconcino come te nella camera a fianco non ho neppure avuto il coraggio di provarci.
E se invece fosse un caso? Se fossi entrata solo allora nel bagno ed avessi iniziato a cantare per caso, senza avere sentito nulla?
Chissà…
Mi accorgo che si &egrave fatto tardi. Senza terminare di lavarmi mi sciacquo, mi asciugo e mi preparo per scendere a cena.
Esco dalla mia stanza, sbattendo inavvertitamente la porta, e mi dirigo in fretta verso il vano ascensori, sperando di non incontrarti.
Spingo il pulsante di chiamata. Attendo.
Dei passi leggeri dietro di me. Non ho il coraggio di voltarmi. Sono come impietrito. Ti metti di fianco a me, mi guardi e mi dici, allegramente: “Buonase…ehm…ra”, portando la tua piccola mano davanti alla bocca, per coprire il falso colpo di tosse ed il successivo sorriso di falso imbarazzo.
Ti guardo. Porti una mini plissettata scozzese sfondo giallo chiaro e riquadri neri, ed un maglione di lana leggera, di colore intonato, a collo alto, “anni trenta”, un po’ traforato, che lascia appena intravedere il reggiseno bianco, ricamato.
La calze, velate, terminano in due scarpe nere con un tacco sottile medio-alto.
Di nuovo avvampo. L’allusione &egrave chiara. “Buonasera” dico, seccato, evitando il tuo sguardo.
“Questo ascensore non arriva più!”
E, vergognandomi come un verme, sia per quello che ho fatto pensando a te, sia perché l’hai capito benissimo, sia perché sto arrossendo come un bambino, imbocco la tromba delle scale e mi fiondo giù a piedi.
Arrivo prima di te al ristorante e un cameriere mi fa accomodare. Subito dopo, arrivi tu, con aria sbarazzina, e senza attendere il cameriere ti siedi in un tavolo abbastanza vicino, esattamente di fronte al mio, ma in modo che io ti possa vedere quasi di lato.
Lo spettacolo che mi offri sedendoti &egrave degno di nota. Mentre le tue lunghe gambe affusolate si piegano dolcemente per la seduta, la mini scozzese si alza, e lascia intravedere il bordo delle tue calze autoreggenti. Ho gli occhi fissi sulle tue cosce, quando la tua voce mi richiama alla realtà. “Di nuovo buonasera”, mi dici, cercando i miei occhi che sono come calamitati dal bordo superiore delle tue autoreggenti, che rivela una pelle assolutamente candida. Visto che non rispondo, ti accorgi che la gonna &egrave salita un po’ troppo, e la sistemi. Mi risveglio dal trance, e ti dico: “Buona…ehm, buonasera!”, arrossendo di nuovo, sia per il lapsus Freudiano in cui sono incocciato, sia perché ti sei accorta benissimo che i miei occhi erano persi su quel pezzettino di pelle nuda, in cima alle tue cosce.
Dopo avere ascoltato attentamente i consigli del cameriere, ordini una bottiglia di buon vino bianco, leggermente frizzante, e del cibo.
Poi, prima che faccia la mia ordinazione, mi dici: “non riesco a bere da sola tutto questo vino. Mi farebbe piacere se potessi dividerlo con lei”. Non ci posso credere. “D’accordo”, ti dico. Non c’&egrave problema. Ordino solamente il cibo, poi, quando il cameriere se n’&egrave andato, mi dici: “però &egrave un po’ scomodo condividere il vino, in questo modo… perché non si siede al mio tavolo?”.
Penso che non &egrave vero. Non può essere vero. Essere agganciato da una strafica come te al ristorante di un albergo succede solamente nei film porno di basso livello.
Ma no, penso, sicuramente non vuole cenare da sola… e niente più di questo.
Mi alzo e mi siedo al tuo tavolo, di fronte a te, infilando le gambe sotto la tovaglia lunga, che arriva fino a terra.
La cena trascorre senza intoppi. Sei bravissima a sciogliere il mio imbarazzo, parli quasi sempre tu. Io, invece, come un ragazzino, mi perdo con lo sguardo nei tuoi occhi, sulla tua bocca (che ha più o meno lo stesso rossetto che avevo immaginato) e sul tuo reggiseno che si vede intrasparenza attraverso il maglioncino a maglie larghe. Mangiamo, e piano piano entriamo in confidenza sempre di più. Tu ti chiami Marianna, e sei la responsabile marcom di una grande azienda di apparecchiature elettroniche. Io ti verso del vino.
Ti parlo un po’ di me. Chi sono, cosa faccio… le solite cose. Mi convinco che semplicemente non ti andava di cenare da sola. Certo, una persona avvezza alla comunicazione soffre da impazzire se non può comunicare, penso. Tu, dal canto tuo, non fai nulla per tentarmi.
Si parla, semplicemente, come due vecchi e buoni amici.
Decido di deliziarti, ordinando due coppe di champagne con un po’ di fragole, per chiudere la cena.
Tu accetti di buon grado. Addenti le fragole come fossero cappelle… golosa.
Io mi perdo, sulla tua bocca. Bella, carnosa, morbida. Il tuo modo di addentare le fragole mi fa tornare in mente le immagini di prima, quando mi masturbavo nel bagno, ed il mio sesso si ingrossa un po’.
Ma tanto non lo puoi vedere… sotto la tovaglia.
Terminata la cena, e regolato il conto, ci alziamo per dirigerci verso il bar.
Barcolli appena. E’ evidente che hai bevuto un po’ troppo. Mentre camminiamo prendi una storta scivolando dai tacchi alti. Ti sorreggo, da dietro. Per la prima volta le mie mani passano sotto le tue ascelle e si appoggiano sui tuoi seni. Belli, sodi.
Sorreggendoti, appoggio li mio pube sulle tue natiche.
Mentre ti sorreggo, tu saltelli su un piede solo, facendomi capire che ti sei fatta male all’altro piede, e facendomi ballare tutto il seno tra le mani. I capezzoli spingono la stoffa leggera del reggiseno appena fuori dai fori del maglioncino traforato.
Mi chiedi se &egrave possibile evitare di andare al bar, visto che ti duole il piede e, visto che facciamo la stessa strada, mi chiedi di accompagnarti alla tua camera.
“D’accordo” ti dico, ma il “carro attrezzi” ha il suo prezzo. Inoltre stava andando al bar”.
Mi guardi e mi dici. “Non ti preoccupare. Il minibar &egrave fornito. Il carro attrezzi può venire a fare il pieno in camera mia”.
Piano saliamo, e finalmente entriamo nella tua camera.
Ti siedi subito sul letto, togliendoti le scarpe ed inveendovi contro. Effettivamente la caviglia &egrave un po’ gonfia.
Prendo del ghiaccio dal minibar, lo chiudo nel mio fazzoletto pulito e te lo porgo, da applicare sulla caviglia. Ma tu, a quel punto, mi porgi direttamente la caviglia.
Mi siedo anch’io sul letto, un po’ scostato da te, e tu ruoti la gamba verso di me, mettendomi la tua caviglia in mano.
Durante questa operazione, le tue cosce si aprono e mi mostrano finalmente la fine delle autoreggenti, l’interno delle cosce, il piccolo incavo all’attaccatura interna, prima di arrivare al pube, coperto appena da un paio di mutandine che lasciano fuoriuscire appena qualche ricciolo. Capisco così che il tuo colore naturale &egrave biondo…
Fingo di ignorare la scenetta, e mi dedico a tamponarti la caviglia con il ghiaccio.
Forse perché le mie mani sulla caviglia ti eccitano, le tue guance, per la prima volta nella serata, si fanno un po’ rosse. Facendo finta di nulla, salgo appena con le mani fino ai polpacci, mentre il mio cazzo preme contro i miei pantaloni. Fingi di abbassare, con la mano, la gonna tra le cosce, come per schermare la tua fichetta dal mio sguardo, ma mi accorgo che la tua mano preme un po’, contro la stoffa.
Salgo con le mani ancora un po’ e tu mi guardi strana.
A un certo punto, con voce bassa e roca, mi dici: “Mi fai vedere dal vivo quello che prima di cena hai fatto in bagno? Ti ho sentito, sai? E’ tutta la sera che sono bagnata. Ma non toccarmi, per favore. Sono una donna sposata… e non voglio tradire mio marito”.
Capisco ovviamente quello che intendi, così lascio la caviglia, mi appoggio con la schiena al muro della tua camera, abbasso la cerniera, tiro fuori il cazzo, pulsante tra le mie mani, e comincio a menarmelo, piano, davanti a te.
Tu alzi nuovamente la gonna, e da sopra le mutandine, inizi a roteare piano due dita sotto il pube, senza staccare il suo sguardo dal mio cazzo duro.
Osservi avidamente la mia cappella, violacea e lucida, che a tratti si ricopre, alla base, con la pelle del membro, mentre lo meno.
“Voglio vedere meglio…” mi dici.
Vieni a slacciarmi i pantaloni e me li togli, così come fai con i miei boxer.
Poi ti risiedi, come prima, e ricominci a roteare le dita. Contemporaneamente, con l’altra mano, ti infili sotto il maglione, slacci il reggiseno, poi incominci a martoriarti i capezzoli con le dita.
Puoi vedere chiaramente tutto il mio cazzo e sotto, le palle, che di nuovo si stavano gonfiando di sperma. Le tue guance si fanno sempre più rosse ed inizi a leccarti le labbra.
Finalmente, la mano si infila sotto le mutandine, ed il contatto diretto delle tue dita con il tuo sesso ti fa sfuggire un dolce lamento. Continui a massaggiare, aumentando lievemente la velocità. Ogni tanto, si capisce che infili anche le dita nella tua piccola cavità, perché piano piano, le mutandine si stanno macchiando di bagnato.
Cambi mano, ora, e con la mano che prima era stata nelle tue mutandine, mi spalmi i tuoi umori sul cazzo, mentre ti sgrilletti con l’altra. “Prova a menartelo ora”, mi dici, “Senti come mi fai bagnare…”.
Riprendo a menarmelo, e mi sembra che tutto si svolga esattamente come durante la mia masturbazione di prima. Salvo il fatto che non ci possiamo toccare.
Il contatto della mia mano lungo l’asta &egrave più dolce, ma stavolta sono davvero gli umori della tua fica, quelli che sento intorno al mio cazzo.
Mentre mi crogiolo in questo pensiero, tu ti scosti, con una mano, le mutandine, e con l’altra inizi a massaggiare la tua patatina furiosamente, a palmo aperto.
Si sente lo sciacquìo dei tuoi umori contro la tua mano.
Fino a che, ruotando la testa indietro e roteando le pupille verso l’alto, sotto le palpebre, il tuo corpo viene scosso da un tremito. Dài alcune spinte in avanti con il pube e poi ti lasci cadere sdraiata sul letto.
Io sono ancora lì, con il cazzo in mano, ormai al colmo del desiderio, che continuo a menarmelo, senza sapere che fare.
Allora tu ti volti, in ginocchio sul letto, in posizione prona. Alzi la gonna e con le due mani ti apri le chiappe, mettendo il luce il tuo piccolo buco del culo ed aprendo oscenamente le labbra della tua passerina. Quasi ad invitarmi.
Faccio per avvicinarmi.
“No! mi dici.” Usa questa vista per venire. Credimi, ne ho tanta voglia anch’io, ma non posso tradire così mio marito.
Effettivamente, la vista del buchino del culo e delle piccole labbra umide, appena finito l’orgasmo, tra un ciuffo di peli, mi porta presto all’apice. Menandomelo furiosamente, sempre più veloce, mi avvicino a te, dicendo di non preoccuparti, e punto appena la mia cappella tra le tue piccole labbra.
“Non farlo, ti prego!” mi dici.
Sentire l’imboccatura della tua passera aperta e umida, appoggiata alla mia cappella, mi dà il colpo di grazia. Con due rapidi colpi di mano mi porto all’apice del piacere, ed appoggiando ora la canna di piatto nel solco tra le tue chiappe, mi muovo avanti e indietro, come se ti stessi scopando, inondandoti la schiena di caldo e vischioso seme.
Mi abbandono poi su di te, che mi reggi, spalmando tra la tua schiena e la mia pancia tutta la mia sborra.
“Grazie che non sei entrato”, mi dici. “Mi sarei davvero sentita in colpa. Così, invece, ho solamente goduto. Senza rimorsi”.
“Ho capito subito che potevo fidarmi di te. E non mi sono sbagliata”.
Ti volti e mi dai un tenero bacio sulla bocca. Per la prima volta assaporo la tua lingua morbida. Tu ti stacchi, dolcemente, e mi passi un dito sulle labbra. Odora ancora della tua fichetta vogliosa…
Poi mi dici: “Dio, come si &egrave fatto tardi! Scusami. Sono un po’ stanca e un po’ ubriaca. Buona notte”.
E così, gentilmente, attendi che mi rivesta, mi accompagni alla porta e mi saluti, con un altro piccolo bacio sulle labbra.
Marianna, se ti riconosci in questo racconto, scrivimi a cieloblu64@yahoo.com
Per tutti i lettori, ma specialmente per le lettrici: io come il solito attendo i vostri commenti allo stesso indirizzo di posta.
Grazie per l’entusiasmo che avete dimostrato. Ho ricevuto veramente tante lettere, soprattutto da voi lettrici. E’ segno che avete capito ed apprezzate il mio intento.
Spero che anche questo racconto vi sia piaciuto.
Per quella persona che ha finto di esser Mariagrazia contattandomi per posta elettronica: che scherzo cretino!!! Ho davvero sperato, per un attimo, che fosse lei.
Ciao a tutti. Vi dò appuntamento presto.

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