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Racconti Erotici EteroTrio

India

By 14 Ottobre 2015Dicembre 16th, 2019No Comments

L’India.
Il subcontinente indiano aveva preso a rivestire un ruolo predominante nei miei pensieri da quando ero ventenne. All’epoca ero ancora il classico nerd dalla verginità d’acciaio fissato con l’Oriente e i suoi misteri. La verità era che all’epoca ne avevo fatto uno stile di vita, praticavo lo yoga, la meditazione, ecce cc.
Ora parte della descrizione se ne era andata ma l’idea dell’India mi provocava ancora veri e propri sogni ad occhi aperti. No, non erano sogni. Erano veri e propri voli di fantasia che mi portavano a desiderare di fuggire, fuggire da una società che spesso non sopportavo, da una quantità enorme di guano che mi arrivava quasi quotidianamente addosso per spostarmi in un paese in cui passato e presente convivevano in una fusione che creava contrasti e armonie ad un tempo.
Avevo letto molti libri sull’India, lo Yoga e tutto il resto. Avevo persino letto l’epopea indiana nota come Mahabharata. Nonostante tutto ciò, io non conoscevo l’India. Conoscere implica fare esperienza di qualcosa, io ne avevo acquisito solo mere nozioni. E a ogni libro, il mio amore per quella terra cresceva. Immaginavo i suoi odori, i suoi sapori, i paesaggi sconfinati dell’Hamical Pradesh e le città caotiche e moderne di Dheli e Nuova Dheli. Ero innamorato dell’India. L’amavo come si poteva amare una donna. Come avevo amato Katherine e come sicuramente amavo Maghera.
Avevo avuto un paio di contatti con la cultura indiana ma ero stanco delle pillole e quando al mio matrimonio mio fratello se ne era uscito con un biglietto per l’India, io avevo segretamente represso un fremito. Era un sogno che diveniva finalmente realtà. Avevo fatto altri viaggi in precedenza ma erano stati tutti quanti dei precursori, preparativi a quel singolo viaggio epico che mi avrebbe finalmente portato a scoprire me stesso. Inoltre era anche la dimostrazione che mio fratello si fidava di me. Non eravamo sempre andati d’accordo, lui era l’opposto di me ma io ero felice, felicissimo per quel pezzo di carta. Il mio primo viaggio da solo era stato causa di trauma per mio fratello’
In ogni caso ora non ero più da solo. C’era anche Maghera. L’indiana e io c’eravamo astenuti dal sesso per i successivi sette giorni dopo l’epico amplesso che aveva seguito il mio ritorno a casa. Era un modo per trovare un ritmo anche se entrambi avevamo desiderio di vedere un cambiamento. La nostra unione era ancora forte, sebbene a volte avessimo alcune lievi discussioni. La cosa che mi piaceva era che entrambi sapevamo come regolarci in merito. Quel che mi preoccupava era altro: al di fuori della mia famiglia, Maghera non conosceva quasi nessuno. L’indiana usciva poco di casa, forse per paura di potere ancora essere riconosciuta da qualcuno come Jaswindar, una giovane sposa indiana in fuga dall’Italia dopo aver ucciso sua zia e dato fuoco a casa sua. In ogni caso era chiaro che anche lei voleva cambiare quello stato di cose. Non le andava di isolarsi così tanto, stava diventando un eremita. Non per le persone ma per la vita, per poter uscire e sentire il sole sulla faccia, camminare senza paura, vivere.
E una vacanza sembrava decisamente il mondo migliore per riuscirci.

Decidemmo: fanculo a tutto il resto, saremmo partiti.
Preparare i bagagli non ci richiese molto tempo. Sia io che Maghera eravamo fan del viaggiare leggeri. Ergo: un trolley con qualche cambio e qualcosa per la toilette. Nessun libro, al limite il mio iPod che ascoltavamo in due e il mio cellulare. Budget di viaggio equivalente a 50’000 rupie.
In capo a due giorni fummo pronti. Avvisai tutti e ci ritrovammo a Milano Malpensa alle 7.00 di mattina. Totalmente soli ma finalmente liberi. Eravamo degli zombie. Nervosi per la partenza, avevamo passato la sera a guardare Avatar edizione speciale. C’eravamo coricati alle due di sera. Ci trascinammo sino a un bar mentre aspettavamo l’annuncio per il gate. Il caff&egrave italiano ci ridiede energia. Maghera era abbigliata in un sari tipico del suo paese. Io avevo Jeans lunghi e maglietta a maniche corte. Scarpe normali per entrambi.
Lei non era mai stata attratta dai tacchi e io preferivo di gran lunga non spiccare per le calzature. Anche perché i mocassini della più fine marca in India sarebbero stati conciati malissimo in pochissimo tempo.
Un altro must del nostro viaggio era l’assoluta assenza di gioielli. Maghera ne aveva giusto un paio regalati da me che aveva avuto il buonsenso di lasciare a casa, io avevo lasciato a casa l’orologio di famiglia e un anello relativamente prezioso, ricordo di quando me ne ero andato di casa.
Passammo l’attesa a parlare. Avevo portato un libro ma l’avrei letto pochissimo, già lo sapevo. Lei si era presa un romanzo al duty free. Nessuno di noi toccò i libri anche se avremmo voluto fare ben altro.
La mia bocca trovò la sua. Mantenendo una mano sul bagaglio perché non si sa mai, la baciai. Uno, due, diversi secondi finché non cominciai davvero ad avere un erezione. Mio dio, quanto avrei voluto una stanza, di qualunque genere… Ma ci trattenemmo entrambi, limitandoci a limonare lì. Nessuna parola o discorsetto d’amore.
I discorsetti rovinano sempre tutto.
La bocca dell’indiana era una ventosa, le lingue in lotta ingaggiavano uno scontro fantastico. Mi ricordava Spirale Ovale degli Articolo 31, avete presente, no? Avevo un erezione semplicemente enorme. Appena dietro la spalla dell’indiana vidi la stessa identica anziana signora che mi aveva tacitamente biasimato quando limonavo quasi allo stesso modo con Katherine. Sciolsi l’abbraccio per un istante. Dovevo fare una cosa.
-Perché ti fermi?-, chiese Maghera, leggermente imbronciata. Sorrisi.
-Mi piaceva ma c’&egrave una persona che ci guarda. Mi guardava anche quando ho abbracciato Katherine, era sempre lì. A biasimarmi in silenzio. Voglio capire perché.-, dissi.
-&egrave così importante?-, nel tono dell’Indù c’era che comprensione anche se una punta di perplessità era comprensibile. D’altronde la curiosità sul suo volto si leggeva.
-Sì, perché ora capisco che soffre. Più di quanto ammetta con chiunque.-, dissi.
Maghera sorrise. ‘Vengo anche io.-, disse.

La vecchia rimase stupita. Era sulla settantina e camminava parecchio lenta. Indossava un dei pantaloni che dovevano avere almeno metà della sua età e un maglione. Le scarpe erano belle ma scolorite e nei suoi occhi vedevo qualcosa che pareva rabbia, disgusto ma anche sofferenza.
-Non ho nulla da dire.-, disse la vecchia vedendoci arrivare.
-Ma io desidero scusarmi. Probabilmente la stiamo urtando.-, dissi.
-L’altra volta mi urtavi. Ora il tuo comportamento mi &egrave indifferente.-, disse lei. Mentiva.
-I suoi occhi dicono il contrario.-, osservò Maghera pacatamente.
-Io’-, s’interruppe. Prese fiato e alla fine lo ammise.
-Io ho perso mio marito in questo posto. Ci torno e ci ritorno solo per vedere giovani come voi che continuano ad abbracciarsi, a baciarsi. Non lo sopporto ma non posso andarmene. Non ci riesco.-, dall’occhio della vecchia cadde una lacrima muta.
Capivo. E anche la mia compagna capiva. Capivamo che l’anziana era inchiodata dal passato e tormentata dal presente. Annuì, serissimo.
-Capisco. So quanto &egrave dura lasciare andare il passato ma bisogna riuscirci o finirà per divorarci.-, dissi.
-Il mio passato mi ha già divorata. Quel che vedete voi &egrave solo uno scheletro, un rimasuglio della donna che ero.-, disse lei, -Non ho più nulla da perdere o da guadagnare. Passo i giorni a casa nella solitudine, i miei figli sono emigrati, i miei nipoti non mi conoscono, non ho nessuno’-, la voce le sì spezzò.
Maghera le prese la mano, dolcemente. Sapeva bene cosa volesse dire essere sola.
-Non &egrave vero. Ha noi.-, disse, -Torneremo. Andremo con lei a fare passeggiate, a vedere luoghi, a vivere.-, sembrava cambiata.
-Io’-, l’anziana era sull’orlo delle lacrime ma ora erano di gioia.
-Venga.-, dissi prendendola per mano, -prendiamo qualcosa da bere.-.
Offrii un caff&egrave all’anziana prendendo un bicchier d’acqua e un succo d’arancia per l’indiana. Bevemmo in silenzio quasi religioso, infranto dai passi e dagli annunci. Pagai per tutti. Una domanda mi sorse improvvisa.
-Per arrivare fin qui ci vuole un biglietto. Lei ne ha sicuramente uno. Per dove?-, chiesi.
-Sicilia.-, disse la vecchia estraendo un biglietto.
-Ci vada.-, dissi, sorridendo per incoraggiarla. Sapevo che era la cosa giusta.
-Cosa?-, chiese lei, -Sono vecchia, stanca, non ho bagagli’-, disse.
-Ma vuole vivere. Tenga.-, dissi dandole 300 euro che avevo tenuto da parte, -Si faccia una vacanza.-.
L’anziana li prese dopo un paio di proteste timide. Ci guardò.
-Dio vi benedica.-, disse con un vero sorriso, un sorriso pieno e gioioso che sbocciò sul sul volto rugoso prima che gli altoparlanti la chiamassero a un gate vicino.

-Hai fatto una cosa buona.-, disse Maghera.
-Era la cosa giusta da fare.-, dissi io.
-Non tutti l’avrebbero fatta.-,disse lei.
-Vero.-, dissi io cercando di non farmi prendere dall’orgoglio. La baciai lievemente per riuscire a mitigare la sensazione che avevo di avere fatto qualcosa di veramente eccezionale. Il mio primo nemico era sempre stato l’orgoglio. Avevo imparato a starci lontano. L’orgoglio può indurre in errore. In migliaia di modi.
-Spero solo che quei soldi non ci servano.-, disse Maghera con un sorrisone.
In quel preciso momento fummo chiamati al gate e ci fu necessaria una lieve corsa per arrivarci.

L’interno dell’Aereo della Delta Airlines era esattamente come immaginavo: pulito e trasandato ad un tempo. Intendiamoci, non era sporco ma l’usura sulle riviste e sui sedili dava l’idea che l’aereo avesse visto parecchi viaggi. Per un istante mi augurai che quello non fosse l’ultimo’
Seduti ai nostri posti, attendevamo il decollo. La Hostess della compagnia ci spiegò in ben tre lingue (italiano, Inglese e Tedesco ) le procedure d’emergenza e le misure da attuare per il viaggio. Cose che io già sapevo. E a giudicare dall’espressione, a Maghera ci volle meno di un minuto per capire tutto quanto. Ci guardammo, entrambi consapevoli del pensiero che stava attraversandoci il cervello.
-Tempo perso.-, sussurrai.
Lei sorrise. ‘Già. Lo useresti in altri modi?-, chiese mentre la Hostess spiegava in inglese.
Sorrisi come sapevo fare solo io, in quel modo furbo, dolce e grottesco ad un tempo. ‘Chiaro che sì.-, sussurrai.
-Mmmm.-, fece lei pensierosa e maliziosa allo stesso tempo. Solo il sentire quel suono che vibrava di desiderio me lo fece rizzare. Era un vero peccato che oltre a noi ci fossero una quantità enorme di persone. Sebbene a volte abbia sperimentato qualche esperienza simile al voyeur non ero assolutamente desideroso di coinvolgere un intero aereo nelle nostre acrobazie amorose.
Inutile dire che attendere era una tortura.

D’un tratto Maghera mi batté sulla spalla.
-Ho un idea.-, disse con un sorriso malizioso.
-Ti ascolto.-, dissi. L’erezione mi faceva quasi male.
-I gabinetti.-, disse lei. Compresi al volo: Gli ingressi alle toilette erano parzialmente occultati. Nessuno ci avrebbe visti ma sicuramente avremmo dovuto fare in fretta. Inoltre non avremmo potuto alzarci mentre un’hostess filippina di vent’anni o poco più stava ancora spiegando determinate cose riguardanti le procedure di sicurezza.

Attesi. Per dio, l’attesa davanti a cose del genere &egrave sempre, sempre stata una sorta di braccio di ferro col destino. In verità in quei momenti di solito sapevo attendere ma aspettare il momento giusto con la tipa dei miei sogni accanto, il pene che sembra un pilastro del Partenone e un’hostess che sembra non smettere mai di parlare nonostante la pessima pronuncia del tedesco storpiata dall’accento filippino era una vera tortura. Mi imposi il silenzio, ascoltando il respiro. Dentro fuori, dentro e fuori. Ancora e ancora.

Finalmente la filippina smise di spiegare e si defilò. Io e l’indiana attendemmo qualche altro istante, l’aereo iniziò le procedure di decollo. Quando ci stabilizzammo a una quota ottimale. finalmente ci lasciammo alle spalle l’Italia e la prudenza.

Maghera fu la prima ad alzarsi. Lo fece lentamente, con la grazia di una regina e la leggiadria di una farfalla. Si diresse verso le toilette con passo fermo. La seguii poco dopo col membro rigido come un pilastro in marmo bianco.
Ora, i gabinetti degli aerei sono piccoli, spesso e volentieri estremamente scomodi e sebbene progettati per essere ergonomici, tendono anche all’essere essenziali, due cose che in genere contrastano.

In quel momento non ce ne fregava nulla.

Semplicemente bussai giusto una volta alla porta. Fortunatamente avevo indovinato il gabinetto. Maghera mi aprì e, appena fui dentro richiuse la porta senza fare il benché minimo rumore.
Neanche un secondo dopo eravamo già avvinghiati a spogliarci di tutti gli strati di tessuto che ci impedivano di copulare degnamente. Il sarì dell’indiana era tenuto alzato mentre le davo piacere con lingua e dita. I gemiti della giovane erano a stento contenuti. Ma non mi sembrava affatto giusto che godesse solo lei’
Smisi quindi di leccare, penetrare e succhiarle la yoni per poi alzarmi e baciarla. Lei mi leccò le labbra pregne dei suoi succhi. Gemette quando le strinsi un seno. Ci staccammo e senza bisogno di incitamenti, la mano dell’indù si avvolse attorno al mio pene ipereccitato, iniziando a segarmi. Lentamente scopriva e ricopriva il mio glande mentre io le infilavo due dita nella fica bruna e glabra. I nostri gemiti si fondevano, interrotti solo dai nostri baci.
Le mie dita erano come pistoni, facevano insistentemente avanti e indietro nell’intimità ormai fradicia di Maghera, che ricambiava segandomi con ammirevole maestria. Andavamo allo stesso ritmo e se uno di noi cambiava, l’altro si adattava. Avremmo potuto continuare in eterno ma sapevo bene che presto o tardi qualcuno avrebbe incominciato a sospettare.

Aumentammo il ritmo, cercando di avvicinarci il più possibile. D’un tratto abbandonai ogni cautela e sollevai l’indiana di peso, impalandola sul mio membro.
La giovane emise un gemito compiaciuto, primo di una serie che soffocai baciandola. Imposi il ritmo. Lei mi piantò le unghie nella schiena dopo avermi sollevato la maglietta. Eravamo scatenati, le nostre bocche si cercavano, le lingue mulinavano senza controllo.

Stavamo per concludere ma proprio in quel momento, sentimmo bussare. Subito dopo la dannatissima hostess filippina (o per meglio dire la sua voce) ci rovinò quel momento d’estasi pura.
-Va tutto bene.-, rispose Maghera.

Ci rivestimmo lentamente, aspettando di sentire il rumore dei tacchi della donna che si affievoliva sino a sparire prima di uscire. Prima io, e dopo qualche minuto anche la mia compagna.

Nonostante tutto non ero insoddisfatto, anche se ero ancora una sbarra di ferro. Una volta in hotel avremmo potuto concludere.
Infine arrivammo finalmente all’aeroporto. i’IGIA (In inglese era Indira Gandhi International Airport. Evidentemente a dispetto delle sue azioni contro i Sikh Indira Gandhi era ancora onorata, anche dopo essere morta)., Eravamo arrivati. Scendendo dall’aereo fummo accolti da un caldo torrido.
Beh, eravamo in oriente, in un paese noto per il caldo ed era anche la stagione giusta’ Per fortuna il nostro abbigliamento era adeguato. Notai che la mia compagna aveva lo sguardo distante, appariva come pensierosa.
-Che hai?-, le chiesi preoccupato.
-Ero stata in India quando avevo quattro anni. A questo stesso aeroporto. &egrave strano essere ancora qui.-, disse lei.
-E ti preoccupa?-, chiesi.
-No. Con te nulla mi preoccupa.-, disse baciandomi.
Era una di quelle frasi da film che trovavo esagerate ma in bocca a quella giovane indiana assumeva tutta un’altra prospettiva’
E comunque in quel momento avevo pensieri più impellenti, come la sua lingua nella mia bocca.

Chiaramente smettemmo e chiamammo un taxi prima di attirare troppo l’attenzione. In quei paesi atti del genere sono spesso visti male. Non &egrave dovuto a convinzioni religiose ma a un senso del pudore che spesso &egrave assente in occidente.
Forse &egrave una visione repressiva ma bisogna anche considerare che l’India vive a metà nel presente e a metà nel passato. Senza soluzione di continuità. Il risultato era che c’erano città con usi e costumi occidentali e un modo di pensare e di comportarsi (nel privato) che affondava le radici nell’India antica.

Era ed &egrave questo a piacermi dell’India. Dove altri trovi un simile legame col passato, con quello che realmente una nazione &egrave? Con la sua storia e il suo vero essere?
Dove trovi una simile spiritualità, una visione tanto profonda e allo stesso semplice della vita?
Dove altri il sesso può essere usato come mezzo per l’unione con il divino?
Solo lì. In India.

Il taxi era caldissimo. Persino il tenere i finestrini totalmente abbassati non ci preservava dal calore all’interno di quella trappola di acciaio e pelle.
Sentii i vestiti appiccicarmisi addosso mentre il traffico non accennava a divenire più scorrevole. Il tassista dalla pelle scura quanto quella di Maghera sorrise.
-In India &egrave normale, ci rimetteremo in marcia subito!-, disse con un tono degno del miglior demagogo di sempre.
Peccato che sapevamo tutti che da lì in meno di due ore non ci saremmo mossi.
Il tassista iniziò a parlare dell’India come del paese dell’amore con la ‘A’ maiuscola. Nel suo inglese approssimativo stava parlando di quanto fosse romantica Delhi e di tutti i luoghi che una coppia deve visitare. Si raccomandò persino di parlarci di alcuni santoni che sapevano dire se la coppia avrebbe avuto un rapporto felice e duraturo.
Io sorrisi dicendogli che non credevo a quelle molto a quelle cose. Facendosi serio lui si mise a parlare di sua moglie, di uno di questi santoni e di come averlo incontrato gli avesse permesso di conosce la donna della sua vita. Il traffico non accennava a muoversi, era un’ora e mezza circa che eravamo bloccati lì’
Maghera sospirò decise di prendere le redini della situazione. Chiese al Tassista come si chiamasse. Così, tanto per interrompere quel flusso di ovvietà pseudo-pubblicitarie.
Il tassista si presentò. Riconoscendo nella giovane una connazionale chiese se parli Hindi. Maghera abbozzò qualche frase di una conversazione in cui capii quasi subito, non era ferrata. Gli anni lontani dall’India le hanno tolto la possibilità di approfondire le sue capacità in quella lingua. Comunque era decisamente messa meglio di me, in tal senso.

Il traffico riprese miracolosamente a muoversi. Lentamente, a scatti ma finalmente ci muovevamo!
Passarono altre due ore prima che potessimo muoverci a velocità normale e senza soluzione di continuità e un’altra ora e mezza prima che arrivassimo all’Hotel.
Pagai il tassista. Aggiunsi un extra per non averci fatti uscire di strada nell’ultimo tratto, durante il quale aveva guidato come uno dei protagonisti di Fast and Furious’ Quello si intascò le rupie con un sorriso cariato. Scaricammo i bagagli ed entrammo.

L’Hotel era semplicemente stupendo. Aveva un nome occidentale, si chiamava Paradise. Era un cinque stelle e quando dissi il mio cognome trovai la conferma del fatto che mio fratello avesse già pagato tutto quanto. Quell’edificio era stato costruito con i materiali più moderni ma il risultato architettonico era di fine Ottocento. Semplicemente fantastico. Da fuori.
Dentro era incredibilmente moderno, pur mantenendo un’associazione notevole con quel che era fuori, il Paradise era dotato di ogni possibile comodità. Piscina, sauna, solarium, centro massaggi, una sala giochi e persino un casinò. Il tizio alla receptionist ci accolse in un ottimo inglese. Era un uomo di mezz’età dalla pelle chiara, occhi neri come pece e capelli scuri. Dopo averci accolti e avergli detto della nostra prenotazione, ci dirottò verso una giovane. Capelli neri, occhi chiari, la carnagione scura quasi quanto quella della mia compagna, la giovane ci portò a fare un giro dell’Hotel, spiegandoci tutto quanto nel dettaglio. Ci disse che la piscina era agibile dalle sei antimeridiane sino alle dieci di sera così come la sauna che però restava aperta sino alle 2 di mattina. Inoltre solarium e centro massaggi erano agibili dalle 9.00 alle 03.00, ecc ecc.
Comunque la nostra attenzione era focalizzata su altro e quando fummo accompagnati alla nostra camera, la 503 al quinto piano, ci limitammo a ringraziare. Una delle cose che mi sorprese fu l’estrema padronanza dell’inglese da parte di Maghera.
Un’altra cosa che non potei fare a meno di notare fu lo sguardo di fuoco con cui la ragazza ci guardò mentre diceva che sarebbe stata a nostra disposizione per (e sono parole sue) qualsiasi nostra necessità. Chiaramente era rimasta affascinata da qualcuno di noi due o forse da entrambi.
Curioso, ma come avevo detto in quel momento entrambi avevamo altro in mente. Qualcosa che avevamo lasciato in sospeso’

Ci prendemmo qualche minuto per esplorare la stanza. &egrave davvero impressionante: letto matrimoniale king-size, una televisione alla parete con almeno settanta canali, un bagno con una vasca da bagno con idromassaggio bella grande e una confezione di Sali da bagno mai visti’
E un biglietto di mio fratello che mi augurava ancora un futuro felice. Sorrisi, era davvero tutto bellissimo. Maghera si guardava attorno con meraviglia.
-Tuo fratello avrà pagato un casino per tutto questo.-, disse.
-Già, &egrave molto probabile.-, dissi io. Mi avvicinai sino a baciarla. Le nostre bocche si unirono per uno due, tre minuti, poi si staccarono.
-Allora forse dovremmo sfruttare appieno questo suo dono’-, disse lei, allusiva da morire. Non che mi servissero incitamenti. Semplicemente ci avvicinammo leggeri come pensieri e avvinti da qualcosa che sfidava qualsiasi ostacolo. Ci baciammo di nuovo. Stavolta fu più lento e in un certo senso più animale. Ci mordemmo le labbra con le lingue che s’intrecciavano, le mani frementi che accarezzavano, prima sopra e poi attraverso i vestiti. Avevamo da concludere quanto iniziato in aereo.

I vestiti presero a cadere. Lentamente. Senza fretta. Avevamo tutto il tempo e avevo tutta l’intenzione di trattenermi. Volevo che durasse. Lo volevamo entrambi. La spogliai mentre lei mi spogliava a sua volta. Una volta nudi, passammo qualche istante a contemplarci.
-Non avrei mai creduto di poter vedere un simile giorno’-, disse. Era commossa.
-Neanche io.-, dissi. Ed era vero. Fino ad allora avevo avuto una vita ben diversa, piani ben differenti, scelte totalmente diverse da quelle operate.
Ma la vita spesso non segue i nostri piani.
E ne ero anche felice: se avesse seguito i miei piani non avrei mai incontrato quella ragazza, non ci saremmo conosciuti, non ci saremmo amati, non saremmo qui.

Cosa chiedere di più?

Ci avvicinammo. Sentivo i suoi seni contro il mio petto. I nostri respiri si fondevano nell’aria. Potevo sentire il battito del suo cuore all’unisono col mio, i nostri sessi si sfioravano. Ci fissammo, come a tentare di perderci nei rispettivi sguardi.
I suoi occhi erano pozzi ma nella loro oscurità brillava una luce inestinguibile. Ero certo che lei avesse visto la stessa cosa nei miei.

Poi ci baciammo. Stavolta non fu programmato, semplicemente uno di noi, o entrambi, cedette all’urgenza di saziare il bisogno di unirci fin nell’anima. E chi ero io per deludere o trattenere un simile desiderio?

Il nostro bacio non era tenero, non era semplice o bello. Non era romantico o poetico.
Era animalesco, feroce. Sembrava più un volersi mangiare, un tentativo di nutrirsi del partner. Un osservatore esterno ci avrebbe paragonati a delle mantidi religiose in accoppiamento. Invece eravamo l’esatto opposto. C’era ben più rispetto tra noi di quanto ce ne fosse nelle coppiette si coccolavano tra le lenzuola. Forse era proprio questo: forse a tradire le aspettative di un matrimonio felice era il volere una storia da fiaba, con un amore invincibile, un principe azzurro nobile d’animo e una principessa bella, innamorata e fedele.
Falsità.
Nessun rapporto per perfetto che possa essere
inizialmente rimane tale. Nessuna storia ha un lieto fine. Nessun matrimonio &egrave indistruttibile o perfetto. Tutto cambia, tutti cambiano, ogni essere a questo mondo lo sa in cuor suo ma nessuno vuole ammetterlo perché implicherebbe ammettere che non abbiamo nessun o poco controllo sulla nostra vita.

Sorrisi accarezzando la giovane.

Noi eravamo arrivati fin lì proprio grazie ai nostri difetti. Dal nostro matrimonio in poi ne avevamo parlato seriamente. Avevamo determinato l’importanza di essere onesti tra noi e con noi stessi, indipendentemente da quanto brutte potessero essere le cose che avremmo dovuto dirci.
Eppure, mentre il nostro bacio proseguiva, la nostra danza d’amore prendeva velocità e ci avvicinava al letto, pensai che erano i momenti come questi quelli che volevo ricordare, che volevo portare con me a vita. C’erano stati momenti tristi ma erano alle spalle, finalmente. Impossibili da scordare ma ormai non più in grado di nuocerci.

Cademmo sul letto king-size. Maghera gemette quando abbandonai la sua bocca per dedicarmi prima al suo collo magnifico, poi ai suoi seni. Le nostre mani erano altrettanto indaffarate: le mie stavano accarezzando i seni e l’addome dell’indiana mentre le sue mi graffiavano sensualmente il petto.
Iniziammo ad avvinghiarci. Ci imponemmo un ritmo lento. Non volevo che finisse troppo in fretta. Avevamo tutta la notte ed eravamo in India. Era un sogno e doveva durare.
L’Indù mi scivolò addosso come un sudario in un sensuale movimento che divenne come la risacca di un mare cristallino. Nel passare sul mio corpo le sue mani accarezzavano e vezzeggiavano tutto quel che trovavano interessante. Quando arrivò al mio pene, rigido, si fermò. Lo fissò per qualche istante.
Poi iniziò a toccarmelo.

Chiamarla ‘sega’ o in qualunque altro modo noto sarebbe stato un gigantesco insulto alla abilità di quella ragazza. La manipolazione del mio sesso da parte sua fu un atto che avrebbe meritato di finire nel Kamasutra o di essere filmata e documentata in qualche modo, così da poter divenire patrimonio dell’Umanità. In pratica lei partendo dai miei testicoli esplorò tutta l’asta. Con le dita premeva, sfregava, strusciava, esplorava, faceva il solletico e dei lievi grattini e con la bocca succhiava, baciava e gustava. Mi lanciò un sorriso mentre accarezzava il glande. Era semplicemente eccezionale e non potei trattenere un’espressione di puro godimento. Era bravissima, non c’era nient’altro da dire. Trasformò la manipolazione in un pompino. Sentii che era semplicemente epico. Su e giù, con la lingua che leccava come se il mio membro fosse un cono gelato.

Ero prossimo a godere e il fatto di aver sfiorato l’orgasmo su quel dannato aereo non mi aiutava di certo. Maghera sorrise mentre fermandosi mi stringeva la base del pene, salvandomi dal venire troppo presto.
-Non ho nessunissima intenzione di sprecarti.-, disse con un cipiglio divertito.
-Nemmeno io.-, dissi io mentre recitavo mentalmente il mantra. Col tempo la nostra conoscenza delle discipline amatorie orientali era aumentata. Nuove posizioni e nuovi modi di dare e ricevere piacere erano solo l’inizio. La verità era che avevamo compreso che la regola dei sessanta minuti che c’imponevamo all’inizio, ora non era più necessaria.
A patto di mantenere un certo controllo potevamo andare avanti per tutta la notte senza pause di sorta!
Quel che rendeva bello il sesso con Maghera era anche un’altra cosa: lei era perfettamente in grado di contenersi così come di lasciarsi andare ai suoi desideri più selvaggi.

Chiaramente ora però volevo ricompensarla. Lei si stese sulla schiena. Aspettando.
Che era eccitata si vedeva: aveva i capezzoli ritti come punte di matita. Nella stanza illuminata appena appena quello era uno dei dettagli più erotici presenti. In verità tutto il suo modo di fare sesso era eccezionale. Le pose, gli odori, i sapori’ sembrava nata per il sesso. Anche in quel momento che era distesa supina sul letto, sprizzava sensualità da tutto il corpo.
E quella notte ero più che deciso a farle adempiere il suo scopo’

Le misi una mano sul petto, come per bloccarla sul letto. Come un predatore. In realtà i miei occhi mostravano un affetto incondizionato e una lussuria incontenibile che ovviamente non mi fermò dal baciarle prima le labbra. Poi il collo, la gola, i seni, lo stomaco e infine la vulva. La vulva dell’indiana era come una rosa. Un fiore che volevo assaporare con ogni senso. Un fiore che volevo cogliere ad ogni costo.
Iniziai a baciarle le cosce all’interno, salendo molto lentamente. Volevo mostrarle che non era l’unica in grado di sbizzarrirsi. Quando, con piccoli colpi di lingua iniziai a gustare le sue grandi labbra, l’indù gemette.
Iniziai a leccarle le grandi labbra con metodo, prima di andare più a fondo.
Maghera gemette quando la mia lingua prese a dardeggiare sulle sue piccole labbra, poi sul clitoride e infine dentro alla sua intimità rosata. Alternai leccate dell’insieme a piccoli baci sul clito. Una mano dell’indiana spinse la mia testa verso la sua vulva, sempre più in profondità, quasi volesse infilarmi la testa dentro di sé.

Una parte di me era già dentro di lei e si sforzava di fare del suo meglio per gratificarla. La mia lingua vorticava, penetrava e dardeggiava nella yoni bruna fuori ma rosata dentro.
L’indù impazzì. Iniziò a gemere, contorcendosi sul letto, afferrando spasmodicamente le lenzuola con la mano libera mentre ancora mi spingeva contro la sua fica bagnata. Non volevo che venisse subito e mi staccai appena ne ebbi occasione. Anche se colsi un lampo di delusione nei suoi occhi sapevo che avrebbe capito. Infatti sorrise dopo qualche istante di puro e semplice autocontrollo.
-Vedo che entrambi vogliamo la stessa cosa!-, esclamò con un sorriso. Sorrisi anche io.

Sapevo bene che non c’era bisogno di risposta. Entrambi volevamo scopare, avevamo bisogno di portare il sesso all’estremo, fino a fonderci. Ci era necessario come l’aria che respiravamo.
Semplicemente mi misi sopra di lei. Non dovetti neppure spingere: la mia lingua l’aveva preparata a dovere, semplicemente il mio membro le scivolò dentro. Maghera gemette con me in quell’istante di pura unione. Fremevamo entrambi di eccitazione mentre le entravo dentro più che potevo. Ero sopra di lei e la baciavo, accarezzavo e penetravo mentre ci godevamo quell’istante.

Poi iniziammo a muoverci. Lentamente all’inizio. Poi sempre più freneticamente. Le bocche baciavano, leccavano e mordevano, le mani graffiavano, afferravano, carezzavano. Gli occhi brillavano di lussuria pura. Lasciarsi andare all’orgasmo sarebbe stato facilissimo.
Ma entrambi sapevamo quando fermarci. Ad un certo punto lei si svicolò e recitò, ansimante il mantra del controllo. Iniziai a recitarlo anche io, cercando disperatamente di controllarmi, aiutandomi con alcuni esercizi che gli antichi taoisti suggerivano in quell’ambito. Ci riuscii.
Recuperata una parvenza di respiro decente, guardai l’orologio. Le 23.40. Era già sull’ora indiana.
-E ora?-, chiesi.
Lei mi guardò con uno sguardo interrogativo.
-Vogliamo rifarlo qui?-, chiesi, -Abbiamo molti altri posti a disposizione.-.
Lei si stiracchiò, come per rilassarsi. Sembrò pensierosa un istante. Poi, improvvisamente sorrise.
-Cos’hai in mente?-, chiese.

Avvolti negli accappatoi eravamo arrivati sino alla sauna. Bella, una pavimentazione pregiata da fare invidia alle terme di Caracalla (quando erano all’apice dello splendore). Deponemmo gli asciugamani su una panca ed entrammo nella sauna.
Completamente nudi.

Scivolammo nella sauna e ci facemmo avvolgere dal vapore. In breve tempo iniziammo a sudare come maiali (paragone azzeccatissimo per il momento visto l’altissimo tasso di erotismo percettibile nell’aria’). Rimanemmo lì seduti per un po’ a parlare delle possibili destinazioni da visitare successivamente, nel corso della nostra vacanza.
Entrambi volevamo visitare il Taj Mahal, celeberrimo mausoleo costruito da un re dell’India antica in celebrazione alla sua sposa defunta anzitempo, mio desiderio era di visitare il Tempio di Mahabodhi e lei desiderava vedere il Gange, il Grande Fiume ed entrambi ancora desideravamo vedere i Templi di Khajuraho. Per la prima volta vedevo la giovane sorridere davvero. Era felice. Non solo per l’essere con me ma anche perché vedeva altre persone, seppure finora non ne avesse viste molte. Era viva, più di quanto lo fosse stata negli ultimi tempi. E questo mi rendeva felice.

La temperatura stava raggiungendo livelli parecchio alti e l’eccitazione stava tornando a farsi sentire. Presi la doccia, selezionando l’acqua fredda. Il getto scaturì inondandomi i piedi ma non mi bastava. Volevo raffreddarmi ma Maghera me la tolse di mano con un sorriso birichino. Provocatoriamente si bagnò con la doccia. L’acqua prese a scorrere sul suo corpo lucido. Sapendo bene dell’effetto che mi faceva iniziò, molto lentamente a toccarsi. Gemette con voce roca quando si penetrò con un dito.

-Sai che effetto mi fai’-, sussurrai toccandomi. Avevo un erezione gigantesca. Lei per risposta si penetrò più a fondo, gemendo senza ritegno. Mi avvicinai di un passo.
-Certo che lo so’-, disse lei fermandosi e guardandomi con vera e propria lussuria. Era talmente eccitata che ansimava a un passo dall’orgasmo ma si era fermata in tempo. Come sempre.
-E so anche che qualcuno qui non ce la fa quasi più.-, sorrise prendendomi il pene con una mano e tirandomi come un cane al guinzaglio sino alla vasca d’acqua fredda. Fui a un istante dalla venuta più grossa della mia vita ma riuscii a trattenermi, complice anche l’acqua fredda. Ci restammo solo pochi istanti, poiché subito ci spostammo in una più confortevole vasca tiepida, un idromassaggio.
Ci entrammo con calma ma la verità era che volevo scoparla a sangue e al più presto. Anche lei lo voleva. Inutile negarlo: eravamo due nerd del sesso. Quella era la fase critica: l’eruzione, il momento in cui tutto il desiderio viene fuori in un colpo solo. Se la persona oggetto di tale desiderio non fosse più che conscia dello stato in cui versa il partner, probabilmente si preoccuperebbe (forse si spaventerebbe persino).

Nel caso specifico, sia io che Maghera sapevamo bene in che stato eravamo’

Tuttavia tentammo di non saltarci addosso, sottolineo tentammo perché quando entrammo nella vasca fu un’impresa controllarsi. Tuttavia non volevo crollare proprio adesso. Lei mi aveva torturato, ora toccava a me.
-Beh? Non vuoi concludere?-, chiese lei prendendomi il membro e sedendosi sulle mie gambe.
-Non qui.-, dissi io.
-Dove?-, chiese lei stizzita. Inconsciamente o forse per sfogare l’irritazione mi strizzò il pene con la mano.
-Sopra.-, dissi io senza cambiare espressione di una virgola.

Senza una parola, lei si alzò e andò a prendere gli accappatoi e ci rivestimmo, riprendemmo le ciabatte e fummo pronti. Sapevo che era presa male ma che diavolo! Il nostro rapporto senza quei punzecchiamenti reciproci ci avrebbe perso tantissimo. Erano cose come quelle a rendere così bella la nostra unione.

Naturalmente non durammo così tanto: avrei veramente voluto fargliela sudare fino all’ultimo quell’esplosione di godimento prossima ad deflagrare ma la verità era che anche io ormai ero ben oltre il controllo. Arrivati agli ascensori e con le ciabatte ai piedi avevo un erezione che sfondava l’accappatoio. Per fortuna i corridoi erano deserti. Pigiai il pulsante del piano e l’ascensore iniziò a salire lentamente. Maghera sembrava prossima al violentarmi almeno a giudicare dagli sguardi che mi lanciava, giocava nervosamente con la chiave della camera. La faceva girare sul palmo, la passava da una mano all’altra e probabilmente stava anche pensando di infilarsela nella vulva.

Senonché le chiavi le caddero.

L’indiana si chinò in avanti per prenderle. Praticamente era a 90′ appoggiata a una parete dell’ascensore. L’accappatoio le si aprì sul davanti. Dalla mia posizione vedevo tutto.

Era una posa da stupro.

E io non potevo esimermi dallo sfruttarla.

Semplicemente arrivai dietro l’Indù e rapidissimo le sollevai l’accappatoio. Prima ancora che potesse anche solo pensare a quel che stava accadendo ero già dietro di lei e pochi istanti dopo, dentro di lei.
Iniziai a pomparla con ampi colpi di reni. Lei mugolava con frasi sconnesse, totalmente e assolutamente asservita alla sua libido.
‘Così! Così!’, gemeva, ormai praticamente schiacciata contro la parete mentre entravo e uscivo dalla sua yoni. Mi fermai il tempo necessario a toglierle l’accappatoio e togliermi il mio.
Nudi e su un ascensore in salita, scopavamo come animali. Cambiammo spesso posizione pur restando sempre vigili. La verità era che rischiavamo anche parecchio se ci avessero beccati. Quando la cabina arrivò al nostro piano ero leggermente impensierito dalla possibilità che qualcuno ci cogliesse sul fatto.

Ma quando le porte si aprirono davanti a noi c’era solo il corridoio.
Nonostante ciò sapevamo entrambi che non saremmo arrivati fino in camera’
Quindi semplicemente trascinai l’indiana nell’ascensore e iniziammo a baciarci a ridosso di una parete. Nessuno di noi due voleva più trattenersi e d’altronde anche le antiche tecniche sessuali indiane e cinesi rivelano che se trattenuto troppo, l’orgasmo può danneggiare l’organismo.
Non volendo rischiare, penetrai Maghera mentre lei si inerpicava su di me. L’indiana mugolò e prese ad alzarsi ed abbassarsi stabilendo il ritmo, graffiandomi la schiena con le unghie e stringendomi a sé con le gambe. Baci selvaggi e morsi erano la regola, non l’eccezione. Martoriai i seni dell’indù con morsi e baci. Lei gemette selvaggiamente. Volevamo godere, SUBITO!

Chiudendo le porte dell’ascensore, Maghera si mise contro la parete. A 90′.

Meno di un secondo dopo la stavo già sodomizzando.
‘Mmmmmh godi!’, mi ordinò mentre le entravo dentro il culo. Per non essere troppo di parte avevo anche iniziato a masturbarla con l’altra mano. Ma mi ero presto reso conto che ciò non era necessario: l’indiana era bagnatissima. Probabilmente stava pure per godere. Infatti poco dopo mi fermò, si tolse il mio pene dal sedere e si girò verso di me. Si sfiorò appena il clito’
Dalle labbra della vulva di Maghera scaturì un getto di liquido perlaceo. Innaffiò letteralmente il pavimento davanti a sé mentre gemeva ad occhi socchiusi.

Fu troppo: avanzai di un passo verso di lei ma non riuscii a trattenermi. Ogni tanto bisogna cadere. Venni con uno schizzo quasi verticale che la centrò al seno, all’ombelico e sul pube. Sorrisi. Sorrise anche lei. Non c’era bisogno di parlare.
Ma sicuramente ce ne fu molto di meno quando notai una piccola videocamera a muro installata nella parete dell’ascensore. Doveva aver ripreso tutto il nostro amplesso in HD.

Sperai soltanto che tutto quel materiale non finisse su Xvideos o Youporn.

E sperai che il direttore dell’Hotel non lo venisse mai a sapere. Rapidamente e cercando di mantenere un aria calma, baciai Maghera e andammo verso la nostra suite. Lei non sembrava aver notato la telecamera. Tanto meglio’
Il mio sonno, già lo sapevo, sarebbe stato agitato.

Per i successivi quattro giorni non accadde niente e io riuscii persino a rilassarmi. L’India che avevo sempre sognato, panorami che da sempre volevo vedere e la compagnia di Maghera resero il pensiero della telecamera un tenue spettro ai margini della mia consapevolezza.

Inoltre, con tutto quello che c’era da vedere, semplicemente non ebbi il tempo materiale di preoccuparmi di quella cosa.

Lentamente quel piccolo incidente scivolò nell’oblio.
Visitammo negozi tradizionali, osservammo gli indiani fare le abluzioni rituali nel Gange, prendemmo del vero t&egrave indiano e pianificammo la visita al Taj Mahal. E mangiammo, ovviamente! La cucina indiana ci stordì con il suo mix di sapori piccanti, dolci, agrodolci e salati. Più di una volta rischiai di prosciugare le riserve di acqua potabile della città, vantando una resistenza al piccante che alla fine scoprii di non possedere affatto. Comunque, pur essendo indiana di nascita, Maghera non sembrava abituata più di me a tali cibi. Solo i gamberi con salsa piccante quasi ci uccisero. Ci volle qualche sera per orientarci su piatti dal sapore più mite ma alla fine riuscimmo a stabilizzare il nostro rapporto con la cucina indiana. Dato che il più delle volte mangiavamo fuori dall’Hotel (che serviva praticamente solo piatti europei e buffet generici) e per giunta trascorrevamo parecchio tempo fuori durante ogni giornata non ebbi molte occasioni per capire se la questione della telecamera fosse chiusa e ovviamente non ero così stupido da fare domande di sorta. Sarebbe stato come fare autogol ai mondiali. Di confidare la cosa a Maghera non se ne parlava: era una vacanza e per la prima volta vedevo l’Indiana sorridere, parlare alla gente, persino fare passeggiate da sola. A tratti ci separavamo per poi ritrovarci in un punto deciso sul momento e lei tornava sempre con un sorriso enorme. Sapevo bene che non sarebbe durata in eterno ma per lo meno ora era felice (più di quanto l’avessi mai vista, o quasi) e dirle della telecamera avrebbe rovinato tutto.

Purtroppo, come ben sapevo e come immagino tutti sappiano, ignorare un problema non lo fa scomparire.

Il mio problema, in questo caso decise di ricomparire una sera. Erano passati ormai cinque giorni dall’amplesso in ascensore e ormai credevo che non ci sarebbero state conseguenze. Ma ovviamente la vita non andava sempre secondo i miei piani.
Le conseguenze, anzi, la conseguenza delle nostre azioni bussò alla porta alle 18.00 esatte, proprio dopo che entrambi avevamo fatto la doccia, ci eravamo rivestiti e ci stavamo godendo un po’ di sano relax sul letto. Era uno di quei rari momenti in cui non facevamo nulla, proprio nulla, se non perderci l’uno nell’altra. Il genere di momento che non amavo per niente vedere interrotto. Ovviamente quando sentii la voce della stessa giovane che ci aveva accolto al nostro arrivo la mia reazione mutò da irritazione a stupore.
‘Servizio in camera.’, disse in perfetto inglese.
Incuriosito, interrogai Maghera con uno sguardo. L’indù sembrava sorpresa quanto me.
‘Non abbiamo ordinato nulla.’, dissi io.
‘&egrave un omaggio.’, disse lei.

Sospirai e aprii la porta. Vestita di un abito formale che non ne celava la bellezza e con una cartelletta in mano, l’indiana entrò.
‘L’Hotel Paradise &egrave lieto di presentarvi il menù speciale di oggi.’, disse porgendoci la mappetta. La aprì. Maghera, che stava guardando con me quell’inaspettata sorpresa, deglutì.
Sotto un menù scritto in lingua inglese per la comodità degli ospiti c’era una foto. Si distingueva perfettamente l’interno dell’ascensore e, in mezzo a quest’ultimo, me e la mia compagna che fornicavamo come animali, distesi sul pavimento.
La foto successiva risaliva al finale della serata, con l’indù schiacciata contro la parete e avvinghiata a me come un cobra.
Ce n’erano altre ma non mi diedi la pena di guardarle. Preferii fissare in volto la giovane che ci aveva appena sconvolto le vacanze. Notai con la coda dell’occhio che Maghera stava facendo lo stesso. Valutai le opzioni: negare era impossibile, le foto mostravano chiaramente i nostri volti. Minacciare sarebbe stato controproducente e stupido. In quel caso c’era solo una cosa che potevo fare. Probabilmente c’era almeno una ragione se era venuta da noi da sola.
‘Se avessi fatto il tuo lavoro seriamente ora saremmo in guai ben più grossi. Questo vuol dire che tu vuoi qualcosa da noi. La domanda &egrave: cosa?’, chiese Maghera anticipandomi di un secondo dal parlare. Il suo tono era spaventosamente duro.
Attesi la risposta. Non che ci fosse molto altro che potessi fare’
‘Una mancia, di almeno duemila rupie. Per cominciare.’, disse lei.
Duemila rupie. Non erano quel grande sacrificio. Annuii, sapendo bene che c’era dell’altro.
‘In più c’&egrave anche un’altra cosa.’, esordì lei. Per un istante mi chiesi se si vergognasse di quanto stava per chiedere. In ogni caso attendemmo. Che altro potevamo fare?
‘Voglio voi.’, disse lei. Io e Maghera eravamo basiti.
‘In che senso?’, chiese lei.
‘&egrave da quando siete arrivati che vi voglio”, mormorò la ricattatrice, sognante.
Ero semplicemente stupito. Insomma, quante possibilità c’erano?
Io e la mia compagnia ci scambiammo uno sguardo stranito. Stava davvero chiedendo quello che sembrava?!
‘Intendi dire”, cominciò Maghera avvicinandosi a me.
‘Intendo dire che voglio scopare con voi due.’, disse lei con semplicità.
‘Avete fino a domani per decidere. Tranquilli: mi rifarò viva io.’, concluse la ricattatrice uscendo con un sorriso e con il menu, lasciandoci le foto incriminanti, di cui doveva chiaramente avere una copia.

Riflettendoci a posteriori sembrerebbe facile scegliere e forse trovare delle alternative alle scelte più ovvie appariva ancora più facile. In verità non lo era per niente. Io e Maghera passammo diverso tempo a discutere, praticamente non uscimmo dalla camera per tutta la sera. La discussione fu parecchio difficile. Praticamente restammo seduti sul letto a parlare per ore dopo che l’infame se ne fu andata.
‘Cosa possiamo fare?’, chiesi io.
‘Non molto.’, ammise Maghera con aria meditabonda.
‘Abbiamo due possibilità: la prima &egrave piegarci alle sue richieste e la seconda &egrave abbandonare quest’hotel prima di domattina.’, dissi io.
‘Non possiamo ricattarla a nostra volta e in ogni caso saremmo fregati, ci tiene per le palle.’, dissi continuando il ragionamento mentre la mia compagna si sdraiava sul letto, cercando di rilassarsi.
Passammo qualche minuto a riflettere.
‘Potremmo provare a portarla in tribunale.’, proposi io ancora.
‘Negherebbe tutto. Le basterebbe far sparire le foto e inoltre non potremmo accusarla senza riconoscere l’esistenza dei fatti che lei usa per ricattarci.’, disse Maghera.
Eravamo in uno stallo. Ragionai freddamente, le soluzioni possibili erano solo due, due soltanto.
‘Dobbiamo scegliere, scegliere se vogliamo passare il resto della vacanza a cercarci un altro hotel o se invece piegarci a quella”, la mia compagna non trovava le parole.
‘Troia?’, tentai io con un sorriso stentato, tipico di quando sono serio ma voglio sdrammatizzare.
Lei sorrise. ‘Stavo per dire ‘iena’ ma immagino che anche ‘troia’ possa andare.’, disse infine. Tornammo seri dopo qualche istante.
‘Ricordi tutto il discorso sulla fedeltà?’, chiese improvvisamente l’indù. Annuii: era scolpito nella mia memoria. Era un discorso che avevamo affrontato poco tempo prima, iniziando con uno scambio di vedute e terminando con la consapevolezza di aver messo dei confini.
Confini che ora forse andavano riveduti.
‘Io non ho proprio nessunissima intenzione di rinunciare a questa vacanza per colpa di una troia ricattatrice.’, disse Maghera. Annuii: ero perfettamente d’accordo ma d’altronde vedevo l’idea di un orgia come un atto ingiusto nei confronti della mia compagna da un lato e qualcosa di molto eccitante nell’altro. Avevo scelto la fedeltà quando l’avevo sposata, l’avevo scelta nuovamente quando ne avevamo parlato. E ora quella scelta subiva un ennesima prova.
‘Quindi la nostra sola possibilità &egrave piegarci alle sue richieste.’, disse l’indiana.
‘E quindi stai dicendo che dovremmo farcela?’, chiesi in modo molto diretto.
‘La cosa ti disturba?’, domandò lei di rimando.
Ci riflettei per qualche istante e infine optai per la verità.
‘Sì e no.’, ammisi. Lo sguardo dell’indiana mi persuase a spiegarmi meglio’
‘Sì perché tu e io siamo’ non saprei neppure come descriverlo. Siamo legati, siamo più che legati e tu mi stai dicendo che desidereresti che lei entrasse nella nostra unione, anche se per poco. E la cosa mi fa’ strano. &egrave come se tu avessi una vasca da bagno privata e qualcuno ci entrasse. Capisci?’, chiesi.
‘Sì, vai avanti.’, disse lei, concentratissima.
‘E d’altro canto io sono pur sempre un uomo’ una cosa come questa’ Vedere due donne nello stesso letto, due bellissime donne’ insomma, mi eccita all’inverosimile. So che potrebbe sembrarti un po’ da maniaco”, cavolo mi stavo bloccando: confessare quanto volessi vederla lesbicare con un’altra mentre me la facevo era quantomeno difficile. Per un istante credetti che stesse per insultarmi, parte di me sapeva anche di meritarlo. Mi preparai psicologicamente a tutto ma sapevo bene che probabilmente stavo per mandare a quel paese tutto il rapporto che avevo con la mia compagna.
Passarono alcuni istanti che mi parvero lunghissimi. Poi, lentamente qualcosa cambiò. Fu come una vibrazione, una consapevolezza.
‘Ti fai troppi problemi.’, sussurrò l’Indù baciandomi.
Considerai il capitolo chiuso anche se mi rimanevano tante di quelle domande’ ma che diavolo: si vive una volta sola, no?

Non facemmo nulla quella sera, semplicemente attendemmo finché l’indomani, alle sei di sera precise, la nostra ricattatrice non si rifece viva. Indossava la solita mise dell’hotel, di classe senza apparire volgare, come il suo trucco. Stavolta si era presentata dicendo che c’era un evento particolare, una serata offerta dallo staff per gli ospiti dell’albergo. Ovviamente il suo scopo non era quello di illustrarci la serata.
‘Avete deciso?’, chiese senza mezzi termini. Ci guardava con quello sguardo soddisfatto, consapevole e fiduciosa che avremmo accettato le sue condizioni. Ero personalmente indeciso tra l’insultarla e l’annuire ma anche stare in silenzio mi sembrava una buona idea.
‘Naturalmente. Non ci hai lasciato molta scelta.’, disse Maghera. La sua voce era tagliente come una lama. Era evidente che non le piaceva essere il giocattolo di qualcuno. Comunque il sorriso dell’altra non si increspò di un millimetro.
‘No, non l’ho fatto. Comunque sono di parola: i filmati sono già stati distrutti e una volta finito avrete le foto. Dopo avermi dato i soldi e dopo avermi fatto godere.’, la sua volontà era forte tanto quanto la nostra. Per un istante mi chiesi cos’altro ci fosse sotto tutto quanto.
‘Beh, penso sia inutile ritardare oltre.’, disse la Iena con un sorriso, ‘Vi aspetto alla sauna alle 22.00. Non tardate e siate sexy!’. Uscì senza neppure dirci come si chiamasse mentre io e la mia compagna restavamo inebetiti. Ci fissammo per un lungo istante.

Capii che poteva essere l’ultimo istante che ci fissavamo. L’ultima volta che ci osservavamo fino a scrutarci l’anima in un rituale che apparteneva solo a noi. Lo sapevo come lo sapeva anche Maghera. Ci fissammo, precipitando l’uno nell’altra per un tempo che parve infinito, un momento di muta comunione d’amore. Non le avevo mai detto che ci saremmo amati per sempre: tutte le coppie dicono così e tutte falliscono nell’intento. Sapevamo che prima o dopo sarebbe potuto finire, che tutto quello che avevamo era quel momento, il presente. Lo assaporammo appieno, senza parlare. Un lunghissimo istante. Poi, con grande lentezza e dignità ci preparammo ad andare incontro al nostro destino, qualunque esso fosse.

La sauna era un universo oscuro. A quell’ora non c’era mai nessuno e l’illuminazione veniva abbassata leggermente per garantire un risparmio energetico in caso di black out. Questo e il contesto nel quale mi trovavo facevano sembrare la sauna qualcosa di tenebroso. Avanzavamo senza pensare, cercando di essere all’erta: entrambi avevamo purtroppo imparato ad aspettarci il peggio da queste situazioni ed ero certo che qualcosa si sarebbe verificato.
Lei ci aspettava già lì, in un accappatoio come noi, pudicamente chiuso. Io avevo il costume sotto l’accappatoio e Maghera portava un due pezzi del medesimo colore della sua pelle, eccitante. In effetti ero già leggermente eccitato ma anche preoccupato: avevamo ceduto a questo ricatto. E se ce ne fossero stati altri?
Cercai disperatamente di non pensarci: i problemi si affrontano sempre uno alla volta, era una lezione che avevo appreso da anni.

‘Venite.’, ordinò la nostra ricattatrice con un sorriso a stento contenuto.
La seguimmo senza parlare, eravamo entrambi persi nei nostri pensieri, cercando di pensare a come si sarebbe sviluppata la situazione. Certo, ora avremmo fatto sesso e tutto quanto ma poi? Sospirai mentalmente.
Maghera aveva ragione: mi facevo troppi problemi.
Entrammo nella sauna lasciando fuori gli accappatoi come da copione. Il caldo mi aggredì come al solito. La Iena (come l’avevo battezzata nella mia mente) si sedette su una panca, spaventosamente calma.
Indossava un due pezzi anche lei, bianco. Spiccava su di lei in una maniera incredibile. La luce soffusa della sauna ci avvolgeva quasi fisicamente, presente quanto il vapore nell’aria, impalpabile e onnipresente.
Espirai lentamente, con calma, prendendo tempo. Volevo vedere cosa stava per succedere, volevo ponderare bene ogni azione.
‘So che potreste sentirvi in imbarazzo ma so anche che non vi dispiace. Insomma, gente che scopa negli ascensori non ne avevo mai vista”, disse la Iena finendo con una risata che le impedì di terminare la frase.
‘Ci sono tante cose che non hai mai visto.’, dissi alzandomi. Ero eccitato, parecchio. Si fottesse il domani, l’oggi era tutto quel che importava.
Arrivai accanto a Maghera con due passi. L’indù mi prese il viso e mi baciò con passione.
Le nostre lingue si trovarono a lottare per il dominio mentre ci abbracciavamo. In quel momento eravamo totalmente dimentichi della presenza di una terza persona tra noi’
Chiaramente lei non doveva certamente essersi dimenticata di noi, mi stupii anzi che non si unisse alla festa. Aprendo appena gli occhi notai che si stava masturbando da sopra il costume. A suo modo partecipava, anzi mi sarei aspettato che osasse di più’

Intanto le mie mani erano impegnate a spogliare la mia compagna che sembrava altrettanto presa da tale compito nei miei riguardi. Nessuno di noi badava alla ragazza seduta su una panca che si masturbava lentamente. Finalmente nudi, esitammo un istante. Era solo una temporanea indecisione su come comportarci ma entrambi eravamo talmente eccitati da poterla superare in un battito di ciglia. Semplicemente iniziammo a limonare duro mentre ci accarezzavamo, tutto questo con la Iena che si toccava dopo essersi tolta il due pezzi. Non era nulla di particolarmente scioccante almeno fino ad ora.

Tutto normale. Tutto come sempre, almeno tra noi’

Nonostante ciò, la presenza di quella femmina ci bloccava. Normalmente a quel punto avremmo già iniziato un 69 o qualcosa di simile, invece eravamo statue di sale. Eravamo una coppia, forse anche migliore di molte ma non avevamo mai provato la necessità di un triangolo. Eppure eccolo lì, il triangolo. Com’era quella canzone?
Il triangolo no, non l’avevo considerato!
Altroché se era vera!
Evidentemente anche la Iena sembrava aver compreso che ci eravamo un po’ bloccati. Come per sbloccarci, avanzò verso di noi di pochi passi.
Sentii Maghera irrigidirsi e la strinsi a me, come per proteggerla.
‘Io so perché vi bloccate. Lo capisco anche, non ci vuole un genio.’ disse, la sua espressione mutò da eccitata e canzonatoria a eccitata e seria.
‘Avete paura che questa cosa cambierà quel che c’&egrave tra voi. Avete un timore incredibile che la vostra relazione ne risenta. Per questo non riuscite ad andare avanti.’, disse. Ora aveva tutta la nostra attenzione. La mia compagna pareva pure essersi rilassata un po’.
‘Non avete mai pensato che quest’esperienza possa mostrarvi aspetti di voi che non conoscete?’, chiese la Iena con tono calmo e suadente ad un tempo.
Riconoscevo che non avevamo mai previsto una simile eventualità. Sia io che la mia compagna avevamo considerato quella situazione come lo scotto da pagare per una piacevolissima imprudenza. Non ci eravamo fermati a riflettere su quanto potesse essere possibile crescere grazie a quell’esperienza.
‘Non ci avevamo pensato”, ammise infine Maghera.
‘Allora lasciate che vi faccia capire cosa state perdendovi.’, disse la Iena con un sorriso.

La mia consapevolezza si distorse per un lungo istante, un momento in cui smisi di esistere. Guardai la mia compagna, colei che in un certo senso mi completava. Lei guardò me. I nostri sguardi erano mutati radicalmente. Se prima c’era paura ora c’era gioia, sicurezza persino. Divertente, poco prima eravamo bloccati e ora una sconosciuta ci strappava ogni inibizione meglio del migliore afrodisiaco’
Quando la ricattatrice mi accarezzò il petto, stavo già baciando la mia compagna, la quale aveva iniziato a eccitarmi con una mano. Aprendo gli occhi vidi che la Iena si era fatta strada e accarezzava lascivamente un seno di Maghera mentre una mia mano indugiava sul sesso della giovane. Rompendo gli indugi, accarezzai il petto di quella donna che ci aveva aperto le porte di un nuovo mondo con una mano, strizzandole un capezzolo. Lei gemette di soddisfazione mentre sfiorava nuovamente il petto della mia compagna. Per un istante, lei si ritrasse. La Iena sorrise.
‘Non l’avevo mai fatto con un’altra donna”, sussurrò l’Indù mentre la ricattatrice le accarezzava quasi con tenerezza il petto. Una mia mano intanto prese ad accarezzare il pube della mia compagna, come a volerla liberare dall’imbarazzo e dall’esitazione.

‘C’&egrave sempre una prima volta.’, ribatté la Iena prima di appoggiare le labbra su quelle di Maghera. Lei sussultò, come se avesse preso una scossa.
‘Troppo in fretta?’, chiese dopo alcuni secondi.
‘Troppo tutto”, fu la risposta. Con calma mi sottrassi alle attenzioni delle giovani per sbloccare la mia compagna.
Chiaramente doveva essere uno shock per lei.
Insomma, Maghera ne aveva passate tante, troppe. Tra migliaia di persone che avevano scelto di autodistruggersi o di arrendersi, lei era riuscita ad arrivare fino a me. A me, a qualcun altro intrappolato nel limbo tra le due realtà personali. Paradossalmente il suo arrivo aveva annientato tutto quello che ero, solo per poi ricostruire qualcosa insieme a me. Qualcosa di eccezionale. Ma ora sembrava sotto shock.

Capivo benissimo: troppe emozioni per una sera sola, anche per lei.

Mi avvicinai a lei da dietro. ‘Va tutto bene, va tutto bene.’, le dissi con un sorriso. Le posai le mani sulle spalle. Era tesa. Eccitata ma tesa.

Come me capiva che se la nostra ricattatrice non fosse stata soddisfatta della serata avremmo potuto andare incontro a grossi guai’ Iniziai a massaggiarle le spalle mentre la Iena ci osservava con curiosità e lussuria. Il massaggio iniziò presto a fare effetto e la mia compagna lasciò andare un gemito di soddisfazione.

Avevo abbandonato le spalle per iniziare quindi a massaggiare la schiena. Lentamente passavo un dito lungo tutta la lunghezza della colonna vertebrale, fino al coccige ma mai oltre. Il mio membro sembrava essersi temporaneamente ritirato, come per rispetto alla situazione. Salii e scesi altre due volte prima di percuotere energicamente il dorso della mia compagna con il taglio della mano ai lati della colonna vertebrale. Sentii che le sue tensioni se ne andavano, i muscoli e i nervi sembravano rilassarsi, lentamente.
Sorrisi, le baciai il collo, piano, lentamente, dolcemente. Non volevo rovinarle quel momento, sarebbe stato infame da parte mia defraudarla di quell’istante di serenità.
Poi si girò, fissandomi con uno sguardo che stentai a decifrare.

Avevo quasi paura. Chi poteva dire cosa sarebbe successo? Dentro di me repressi la voglia di spezzare il silenzio che si era venuto a creare per chiedere quali fossero le sue intenzioni.
Attesa di un lunghissimo istante.

Poi, lentamente, inesorabilmente, Maghera mi baciò. Un bacio lento, sensuale, puro, assoluto. Esattamente come il primo. Dentro di me sospirai di sollievo e sorrisi. Non era cambiato nulla. Sentii le mani della mia compagna esplorare il mio corpo mentre io accarezzavo il suo. Poi, improvvisamente, lei iniziò a segarmi. Anche io iniziai a toccare la yoni dell’indiana. Gemiti di entrambi.
La Iena era poco distante, si avvicinò di un passo per non perdersi la scena. Errore.

Senza staccare la sua mano dal mio pene inturgidito, la mia compagna afferrò con rapidità felina uno dei seni della ricattatrice. Come paralizzata, lei si bloccò sul posto. Le labbra di Maghera si tesero in un sorriso da pantera.
‘Sorpresa?’, chiese con aria divertita e lubrica. Nessuna risposta.
‘Devi sapere che anche se sono rimasta un po’ bloccata sono una che reagisce in fretta”, disse mentre si protendeva verso la Iena. Lei rimase inebetita. Anche io provavo un certo grado di soggezione. Sembrava che le ultime inibizioni della mia compagna fossero svanite. Il suo lato selvaggio emergeva in tutto il suo erotico splendore!

Si girò verso di me e mi baciò. Castamente quasi, sulle labbra.
‘Facciamo vedere a questa troia come si fa!’, sussurrò. La frase mi eccitò un casino. Due secondi più tardi ero già dentro la mia compagna mentre lei baciava con foga improvvisa la nostra ricattatrice.
‘Avrei un nome”, disse lei protestando debolmente al termine di un movimentato bocca a bocca in cui noi c’eravamo dati il cambio un paio di volte.
‘Che sarebbe, se posso avere il piacere?’, chiesi infilandole due dita nella yoni. Lei gemette un qualcosa di impronunciabile che ripeté poco dopo.’Prya.’.
‘Oh, come una certa attrice dell’hard, eh?’, chiesi con un sorriso sornione. Sentivo di essere vicino alla conclusione ma non volevo che finisse così presto. Mi ritrassi dalla yoni di Maghera per esercitare il controllo mentre entrambi ci dedicavamo a Prya. ‘Non credo”, sussurrò la vittima delle nostre attenzioni tra un gemito e l’altro. Baciai quelle labbra, così diverse da quelle della mia compagna (che intanto stava dedicandosi a gratificare manualmente seni e vulva della nostra ricattatrice). Deciso a scoprire qualcosa di più di quel continente sconosciuto, infilai una mano tra le gambe della giovane, trovandovi già due dita che scavavano nella yoni ancora a me ignota’ Infilai un dito e improvvisamente, a scavare fummo in due. Bagnata. Non tanto quanto Maghera ma sicuramente più che abbastanza per divertirsi. Interruppi il bocca a bocca per baciare i seni della mia compagna. Senza un segnale di nessun genere, gementi ed eccitati come non mai, ci sdraiammo sul pavimento della sauna.
Formammo un triangolo equilatero in cui ognuno di noi tre aveva una parte degli altri da vezzeggiare. Una triade praticamente perfetta, un momento come mai ne avrei vissuti. Insomma, i triangoli li avevo già sperimentati. Uno con Yoshiko e Maiko e un altro con Katherine e Maria. Ma non era stato nulla di paragonabile.

Semplicemente steso su un fianco penetravo Maghera mentre lei si dava da fare con la bocca sulla vulva di Prya. La quale stava mostrandomi le sue abilità nel bacio. Baciava bene ma nulla in confronto alla mia compagna. Ora comprendevo quanto fosse diverso un bacio da una persona che ti amava rispetto a quello dato da chi ti vuole solo per sesso. Prya non baciava male, come già ho sottolineato, semplicemente mancava quella’ chimica, che invece era presente con la mia compagna.
Le nostre mani intanto non restavano inoperose. La mia mano sinistra toccava i seni della ricattatrice che gradiva, ricambiando con piccoli, quasi adoranti graffi sul mio petto e carezze lungo tutto il mio corpo. La mia destra invece accarezzava il clito della mia compagna, la sua mano sinistra era occupata a tormentare i propri capezzoli mentre la destra aiutava la lingua di Maghera nel proseguire l’esplorazione orale della yoni della Iena.
Continuammo per un tempo che ci parve lunghissimo, senza variare ruoli, poi, improvvisamente fu la nostra ricattatrice a chiedere un cambio. Implorava per il cambio’

In pochi istanti la posizione mutò. Stavolta era Prya a godersi il mio pene (e a giudicare dai versi che faceva sembrava piacerle molto). Era bollente e stringeva il suo sesso sul mio. La mia compagna invece si godeva le mie abilità orali e scambiava boccate di saliva e gemiti con la nostra partner occasionale che sembrava essere sull’orlo dell’orgasmo della sua vita. Penetrai in entrambe, sentendomi come diviso tra due donne nel corpo ma integro e lanciato verso una sola nell’animo. Come a volerlo dimostrare, stimolai maggiormente la vulva di Maghera con la lingua, penetrandola, uscendo e rientrando, leccando e succhiando le grandi e le piccole labbra. L’indiana gemette, staccandosi da Prya per lasciare andare un grido strozzato che trasformò in una recitazione del mantra del controllo. Riuscì, miracolosamente a trattenersi.
Anche io ero al limite del controllo e dovetti fermarmi, impiegando una tecnica taoista.
Dopo una pausa di pochi secondi, alzai la testa. ‘Ora tocca a me richiedere un cambio!’, esclamai con un sorriso. Le due donne risero, divertite.
‘Già stanco?’, chiese Prya. Sorrisi con fare predatorio. Non mi conosceva proprio.
La mia compagna invece mi guardò con sguardo complice. A volte sembrava che mi leggesse la mente.
Prya fece per alzarsi. La bloccai con una mano, accompagnandola nuovamente in posizione sdraiata. Ora toccava a noi.

Mi piazzai tra le cosce della giovane sdraiata e iniziai a penetrarla, lentamente. Non volevo che godesse, prima volevo farla impazzire. Era la degna vendetta per tutte le preoccupazioni che mi aveva dato. Come prima feci entrare solo il glande. Non volevo esagerare, dandole troppo, non ancora. Non se lo meritava.
Mi guardò come implorante, cercò di impalarsi ma da sdraiata le era impossibile’ A volte sapevo davvero essere un gran bastardo. Mi ritrassi quel poco e poi ricominciai ad affondare lentamente senza mai entrare del tutto. Accarezzai i seni di Prya con una mano e quelli della mia compagna con l’altra. Era una goduria e sapevo che sarei potuto andare avanti ancora per parecchio. La vittima del mio crudele screzio fece per protestare ma ci pensò la mia compagna a farla tacere: le si sedette sul viso imponendole una sessione di sesso orale. Rivolta verso di me, Maghera si prendeva la giusta attenzione. La baciai, castamente per un istante.

Quel bacio mi scatenò: fino ad allora l’idea era stata di far soffrire la nostra ricattatrice. Ora la mia priorità era di godere e al diavolo tutto il resto.
Trafissi il ventre di Prya con la mia spada di carne, protendendomi per baciare ancora la mia compagna. Lei con un gemito compiacente, si avvinghiò a me mentre la donna sotto di noi le donava piacere a sua volta. Era una triade perfetta: ognuno di noi dava e riceveva godimento dagli altri due. Sarebbe potuto andare avanti a vita.

Sarebbe potuto, ma tutti eravamo al limite: tutti volevamo godere.

Trattenermi era difficile, se non impossibile. Lo sentivo. Anche con le migliori tecniche bisognava sapersi fermare per tempo.

Una volta superato un certo stadio, venire era inevitabile a prescindere da quanto duramente si provasse a evitarlo.
Ma se proprio dovevo venire volevo farlo in modo spettacolare. Non perché Prya non meritasse ma semplicemente perché non era ancora tempo che le concedessi una simile grazia, a dispetto di tutto.

Quindi sussurrai di cambiare posizione alla mia compagna. Lei mi sorrise, accettando. Pochi istanti dopo era a pecorina, i seni pendenti sul viso della nostra ricattatrice che non necessitò di un nostro ordine per iniziare a succhiarli e leccarli. Ci misi poco a entrare nella mia compagna. Sentii un gemito roco che terminò in una frase in hindi. Prya aveva goduto.

A che pro trattenersi oltre?

Incominciai a dare enormi colpi di reni sino a venire dentro Maghera mentre lei gridava il suo orgasmo. Crollammo sul pavimento, ansimanti, sfiniti, appagati. Vivi.

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