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Racconti Erotici Etero

Insoddisfatta

By 11 Febbraio 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

Uscendo dall’ufficio vidi una figura in penombra appoggiata al muro tra due vetrine di un negozio di scarpe. Una sigaretta in bocca, un cappello nero tipo baseball con visiera grigia, un giaccone di pelle nera con il bavero rialzato. Con aria da guappo guardava fisso nel buio del portone. Ancora non vista mi fermai un attimo a pensare, il primo istinto fu quello di risalire ed acconsentire alle richieste del capo ufficio per un’ora di straordinario. Ma tirai un sospiro e presi coraggio.

Era una settimana che mi seguiva, ma finora non aveva avuto il coraggio di fermarmi. Presi la mia strada, quando poco dopo sentii i suoi passi rincorrermi.

Mi voltai di scatto. ‘Senta, la prego” Frugai nella mente afferrando al volo un’aria disinvolta e casuale.

Rimase muto con le mani insaccate tra le lampo delle tasche. Spostò leggermente gli angoli della bocca, ma non disse nulla. Notai di sfuggita due occhi neri consapevoli del proprio fascino. ‘Non mi dica che passava qui per caso. E’ una settimana che mi sento seguita da lei, e le assicuro, ancora non sono pazza!’ Accompagnai il tutto cercando nella tasca del cappotto un fazzoletto di carta. Un raffreddore cronico aveva deciso di svernare dentro il mio naso.

‘La stavo aspettando.’ Rispose semplicemente disarmando la mia buona dose di disagio.

‘Ma non ha nient’altro da fare che seguire ragazze sconosciute?’

Toccato nel vivo, si decise ad assumere un contegno più civile. Strano tipo di persona pensai mentre attendevo una qualche giustificazione. ‘Lei assomiglia spaventosamente ad Eva, la protagonista principale del mio fumetto.’ Tirò fuori dalla tasca un giornalino dal sapore erotico, mezzo sgualcito. Lo guardai senza troppa attenzione. Era vero. Assomigliavo in tutto e per tutto al viso del personaggio, compreso il neo sotto l’occhio sinistro ed il rossetto sbordato sopra la riga naturale del labbro superiore. Risi scrollandomi buona parte della diffidenza accumulata. ” e si chiama Eva, come me!’ Dissi con sarcasmo, ancora non del tutto convinta dalla casualità. ‘Perché, lei si chiama Eva?’ Disse sorpreso.

‘Beh io vado.’ Cercai di togliermi dalla situazione imbarazzante restituendo il fumetto.

‘Vengo con lei.’ Rispose con slancio. ‘Non possiamo voltare le spalle al destino’.

Acconsentii senza replica. In fondo la coincidenza era troppo evidente per non esserne incuriosita.

‘Lei è un’artista, dunque’

‘Mi diverto a disegnare.’ Rispose netto.

‘Comunque si comporta da artista, vedo. Non concede nulla di se stesso alla platea.’

Cercai ancora di imbastire qualche straccio di conversazione, ma il bel ragazzo dalla faccia meridionale rimase incollato ai suoi pensieri. Rispondeva a fatica senza nessuno scrupolo di apparire simpatico o interessante.

Ci salutammo qualche metro più avanti. Tornata a casa mi guardai più volte allo specchio, ero sorprendentemente orgogliosa della mia faccia, frutto della fantasia di chi avrebbe avuto a disposizione tutta la libertà per disegnarla diversa e meglio. E poi il taglio erotico delle storie dove era inserita mi intrigava non poco. Pensai ancora a quel ragazzo, non conoscevo il suo nome, non sapevo se l’avrei più rivisto.

Ma il giorno dopo lo trovai di nuovo ad aspettarmi. Ottimista come non mi capita quasi mai, nel pomeriggio avevo rimandato l’appuntamento con il dentista.

Mi salutò come se m’avesse sempre conosciuto, dandomi automaticamente del tu. ‘Un bel passo avanti!’ Pensai acconsentendo a farmi scortare per le vie del centro.

Passammo in silenzio decine di negozi pieni di roba da commentare, ma niente, camminavamo gomito a gomito come marito e moglie che conoscendosi a memoria non avevano più nulla da dirsi.

Dopo qualche passo, sbottai.

‘Ma a te non ti escono mai le parole, come dire … spontaneamente? Tipo… bello questo vestito o guarda com’è curioso quel cappello? Oppure guarda quel poster ne possiedo uno uguale o strana quella sedia, o che ne so… carina la commessa, si chiama Patrizia, ci sono uscito una sera l’estate scorsa.’ Lo guardai fisso senza incontrare il suo sguardo. ‘Eppure quando accenni al tuo lavoro mi sembri più socievole. Niente di eclatante, ma almeno muovi la bocca’

‘L’altra sera ti ho visto.’ Mi disse gelido senza nessun trasporto.

‘Scusa…quando, dove, perché.’ Replicai inquieta.

‘Ti ho vista, quando tornavi a casa.’

‘Allora, sai dove abito?’

‘Non eri sola.’

‘E allora?’ Arrampicai la mia voce su un mezzo tono più alto.

‘Niente. Semplicemente non eri sola.’

‘Fino a poco fa non immaginavo che esistesse un qualcuno che vigilasse sulla mia incolumità. Ti ringrazio, ma casomai ne avessi ancora bisogno preferirei sceglierlo da sola il mio angelo custode!’

‘Guarda che non passo il mio tempo a spiarti. E’ capitato l’altra sera, tutto qui. Non volevo offenderti o peggio entrare nella tua vita privata senza chiedere permesso.’

Si fermò un secondo prima di entrare in tabaccheria. ‘Volevo solo provocarti e vedere la tua reazione.’ Accennò ad una risata sibillina prima di chiedere un pacchetto morbido di Marlboro. Camminammo sopra i fili dei pensieri senza più parlare. ‘Chi era quest’uomo?’ Ancora non conoscevo il suo nome e già si permetteva di farmi degli appunti. Ma in fondo mi faceva piacere che qualcuno si interessasse a me. Nella mia attualità tanti amici, tante serate, ma nessuno con quest’aria ombrosa da artista, che diceva quello che pensava. Addirittura mi rammaricai per la mia reazione scomposta. Il quel momento avrei voluto tornare a qualche vetrina prima e rispondere solare ed ironica che, sempre se gli avesse fatto piacere, poteva benissimo continuare ad osservarmi. Tra l’altro senza nessuna difficoltà visto che la mia vita procedeva con tanta luce e nessuna ombra.

Arrivati in Piazza dei Signori ci rapì il tepore di un bar e un thè bollente al limone. Oltre il vetro le luci gialle della piazza filtravano tra la nebbia adagiata sul selciato lucido e il vapore più denso uscito da qualche sparuto naso infreddolito. Al centro coperta da un mantello nero e i capelli raccolti a caso, s’intravedeva una figura di donna che dava alla piazza un’aria surreale d’altri tempi. Chiedeva qualche spicciolo suonando l’arpa e sfidando il freddo gelido.

Il mio amico incollò gli occhi al vetro e dimenticandosi completamente di me, del cameriere che gli porgeva il resto e del the fumante, senza nessun imbarazzo rivolse tutta la propria attenzione verso quella scena.

‘Oddio, ma non avrà freddo? Mi vengono i brividi soltanto a guardarla!’ Me ne uscii da vera idiota trascurando magia e sensibilità per un brandello d’attenzione.

Rimase immobile. Augurandomi che non avesse sentito respirai a pieni polmoni il vapore che saliva dalla tazza.

Il suo modo di fare era davvero insolito. Senza nessuno slancio di fatica era entrato nei miei pensieri e senza nessuno sforzo si comportava nella maniera più naturale possibile. Come un bambino davanti ad un teatrino di marionette avrebbe tralasciato affetti e quella voglia improvvisa di gelato che soltanto un minuto prima gli era costata litri di lacrime, così lui al di là di qualsiasi convenzione stava agendo senza alcuna costrizione, fregandosene completamente del giudizio di questa povera scema che soltanto poco prima aveva accettato malvolentieri la sua compagnia. Insomma niente poteva ingabbiarlo come niente avrebbe potuto distrarlo. Nemmeno una briciola di educazione o una scheggia di formalità che anche il più cafone tra gli uomini avrebbe fatto finta di seguire per dare almeno una buona impressione.

E forse era proprio questo il punto! Non era tra questi comuni mortali che cercavano a fatica di vendersi mostrando la parte più bella. Non si concedeva. Era tutto lì come quando si è da soli e non si bada minimamente ai propri pensieri che scivolano cretini ed intelligenti senza voler apparire diversi da quello che sono. Tutto lì come in questo momento che non avvertiva minimamente il bisogno di aggraziarsi la mia simpatia magari per intrecciare un embrione di rapporto. Diverso da tutti gli altri non si chiedeva per nulla al mondo cosa avessi potuto pensare di lui, ora o ieri che l’avevo sorpreso a seguirmi. Agiva come pensava. Un qualunque altro nelle stesse condizioni di perfetto sconosciuto non avrebbe chiesto perché l’altra sera non ero sola, senza prima pensare di essere scambiato a dir poco per un maniaco geloso o peggio per uno psicopatico o comunque provare vergogna per il solo fatto d’avermi spiato. E cosa altrettanto strana, non mi aveva concesso un motivo plausibile, del tipo ‘mi sono innamorato di te’ oppure ‘la coincidenza con la mia Eva nel fumetto mi ha sconvolto al punto di ‘e giù menate di questo tipo.’ Niente.

Ed ora era ancora lì, rapito da una musica che non sentiva e da quelle due mani guantate di pelle marrone che muovendosi in armonia accarezzavano con premura lo strumento magico. Mi colpì il profilo pronunciato e morbido, il picco del naso e il velluto tondeggiante delle labbra carnose, l’altopiano della fronte ossuta e poi giù a dirupo come cascata nella valle degli occhi. Come davanti a dune nel deserto cercavo di andare oltre ed indovinare cosa si nascondeva dietro quel profilo e quale oasi avrei potuto raggiungere se testardamente avessi proseguito. A quanti predoni del deserto avrei dovuto concedermi per aver salva la vita o un sorso d’acqua, quante carovane di beduini m’avrebbero ospitata o quante lune sarebbero apparse orientandomi nella notte pesta. Quanta sabbia avrei dovuto ingoiare prima di ritrovarmi sotto qualche palma magari tra le rive fresche di quegli occhi grandi e lucidi che ora e soltanto ora si erano degnati di guardarmi.

Mi sentii spogliata e scrutata senza tatto nelle parti più intime come sul lettino di un ginecologo durante la visita di controllo. Insicura e in attesa della diagnosi cercai disperatamente un vetro con un minimo di riflesso per costatare le condizioni della mia faccia. Ma niente, il bel meridionale continuava a fissarmi ed io a sentirmi brutta col rossetto sbafato e magari il naso sporco per quel maledetto raffreddore.

Non parlò. Rimanendo attaccato nel suo mondo di pensieri, si scollò quel tanto per guardare l’orologio e verificare che si era fatto tardi. Prese lo scontrino e si alzò di scatto. Davanti agli sguardi della gente che molto probabilmente guardavano da tutt’altra parte, non mi rimase che ingoiare l’ultimo sorso di the e seguirlo verso l’uscita salvando le apparenze.

Inghiottiti dal freddo camminammo in fretta. Durante il tragitto m’avrebbe chiesto di uscire, pensai. Magari una cena e poi a casa mia. Attratta da quello sconosciuto ero semplicemente in attesa. Mi sentivo ad un bivio e desideravo che le occasioni non cercate o impreviste m’aiutassero in qualche decisione che in altri momenti non avrei certamente preso. Decisamente confusa vacillavo tra il desiderio fisico e la mia ragione di non immischiarmi in qualche relazione non prevista. Mi sentivo rapita da lui e dai suoi modi pieni di mistero, e come un’innamorata riempivo la mente con i dettagli del presente alla scoperta di qualche incrinatura della voce o di qualche venetta nei suoi occhi caldi. Mi ripetevo testardamente che quell’uomo aveva solo bisogno di essere incoraggiato, ed io ero ben contenta di aver conosciuto una persona così complessa. Ma evidentemente mentivo a me stessa, sentivo di mentirmi tutte le volte che avrei voluto rilassarmi dentro situazioni conosciute nella sicurezza del già vissuto, che sentivo il bisogno fisico di passare qualche momento facile e sereno senza alcun imprevisto. Giunti al portone m’avrebbe chiesto di salire. E senza alcuna resistenza avrei obbedito al suo fascino seguendo il suo odore e la sua convinzione che tutto gli era dovuto, facile e scontato. M’avrebbe spogliata senza parlare cercando con voluttà mai conosciuta prima il mio seno sinistro più sensibile al freddo e a quelle labbra piene di vapore. Un attimo dopo mi sarei trovata senza accorgermi tra lo stipite della porta del bagno e la frenesia della sua mano che a colpi cadenzati strappava gli ultimi residui ostacoli di stoffa che lo divedevano dalle mie nude intimità. Addosso alla parete sentivo il suo piacere lievitare e premere su tutti i punti morbidi del mio corpo. Esplorare centimetro dopo centimetro la mia pelle fino ai peli più intimi che coprivano la vergogna e il desiderio insensato di essere profanata. Lacerata come le mie calze di nylon nero, avrebbe battuto come sale gli barlumi di coscienza e sbattuto il mio sedere orgogliosamente rigonfio sopra il tavolo di marmo, regalo della nonna. Dalla sua bocca non sarebbe uscito né amore né bestemmia, ma solo saliva densa a desiderio di riempire quel corpo giovane ancora vuoto del suo potere. M’avrebbe rivoltata come un cuscino cercando ogni volta la parte più fredda ancora non scaldata totalmente dal suo impeto di maschio, per poi concentrarsi sulle mie labbra ed impedirmi per un tempo interminabile di proferir parola o grida di piacere. In balia più dei pensieri malsani che dell’effettivo piacere fisico avrebbe tentato di afferrare il punto più alto della sua trasgressione ordinandomi nuda di inginocchiarmi sul pavimento freddo o di rivestirmi un attimo prima del culmine della mia passione. E avrebbe giocato ancora concedendosi con avarizia studiata e criminale, ma tenendo per se mente e ragione che m’avrebbero costretta a mendicare il suo oggetto di piacere. Spogliata di ogni pudore avrei giurato falso, venduto la mia dignità, scopato col suo peggiore amico o il suo miglior nemico, affittato gratis per un intera settimana il mio centro di piacere al primo incontrato per strada, e solo solamente perché quell’uomo davanti a me, eretto fino all’impossibile si fosse deciso a prendermi come solo un maschio sa fare e scivolarmi senza soluzione di continuità dentro le pareti umide del mio irrefrenabile delirio. Sarebbe finita canonicamente sopra il mio letto ancora vergine o peccaminosamente in piedi addosso a qualche nicchia di questa casa umbertina. Non riuscivo ad immaginare quale zona del mio piacere avrebbe accolto ed accettato il caldo del suo sfogo liquido, quali picchi di dolore violento misto a pianure di benessere avrebbero accompagnato quel grido di liberazione’..

Giunti sotto il portone mi disse: ‘Beh io vado, ci vediamo domani.’

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