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Racconti Erotici Etero

Irresistibile profumo

By 18 Novembre 2005Dicembre 16th, 2019No Comments

Era la prima volta che vi tornavo da quando il suo nome era divenuto Mumbai.
Appena aperto il portellone dell’aereo, mi colpì la stessa afa pesante di sempre, e lo stesso odore che non so definire: un misto di agreste e di carnale, qualcosa come l’usta, la traccia che lascia la selvaggina. E andavo annusando, proprio come un bracco.
Per quel che notavo, almeno fino adesso, era cambiato solamente il nome.
Mumbai, da Mumba, dea Hindu e Aii, madre. Lo Stato era sempre lo stesso, Maharashtra, e nel caotico salone dell’aeroporto, il Chatrapati Shivaji Airport, sempre con la stessa gente vociante e in disordinato movimento, il tabellone dava il benvenuto nella città ‘sulle’ sette isole.
E gli stessi ‘faccendieri’ utilissimi per il visto sul passaporto e il passaggio della dogana. Mi affidai a uno di loro, e dopo una decina di minuti avevo bagagli sul carrello, e documenti in regola. Mi chiese se fossi diretto a un albergo, glielo dissi, il Taj Mahal Hotel, nell’Apollo Bunder. Fece cenno a un taxi, uno dei migliori, parlottò con l’autista, e mi gratificò di uno smagliante sorriso. L’autista mise la valigia nel portabagagli, mi aprì lo sportello, e fece un profondo inchino.
L’assistenza mi era costata mille rupie, l’equivalente di venti dollari!
Finalmente, in Hotel. Aria climatizzata, frigo con bevande fresche!!!
E poi un lungo pisolino per rifarmi del viaggio.
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Avevo la mattina libera. Rifiutai le offerte di ‘visite della città’ fattemi dal portiere dell’Hotel. Uscii, presi un taxi e mi feci portare non lontano dal tipico quartiere, Dharavi, abitato da indiani, ed uno dei più grandi slum del mondo. C’era chi asseriva che non era prudente avventurarcisi da soli, ma io portavo ben poco denaro con me, ed appositamente avevo messo al polso un orologio privo di qualsiasi valore.
Intanto, mi soffermavo vicino a qualche bottega artigiana. Fui colpito, in particolare, dalla vetrina che esponeva molti monili, fatti a mano, con metalli e pietre. All’interno, due uomini, seduti a una specie di deschetto, erano intenti a modellare, limare, incastonare.
Il vetro riflesse una figura femminile. Era accanto a me. Ne sentivo il profumo, uno strano odore che non riuscivo a decifrare. Come incenso, gelsomino, rosa, lavanda, garofano’ Non so’ sono intensi e nel contempo lievi. Qualcosa di indescrivibile. E poi, anche un ché di selvaggio agreste.
Guardai con la coda dell’occhio. Abbastanza giovane, con un sari non diverso da tanti altri’
Le sorrisi. Mi rispose con leggero sorriso, giungendo le mani, in segno di saluto. Sussurrò qualcosa, mi sembra che disse, sottovoce, ‘su prabhat’. Se ricordavo bene significava buongiorno. Le risposi, salutandola allo stesso modo. Ora sorrideva più apertamente.
‘Conosci la mia lingua, signore?’
Scossi la testa.
‘No, non più di due o tre parole. Non so, ad esempio ‘dhanya waadh’, che vuol dire ‘grazie’. Vero?’
‘Si signore. Conosci Bombay, cio&egrave Mundai?’
‘Poco poco.’
Indicò la vetrina.
‘Ti piacciono questi lavori?’
‘Si.’
‘Vuoi vedere ancora più strani?’
‘Dove?’
‘Vicino, Dharavi.’
Dharavi, dove volevo andare.
Rimasi perplesso. Che non fosse un tranello?
‘Si, ma non ho denaro con me, non posso comprare.’
‘Tu vedi, se piace torni con denaro e compri, o porto io in tuo albergo.’
‘OK. Let’s go! Andiamo!’
‘Il mio nome &egrave Madhu. Per favore, seguimi. Non possiamo andare troppo vicini.’
‘Madhu?’
‘Si signore, Madhu, in inglese honey, come dici nella tua lingua?’
‘Miele.’
Ecco, odorava anche di miele, quel profumo caratteristico, dolce e inebriante, che sa di acacia.
Il mio solito irrequieto e fantasioso pensiero mi portò subito a ricordare che ‘honey-pot’, nel linguaggio volgare, vuol dire ‘fica’.
Vediamo un po’ come può essere valutata Madhu sotto questo aspetto.
Camminava dinanzi a me. Non &egrave che il sari consentisse una completa valutazione, ma, vista di fronte, mostrava un bel visetto, scuro di carnagione, con occhi nerissimi e vivaci, belle labbra, e, a quanto sembrava aveva un seno florido. Ora si comprendeva che alla rigogliosità anteriore corrispondeva un’altrettanta ricchezza’ posteriore. Una rotondità che si muoveva deliziosamente, attraente e stuzzicante, che induceva a riflessioni libertine, concupiscenti, e molto eccitanti.
Intanto, stavamo inoltrandoci in Dharavi. La ragazza imboccò una viuzza abbastanza stretta, si fermò davanti a una casupola che, però, si differenziava dalle altre per essere colorata di un azzurro vivace, e aveva porta e finestre bordate chiaro. Dinanzi alla soglia era pulito. Insomma, dall’aspetto sembrava non male.
Madhu si fermò. Mi fece cenno di entrare.
‘Questa &egrave casa mia, entra, per favore.’
La porta si aprì, apparve un uomo con una faccia spelacchiata: pochi peli grigiastri, Indossava una specie di caffettano violaceo, con qualche ricamo, chiuso al collo, ci scambiammo il solito saluto a mani giunte. Madhu cominciò a mostrarmi la merce, prodotti dell’artigianato, toccò una camiciola e mi disse che si chiama Kurtas. Di sotto uscivano pantaloni stretti e pantofole dello stesso colore viola. La ragazza me le indicò: Mojaris.
Dopo il saluto, l’uomo sparì, dietro una tenda.
Madhu mi condusse in un altro vano, nel retro.
Aspettavo di vedere, finalmente, gli altri oggetti.
Mi fece segno di sedere, indicandomi un divano. Mi sorrise.
‘Torno subito.’
Infatti, dopo pochissimo tornò con alcuni indumenti, del tipo di quel lungo camice indossato dall’uomo e dei pantaloni.
‘Tu prova. Sono fatti a mano.’
Cercai di schernirmi.
Lei sorrise deliziosamente, tolse quella specie di vestito e rimase in pantaloni di cotone, di una specie di seta, abbastanza ampi, ma stretti alla caviglia. Un po’ rigonfi. E un reggiseno che confermò l’abbondanza delle belle tette. Anche i fianchi erano prosperosi, e facevano un certo contrasto con un vitino veramente grazioso e leggiadro.
In effetti, era un gran bel honey-pot. Una gran bella fica!
Madhu insist&egrave, indicandomi quel vestiario, e si avvicinò cominciando, con dita sottili e gesti delicati, a sbottonare la mia camiciola, poi passò alla cintura. Mi fece alzare, i pantaloni caddero a terra. Rimasi in boxer, con evidente dimostrazione che l’eccitazione sessuale stava montando. Mi guardò con uno strano sorriso.
‘Tu devi togliere tutto, i nostri pants non vogliono altro”
‘Si’ ma”
‘Ho visto’ capisco’ tu sei uomo’ naturale’ aspetta”
In men che si dica, mi abbassò i boxer, mi spinse sul divano, si inginocchiò dinanzi a me.
Il mio pisellone era rigido e vibrante, e soprattutto voglioso.
‘Tu sai ‘Oparishtaka’?’
Feci cenno di no con la testa.
‘E scritto in Kamasutra, &egrave ‘congresso in bocca’, detto anche ‘mukhamethuna’ zangolatura con la bocca, per fare panna; o anche ‘ambarchusi’ come si succhia mango.’
Non attese risposta.
Tirò completamente giù la pelle del glande, che apparve più viola della veste dell’uomo che mi aveva ricevuto, e cominciò a picchiettare con la lingua, a lambire. Poi, quella boccuccia deliziosa, si dilatò in modo che non immaginavo e accolse tutto il mio non minuscolo fallo, dandosi da fare, come se ciucciasse il mango, e non tardò molto ad accogliere il prodotto di quella che lei aveva chiamato ‘mukhamethuna’, zangolatura.
Non so cosa ne fece del mio seme, avevo chiuso gli occhi. Era pazzamente voluttuosa quella ragazza. Mai avevo provato una simile sensazione. Sentii che mi asciugava il fallo con una pezzuola fresca e profumata, e quando riaprii gli occhi, lei era ancora in ginocchio, ma senza reggiseno, e stava portando il mio sesso tra quelle opulente scure, grosse e sode mammelle, sovrastate da un lungo e rigido capezzolo ad oliva.
Non le detti tempo di cominciare.
Mi abbassai. Ero attratto, irresistibilmente, da strani profumi, affascinanti, stimolanti, eccitanti. Sentivo sconosciute essenze, e qualcuna nota. Ecco, un profumo di violetta, che mi faceva venire l’acquolina in bocca, e mi misi a succhiare, golosamente, quei turgidi e invitanti capezzoloni che sapevano come le caramelline alle viole che mi dava mia nonna, mentre lei dimenandosi lentamente, si liberò dei buffi pantaloni, e mi apparve in tutto il suo magnifico splendore. Ventre piatto, fianchi larghi, avvolgenti, e un culo da fiaba!
La mano corse tra le sue gambe. Una peluria non troppo folta, ma liscia come la seta. Grosse labbra carnose, calde, che si dischiusero al mio tocco. Ed ecco le piccole, umide, frementi.
Staccai la bocca da quel magnifico seno e scesi a rendere il doveroso omaggio a quella fragrante e aromatica fonte di sconosciuti piaceri.
Un rapido e quasi immediato orgasmo, che mi fece assaporare l’effluvio succulento del suo piacere. Qualcosa che la accomunava a tutte le altre femmine conosciute, ma anche qualcosa che la distingueva da tutte, come una droga che mi stregava, mi inebriava e seguitava ad eccitarmi in modo diverso dal solito’
Fu Madhu a spingermi dolcemente. Non mi ero neanche accorto che eravamo in terra, sul morbido tappeto.
Rimasi seduto, col mio pennone fremente che vibrava impazzito.
E Madhu, con voluttuosa lentezza, vi si infilò.
Una vagina stretta, bollente, palpitante.
Si abbracciò a me, con le sue grosse e sode tettone sul mio petto. Sentivo i capezzoli.
Passò la sua lingua sulle mie labbra. Le pennellava deliziosamente, e nel suo grembo era tutto un sussultare. Sentivo contrarsi ritmicamente le sue opulente e vigorose natiche che poggiavano sulle mie cosce.
Mi mungeva con raffinata abilità erotica. Aveva gli occhi socchiusi.
Un gemito sottile usciva dalla sua bocca’. andò aumentando’ pur seguitando la sua carezza con la lingua’ una serie di fremiti crescenti’ attendeva il mio godimento, e quando ne percepì l’imminenza seppe unire il suo al mio colpo di reni, nel medesimo istante, e sentii che mi svuotava come mai avrei immaginato. Come se una calda bocca avida stesse poppando il mio sesso. Ricordai quanto mi aveva detto, ‘ambarchusi’, come si succhia il mango.
Rimase stretta a me. I palpiti dei nostri corpi andarono lentamente attenuandosi, ma io sentivo che ero ancora ben rigido in lei.
Madhu mi guardò con una particolare intensità, come se fosse particolarmente concentrata.
Si alzò lentamente. Magnifica nella sua nudità. Eravamo sudati. Il suo sudore emanava profumi soavi, sempre più inebrianti. Mi tese la mano, mi tirò verso sé, si avvicino al divano. Vi pose un piede sopra, aprendo le sue scure cosce, e mi attirò a sé. Prese il mio fallo e lo portò alla sua vagina, alzò di più la gamba, la portò dietro la mia schiena. Si fece penetrare con studiata lentezza, e cominciò una danza sensuale, muovendo il sedere in modo eccellente. Le mie mani le ghermivano le natiche, ne accompagnavano il movimento, e mi fece godere incredibilmente.
In quei momenti di voluttà, pensai che fosse una ‘professionista’, ma anche se lo era, godeva come me, e forse più di me.
Fin quando il mio affamato sesso lo permise, ci congiungemmo in modo sempre diverso e raffinato.
Ora, pago e affannato, ero sdraiato sul divano. Madhu era sparita.
Mi guardai intorno. Comparve poco dopo con una recipiente di ottone che posò sul pavimento. Sul braccio aveva un grosso asciugamano. Il recipiente era pieno d’acqua calda, profumata, sulla quale galleggiavano petali di fiori, e vi erano a bagno alcune pezzuole di cotone.
Madhu ne prese una, la strizzò un po’, cominciò a passarla tra le mie gambe, intorno al mio sesso, delicatamente. La gettò in un cesto che era vicino, e non avevo visto. Prese ancora un’altra pezza, sulle gambe’.ed altre ancora’ su tutto il corpo, sul volto. Mi fece voltare’ e andò alla schiena, al sedere, tra le natiche. Poi, con l’asciugamano, mi asciugò con cura, con dolcezza. Sentii la sua mano, untuosa, passarmi su tutto il corpo. Era un olio profumato, ma non ungeva, svaporava subito e lasciava sulla pelle una fragranza meravigliosa.
Mi aiutò a rivestirmi.
Quando fui completamente rivestito, e lei ancora nuda, mi fece il tradizionale segno di saluto, a mani giunte.
‘Benvenuto nella mia casa, signore. Se vuoi ti accompagno fuori di Dharavi.’
‘Non posso restare?’
‘No, signore, non &egrave bene che uno straniero pernotti nella mia casa.’
‘Posso vederti domani?’
‘Domani? Quale domani? Ci sono tanti domani, come ci sono tante stelle nel cielo, sabbia nel deserto, acqua nel mare’ e anche tante strade a Mumbai. Se &egrave scritto che le nostre strade si incontrino, ci vedremo.’
Presi dal portafoglio alcune banconote.
Mi guardò e sorrise.
‘No, signore, io non sono di quelle che si pagano’.’
‘Vorrei farti un regalo, un mio ricordo.’
Batt&egrave le mani, e disse qualcosa, nella sua lingua, rivolta verso la porta.
Apparve l’omino che mi aveva ricevuto, con una bella collana, credo in argento. Me la porse, la misi al collo di Madhu. Presi ancora delle banconote e le detti all’omino che si chinò ringraziandomi, e nel contempo mi dette una piccola fiala di metallo facendomi segno di annusarla.
Un piccolo portaprofumi. Col profumo di Madhu.
Lei, intanto, s’era tolta la collana, era vicino alla porta, aveva aperto l’uscio.
Uscimmo.
Era quasi buio. Si avviò, dinanzi a me, e mi condusse dove finiva iul quartiere degli slum.
All’improvviso sparì, come ingoiata nel nulla.
Non l’ho vista mai più.
Mi sto chiedendo quante volte quella collana sarà stata acquistata e donata alla bella e profumatissima Madhu.
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