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Racconti Erotici Etero

Jula

By 23 Giugno 2006Dicembre 16th, 2019No Comments

Vera mi chiamava zio, ma non c’era nessuna parentela o altro vincolo tra noi che non una amicizia tra le famiglie. Infatti, lei, Vera, era la figlia del cognato di mia cognata, cio&egrave della sorella di mia moglie. Ma lasciate stare, non perdetevi in tale labirinto, anche perché Vera ha ben poco a che fare con questa storia, salvo che essere stata colei che mi ha presentato Jula.
Mi aveva telefonato.
‘Zio, una mia amica, Jula, da pochissimo in Italia, qui venuta per frequentare l’Università, avrebbe bisogno di essere un po’ ‘inquadrata’ mentalmente per iniziare con meno confusione in testa la frequenza del primo anno di Giurisprudenza.’
Le risposi che l’avrei affidata a un mio collaboratore, un ‘assistente volontario’, ma Vera mi disse che mi sarebbe stata grata se avessi potuto riceverla io, anche per stabilire la sua attitudine e idoneità a intraprendere tale corso di studi. Lei, Jula, voleva acquisire la cittadinanza italiana, e ci sarebbe riuscita, essendo di Kopar, l’italianissima Capodistria, di genitori italiani che erano riusciti a mantenere la doppia cittadinanza. Lei collaborava saltuariamente a una TV locale.
‘E va bene, Vera, falla venire da me.’
Le fissai un appuntamento. Vera disse che era spiacente, ma lei non poteva accompagnarla. Mi ringraziò, chiudendo con la solita frase: ‘un bacione’.
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Mi annunciarono la signorina Jula Apolloni. Entrò, era molto carina, aggraziata, non alta, con una gonna blù plissettata e una camiciola di cotone bianco, a maniche corte. Malgrado non fosse molto alta, calzava sandali bassi. Capelli biondissimi, occhi cerulei, e un visetto veramente bello. Doveva avere certamente almeno diciotto anni, dato che aveva conseguito la maturità, a Trieste, oltre che quella slovena a Kopar, ma non ne dimostrava più di sedici. Ripeto, molto piacevole, anzi bella, bellissima, col suo personalino perfetto. Tutto in proporzione, gambe snelle, lunghe, un collo botticelliano, e nella blusa si scorgevano due tettine che certamente erano a coppa, e non superavano la ‘seconda’ misura, ammesso che la raggiungessero. La plissettatura non nascondeva del tutto un sederino che ricordava la metà di una pesca polposa e soda, col suo caratteristico solco che al solo pensiero, e malgrado non sia più giovane, mi eccita moltissimo.
Ero sorpreso verso me stesso, non immaginavo che ricevere quella bambolina potesse destare in me interesse; comunque, la osservavo attentamente e, contrariamente al solito quando entravano le studentesse, mi alzai, le sorrisi, le tesi la mano e la invitai a sedere sulla sedia al di là della scrivania.
Non posso nascondere che ero incantato, quell’esserino minuto, biondo, ma con uno charme che sprizzava da ogni dove, aveva una incredibile carica erotica, almeno per me, e la sua attrattiva fisica era seducente.
Chissà se lo era anche per gli altri.
Un donnino, ripeto, non più alto di un metro e sessanta, e in quel momento compresi il fascino travolgente di Lolita sul povero professor Humbert. Mi veniva da sorridere accorgendomi che stavo eccitandomi come un collegiale in un romanzo dell’ottocento.
Mi schiarii la voce. Le dissi di espormi le ragioni della sua ‘graditissima’ visita, la ascoltai dimostrando esteriormente una grande attenzione, ma in sostanza cercando di spogliarla con gli occhi.
Non so bene cosa mi raccontò, ma alla fine mi dissi a sua disposizione e la invitai per l’indomani, sabato, verso le undici.
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Era necessario architettare un piano, e non sentivo alcun rimprovero di coscienza mentre stavo cercando di studiare la strada più facile e rapida per’ vedere come era fatta sotto le vesti quella bella bambolina.
Avrei dovuto sentirmi ridicolo, invece, a cinquantacinque anni, stimato cattedratico e nonno, intento a puntare lascivamente su una fanciulla che si era rivolta a me per aiuto. Con molta ipocrisia e cinismo conclusi che, in fondo era maggiorenne e non era certo una santarellina.
Fu così che quando alle undici esatte bussò alla mia porta (il sabato ero quasi sempre solo) e le dissi di entrare, si presentò, allegra e pimpante con una ampia gonna a fiori e una camiciola rossa. Era veramente splendida!
Le chiesi se avesse impegni per il pranzo e, alla sua risposta, le proposi di andare a mangiare qualcosa in un ristorantino che conoscevo io, non molto lontano dalla città, ma quietissimo. Approvò l’idea con un sorriso. Scendemmo in cortile, dove parcheggiavo, salimmo in auto, mi avviai lentamente.
Mi rivolsi verso lei.
‘Sono certo che le piace il pesce? Vero?’
Annuì.
Allora andiamo in un posticino tranquillo, alla Conchiglia!
Non riuscii a comprendere se il suo sorriso fosse ingenuo, innocente, o racchiudesse una specie di complicità.
Seguitavo a guidare e a pensare. Complicità in ché? Era ridicola una tale idea. La guardai. Una bimba, ed io’ più o meno suo nonno! B&egrave -rimuginavo- proprio nonno no, ma quasi!
Al ristorante trovammo un angoletto riservato, dal quale si dominava la spiaggia, semideserta, e il mare.
Jula si lasciò guidare dal maitre, gustò tutto con evidente piacere, bevve anche il ‘Frascati’ doc servito piacevolmente fresco.
Io desinai distrattamente, ero intento ad contemplare la visione di quella ‘ragazzina’ che mangiava con piacere, mi sorrideva’ Era veramente affascinante, seducente.
Alla fine del pranzo, ero completamente in preda a un irresistibile desiderio di carezzarla, baciarla. Almeno quello. Ma fingevo con me stesso, perché il mio sesso era particolarmente irrequieto. Mi vennero in mente le lunghe ‘arrapate’ dell’adolescenza, quando avevi urgente ed estrema necessità di ‘infilarlo’. Dovunque!
Pensai al solito luogo comune di invitarla a casa con una scusa qualunque. Non sapevo bene il perché. In fondo, una volta soli, cosa avrei fatto? Sarebbe stato ridicolo, grottesco, tentare di baciarla. Un uomo della mia età con una fanciulla del genere.
Comunque, mi sorpresi a dirle.
‘Che ne direbbe, Jula, di andare da me a prendere il caff&egrave? Ho una casetta qui vicino, sul mare.’
‘Che bello, professore, e si vede il mare da casa sua?’
‘Certo, c’&egrave una lunga veranda.’
‘OK, andiamo.’
Si avviò, quasi saltellando, verso l’auto. Allegra, spensierata. Io seguivo con lo sguardo il malioso muoversi di quell’ incantevole sederino nella gonna.
Forse stavo osando troppo. Dovevo stare molto attento a non perdere il controllo.
Quando giungemmo alla villetta, poco distante dalla ‘Conchiglia’, aprii il cancello col telecomando e fermai dietro l’edificio, Jula saltò dall’auto e guardò intorno con ammirato interesse.
‘Ma questa, professore, &egrave una villa’ altro che casetta”
Le tesi la mano, l’afferrò.
‘Vieni’. Scusi’ venga”
Mi strinse la mano.
‘Mi dia il tu’ne sono felice”
‘D’accordo, a condizione che anche tu lo ricambi.’
Mi fissò aggrottando le ciglia. Strinse le labbra.
‘Non credo di riuscirci’ ci proverò’.’
Aprii il portoncino sul retro, entrammo, la condussi nel salone, dove era la vetrata di fronte al mare. Corse a schiudere un vetro, si affacciò. Quel culetto sporgente era proprio una tentazione!
Andai dietro lei, con indifferenza mi misi molto vicino, moltissimo’ vicinissimo’ accolsi quelle piccole, tonde, sode natiche nel mio grembo, proprio sulla patta gonfia e irrequieta.
Rimanemmo così qualche secondo. Lei si alzò, voltò la testa verso me, mi sorrise. Ora che era in piedi, abbastanza più bassa di me, il mio fremente malloppo era più in alto, quasi sulla schiena, proprio all’inizio del rotondeggiar del suo sedere. Ero veramente a disagio.
Le posi le mani sui fianchi, snelli e tondi nel contempo, caldi, pur attraverso la stoffa, salii verso l’alto, sulla blusa, sotto le ascelle, e cautamente azzardai un avvicinamento alle tettine. Non si mosse, anzi mi sembrò che si accostasse a me. O ero io che la stringevo contro la finestra. Erano piccole, tonde, durissime, e con un capezzolino piccolo come una fragola. Certamente non portava reggiseno perché sembravano nude al tocco della mia mano.
Non ve la facevo più!
Mi chinai per baciarla sul collo, la presi per le spalle e la voltai lentamente, verso me. Mi guardò con occhi dolcissimi, splendenti, e la piccola bocca rossa tremava. Mi abbassai e posi le mie labbra sulle sue. Era rimasta con le braccia lungo il corpo. L’abbracciai, cercai di entrare con la lingua nella sua bocca, la dischiuse esitando, poi sentii la sua che mi veniva incontro, e le sue braccia mi cinsero il collo.
Un bacio lungo, fremente, appassionato, anche con voluttuoso palpamento e stretta delle piccole meravigliose natiche, e strofinio della patta al suo pancino.
Ci staccammo perché dovevamo respirare.
La guardai interrogativamente, mentre le carezzavo il visetto.
Mi sorrise incantevolmente.
Con naturalezza, con ingenuità, mi sussurrò, a bassa voce.
‘Sa professore, che non ho mai fatto l’amore? Mi son ‘tosa”
‘Ma come, Jula, ancora il ‘lei’?
‘Cossa la vòl’ no’ riesco”
L’emozione le aveva messo in bocca il dialetto.
Le cinsi la vita, mi avviai verso la poltrona, sedetti, la presi sulle ginocchia.
Era docile, arrendevole, ma soprattutto dolcissima.
La baciai ancora, e contraccambiò. Questa volta con maggiore coinvolgimento.
Fu naturale introdurle la mano sotto la gonne, carezzarle le cosce, entrare nelle mutandine, incontrare i riccioli di seta del pube. Teneva le gambe strette.
Mise le labbra sul mio orecchio.
‘Go’ deto’ le ho detto, professore, che sono ‘tosa’.’
‘Solo una carezza lieve, piccola, una carezzina”
Dischiuse appena le cosce. La mano, aperta, si poggiò sulla vulva, un dito si intrufolò tra le grandi labbra, carnose, vellutate, e sfiorò il clitoride. Era piccolino, ma vibrava. Al tocco del mio dito sentii irrigidirsi le natiche della ragazza, mentre arcuava la schiena portando leggermente in avanti il bacino.
Aveva gli occhi chiusi, le labbra semiaperte, le nari frementi.
Il dito insisteva, delicatamente, ma decisamente. Lei sobbalzava sempre più sulle mie ginocchia, sulla mia patta nella quale, temevo, da un momento all’altro poteva’
Jula emise un lunghissimo respiro, un lieve gemito dalla bocca, un sussultare disordinato, e poi giacque, come priva di forze. Mi chinai su lei, la baciai. Lentamente ritirai la mano, le carezzai il volto.
Deglutì, aprì gli occhi, mi guardò.
‘Cosa ho fatto, mio dio’ come una’. Una”
Non sapeva come continuare.
‘Una bambina splendida”
Cercò di alzarsi. La trattenni.
‘Cosa penserà di me, professore’ devo andar via’ mi scusi”
Seguitai a carezzarla, stretta a me, a cullarla.
‘Buona, piccola, buona’ spero non averti fatto male’ non averti offesa’ Solo una carezza’ omaggio alla tua bellezza, alla tua verde età”
Parlava a scatti, ogni tanto deglutiva.
‘No’ male no’ nessuna offesa’ ma non dovevo”
‘Ti &egrave proprio dispiaciuto?’
Mi guardò fissa. Scosse la testa, e quando avvicinai le mie labbra alle sue, mi cinse il collo e il bacio fu voluttuoso.
‘L’ho deluso, vero, professore? Capisco che lei’. Adesso’ ma cossa la vòl, no’ so’ proprio cossa far”
Glielo stavo per dire, ma preferii che lei pensasse alla dolcezza del mio gesto, e al mio desiderio di darle piacere, più che riceverne.
Si alzò lentamente.
‘Scusi’ dov’&egrave il bagno?’
Le indicai dov’era. Si avviò verso il corridoio. Io corsi al piano di sopra, nel mio bagno, e cercai di rabbonire il mio spazientito sesso con freddi getti d’acqua.
Quando ridiscesi, Jula era là, a guardare il mare.
Si avvicinava l’ora del rientro.
Andammo verso l’auto.
Tornammo senza fretta.
Quando la lasciai, vicino casa sua, scesi, la ringraziai moltissimo. Si alzò sulla punta dei piedi e mi baciò sulla guancia.
‘Grazie a lei professore”
‘Credi che potrò invitarti ancora a pranzo?’
‘Certo, anche’a prendere un caff&egrave. Sa, la prima volta non mi &egrave riuscito a darle il ‘tu’, ma chissà”
Sorrise dolcemente e si avviò verso il portone.
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Il pensiero di Jula era il mio tarlo, un vero tormento interiore.
Aveva detto a chiare lettere che era ‘tosa’, vergine. Allora perché continuare quella storia che non aveva conclusione? Certo non concepivo neanche lontanamente di essere il’ primo! Allora?
Si, ma quando mi sarebbe più capitata la possibilità di tenere tra le braccia, baciare, carezzare, cullare, una bambolina del genere!
Non riuscivo a concentrarmi sul non poco da fare che avevo.
Ma sì, almeno un’altra volta volevo sentire quella carne liscia e soda, vellutata, al cui solo pensiero mi eccitavo come in tempi ormai lontani.
Quella carica mi dava una energia che dovevo scaricare in qualche modo.
Elda, la mia consorte da quasi trent’anni, ancora splendida e stuzzicante nel pieno dei suo cinquanta, rimase piacevolmente sorpresa dall’impeto che misi quella sera quando, impaziente e avido, la denudai quasi con aggressività, la baciai appassionatamente e la penetrai con un vigore che era straordinario da chi aveva superato i cinquantasei. Ne fu entusiasta, Elda, e quasi non credeva alla realtà quando, dopo pochi minuti, la’. assaltai di nuovo, godendo pazzamente del suo eccezionale orgasmo, ma stentando ad impedirmi di chiamarla Jula.
Quando, esausta, affannata, ancora palpitante, mi guardò fisso in viso, mentre ero ancora sopra le e in lei, mi sorrise, beata.
‘Che ti succede, caro, hai una foga più che giovanile, credo che non abbiamo mai fatto l’amore con tanto trasporto.’
E mi carezzò dolcemente.
Scossi appena la testa, trattenendomi dal dirle che doveva ringraziare Jula.
L’indomani dopo tanti arzigogoli mentali, decisi che avrei telefonato a Jula.
Non ce ne fu bisogno. Mi precedette. Venne a trovarmi e disse alla mia segretaria, mentendo, che ero stato io a dirle di venire. Non era vero, ma l’attendevo!
Entrò, compunta, quasi con gli occhi al suolo, con quella sua aria di santarellina che mi eccitava pazzamente, attirava, invitava’ Si fermò sulla porta, sorrise.
‘Mi scusi, ma sono venuta per ringraziarla del tempo che mi ha dedicato, e per pregarla di darmi qualche consiglio in merito alla linea di condotta che &egrave opportuno che io osservi’ sa’ come le ho detto’ vengo da un paese piccolo, abbastanza lontano, dove si hanno diversi usi e costumi”
Mi alzai per salutarla.
‘Vieni avanti, Jula, accomodati’ ma quel ‘lei”!’
Mi sorrise, con aria candida.
‘Gò capìo, professor’ me daga tempo”
Sedette. Era bellissima, fresca, acqua e sapone, con occhi splendidi, incantevoli. E quel corpicino, sentivo vellicarmi le mani al ricordo di quelle carezze, e mi eccitavo sempre più. Sapevo del limite invalicabile che mi aveva posto, ma, in ogni caso, godere ancora un po’ il contatto con quelle tettine, con quella’. Rabbrividii al pensiero.
‘Che ne diresti di mangiare qualcosa nella mia casetta al mare? Farò preparare tutto e portare in casa, per essere più liberi, a avremo tempo anche per impostare un po’ il tuo piano di studi più adatto al programma per il tuo futuro.’
‘Bellissimo, professore’ quando?’
‘Diciamo domani? Alle 11.00 qui?’
Si alzò, fece quasi un inchinino, mi salutò. Strinsi quella mano affusolata ed era bello sentirne il tepore. Andò via, lentamente con leggero ancheggiare che poneva in risalto, sotto la stoffa, quel sederino di sogno.
Indomani.
Puntualissima. Gonna ampia, leggera, blusa di cotone, intrecciata in vita.
Non ci volle molto per giungere al mare, a mezzogiorno eravamo nel soggiorno, dove era stata apparecchiata la tavola. Sulla lavagnetta della cucina era stato scritto, a stampatello, che vino e macedonia erano in frigo, e il cibo era in caldo nel forno.
Chiesi a Jula se volesse mangiare subito, mi rispose che non aveva fretta e aggiunse, che comunque, al momento opportuno dovevo sedere a tavola e avrebbe pensato lei a portare tutto dalla cucina.
Anche questa volta andò alla vetrata verso il mare.
‘Peccato, professore, che non si possa fare il bagno.’
‘Soprattutto peccato non poterti contemplare in bikini’ o usi il topless?’
Ero dietro le, si voltò e mi guardò negli occhi.
‘A seconda di dove mi trovo, a me piace la natura, fare il bagno nuda”
Me la immaginai, quella bambolina, baciata dal sole’ dovunque’
Mi ero tolto la giacca, ero andato a sedere nella mia solita poltrona.
‘Vieni qui, piccola”
Si avvicinò a me, dolce, garbata. Si fermò di fronte a me. Le tesi le mani, la feci avvicinare ancora di più. Lei, con un’espressione innocente e semplice in volto, slacciò il nodo che chiudeva la blusa. Le piccole meravigliose tettine apparvero in tutta la loro acerba bellezza. L’attirai ancora, la lingua lambì tra le piccole mammelle, le mammelle, i capezzoli’ Si inturgidirono, e li ciucciai golosamente, alternativamente, mentre sentivo che lei palpitava. Misi le mani sotto la gonna, afferrai le sode adorabili natiche, le strinsi, entrai sotto le mutandine. Jula respirava forte, con un piccolo gemito che le sfuggiva dalle labbra’ afferrai le mutandine e le tirai giù, di colpo’ si stacco un po’ mi guardò, un po’ intimorita, con occhi che dicevano il suo allarme’
Staccai la bocca da quei boccioli saporiti.
‘Non temere nulla, piccola, ti bacio”
Abbassai del tutto le mutandine, sollevò i piedi per sfilarle, alzai la gonna. La visione di quel tosone biondo era fantastica. Tuffai il volto in quella massa serica, con dolce decisione le feci divaricare le cosce. La baciai’ le grandi labbra, la lingua saettava golosa e impaziente, sentii il clitoride, cominciai a spatolarla con movimenti lenti e lunghi, dal perineo al pube, sempre più insistenti e precisi. Le lambii le piccole labbra roride e vibranti, le tenevo ben strette tra le mani le natiche irrequiete. La punta della lingua si inoltrò appena, sentì il rorido delle piccole labbra, il pulsare del clitoride, delicatamente si inserì, un poco, solo un poco, tra le piccole labbra, si ritrasse e tornò a entrare, sempre pochissimo. Il culetto di Jula era impazzito, non riuscivo a tenerlo nelle mani. Gemeva, mormodarava qualcosa’
‘O signor’ che bello’ o signor’. dobra’ dobra’ oddio’ ooooooooooh!’
E spinse forte il suo grembo vero il mio volto, fu scossa da un tremore incontrollato, sentii il sapore della linfa del suo godimento che si spandeva sulla lingua’
Dovetti sorreggerla, l’accolsi dolcemente sulle mie ginocchia, senza curarmi di ciò che sarebbe accaduto ai miei pantaloni, nei quali il mio fallo stava per esplodere’
La carezzai dolcemente, la baciai’
Aveva gli occhi lucidi, come se avesse pianto, la voce rotta da piccoli singulti..
Mi guardò con volto estatico.
‘Ma cossa la gà fatto’ cossa la gà’!
‘Sei bellissima, piccola, bellissima”
Con gesti cauti, le tolsi del tutto la blusa, sbottonai la gonna, la feci alzare. Era nuda, completamente nuda’
Era troppo, non ne potevo più non resistevo’. Mi sbottonai rapidamente i pantaloni, li tolsi, in fretta, e così gli shorts’ Il mio fallo s’ergeva prepotente’
Jula trasalì, si guardò intorno, allarmata’
Le presi la mano.
‘Non ti preoccupare, bambina bella, non ti farò nulla, vien qua, sulle mie ginocchia’ sì’. così’ ‘
Sedette con esitazione e perplessità.
Feci in modo che il mio fallo fosse tra le sue calde e umide cosce, col glande che premeva sul pube, tra i riccioli d’oro.
Seguitava a guardarmi.
‘Ma’ non l’ho mai fatto’. Mai’ ho paura che ‘.’
‘Nessuna paura, tesoro”
Con le mani sotto le sue natiche la feci alzare un po’ e poi riabbassare’
Capì a volo, non solo, ma allargò un po’ le gambe per sentire la mia asta tra le sue grandi labbra, a contatto col clitoride, e cominciò un voluttuoso movimento, mentre le titillavo i capezzoletti’
Ero eccitatissimo, e non ci volle molto perché le mie seminali esplodessero un carico così a lungo represso, che schizzò dovunque, sul suo pancino, impastò i suoi riccioli d’oro, e lei guardava, non so se sconvolta o sbalordita.
Poi i suoi occhi si posarono su me, mi abbracciò, mi baciò sulle labbra.
Con aria infantile mi fissò.
‘Che spettacolo, professore, che spettacolo’.’
Bagnò due dita in quel liquido vischioso e lo assaggiò.
‘Ti piace, Jula?’
Alzò le spalle.
‘Insomma!’
Mi sembrò più una ammissione di gradimento che altro.
Era urgente una doccia, per tutti e due.
La presi sulle braccia.
Andai nella mia camera da letto, nel bagno adiacente.
Jula era completamente nuda.
Io completamente’ ridicolo. Con calze e scarpe, senza pantaloni, camicia e cravatta, colletto slacciato!
La feci entrare nel vano doccia, tolsi tutto rapidamente, aprii l’acqua calda ed entrai accanto a lei.
Era bella anche così, sembrava una sirena. Chissà perché pensai a ciò.
La lavai accuratamente, indugiando, e molto, nelle parti che più mi affascinavano’ le tettine, il sederino, tra le gambe’ insistevo, indiscretamente, ma non mi sembrava che disdegnasse le mie attenzioni’
Sorprendente per la mia età, ma comprensibile, il rinvigorirsi del mio fallo che, nel muovermi, andava sempre a incontrare lei.
Con serietà, e senza alcuna ostentazione, lo afferrò, insaponò, lavò, e alla fine si chinò e lo baciò con entusiasmo.
Ciò mi fece balenare in mente una certa cosa.
Chiusi l’acqua, presi il telo a spugna, e cominciai ad asciugarla delicatamente. Fui io a chinarmi e a baciarla, là, golosamente. Poi mi detti una asciugata alla meglio, la ripresi sulle braccia, andai in camera e la posai sul letto. Mi alzai a contemplarla. Che visione incantevole, che fascino, allettamento’ ed invece non potevo entrare in lei, come smaniavo’ ero percorso da un fremito al solo pensiero.
Però, potevo ancora baciarla, tornare a sentire il profumo e il sapore del suo sesso. Chissà se ci stava. Dovevo provarci. Mi chinai con la testa tra le sue gambe. Le divaricò subito, al massimo. Il mio volto vi si buttò, ingordo, e la lingua riprese, con maggior eccitazione e ingordigia, una accurata perlustrazione di quella meraviglia, tornando ad assaporarne la linfa che subito venne a premiare tanto impegno.
Sentii muoversi la manina di Jula, cercare’ cercare, e lei si curvò un po’ per afferrare il mio fremente fallo.
Dovevo facilitarla. Era semplice, bastava mettersi su lei, senza appesantirmi, senza schiacciarla, poggiandomi sulle ginocchia, col bacino all’altezza del suo volto’ ma non immaginavo, e tanto meno speravo, che quella posizione le avrebbe suggerito qualcosa di celestiale.
Sentii che aveva preso l’asta con una manina, le dita dell’altra stava scoprendo completamente il glande, e’ e dapprima la sua linguetta, poi bacetti e’ e infine’ il mio vecchio fallo trovò accoglienza in quella stretta, calda, umida boccuccia che, sia pure senza esperienza, riusciva, guidata dall’ impulso naturale u ciucciare in modo veramente egregio, donandomi sensazioni sconosciute.
Seguitavo a spatolarla, a qualche limitata penetrazione linguale, e sentivo che stava sempre più sussultava, e lei ciucciava freneticamente, il sapore del suo piacere mi testimoniò il suo orgasmo, cos’ come il sussultare del suo grembo, lo stringersi della gambe intorno alla mia testa’
Anche io stavo per raggiungere’
Mi staccai un po’.
‘Attenta, Jula”
E cercai di tirarmi indietro.
Le sue mani si afferrarono alle mie natiche, le strinsero a lei, il succhio divenne impetuoso, entusiasta, e quando il prodotto delle mie seminali fu espulso, sentii che deglutiva, e mi parve voluttuosamente.
Restammo così. Era bello, Il mio volto sul suo sesso; il mio sesso tra le sue labbra. Comunque, pensai, era in lei.
Cercai di riordinare le idee, mi misi supino, venne a rannicchiarsi tra le mie braccia, di fianco, con una gamba sul mio fallo molliccio e il calore del suo sesso sulla mia coscia.
Le dissi che era ora di mangiare. Mi guardò con occhi splendidi ed estasiati.
Annuì con la testa, più volte. Ma non si mosse.
Qualche minuto dopo sentii che respirava pesantemente, come facesse le fusa.
La strinsi ancora di più a me. Le carezzai i capelli, la schiena. Più giù.
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