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Racconti Erotici Etero

Kao ki

By 14 Febbraio 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

Per qualcuno sono un arido materialista che apprezza solo i piaceri e i beni materiali, privo di ideali, incapace di comprendere le esigenze dello spirito.

A parte che non m’interessa nulla del giudizio degli altri, ma solo per precisare (non giustificare) il mio modo di vivere, devo dire che io divido nettamente quello che la scuola francese definisce ‘le domaine de l’esprit e du sentiment’, ambito dello spirito e del sentimento, dalla concretezza e dalla razionalità.

Di conseguenza, l’estasi mistica, meravigliosamente rappresentata dalla celebre scultura di santa Teresa, &egrave cosa mirabile, celestiale, puro rapimento dello spirito, e nulla ha a vedere con l’estasi dei sensi, l’ebbrezza, la voluttà travolgente della sessualità.

E’ certamente delizioso chiudere gli occhi e lasciarsi trasportare da una melodia, da una sinfonia, dallo struggimento del valzer triste di Sibelius.

Ci sono volte che &egrave bello incantarsi di fronte alla magnificenza di un’opera d’arte, una statua, un dipinto’ Restare affascinati da un paesaggio, dal sorgere o tramontare del sole, dal colore del mare, da una delle infinite bellezze della natura’ soprattutto da quella che, almeno per me, &egrave la più seducente di ogni altra, la donna. Unica bellezza viva e palpitante, di cui tu, uomo, sei a tua volta per lei fascino, attrazione.

Godimento completo, della vista, del tatto, dell’udito, del sapore, che culmina nell’appagante amplesso da cui hai tratto vita e col quale doni vita.

Se poi sentire l’irresistibile richiamo della femmina significa essere ‘materialista’, allora io lo sono.

Non sono, però, un ‘whoringman’, uno che va continuamente a puttane, ma non &egrave detto che una di quelle benemerite professioniste non faccia al caso tuo, quando capita.

A parte il fatto che a volte ti si presentano in modo tale che anche un esperto della materia non sempre riesce ad identificarle a prima vista.

Kao Ki, mi &egrave stata presentata come una studentessa proveniente dall’Asia.

Termine vago, Asia, lo so, ma a me non interessava indagare sul paese natale.

Kao &egrave una ragazza splendida, e il suo esotismo la rende ancor più attraente. Parla un ottimo italiano, con dolci cadenze lontane.

Sono stato invitato a casa sua, per una festicciola tra amici, ed io lo sono di uno studente coreano, credo suo parente.

Un appartamentino grazioso che lei riesce a mantenere, dice, con qualche lezione privata e come guida turistica ai suoi connazionali. Inoltre, ogni tanto posa per foto di ‘nudo artistico’, di cui una, pregevolissima, fa bella mostra, incorniciata, sul tavolino nell’angolo del salotto-studio.

Non so perché, ma avevo la sensazione che Kao non disdegnasse qualche regalino meritato con la concessione delle sue avvenenti e appetitose grazie.

In ogni caso, mi dovevo comportare con la massima discrezione, perché quella ragazza mi interessava e non volevo guastare tutto con una mossa affrettata e sbagliata.

La cena, in ogni caso, era ottima.

Una cena coreana, il cui pezzo forte &egrave stata la ‘Samg ye-tang’ che gli inglesi chiamano ‘Ginseng Chicken Soup’, a base di giovane pollo imbottito con riso, ginseng, jujuba ed altre spezie che rendono tenerissima la carne e facilmente staccabile con le sole bacchette per mangiare.

L’ambiente era leggermente velato dal bruciare di bastoncini profumati, e sedevamo su bassissimi cuscini, intorno al tavolo di legno scuro.

Nell’aria si diffondevano le note languide di un canto orientale, lento e coinvolgente.

Insomma, luogo, musica, pollo, ginseng e soprattutto Kao Ki, erano l’ideale perché la serata proseguisse con un epilogo esaltantemente erotico.

Si trattava di attendere lo svolgersi degli eventi.

L’amico coreano mi sussurrò che Kao Ki mi guardava in un certo modo, e mi fece comprendere che non avrebbe certo disdegnato, la ragazza, un generoso contributo alle spese sostenute per quella festa, e di ciò me ne sarebbe stata grata. A modo suo.

^^^

I commensali cominciavano ad accomiatarsi.

L’ultimo fu il mio amico coreano.

Rimanemmo soli, Kao Ki ed io.

Lei indossava una specie di tunica dorata, con ampi spacchi ai lati, dai quali s’intravedevano le sue belle gambe, e sembrava che non avesse null’altro. Gli occhi la frugavano, fantasticavano sul come potessero essere le natiche, le tette, il resto.

Mi guardò con un sorriso indefinibile.

Invito? Scherno? Mah!

S’avviò a passettini verso la porta scorrevole che era alla nostra destra, l’aprì, si fermò sulla soglia, si voltò a guardarmi. In silenzio.

Andai lentamente verso di lai.

Kao Ki entrò nella sua camera, in penombra, solo un letto, un mobile basso, cuscini in terra.

Mi indicò il letto.

‘Spogliati, sdraiati. Ti chiami Carlo, vero?’

Annuii, senza rispondere.

Lei, intanto, s’era avvicinata al piccolo mobile sul quale erano dei vasetti che contenevano qualcosa.

Avevo messo i miei vestiti, piegati con ordine, per terra, ai piedi del letto.

Ero supino, curioso ed eccitato.

Si avvicinò a me, s’inginocchiò, mise un dito nel vasetto, lo estrasse ricoperto d’un unguento dorato. Con l’altra mano, delicatamente, abbassò il prepuzio dal mio glande rigoglioso, e con dolcezza cosparse l’unguento nel solco balanico, tutto intorno. Si alzò, lascio cadere la sua tunica. Era nuda.

Il mio glande fu dapprima pervaso da un senso di freschezza, poi da un piacevole calore. Avevo la sensazione che fosse diventato più turgido del solito.

Kao Ki salì sul letto, dandomi le spalle, e sempre con garbo squisito, prese il mio fallo e lo portò tra le sue gambe, all’orifizio della vagina.

Vi si impalò lentamente, col viso rivolto a me, scrutandomi intensamente. Era l’immagine della voluttà, e non fingeva.

I suo movimenti sembravano seguire un particolare rituale. Si alzava ed abbassava come seguendo una melodia, simile a quella che avevo ascoltato durante la cena. Le contrazioni della sua vagina fasciavano il glande che sentivo come se fosse divenuto un grosso fungo che la carezzava voluttuosamente.

Io stavo godendo in modo inusitato, nuovo, strano, ma la mia partner non era da meno.

Lo leggevo sul suo volto.

Ad un tratto, cominciò una successione di spostamenti eseguita con consumata perizia, iniziò a girarsi, curando che il fallo non uscisse da lei, fin quando non fu rivolta verso me, che le serravo i fianchi, mentre lei si comprimeva il petto. Era bellissima, eccitante.

Era incantevole vederla così, ed ancor più era il suo dondolio che mi stava conducendo alla naturale conclusione di quell’indimenticabile amplesso.

Quando percepì che ero sul punto di prorompere in lei il seme caldo che stava rapidamente salendo, si lasciò andare a un orgasmo frenetico, travolgente, che mi munse come fa un vorace vitellino col capezzolo della mamma. Ed il mio latte fu in lei.

E lei si rovesciò su me, col corpo, in preda a sussulti che mi trasmetteva languidamente.

Esperienza mai immaginata, mai sperata.

Impreziosita dell’incantevole visione del suo sesso che ancora ospitava il mio fallo, delle belle tette succulente.

Giacque così, con gli occhi chiusi, le pareti della vagina che andavano lentamente rilassandosi, e che si contraevano, golose, al sentire sfuggire da lei l’oggetto che le aveva dato, che mi aveva dato, tanta delizia.

Poi, si voltò su un fianco, si raggomitolò tra le mie braccia, col mio fallo tra le sue belle natiche. E cadde in un assopimento che, però, non s’estendeva ai palpiti della sua splendida carne, liscia come la seta.

Ecco, il mio modo di ragionare, il mio, diciamo così, materialismo, non mi faceva pensare con disappunto che, in fondo, poteva essersi trattata solo di una pregevole prestazione professionale, per la quale era atteso un giusto corrispettivo.

Mi aveva fatto godere, in modo nuovo e meraviglioso.

Questo era un fatto.

Il mio ‘riconoscimento’ lo consideravo del tutto astratto dal resto.

Un dono, come ad un altro, come quello del marito alla moglie dopo una particolarmente soddisfacente notte d’amore.

Quando si destò, dopo più di un’ora, si alzò dal letto, andò nel bagno e dopo qualche minuto tornò con un recipiente nel quale erano dei piccoli asciugamani di morbida spugna. Si inginocchiò per terra, vicina a me. Prese uno di quelle salviette, l’avvolse intorno al mio fallo. Era calda, bagnata, odorosa.

Lo deterse accuratamente, meticolosamente. Poi vi passò un altro di quei panni, quindi uno asciutto.

Mi spinse garbatamente su un fianco, ripeté la stessa operazione tra i miei glutei.

Andò di nuovo nel bagno e tornò con un’altra ciotola, simile alla precedente, con dentro altri panni tiepidi ed odorosi. Si sdraiò, dischiuse le gambe, mi porse quella specie di scodella, sorridendo.

Fui io ad inginocchiarmi, a lavare ed asciugare i suoi riccioli ingommati dal mio seme, a raccogliere quanto ancora essudava dalle sue piccole labbra, e quando si mise bocconi, indugiai tra le sue natiche attraenti ed invoglianti.

Si voltò, rimase supina, mi sorrise seducentemente, e quando cominciai a baciarla la dove era stato il mio sesso, mi carezzò la testa, fin quando non tornò a fremere voluttuosamente.

^^^

Quando al mattino mi chiamò perché aveva preparato la colazione sul basso tavolo, sentii l’istinto di baciarla, e mi corrispose appassionatamente, cancellando completamente dalla mia mente il pensiero che fosse una professionista del sesso.

Ero pronto per tornare al mio lavoro quotidiano.

Le chiesi se potessi tornare.

‘Quando vuoi, la mia lampada &egrave sempre accesa, per te!’

Le dissi che avrei voluto regalarle qualcosa, non so, un bel vestito, in ricordo dei momenti che mi aveva regalato.

‘Tu hai dato piacere a me, io ho dato piacere a te.

Se tu mi fai un regalo, io devo farti un regalo.’

‘Verresti a trascorrer un week end con me, Kao Ki?’

‘Sarà triste il ritorno, per me.’

Non so come definire la relazione tra me e Kao Ki.

Materialista?

Sentimentale?

Sicuramente appassionata, ardente, appagante.

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