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Racconti Erotici Etero

La pupa e il secchione.

By 31 Ottobre 2006Dicembre 16th, 2019No Comments

Mi chiamo Marianna e ho 23 anni. Non sono fidanzata anche se ho avuto molti uomini e moltissime storie fugaci. Mi ritengo una ragazza bella, ed è quello che mi dicono tutti i maschietti, e mi guardano con quegli occhi arrapati quando giro all’università, con i tacchi a spillo, la minigonna bianca e la camicetta azzurra, o a volte nera. In genere ci tengo a mostrare le mie cosce in giro, perchè mi piace essere desiderata, spiata in continuazione, e mi piacciono i commenti spinti degli operai che passano sui camion all’esterno dell’università. tra l’altro per mostrare le mie cosce più eccitanti la mattina spalmo della crema che mi rende le gambe lucide per tutto il giorno. Questo è un mio piccolo segreto. Avrei di storie da raccontare che sono successe in questi quattro anni di università, ma ci vorrebbe troppo tempo. Molti hanno desiderato queste mie labbra carnose, e a molti le ho concesse. Molti si sono innamorati dei miei occhi verdi, ma in genere non condedo mai oltre il mio corpo, forse perchè ancora non ho trovato l’uomo giusto. Adesso sto per laurearmi, però devo dare ancora un’esame. E questa volta non posso far colpo semplicemente sul professore semplicemente con uno scollo ancora più profondo, perchè si tratta di una donna. Devo per forza seguire il corso, ma non ne ho voglia. Quindi rimango tra i corridoi perchè amo farmi divorare dagli occhi. Fumo una sigaretta e aspetto che finisca l’ora così magari abbordo qualche bel maschietto del primo anno, di corso e mi faccio passare gli appunti. Eh sì, perchè tra l’altro è un esame del primo anno, che mi sono sempre portata dietro. Noto che c’è il solito guardone che finge di aspettare qualcuno ma in realtà mi spia, guarda ogni mio movimento. E non è il primo caso, succese quasi ogni giorno. Allora per provocarlo mi metto in pose da topa, fingo di leggere la bacheca e spingo il busto in avanti, e la minigonna si alza di qualche centimetro, e lui riesce a vedere le mie mutandine, vedo il suo viso riflesso nel vetro della bacheca. Mi guarda in maniera ossessiva le cosce. Continuo questo gioco di provocazone fino a alla fine del corso, i ragazzi del primo anno sembrano così innocenti, così piccoli. Solo qualcuno mi spia con la coda dell’occhio, altri invece si sentono così estranei che fanno finta di stare in un mondo tutto loro. E quel soggetto chi è? Guardo un chiaro zimbello, molto timido, che cammina come un ebete con le braccia immobili e il passo affrettato. Lo sguardo abbassato e gli occhiali tondi con la montatura blu. Sembra un ragazzo pulito, che forse neanche si masturba perchè la mamma gli ha detto che è peccato. Però stranamente mi intriga quel carattere da succube dei genitori, e mi viene istintivo di fermarlo.
– Scusa – lo chiamo, e lui si ferma e mi guarda ma subito abbassa lo sguardo. Forse sono la prima ragazza che gli rivolge la parola. Diventa rosso per l’imbarazzo. – Non imbarazzarti – gli dico scherzando. – Volevo chiederti solo se potevi prestarmi gli appunti di oggi.
– Io veramente… vorrei averli per me. Studiarli, a casa – mi risponde sempre con gli occhi a terra.
– Ma si tratta solo di qualche minuto, li portiamo in copisteria e li facciamo fotocopiare. Io mi chiamo Marianna – annuisce, ma non mi dice altro. Capisco che per lui va bene la soluzione della copisteria. – E tu? Hai un nome?
– Mi chiamo Gabriele.
– Amore, dovresti cercare di essere più aperto, dovresti cancellare la tua timidezza.
Ma l’imbarazzo gli è notevolmente aumentato dopo che ho utilizzato quel termine riferito a lui, “amore”. Lungo il tragitto per la copisteria non mi dice niente, cavargli qualche da parola da bocca è una cosa ardua. Camminiamo fianco a fianco, e quando siamo fuori all’università degli operai in un camion fermo nel traffico ci guardano, ma guardano essezialmente le mie belle cosce lucide. So che stanno per fare qualche apprezzamento volgare.
– Guardate – dice uno degli operai. – La pupa e il secchione. Ma lascialo quello lì, te la do io una bella sopresa. Vieni, salta su con noi.
Li ignoro, sennò Gabriele potrebbe arrossire fino a scoppiare. La copisteria però ha la fotocopiatrice momentaneamente guasta, ci dice di ritornare tra un quarto d’ora. Usciamo dalla copisteria e propongo a Gabriele di farmi compagnia in questo quarto d’ora. Lui ovviamente cerca delle scuse. Balbetta, l’idea di restare solo con una ragazza lo fa entrare in uno stato di panico.
– Io veramente… dovrei andare, mia mamma mi ha detto che non posso fare tardi.
– Amore, calmati – gli dico accarezzandogli il viso con entrambe le mani. – Ascolti ancora la mamma? Immagino che tu abbia più di diciotto anni, ora sei indipendente, sei libero.
Gli prendo la mano e lo invito a seguirmi, con dolcezza. Lo sento tremare. Beh ormai ho deciso, ora è diventata una missione, devo cercare ad ogni costo di svegliarlo dal suo mondo di costrizioni e paure. Sarà un duro lavoro. Intanto l’università si è sfollata, sono andati tutti a casa. E noi due andiamo a sederci in aula studio, dove veramente non c’è anima viva. Siamo soli e subito penso che è qui il posto dove devo decidermi a fare qualcosa per farlo divertire un pò, per farlo distrarre dalla monotonia del suo studio e delle quattro mura di casa. Ma Gabriele invece non dice neanche una parola. Ha aperto un libro e ha cominciato a studiare, è come se avesse paura di me, e delle ragazze.
– Gabriele, per caso sei gay? Non ti piaccio neanche un pò? – gli chiedo sbottonandomi la camicetta nera, fino a metà.
Sotto non porto il reggiseno, in genere non è mia abitudine portarlo, le mie tette non sono molto grandi, porterei la terza di taglia. Gabriele nota il mio gesto e mi guarda con la coda dell’occhio, vede che la camicia è aperta così tanto che si vedono i miei capezzoli rosa. Ma poi subito ritorna al suo libro, come per dimostrare che non aveva notato niente.
– No, le ragazze mi piacciono – risponde balbettando. – E tu, sei… bellissima.
– Ti piace il mio corpo? – cerco di stuzzicarlo, accarezzandomi con una mano le tette, ma lui è diventato rosso che quasi non riesce a respirare. – Con questo corpo ci lavoro, sai? Faccio la cubista in una discoteca, per mantenermi gli studi. Ma posso rivelarti un segreto? Il mio sogno è fare la pornostar. Hai mai visto un film porno?
Alzo del tutto la minigonna, adesso sto con le mutandine bianche di fuori, seduta di fianco a lui e comunque non reagisce a questi stimoli. Il tessuto delle mie mutandine è talmente bianco che si riescono a vedere i peli castani della mia passera.
– No, non ho mai visto un film… – quella parila non la dice. – No, mai.
– Comunque puoi guardarmi, se vuoi – gli dico, ma lui guarda fugacemente le mie mutandine, arrossisce e poi ritorna con gli occhi sul suo libro, appoggiato sul tavolo. – Sei molto timido, vero tesoro? Hai mai fatto l’amore con una ragazza? – Gabriele fa di no con la testa. – Allora non sai come ci si comporta in queste occasioni, vero? Vuoi che ti insegni?
– Cosa?! – mi chiede, e lo vedo molto impaurito.
– Vieni qui tesoro – gli raccolgo le mani, una la porta dentro la camicetta, sulle tette, e l’altra sulla mutandina, che è già umida. Le mani gli tremano. – Calmati amore, il sesso ti darà più emozioni di quante ne puoi trovare sui tuoi libri.
Ma Gabriele è molto impacciato, non sa come toccarmi, non sa come muovere le mani.
– Hai mai toccato una passera?
– La vagina?
Allora, lezione numero uno: non chiamarla più in quel modo. Se vuoi essere un vero ometto duro con noi ragazze devi chiamarla “passera”. Guarda, eccola. Toccala – sposto la mutandina con le dita verso sinistra, e con l’altra mano avvicino le dita di Gabriele alle labbra umide della mia piccola. Con il medio gli faccio toccare il clitoride. – Ecco, questo è il clito. E per noi ragazze è meraviglioso quando i maschietti lo toccano.
Chiudo gli occhi, inizia a piacermi davvero questa situazione. Gabriele ha il batticuore e il respiro quasi affannato, sembra che respira a fatica. Praticamente sono io a muovergli le dita sul clitoride, e lui si lascia accompagnare. Finalmente ha iniziato a guardarmi, guarda il mio corpo, poi i miei occhi, ma non prende iniziative. Devo essere io a spiegargli cosa fare. Sbottono del tutto la camicetta e scopro le spalle, ma senza toglierla. Con la mano spingo il suo volto sul mio seno, le sue labbra calde mi toccano, ma senza reagire, non sa come comportarsi.
– Usa la lingua, amore. Leccami le tette.
La sua lingua viene fuori lentamente e mi insaliva i capezzoli. Così va davvero bene, il mio lavoro sta funzionando. Con la lingua arriva fino al mio collo. Intanto con una mano libera raggiungo la patta dei suoi pantaloni, gli tiro giù la zip, e cerco il suo arnese. Lo trovo subito, perchè è già bello duro, ed è notevolmente grosso. Lo tiro fuori e chiudo le dita intorno all’asta. Peccato che questo arnese non è mai stato dentro una ragazza, penso, perchè avrebbe potuto dare belle emozioni.
– Ehi, che arma impropria! – gli dico ridendo. – Più siete timidi e più ce l’avete grosso, voi maschietti. Aspetta che adesso ti insegno un giochetto.
Gli dico di sedersi sul tavolo, proprio davanti a me e di tenere aperte le cosce. Lui si alza nascondendosi l’arnese con una mano, e si siede sul tavolo. Allarga le cosce, e mi metto via la mano che usava per nascondere il suo cazzo. Con le braccia mi mantengo sulle sue gambe e chino la testa verso il suo arnese. La sua cappella sbatte prima contro le mie labbra ed i miei denti, poi decido di aprire la bocca per riceverlo tutto. Quasi mi da la nausea per quanto è grosso e per come mi riempie la bocca. Il suo sapore non è affatto male, mi piace da impazzire. Comincio a trattare il suo cazzo così come si tratta un lecca lecca, non riesco a smettere.
– Ti piace? Adesso ci sono più possibilità: puoi sborrarmi in bocca oppure sul viso. Dove vuoi darmela la tua sborra?
– La sborra?
– Sì, sai, quella cosa calda che esce quando raggiungi l’orgasmo – gli spiego ironicamente, e masturbandolo delicatamente per il momento. – Beh, lasciamo stare. Deciderai al momento.
Con la punta della lingua ritorno sul glande, accarezzandolo alla base della cappella fino alla sommità per poi ridiscendere. Gabriele mugula, non so quanto altro tempo gli rimane prima di venire. Faccio scivolare in bocca metà del suo pene e inizio un lento su e giù e con la lingua percorro ogni centimetro della sua asta. L’arnese è caldo ed eccitato che occupa tutta la mia bocca. Sento che Gabriele è ormai al limite, beh, devo dire che è andata benissimo, essendo la prima volta che una ragazza gli prende in bocca il cazzo. Faccio uscire il pene dalla bocca e lo lecco tutto, con la punta della lingua, dai coglioni fino al glande. Premo la cappella sulla lingua e la muovo a destra e a sinistra. Sento il glande gonfiarsi, libero il pene dalla morsa della mia bocca e lo masturbo con forza mentre fisso il suo pene interamente bagnato dalla mia saliva, fisso la pelle salire e scendere rapidamente sotto i colpi della mia mano. Poi lo guardo il viso di Gabriele, ha gli occhi e la bocca spalancata, fino a quando un’enorme schizzo di sperma parte dalla punta del glande finendomi sul naso, colando giù, fino alle labbra. La potenza dello schizzo mi fece ridere.
– Ehi, è caldissima amore. Guarda dov’è schizzata.
Sorrido e aumento ancora la velocità della mia mano, subito un secondo schizzo mi raggiunge i capelli e altri meno intensi mi colano giù, sulla mano che mantiene il cazzo. Continuo a muovere la mano su e giù ancora per un po’ fino a quando il pene torna molle, intanto fisso gli schizzi di sperma sulla mano che ne è quasi ricoperta.
– Ti è piaciuto? – non mi risponde, e con le mani tenta di coprirsi. Rimette dentro il suo cazzo, ma senza guardarmi. – Hai ancora molto da imparare. Se vuoi in questi giorni ti insegno anche tante altre cose.
Con un fazzoletto cerco di portarmi via lo sperma di Gabriele, prima di ritornare in copisteria per fotocopiare gli appunti, e poi tornare a casa. Restiamo qualche attimo a guardarci alla fermata del pullman, Gabriele non sa come comportarsi.
– Che fai, non mi saluti? Non me lo dai un bacio? – mi faccio avanti col viso e gli bacio le guance.
– Ciao Marianna. Ci vediamo domani – mi dice, e diventa rosso, imbarazzatissimo.
Torno a casa, abito a cinque minuti dall’università. Lui invece aspetta il pullman.

nynfetta@tiscali.it

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