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Racconti Erotici Etero

La sora Tuta

By 2 Settembre 2006Dicembre 16th, 2019No Comments

No, il mio vero nome &egrave Assunta, ma da quando ero ragazzina m’hanno sempre chiamato Tuta. Anzi, quando ero proprio piccola me dicevano ‘Tutarella’.
Poi, so’ diventata grandicella, ho messo le zinne, me so’ arzata fino a quasi 166 centimetri, e allora i fanelli me guardaveno e mi dicevano: ‘a bbona Tuta’! Io je risponnevo: “…Ma vvammorì ammazzato!”, ma intanto sorridevo e camminavo sculettando.
A diciotto anno l’ho fatto co’ Gigi. M’ha ingravidata, m’ha sposata, e poi &egrave andato a fasse ammazzà nella miniera di Marcinelle, per cercà di guadambià e facce campà, a me e a Righetto.
Marcinelle &egrave stato nell’agosto del 1956, e mo’ stamo nel 1976.
Righetto fa la scuola per sottufficiali di finanza, e io, con quarant’anni sul groppone, la sfango con qualche servizio qua e là, co’ la pensione di Gigi.
Adesso pulisco gli uffici, in genere la mattina presto, perché alle otto dobbiamo lasciare tutto in ordine. A me hanno assegnato quelli di una via dell’Eur. Ci andiamo in sei, due donne e quattro uomini. E io so’ un po’ la ‘capo’, quella che deve assicurarsi che il lavoro sia stato fatto bene. E’ logico che siamo tutta gente scelta con cura, della massima onestà. Non dobbiamo prendere nemmeno uno spillo.
Sono riuscita a far assumere, a tempo determinato, Daniel, il figlio di Nicola e Mariam. I genitori sono andati in Eritrea, la patria di Mariam, e lui &egrave restato con la nonna. Ha preso il diploma di ragioniere, ma non riesce a trovare un posto fisso perch&egrave deve fare il servizio militare, ancora obbligatorio, ma intanto si dà da fare per guadagnare qualcosa.
Daniel &egrave un bel ragazzo, di diciannove anni, ed &egrave buono, educato, diligente. Farlo lavorare con me mi sembra quasi avere vicino Righetto. Mi guarda con certi occhi, e sta a sentire tutto quello che dico.
Certo, non me l’aspettavo proprio. Non ci pensavo neppure lontanamente. Eppure &egrave accaduto.
Quella mattina il lavoro non era molto, perché il giorno prima c’era stata una specie di festa aziendale, e solo pochi erano restati in servizio.
Ero nella stanza del Presidente, avevo quasi finito. Gli altri erano al piano di sotto.
Daniel entrò, molto serio, chiuse la porta a chiave e si diresse verso me, con un’espressione che non gli conoscevo. Pensai che avesse combinato qualche guaio, avesse rotto qualcosa. Stavo spolverando la scrivania. Mi voltai. Ma non avevo neanche concluso la supposizione, che lui afferrò con forza la scollatura del grembiule e con uno strappo fece saltare i bottoni, l’aprì. Sotto avevo reggiseno e mutandine. Mi guardò con le narici dilatate.
‘Daniel, sei impazzito?’
Annuì.
Cercai di allontanarlo con le mani, ma lui con la sinistra le afferrò, le tenne strette, e con la destra tirò energicamente il reggiseno, lo lacerò, lo tolse, lo lasciò cadere a terra.
Fissò le mie grosse zinne, che ancora, però, stavano su gagliardamente, sgranò gli occhi, le labbra gli tremavano, visibilmente. Senza lasciarmi le mani, si chinò, afferrò un capezzolo, con cupidigia, e cominciò a succhiare avidamente. Un succhio vigoroso, lungo’ come se mi volesse svuotare’
Il fatto era, che non sentivo più la stretta della sua mano intorno ai miei polsi, e che dentro mi stava capitando qualcosa. Mi accorsi che stringevo le gambe, e le allargavo, e’ qualcosa stava stillando’ da me’
‘Daniel, su, da bravo, non essere scemo’ ma cosa intendi fare’ su’ da bravo’ non dirò niente a nessuno”
Alzò la testa, mi guardò con occhi di fuoco, allugò la mano libera e fece fare alle mie sottili mutandine la stessa fine del reggiseno.
Ero nuda di fronte a lui, nuda e incapace di difendermi. Temevo che la sua violenza potesse trasformarsi in qualcosa di peggio, che mi strozzasse.
Oddio. Proprio così. Lasciò i polsi e afferrò la gola. Senza stringere, però’.
Le sue grosse labbra si posarono sulle mie, la lingua, dura, coriacea, premette, prepotente, si fece strada, mi obbligò a dischiudere i denti’ incontrò la mia, prese a lambirla, si ritirò, rientrò’
L’altra mano era scesa sul mio grembo, tra i peli folti e riccioluti, frugava, sempre più indiscreta’ con un ginocchio mi fece separare le gambe’ Ora le sue dita erano tra le grandi labbra, le carezzavano, poi tiravano pian piano i peli, si intrufolavano, titillavano il clitoride’. Ma che cacchio aveva in mente’
Va bene che stavo gocciando, ma quei ditoni erano entrati, facevano avanti e indietro, giravano intorno, quando sfioravano un certo punto dalla vagina mi facevano sussultare, e lui che slinguazzava nella mia bocca. Premette su me sul mio corpo, lasciò la gola, la mano scese al suo pantalone, abbassò la chiusura, ne spuntò una vigorosa nerchia, grossa e scura, col glande che sembrava fumare. Avevo abbassato la testa, per seguire la sua manovra. Ero terrorizzata, ma impietrita, non riuscivo (o non volevo?) a muovermi.
All’improvviso, Daniel lasciò tutto, arretrò qualche centimetro e con movimenti rapidissimi si liberò dei pantaloni. Non riuscii a fuggire da lui.
Il ginocchio, di nuovo, si insinuò prepotentemente tra le gambe, le fece dischiudere ancora di più. Lui mi prese per i fianchi, mi sollevò come un fuscello, mi spinse, decisamente ma senza violenza, sulla scrivania.
Il bacino era sul tavolo, i talloni sul pavimento.
Prese le mie gambe, le sollevò, se le mise sulle spalle, poi afferrò il glande e lo portò all’ingresso della mia vagina. Strinsi forte, per impedire di entrare’ Credetti di stringere! Il suo fallo nerboruto e pulsante penetrò energicamente, aprendosi la strada, raggiungendo il fondo. Lo sentii, in me. Ero invasa’
Cominciò a stantuffare, dapprima lentamente, poi sempre con maggior vigore’ ed io sentivo che non riuscivo a restare immobile’ il mio corpo si muoveva per suo conto’ il bacino sobbalzava’ gli andava incontro’
Mi sorpresi a pensare in gergo.
Da quanti anni la mia fregna non sentiva un andirivieni del genere’
Cominciavo a godere come una pazza. Gli andavo incontro, mi ritiravo.
Un lungo gemito, crescente, usciva, roco, dalle mie labbra.
Mi dovevo mordere le labbra per non gridargli che era ‘bbbono’ tanto ‘bbono’ che me stava facendo venì’
E mi sorpresi a gridare un lungo, irrefrenabile, oooooooooooooooh! quando l’orgasmo mi travolse, si acquietò appena, tornò a sconvolgermi.
Il suo robusto manganello di carne vibrava in me, pulsava, e i suoi colpi mi anticiparono quella che fu la più voluttuosa invasione che mai avesse goduto la mia vagina. Io suo seme si sparse dappertutto, come un voluttuoso balsamo lenitivo.
Abbassai le gambe, le incrociai dietro al sua schiena. Lo attrassi a me. Con forza, con un senso di geloso possesso. Per la verità, era lui che mi aveva dominata, invasa, goduta, e con mio sommo godimento.
Restammo così, fin quando non accennò a staccarsi, a sfilare da me il suo sesso ancora eccitato. Lungo le gambe scivolavano rivoli delle nostre linfe.
Lo guardai scuotendo la testa.
Sembrava quasi stesse per piangere.
‘Scusami, Tuta’ &egrave stato più forte di me’ ti desidero da sempre’ non ne potevo più’. Perdonami”
Gli carezzai dolcemente i capelli.
‘Ragazzo matto’ ma come’ con tante ciumachelle che certo fanno la bava per te, te la sei presa co’ ‘na vecchia che potrebbe essere tu’ madre!’
‘Ma che vecchia, Tuta, sei ‘no schianto, manco cento regazze d’oggi fanno una come te’ Me perdoni?’
‘Ma si’ ,moretto bello, che te perdono’ ma a una condizione”
Mi guardò ansioso.
‘Dimme, Tuta bella”
E mi squadrava, da capo a piedi’ solo allora mi accorsi che ero ancora nuda!
‘Che la prossima volta non mi strappi reggiseno e mutandine’. E vieni da me’ a casa mia”
Sembro sprizzare gioia dai pori.
Io, intanto, pensavo che non prendevo la pillola’!
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