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Racconti Erotici Etero

La tela di ragno (Nido d’uccello)

By 11 Febbraio 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

Potessi rincorrere la mia ombra che sola si muove attorno a queste pareti che sono tutto il mio mondo! Magari come quando bambina scivolavo sull’erba per arrivare per prima a scavalcare la siepe, e correvo più forte fino ad incrociarmi le gambe per poi cadere e rialzarmi e sbucciarmi ginocchia e sudore.

Potessi ancora averne la forza! Risentire identico quell’odore di erba, misto a fiatone che inumidisce la terra mentre m’inseguo e mi bagno di paura e saliva. Potessi ancora averne la forza e sentire la mia bocca che succhia il mio sangue e mi scalda come il sole che picchia e matura la menta e le more.

Potessi ora infangarmi le scarpe lucide di bianchetto, affondarle tra la riva del fiume ed il timore e la gioia di caderci di dentro. Potessi davvero risentire la voce di mia madre mentre la saluto, apro la porta e le grido che vado, non importa dove, che comunque io vado. Senza che mi segua e mi spinga, senza che mi dia quel melenso coraggio che domani ‘vedrai non è come oggi’.

Ma io ci credo, ci credo davvero, che senza questa sedia potrei attraversare la strada, guardare a sinistra ed a destra, per poi tornare indietro da sola. Lo spero e lo voglio, se proprio non posso come bambina, correre al fiume e scorticarmi le gambe, se proprio non posso come più grande tuffarmi nei rovi e graffiami la faccia.

Eppure un ricordo mi torna ogni giorno senza che dubbio o ragione ne facciano un piccolo sogno. Più intenso e più vero dà forza e dolore a queste stupide gambe che per un attimo mi sorreggono, e scivolano sopra questi ciuffi d’erba che al mio passaggio rimangono in piedi, come se pesassi che etti, come se mi volessero dire che sto solo sognando.

Ma resisto e mi vedo più bella. Che c’è di strano se dietro le foglie mi trucco la faccia con i gusci di noci e mi sdraio sul prato mentre il cielo m’avvolge? Se mi faccio un vestito con le foglie di fico mentre un vento leggero mi sparecchia e m’imbroglia.

Che c’è di male se ancora oggi la mia mano si perde pensando a quell’uomo che puntuale m’aspetta seduto sul ciglio e m’alza la gonna senza nessuna fatica. Tra i capelli mi spunta una spiga di grano, tra le labbra mi offre e mi spinge un seme sgusciato, mentre m’annerisco le guance e mi marco la bocca con le penne e i lamponi.

Mi chiama bambina, perché non conosce il mio nome, mi chiama farfalla perché lo faccio volare e perde il suo dito tra la mia carne smarrita. Ed io scappo, ma m’insegue e mi cinge la testa con le foglie d’alloro e mi lega le dita con la tela di ragno.

Mi regala per caso un nido d’uccello come dietro ogni foglia uno spicchio di cielo, come dietro ogni voglia un leggero rossore. Sto ferma ed aspetto come stringo le palpebre ad ogni passaggio di treno, come al rimbombo di un tuono quando il cielo già basso si è tinto di nero.

Il primo bacio m’accappona la pelle, il secondo mi bagna l’incavo del seno e senza parlare mi offre la lingua che grassa s’infiamma tra i miei cerchi più scuri. Il sole che muore ci trova sotto la vite e lui mi ciancica le labbra ed il cuore, mi confonde il dolore con una specie di voglia che m’arroventa le gambe ancora bagnate.

Da allora ogni sera mi viene a trovare ed io gli concedo uno spazio giorno per giorno, m’annerisco come un tempo la faccia con i gusci di noci mentre l’identico vento m’asciuga la voglia ed io bacio ancora quell’uomo, bacio il suo dito che tinto di rosso mi sporcava la faccia.

Ed ora sono qui su questa terrazza che guardo questo piccolo orizzonte, che per quanto sterminato che sia, lo conosco a memoria e non ci posso volare, per quanto distante che sia m’impoverisce i pensieri e non ci posso sognare.

E guardo parole, parole d’amore che altri mi raccontano, perché i miei occhi non possono arrivare, e si fanno luoghi, scale e certezze come se da qualche parte ci fossi pur stata, da sola e turista o insieme a quell’uomo che ogni sera mi viene a trovare.

Lui sì che mi guarda dritto negli occhi perché tutto il resto è solo un dettaglio. Lui sì che mi tratta da grande più degli anni che porto e non ho mai vissuto. E mi guarda tutta intera, in piedi davanti allo specchio con indosso un vestito di fiori, mi guarda e dice soltanto che m’ama, che donna più alta e più bella nessun’altro destino gli ha mai regalato.

E sussurra parole, parole di sesso che come allora sento vicine, ne sento il velluto, il vapore! E sento il mio sangue che pulsa e fa male, che scorre controcorrente lungo le salite delle mie gambe ammollate. Lo sento davvero e mi pare che se solo volessi potrei andare da sola, che se solo volessi potrei correre al fiume e impigliarmi la gonna tra le spine dei rovi!

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